Robert Kennedy sospettava della

banda cubana, la CIA e la Mafia

 

 G.Molina 19 maggio 2007 www.granma.cubaweb.cu

 



 

I sospetti, recentemente rivelati, di Robert Kennedy  sulla partecipazione delle bande di origine cubana ed italiana, al servizio della CIA, nell'assassinio di suo fratello, gettano nuova luce sulla protezione della famiglia Bush al terrorista Luis Posada Carriles.

Domenica scorsa il quotidiano Chicago Tribune ha rivelato che Robert F. Kennedy sospettò — e cominciò ad investigare fin dal primo momento —, il 22 novembre 1963, che l'assassinio del Presidente fosse una cospirazione di questi gruppi, perché conosceva meglio di tutti le motivazioni che li muovevano, per aver lavorato con loro per abbattere Fidel Castro e soffocare la Rivoluzione cubana, dopo il fiasco di Playa Girón, la Baia dei Porci.



HA DOVUTO STARE IN SILENZIO



Le rivelazioni appaiono in un articolo di questo giornale, domenica 13 maggio, dello scrittore David Talbot, sul suo libro "Brothers: The Hidden History of the Kennedy Years", pubblicato in questi giorni dalla famosa editrice "Simón and Schuster".

Robert Kennedy aveva imparato che a Washington la cosa migliore, quando si lavorava su qualcosa di importante, era mantenere il segreto. Per questo motivo non aveva toccato l'argomento per vari anni, dicendo in pubblico che
nulla avrebbe mai fatto ritornare in vita suo fratello. Ma, in realtà, da quello stesso pomeriggio dell'assassinio, è possibile seguire la pista della sua investigazione, poiché cominciò subito ad utilizzare freneticamente il telefono dalla sua casa in Hickory Hill ed a convocare lì i suoi principali aiutanti, per ricostruire i fili del crimine.

L'allora Segretario alla Giustizia concluse che il sentiero dell'attentato portava ben lontano dall'ex marinaio Lee Harvey Oswald, che era stato già arrestato. Così si trasformò segretamente nel primo — e più importante — teorico della cospirazione assassina.

Lo scrittore racconta che fonti della CIA, dalle prime ore del crimine, cominciarono a disseminare la proprio visione cospirativa con una messa a fuoco sulla defezione di Oswald verso l'Unione Sovietica ed il presunto appoggio di Fidel Castro ad un gruppo segretamente organizzato dalla Compagnia col codice segreto AMSPEL.

La detta Direzione Studentesca diffuse una registrazione nella quale si diceva quello che avevano fatto a Oswald, difendendo il leader cubano a New Orleans. Si sosteneva che il presunto assassino aveva vincoli con il Comitato del Giusto Trattamento per Cuba.

Ma Robert Kennedy non credette mai che l'assassinio fosse un complotto comunista. Egli guardava in direzione opposta, concentrando i suoi sospetti sulle segrete operazioni anti-Castro della CIA nel torbido basso mondo in cui egli aveva navigato come uomo leader di suo fratello sul tema di Cuba. Ironicamente, i sospetti di Robert nacquero
perchè lui aveva svolto la parte del lavoro che gli era toccata: provocare il rovesciamento di Fidel Castro.

In questo compito che gli fu assegnato dal presidente Kennedy dopo la fallita invasione, conobbe la cloaca di intrighi costituita dagli elementi che partecipavano ai complotti per assassinare il Presidente di Cuba. Lo colpì soprattutto il piano organizzato dalla CIA con la banda cubana e i capi mafiosi italo-americani John Rossellli, Sam Giancana e Santos Trafficante.

 
Questi ed altri padrini erano stati perseguiti con accanimento da Robert Kennedy nei primi anni cinquanta, come consigliere del Comitato speciale del Congresso che investigava sul crimine organizzato e nei suoi anni come Segretario alla Giustizia nel Governo di suo fratello. Sapeva anche come i tre gruppi odiavano e qualificavano come traditori i Kennedy, per la conclusione della Baia dei porci nel 1961 e la Crisi dei Missili nel 1962.
 


IL SOSPETTO E SINISTRO MONDO DI MIAMI



Nel sinistro mondo di spie, di bande e di terroristi cubani di Miami, Robert Kennedy accumulò rapidamente prove sui propri sospetti, da quel 22 novembre e negli anni successivi, sino al suo stesso assassinio, il 5 giugno del 1968. Egli riuscì a riunire un impressionante gruppo di prove che avallavano le sue motivazioni.


Le prove più recenti apparse e rese evidenti anche dalle testimonianze nel Congresso sono documenti del governo già non più segreti, avallate dalla confessione-rivelazione della presunta spia, morta solo quattro mesi fa, Howard Hunt. L’organizzatore degli "idraulici del Watergate" ha ammesso nel suo libro postumo "American Spy", che la Compagnia poteva essere coinvolta nell’assassinio presidenziale. In una nota manoscritta e in una registrazione lasciata poco prima della morte, Hunt ammette che nel 1963 aveva partecipato a una riunione dei membri della CIA, in una casa di sicurezza di Miami, dove si era discusso un attentato contro il Presidente Kennedy.



LA MAFIA DI CHICAGO E QUELLA DI MIAMI



La notte del omicidio, Robert Kennedy telefonò a Chicago a Julius Draznin che era un esperto in corruzione nei sindacati, per domandargli su una possibile connessione a Dallas con la Mafia. Chiamò anche il suo investigatore stella della Segreteria alla Giustizia, Walter Sheridan, che si trovava a Nashville in attesa del processo contro l'antica nemesi di Robert, il dirigente dei camionisti, Jimmy Hoffa.

Se Kennedy aveva alcuni dubbi sulla partecipazione della Mafia nell'omicidio, li dissipò due giorni dopo, quando Jack Ruby sparò contro Oswald nella cantina della stazione di polizia dove era incarcerato il presunto assassino di suo fratello.

Sheridan gli forni rapidamente prova che Ruby era stato pagata a Chicago da uno stretto socio di Hoffa, Allen M. Dorfman, consigliere capo del Fondo di Ritiro dei Camionisti e figliastro di Paul Dorfman, dirigente del lavoro e principale legame con la Mafia di Chicago.

 

Pochi giorni dopo, Draznin, uomo di Kennedy dell'antico feudo di Al Capone, fornì più prove con una relazione completa circa i legami di Ruby con la Mafia. Quando gli portarono la lista delle chiamate che Ruby aveva fatto nei giorni dell'assassinio, disse al suo aiutante Frank Mankiewicz che la lista sembrava:"Un duplicato di quelle della gente che io chiamavo per testimoniare davanti al Comitato che investigava il crimine organizzato".

Riguardo alla CIA Robert sapeva che il direttore, John McCone, non la controllava. Richard Helms era colui che stava a capo dell'Agenzia, commentò con un altro aiutante, John Seigenthaler.

Lo stesso giorno 22 ebbe una rivelatrice conversazione con Enrique Ruiz Williams, un amico, veterano dell'invasione della Baia dei Porci che lasciò meravigliato quando gli disse:"Uno dei tuoi colleghi lo ha fatto! La CIA e i gruppi cubani nemici di Castro stavano cercando di collegare l’assassinio con il regime dell’Avana"

 

Per Williams era chiaro che Robert Kennedy non accettava la versione. perché prove recenti suggerivano — annota Talbot — che Robert aveva ascoltato il nome di Oswald molto tempo prima che che apparisse in tutti i media del mondo e che collegava quell'uomo con la guerra sotterranea del Governo nordamericano contro Cuba. Col suo arresto a Dallas, apparentemente Kennedy comprese che la campagna clandestina contro Castro si era trasformata in un boomerang contro suo fratello.

Membri della famiglia ed anche intimi amici dicono che alla fine di quella settimana dell'attentato, Robert cavillava sulla morte del fratello. Disse quel giorno che John era stata vittima di un potente complotto che era cresciuto al margine di una delle operazioni segrete anti-Castro. Non si poteva fare niente a quel punto, diceva, e la giustizia doveva aspettare che lui potesse andare alla Casa Bianca.
 

Per anni Kennedy offerse materiali di routine alla Relazione Warren e alla teoria del tiratore unico, ma in privato continuò a lavorare accuratamente per chiarire la morte di suo fratello, preparandosi a riaprire il caso quando avesse il potere per farlo.

 

Lasciò il Dipartimento di Giustizia nel 1964 e fu eletto nel Senato per New York. Poi andò in Messico dove cercò informazioni su un misterioso viaggio di Oswald nel settembre del 1963, due mesi prima del crimine.

 

Mankiewicz e lui giunsero alla conclusione che probabilmente si era trattato di un complotto che aveva vincolato la Mafia, gli esiliati cubani e la stessa CIA. Nel marzo del 1968, durante la sua campagna come candidato alla presidenza, partecipò a un tumultuoso incontro con gli studenti a Nortridge, in California, che gli chiesero chi aveva ucciso il presidente e che si aprissero gli archivi.

 

Robert sapeva che se avesse parlato, il tema avrebbe dominato la campagna invece di altri importanti come il Vietnam o la segregazione razziale nel paese. ma egli parlava sempre con gli studenti con sorprendente sincerità e lasciò stupefatto Mankiewicz rispondendo che, senza dubbio, avrebbe riaperto il caso. "Nessuno è più interessato di me", disse.

 


UN'ALTRA VOLTA LA CIA
 


Forse stava firmando la sua sentenza di morte. Due mesi dopo, cadrà anch'egli assassinato.

E' stato recentemente scoperto che il gruppo di ufficiale CIA sospettato dell'assassinio del Presidente, era presente,
al di fuori delle funzioni di lavoro, nell' hotel dove fu assassinato Robert, il candidato sicuro di ottenere la presidenza.

Quando si ricorda che l'ufficiale addetto al lavoro sporco contro Cuba fu, per lungo tempo, George Bush padre; quando si ricorda che Bush padre era il vicepresidente all'epoca dello scandaloso traffico di armi con droga in America Centrale, di ciò che sa il terrorista reo confesso e latitante alla giustizia Posada Carriles; quando si ricordano tanti altri inconfessabili crimini della banda del CIA-GATE, si capisce meglio perché Luis Posada Carriles - anche lui sospettato per l'assassinio Kennedy, che quel giorno era a Dallas  come segnalato dalla Relazione del Congresso che ha svolto le investigazioni -  possa ricattare George Bush figlio.