La tattica dei paragoni

 

 

 

5 marzo 2007 - M.E.Yepe* www.granma.cubaweb.cu

 

 

Paragonare il progetto rivoluzionario cubano con altri processi socio-politici di sinistra si è convertito, negli ultimi periodi, in un passatempo, per niente ingenuo, per promuovere, nel campo delle idee, la sfiducia e la disunione tra le forze progressiste su scala continentale e mondiale.

Come il peso degli avvenimenti ha già squalificato diatribe tali come la condizione di satellite di Cuba, l'isolamento dell'isola, l'incontestabile appoggio ad altre rivoluzioni, la morte del marxismo, l'impercorribilità del socialismo e più recentemente la dipendenza del processo politico cubano da un capo, la reazione ha posto di moda i paragoni con altre rivoluzioni.

Il fatto che una nazione socialista, la Cina, sia stata capace di situarsi in cima alla classifica mondiale per il suo sostenuto ritmo di sviluppo economico, tecnologico e scientifico a partire dalle concezioni socialiste che l'hanno reso possibile, sembra avere svegliato la tendenza a sottolineare le differenze del nostro processo con quello della gran nazione asiatica.


L'ascesa della Cina al ruolo di motore dello sviluppo globale non lascia margine per auguri di un triste futuro per il progetto rivoluzionario cubano argomentando la similitudine dei suoi obiettivi con quelli della Cina socialista, come quando questa era vilipesa dalla propaganda dell'impero come un paese fallito, di arretrata tecnologia, con un popolo affamato, scontento e senza speranze.

Il merito di avere tirato fuori la Cina dalla tragica condizione di paese sottosviluppato, é attribuibile interamento al suo popolo e alla sapienza dei suoi dirigenti comunisti che seppero mobilitarlo e guidarlo, con più successo che errori, nella sua lotta contro il ritardo feudale e le incoerenze dell'ordine borghese, prendendo in considerazione le peculiarità storiche, geopolitiche, sociali, culturali ed economiche di questo paese, il più popolato del mondo.

In Cuba, ha avuto luogo un processo conoscitivo ed un agire politico con caratteristiche simili, ma in scenari molto differenti, ciò che ha come conseguenza che per entrambi i sistemi, diretti verso il socialismo e guidati da dirigenze marxista-leniniste, ci siano molte similitudini ed anche peculiarità ben distinte.

L'uno e l'altro processo si inquadrano nello stesso momento della storia, nel quale l'umanità assume la sfida di passare ad una tappa nuova del suo sviluppo, dopo che il capitalismo, avendo perso il suo carattere progressista dei tempi delle rivoluzioni industriali, ha portato il mondo ad un caos di asimmetrie, ingiustizie, iniquità, violenza e distruzione del suo habitat.

Come ogni paese parte da situazioni differenti, le soluzioni ed i mezzi per ottenere degli obiettivi devono essere diversi, con alcune evidenti identità in ciò che tocca il carattere endogeno dei processi e la priorità degli obiettivi sociali.

La Cina, per esempio, ha intrapreso la "economia di mercato socialista" e si serve delle risorse del mercato e di alcuni meccanismi caratteristici del capitalismo incipiente con molta maggiore ampiezza che Cuba, per molte ragioni; perché le peculiarità dello sviluppo della società borghese nell'uno e nell'altro paese erano ben differenti al momento dell'inizio dei cambiamenti rivoluzionari.

Nell'Isola, la presenza di imprese nordamericane aveva introdotto elementi di socializzazione della produzione, il commercio ed i servizi propri del capitalismo più avanzato dell'epoca, quello che permise di ovviare, non senza difficoltà ed insufficienze, tappe dello sviluppo delle relazioni di produzione del capitalismo elementare verso quelle socialiste. La Cina, per la sua gran estensione e potenzialità, come per la priorità che ha concesso al suo sviluppo macroeconomico, dato il suo carattere di grande potenza tecnologicamente ed economicamente arretrata, ha dovuto affrontare, in maniera differente, il tema ed ha optato, in una maniera più ampia, per l'utilizzazione, a livello di base, delle relazioni mercantili.

In maniera simile, ma anche distinta, il Vietnam, dove il capitalismo selvaggio ha brevemente coesistito con una società dall'economia molto primitiva e debole nel suo sviluppo, per le continue aggressioni contro la sua indipendenza nazionale, ha dovuto affrontare l'enorme compito di ricostruire il paese con la sua risorsa più importante: la laboriosità di un popolo straordinario.

Dopo aver vinto, in una cruenta guerra, la potenza più ricca, poderosa ed aggressiva che l'umanità ha conosciuto, senza proprie risorse finanziarie proprie per qualunque altra opzione, il Vietnam ha optato per la massima utilizzazione delle relazioni mercantili in tutte le sue manifestazioni che gli permettessero uno sviluppo effettivo verso i suoi propositi socialisti.

La recente tendenza verso sinistra che si nota in America Latina, ha trasformato in regola quello che appena alcuni anni fa era inimmaginabile: l'arrivo al potere, mediante elezioni, di governanti popolari che non sono imposti, appoggiati o hanno il visto del governo degli Stati Uniti e che si oppongono alla una politica economica del neoliberalismo imposta dalla superpotenza. Questo fatto non ha antecedenti nella regione.

Ovviamente, ognuno dei nuovi governanti eletti dal suo popolo ha la sua propria agenda, poiché generalmente non sono stati promossi dai tradizionali partiti politici i cui programmi e, soprattutto, i metodi per eseguirli, rispondevano a regole dettate dagli interessi delle oligarchie e dell'impero che hanno costruito l'impalcatura dei sistemi elettorali a loro immagine e somiglianza.

Le agende dei nuovi dirigenti popolari hanno molte cose in comuni tra loro. Ed anche molte e notevoli differenze.

Sono simili gli obiettivi di riaffermazione dell'identità nazionale e la difesa della sovranità, così come sono avviati a promuovere la giustizia sociale. Le differenze possono essere piccole o infinite, perché derivano da diversi fattori. Possono differire anche in quanto a capacità di resistere a pressioni e tentazioni.

È da molti anni che le oligarchie latinoamericane si sono avvalse della gigantesca campagna di propaganda e bugie che, durante quasi mezzo secolo su scala mondiale, la superpotenza statunitense ha portato avanti contro la Rivoluzione cubana per attaccare qualunque aspirazione popolare o qualunque misura patriottica che proponga o attui un governo della regione, accusandola di essere "identica" a quelle di Cuba, perché temono un'unità partecipata del popolo come quella nostra.

È stata pratica sistematica che, a qualunque dei progetti rivoluzionari per l'indipendenza e la giustizia sociale che sorgono nel continente, le poderose risorse mediatiche delle oligarchie e dell'impero attribuiscano similitudini col modello cubano, nutrendosi degli schemi che per anni questi stessi mezzi sono riusciti ad impiantare.

Ciò nonostante, il modello cubano, rappresentato nel suo leader, Fidel Castro, lontano dal perdere simpatie tra le masse umili del continente, si é mantenuto e riprodotto nelle nuove generazioni latinoamericane che l'hanno come bandiera di lotta per le loro rivendicazioni.

Il progetto rivoluzionario cubano arrivò ad essere potere per effetto di una rivoluzione popolare armata ed i nuovi governanti popolari, in America Latina, vi approdano come risultato di elezioni. Ciò determina che gli scenari per eseguire i cambiamenti rivoluzionari siano molto variabili.

In ogni modo i governi popolari che ora stanno sorgendo, a partire da processi istituzionalizzati, hanno programmi che vanno da ben strutturati progetti rivoluzionari autoctoni fino a piattaforme nazionaliste articolate con impegni di onestà amministrativa, l'identificazione dei fattori che conducono all'unità deve passare per un processo che non può violentarsi.

Ma di questo si servono le campagne della reazione per paragonare situazioni con l'intento di confondere.

A Cuba raccomandano instaurare o estendere l'uso di elementi dell'economia di mercato, perfino la privatizzazione, per risolvere qualunque problema dell'economia, alla maniera di altri paesi che vivono giovani processi rivoluzionari che a loro volta sono denigrati per applicare soluzioni "alla cubana".

Il momento, che viviamo oggi, di affermazione della sovranità delle nazioni della nostra America Latina  si inserisce in un divenire diretto dalle leggi dello sviluppo sociale ma necessariamente deve trovare radici autoctone in ognuna delle nostre patrie. Sarà più universale ed autentico nella misura in cui assuma caratteristiche proprie in ogni nazione.

Le esperienze di ognuno devono farsi comuni per impedire errori evitabili, ma mai devono agire come modelli prestabiliti come camicie di forza.
 

 


* Manuel E. Yepe Menéndez è avvocato, economista e politologo. E' professore nell'Istituto Superiore di Relazioni Internazionali di L'Avana. E' stato Ambasciatore di Cuba e Direttore Generale dell'Agenzia Latinoamericana di Notizie Prensa Latina.