Il terrorismo anticubano

e l’assassinio di Kennedy

 

José A. de la Osa e Orfilio Peláez - 19 gennaio 2006

 

 

Senza dubbio John F. Kennedy fu la vittima di un complotto, cosa non riconosciuta in nessuna delle indagini ufficiali realizzate negli Stati Uniti. Non lo riconobbero né la Commissione Warren né il Comitato Scelto della Camera dei Rappresentanti.

 

Quanto detto è stato sottolineato durante la Tavola Rotonda di ieri, intitolata  ‘Il terrorismo anticubano e l’assassinio di Kennedy’, alla quale hanno partecipato il Generale di Divisione ritirato Fabián Escalante, autore di una delle indagini più complete e recenti sull’assassinio di Dallas; Lázaro Barredo, direttore del quotidiano ‘Granma’; José Luis Méndez, ricercatore del Centro delle Indagini Storiche della Sicurezza dello Stato; il giornalista Reinaldo Taladrid e Gabriel Molina, direttore del settimanale ‘Granma Internacional’.

 

Arleen Rodríguez Derivet, moderatrice del programma, ha indicato che recentemente è stato trasmesso dalla tv tedesca un documentario intitolato ‘Appuntamento con la morte’, un altro capitolo, “ma non troppo importante dato il suo basso livello d’indagine sulla verità storica”, che si somma agli altri elementi di una cospirazione che ha più di 40 anni: il tentativo di coinvolgere Cuba e di accusarla dell’assassinio del presidente John F. Kennedy, per attaccare e demoralizzare la direzione storica della Rivoluzione e anche, soprattutto, per giustificare qualsiasi atto di aggressione contro il nostro paese, in particolare un’invasione.

 

Ha fatto riferimento a un articolo pubblicato su ‘Granma Internacional’ e su ‘Granma’ intitolato ‘Kennedy, cospirazione ad Amburgo’, nel quale Molina ha ricordato il contesto nel quale si produsse l’omicidio a Dallas e la certezza che egli ebbe subito del fatto che sarebbe stata accusata Cuba, un paese che viveva permanentemente assediato da ogni tipo di terrorismo.

 

Nel suo intervento, Molina si è riferito ai retroscena di quell’intrigo, con il quale tentano di far “risorgere” la più abusata di tutte le teorie riguardanti la morte di Kennedy: l’accusa ai Servizi Segreti cubani di essere coinvolti nella morte del presidente degli Stati Uniti.

 

Ha citato dichiarazioni del Viceministro degli Affari Esteri della Germania il quale, commentando la tesi del documentario, ha affermato che “manca di ogni logica politica che i Servizi Segreti cubani e il Presidente cubano abbiano organizzato l’attentato contro il Presidente nordamericano”.

 

Molina segnala nell’articolo che gli USA si propongono anche di distrarre l’attenzione del mondo da un tema che ha scandalizzato molti, cioè il rifugio offerto sul loro suolo ad un noto terrorista com’è Posada Carriles, nel bel mezzo della loro guerra contro il terrorismo.

 

Ha anche fatto riferimento al contesto mondiale nel quale viviamo oggi e alle somiglianze che ha con gli anni ’60, ma che vede adesso la Rivoluzione cubana riemergere con un 11,8% di crescita della sua economia, con una rafforzata guida di Fidel e della Rivoluzione e nel contesto di un’America Latina che sta virando rapidamente a sinistra. È senza dubbio per tutti questi motivi che è ripreso il tentativo di demoralizzare o di distruggere il prestigio della Rivoluzione.

 

Ha sostenuto che la prima indagine importante sull’assassinio di Kennedy venne realizzata dalla cosiddetta Commissione Warren, che valutò quell’accusa a Cuba e la scartò, segnalando  che “tale cospirazione non c’è stata”.

 

Furono così tante le prove apparse poi, che il Congresso decise di creare un Comitato Speciale nel suo seno, presieduto dal congressista afronordamericano Louis F. Stokes, per investigare sugli assassini di John F. Kennedy, di suo fratello Robert e di Martin Luther King.

 

Dopo più di un anno di difficili indagini, il Comitato Stokes giunse a interessanti conclusioni: “Il Comitato pensa, sulla base delle prove disponibili, che il Governo cubano non sia coinvolto nell’assassinio del presidente Kennedy”.

 

Sulle indagini riguardanti questo tema ha parlato lo studioso José Luis Méndez, rispondendo inizialmente ad una domanda della moderatrice: “In che situazione si trovava  la controrivoluzione cubana nel 1963 quando venne assassinato Kennedy e dove si trovavano alcuni dei più eminenti membri di questa controrivoluzione?”

 

Méndez ha puntualizzato che la Commissione Scelta del Senato e della Camera che studiò la partecipazione dei cubani arrivò alla conclusione che questi non avevano partecipato in quanto gruppo all’assassinio di Kennedy, ma affermò anche che alcuni dei membri della controrivoluzione avevano le motivazioni, i mezzi e la possibilità di assassinare il presidente Kennedy.

 

Enumerando le motivazioni ha indicato, prima di tutto, la sconfitta di Playa Girón, il fallimento dell’operazione Mangusta e come finì la Crisi d’Ottobre (presumibilmente con un accordo di non invasione di Cuba da parte del Governo USA). Tutto ciò fece sì che i controrivoluzionari manifestassero di sentirsi ingannati, traditi, diffidenti, scettici e perdessero la fede cieca  nel fatto che gli americani avrebbero risolto il problema cubano.

 

Méndez ha ricordato che alla fine del 1962 arrivarono negli USA più di 1.000 mercenari invasori di Playa Girón.  Al loro ritorno il presidente Kennedy adottò una serie di misure per rinfocolare la fede della controrivoluzione. Ha alluso alla “presunta” Bandiera cubana che a Miami venne consegnata a Kennedy (e ha chiarito che diceva presunta perchè quella bandiera non uscì mai da Cuba e non fu conservata dai mercenari), il quale promise di restituirla – andò a finire che venne inviata per posta alla cosiddetta Brigata 2506 – in una Cuba libera.

 

Ha menzionato i nomi di alcuni di coloro che furono convolti nell’assassinio di Dallas e di altri che realizzarono in quegli anni attività terroristiche, assassinii politici e altre azioni come José Basulto, José Hernandez Calvo, proprietario di uno dei fucili calibro 50 utilizzati sistematicamente per tentare di assassinare Fidel; José Dionisio Suarez Esquivel, autore materiale dell’assassinio di Letelier a Washington, Gustavo Samper, Felix Rodriguez, tutti quanti conosciuti per la loro lunga carriera di mercenari nella guerra sporca del Nicaragua e Posada Carriles, già assoldato dalla CIA.

 

Ha sottolineato che nel 1963 esistevano più di cento organizzazioni controrivoluzionarie disperse in tutto il territorio degli USA, fondamentalmente a Miami, ma anche a New Orleans, in Louisiana e a Dallas.

 

Di queste cento organizzazioni, la Commissione investigò quelle i cui “elementi” avrebbero potuto sentirsi più abbandonati dall’Amministrazione Kennedy, l’organizzazione JURE e altre.

 

Ma esistono delle contraddizioni, ha sostenuto, non solo tra la politica di Kennedy e i controrivoluzionari cubani, ma anche tra alcuni settori della CIA favorevoli ad una soluzione violenta della questione cubana e la politica combinata di sovversione del presidente Kennedy. Questi settori proponevano una serie di azioni dirette come l’invasione mercenaria. Ciò determinò la creazione di una serie d’organizzazioni da parte della CIA.

 

José Luis Mendéz ha alluso ad Orlando Bosch, che capeggiò l’organizzazione controrivoluzionaria chiamata Movimento Insurrezionale di Recupero Rivoluzionario, che perpetrò decine di azioni terroristiche contro il territorio nazionale, soprattutto il bombardamento contro attrezzature economiche come gli zuccherifici.  Sempre nel 1963, qualificato come  “un anno aggressivo”, venne creata la seconda guerriglia navale, accampamenti in Nicaragua e Costa Rica per portare a termine atti terroristici. Vennero effettuate una serie di azioni che fecero pensare alla possibilità di un’invasione.

 

Ha poi ricordato che i tentativi di Kennedy di avvicinarsi alle autorità cubane erano conosciuti dalla CIA e questo fece sì che i settori più reazionari dell’emigrazione cubana dubitassero e perdessero la speranza di un’invasione di Cuba con la partecipazione di forze nordamericane. Ciò determinò un ambiente ostile tra i settori più aggressivi favorevoli ad una soluzione violenta che vedesse coinvolte le truppe nordamericane.

 

La moderatrice ha letto frammenti di un libro scritto diversi anni fa da Lazaro Barredo e da Reinaldo Taladrid, El chairman soy yo, che racconta la storia di come venne strutturata la mafia d’origine cubana nel sud della Florida.

 

Parlando di storia, Barredo ha raccontato che il nonno dell’attuale presidente George W. Bush finanziò prima della Seconda Guerra Mondiale, come parte di un gruppo di ricchi nordamericani, la nascita delle forze nazifasciste di Hitler e alla fine di quella guerra divenne una figura di spicco in quella che fu la genesi della CIA, dove uno di quelli che si distinse è Allan Dulles, che poi sarebbe divenuto il capo dell’Agenzia durante L’Amministrazione Kennedy e soprattutto durante Playa Girón.

 

“Il nonno di Bush”, ha continuato, diventa il padrino politico di Richard Nixon, appoggiandolo finanziariamente e sostenendolo nella sua carriera politica.

 

Quando trionfò la Rivoluzione cubana era presidente degli Stati Uniti il generale Ike Eisenhower e vicepresidente Richard Nixon. Quest’ultimo, ha sostenuto Barredo, era il vero amico dei batistiani che se ne andavano da Cuba. È lui che cominciò a mettere insieme una serie di agenti della CIA attorno a questa politica, tutti con un aspetto in comune: erano membri dell’Agenzia che avevano operato nel nostro paese dalla Stazione dell’Avana e tutta gente legata all’operazione che rovesciò Jacobo Arbenz in Guatemala.

 

Nel 1959, quando iniziarono le attività contro la Rivoluzione cubana, un ufficiale della CIA venne incaricato di articolare il meccanismo di controspionaggio, di protezione di quella che poi sarebbe diventata la brigata mercenaria 2506. Quest’uomo sarebbe poi divenuto direttore della CIA e il 41º presidente degli Stati Uniti. Stiamo parlando di George H. Bush, padre dell’attuale presidente.

 

Dopo il fallimento di Playa Girón cominciarono le grandi contraddizioni. Destituì Allan Dulles, licenziò un altro dei vice direttori della CIA, nonchè un gruppo di ufficiali tra i quali personaggi vincolati alla mafia cubano-americana. Arrivò a formarsi una concentrazione di forze in questo odio contro il Presidente nordamericano.

 

“Prima di Dallas”, ha ricordato, “si era già parlato della possibilità di un tentativo di assassinio contro Kennedy a partire da un suo incontro in Europa con il presidente francese Charles De Gaulle, piano che non venne portato a termine”.

 

Esponendo le sue idee su questi fatti, Barredo ha segnalato che questo è quel che può spiegare l’inizio di una concentrazione degli sforzi tra gli agenti della CIA di origine nordamericana e un gruppo di personaggi della mafia italo-nordamericana che si incorporarono al piano di attentato contro Kennedy.

 

“Nei confronti di Cuba”, ha segnalato, “Kennedy stava maturando l’idea di risolvere il problema in altro modo. Non voglio dire”, ha chiarito, “che avesse abbandonato l’idea di distruggere la Rivoluzione, ma piuttosto che stesse cercando un’altra formula totalmente diversa nello scontro con Cuba”.

 

Ha alluso a un frammento del libro pubblicato nel 1965 a New York, scritto dallo studioso Boris Goldenberg, La Rivoluzione cubana e l’America Latina, dove questi espresse un pensiero di Kennedy al rispetto. Segnalò Goldenberg, ha citato Barredo, che Kennedy confessò con un’ammirevole franchezza: “Penso” – disse – “che non c’è paese al mondo, nemmeno i paesi sotto il dominio coloniale, dove la colonizzazione economica, l’umiliazione e lo sfruttamento siano stati peggiori di quelli che hanno punito severamente Cuba a causa della politica del mio paese durante il regime di Batista”.

 

“Cioè”, ha detto, “lui sottolineò che il fenomeno Batista era il catalizzatore di ciò che stava accadendo a Cuba”.

 

Barredo si è anche riferito al modo misterioso in cui sono morti i principali cubani vincolati all’attentato di Dallas e ha menzionato Eladio del Valle e Herminio Diaz.

 

Si è chiesto perchè Posada Carriles abbia osato dire durante il processo a El Paso, “mi rifiuto di testimoniare perchè posso compromettere la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, la CIA e l’FBI” e ha chiesto anche perchè si può permettere questo “lusso”. Perchè indirettamente gli sta dicendo: “ricordatevi che io conosco i vostri segreti”. Tutti quelli che sono sopravvissuti hanno tentato di mantenere come “assicurazione sulla vita” ciò che sapevano per non morire in circostante misteriose, come successo a più di 50 persone legate in un modo o nell’altro all’assassinio di Kennedy.

 

 

CHI ERA LEE HARVEY OSWALD?

 

 

Il generale di Divisione ritirato Fabián Escalante Font,  ricercatore e autore del libro Il Complotto, ha fornito una dettagliata spiegazione su chi era Lee Harvey Oswald, il presunto unico autore materiale dell’attentato, prima dell’eliminazione fisica del presidente nordamericano, avvenuta a Dallas il 22 novembre 1963.

 

Ha segnalato che questi entrò nella Marina del suo paese nel 1956 e due anni più tardi venne destinato ad una base super segreta situata in Giappone, adibita al controllo dei voli spia U-2 sull’URSS e la Cina.

 

Dopo aver chiesto l’esonero dal servizio attivo nel 1959 adducendo problemi familiari, Oswald andò a Londra alla fine di quell’anno, per poi recarsi in Finlandia, valicare la frontiera sovietica, arrivare a Mosca, chiedervi asilo politico e rimanervi fino alla metà del 1962.

 

Già allora si verificò un fatto strano relazionato con questo personaggio quando nello stesso consolato degli Stati Uniti a Mosca lo autorizzarono a far ritorno nel suo paese, gli consegnarono un passaporto nuovo e gli pagarono perfino il viaggio di ritorno.

 

Lee Oswald, dopo essere tornato nella sua terra natale, si recò a New Orleans nell’aprile del 1963 e lì entrò in un’organizzazione denominata Amici di Cuba Democratica, diretta fra gli altri da Maurice Ferré, Clay Shaw e Gus Banister.

 

Oswald, secondo quanto ha precisato Escalante, iniziò a partecipare alle attività controrivoluzionarie, ma “cambiò atteggiamento” rapidamente ed arrivò ad aprire un comitato di solidarietà con Cuba nella stessa New Orleans. Nel luglio 1963 diffuse propaganda e proclami a favore del nostro paese nelle strade di quella città.

 

Venne anche filmato in alcune di queste azioni ed arrivò ad un alterco pubblico con un cubano agente della CIA, chiamato Carlos Brenguier, con il quale sostenne un dibattito radiofonico sul tema di Cuba.

 

Si recò a Dallas dove venne visto assieme a membri della controrivoluzione cubana e a personaggi della risma di Antonio Veciana. Si recò poi in Messico dove cercò sospettosamente di ottenere un visto per soggiornare 15 giorni a Cuba e recarsi poi nuovamente in URSS.

 

Né i russi né i cubani gli concessero il visto e Oswald si vide obbligato a tornare negli USA.

 

“Senza dubbio”, ha indicato Fabián Escalante, “si cercò di creare le condizioni per cercare di simulare l’esistenza di legami tra Oswald ed i servizi segreti cubani, che giustificassero poi la teoria della nostra partecipazione al complotto.

 

Ciò è dimostrato dalle cinque presunte lettere uscite da Cuba e dirette a Oswald. La Commissione Warren determinò tempo dopo che erano state scritte dalla stessa macchina. Escalante ha aggiunto che, per il linguaggio usato, parve che le cinque missive fossero state originariamente redatte in inglese.

 

 

SEGNALI DI AVVICINAMENTO

 

 

Reinaldo Taladrid ha sottolineato che la politica storica della Rivoluzione cubana è stata fin dal principio contraria all’assassinio politico come metodo di lotta ed ha fatto l’esempio delle parole pronunciate da Fidel nella sua apparizione televisiva dopo la morte di Kennedy, quando condannò l’assassinio.

 

“Ma, al di là dell’aspetto morale ed etico”, ha indicato, non possiamo sorvolare su ciò che stava accadendo dalla primavera del 1963 e nelle più alte sfere dell’Amministrazione USA, rispetto ad una revisione dei rapporti con Cuba”.

 

Taladrid, basandosi su documenti del Consiglio di Sicurezza Nazionale, recentemente declassificati, ha dimostrato come lo stesso presidente Kennedy voleva esplorare le possibilità di un cambiamento della politica nei confronti dell’Isola, cosa che portò all’apertura di diversi canali di contatto tra i due Governi, come per esempio durante la visita a L’Avana della giornalista Lisa Harward, che intervistò Fidel ed altri dirigenti.

 

Harward, che era anche conduttrice televisiva, consegnò al suo ritorno negli USA un rapporto a Richard Helms, vice direttore della CIA, dove esprimeva l’opinione che si poteva dialogare con Cuba e aprire una strada d’intesa reciproca.

 

Il punto culminante di questa svolta fu il viaggio a L’Avana del noto giornalista francese Jean Daniels. Questi, prima di intraprendere il viaggio, venne ricevuto da Kennedy nel suo ufficio. Il presidente gli chiese di trasmettere al Governo cubano una serie d’informazioni tendenti a propiziare un clima meno teso nei rapporti tra i due paesi.

 

Secondo la testimonianza personale del reporter francese (mostrata ieri sera per la prima volta a Cuba nello spazio della Tavola Rotonda) questi, incontrandosi con Fidel, percepì che le sue parole vennero ascoltate molto attentamente dal Comandante, il quale gli commentò che forse era possibile un qualche avvicinamento con Kennedy.

 

Come dice Daniels nelle sue dichiarazioni, egli aveva l’impressione che questi due uomini desiderassero la pace.

 

Durante il pranzo suonò il telefono e Fidel rispose. “Mi disse: ‘hanno ferito seriamente il presidente Kennedy. Adesso ci accuseranno di sicuro’”.

 

“Poco dopo”, continua Daniels, “ascoltammo dalla radio che Kennedy era morto. ‘Questa è la fine della sua missione’, disse Fidel. Io pensai lo stesso”, sentenzia il giornalista francese.

 

Dopo aver concluso l’esibizione del filmato, Taladrid si è chiesto quale statista potrebbe voler organizzare l’assassinio di un avversario che, proprio negli ultimi tempi, stava esplorando delle vie d’intesa.

 

“Cuba, com’è logico dal momento che veniva dall’imperialismo, accolse con molta cautela quell’iniziativa personale di Kennedy, ma era disposta ad ascoltare e ad avanzare nella direzione di conversazioni sui rapporti bilaterali”, ha indicato.

 

Infine Taladrid ha ripreso quanto detto da Fidel nella sua apparizione televisiva del 23 novembre 1963: “Sono i partigiani dell’invasione di Cuba, della guerra, coloro che traggono vantaggio da questo assassinio”.