24/1/2007 - R.Fumagalli www.italia-cuba.it

 

Le prigioni

di Cuba 

 

 

 

Avendo scelto di cogliere con la mia macchina fotografica quegli aspetti di Cuba che fossero meno noti e visibili al pubblico, e che allo stesso tempo apportassero un significativo contributo all'idea generale del mio libro, in CUBA VA (www.cubava.com), non potevano mancare alcune fotografie di prigioni cubane.

 

Al di là della Prisión de Media Seguridad di Toledo, che non penso differisca molto da una qualsiasi prigione degli altri 200 paesi del mondo, in cui i reclusi si sono macchiati di reati di una certa gravità e quindi la sorveglianza è piuttosto rigida e non si registrano manifestazioni di cordialità particolarmente evidenti, un'impressione assai positiva mi è venuta dalle visite alla Prisión de Mujeres de Occidente e al Centro Experimental di San Francisco de Paula. Non ho la pretesa di spacciarmi per un esperto di sistemi di detenzione o politiche di recupero dei detenuti, ma racconto solo quello che ho visto, con alcune considerazioni personali. Qualcuno ci sarà sicuramente a dirmi che io ho visto solo la facciata, mentre la realtà delle cose è ben diversa. E mi dirà anche che le prigioni cubane sono un inferno, dove il responsabile di tutti i mali è, tanto per cambiare, Fidel Castro. Non penso che le carceri in nessuna parte del mondo siano il Grand Hotel. Persone con il ruolo di custodi che sono poco rispettose, prepotenti e magari anche violente ce ne possono essere, come ce ne sono in ogni aspetto della vita quotidiana. Ma non credo proprio ad una sistematicità nel perpetrare soprusi e nefandezze ai danni dei detenuti cubani, in particolare ai cosiddetti "dissidenti", che venga dall'alto. Per di più, mi risulta difficilmente immaginabile che detenuti che vengono maltrattati e vessati dalla mattina alla sera si mettano a ridere e scherzare di fronte ad una macchina fotografica, solo perché minacciati dalle guardie che quegli abusi hanno appena commesso.

 

A Toledo è difficile rompere il ghiaccio e instaurare un rapporto cordiale, anche se superficiale, con i ragazzi detenuti. C'è diffidenza e c'è disagio, proprio a causa della mia macchina fotografica. Nella sala mensa dove vengo chiamato stanno pranzando e, nel momento in cui varco la soglia, il disagio è mio. Di colpo, cala un silenzio tombale in tutta la grande sala, e gli occhi si alzano dai piatti per scrutarmi incuriositi. Con tatto e discrezione, mi aggiro tra i lunghi tavoli per scattare delle foto. Dietro la maschera dura ed inflessibile di tutti questi giovani volti, all'improvviso compare una luce. Senza che mi dica una sola parola, capisco che uno di loro, non solo accetta di buon grado di essere fotografato, ma sembra che il fatto che io mi concentri su di lui e lo ritragga, lui tra tanti, sia un motivo per sentirsi orgoglioso. Finito il mio lavoro, me ne vado cercando di dimostrargli la mia gratitudine con un sorriso. Mi schiaccia l'occhio senza dire una parola. Non serve.

 

La Prisión de Mujeres de Occidente che, come dice il nome, è riservata alle sole donne, si trova nelle campagne intorno alla capitale. Dal di fuori, è un grande edificio bianco che può essere tutto tranne che una prigione. La mia attenzione si rivolge al reparto di maternità. Qui le detenute partoriscono e crescono i propri figli. Le celle, pulite ed accoglienti, assomigliano più a delle camere, con lettini, giocattoli e biberon. L'atmosfera è serena e gioviale, e la presenza di un fotografo straniero, che non penso passi da queste parti proprio tutti i giorni, scatena la caccia alla foto-ricordo. Anche tra le detenute e il personale di custodia ci sono sorrisi e battute scherzose. L'eccitazione è tale che i neonati passano da una ragazza all'altra senza che si possa più capire chi sia la madre di ogni bambino.

 

Il Centro Experimental di San Francisco de Paula accoglie invece giovani che sono considerati recuperabili e che, in una struttura carceraria tradizionale, rischierebbero di venir "persi". Non ci sono solo autori di piccoli reati, ma c'è anche un assassino. Un'attenta valutazione del contesto in cui è maturato il crimine permette a questi giovani di finire qui piuttosto che in una prigione come, appunto,Toledo. E la differenza è notevole. Non ci sono sbarre, non ci sono celle, ma computer con Internet, laboratori, e corsi universitari. Dopo aver attraversato un piccolo centro abitato, la strada sale in collina e termina con un piccolo cancello di rete. Il complesso è costituito da piccoli edifici bassi circondati da prati. L'atmosfera generale è ben più rilassata di quella che ho respirato a Toledo poco prima. Quando arrivo, i ragazzi sono seduti in un prato sotto un grande albero, e conversano con un educatore, senza che si vedano guardie. L'ora di ricevimento parenti si tiene in una grande sala con tavoli e sedie, anche in questo caso senza apparente vigilanza. Del resto, credo che nessuno di questi giovani si azzarderebbe a commettere una sciocchezza che spalancherebbe le porte di un vero carcere, e chiuderebbe per sempre quelle di questo centro sperimentale.