5 marzo 2007 -  A.Z.Dieguez e T.G.Conzalez www.granma.cubaweb.cu

 

47°anniversario del sabotaggio della nave francese La Coubre

 
Contro la prima grande unghiata terrorista

 

una sola risposta: Patria Morte! 

 

 

 

Allo spuntare dell'alba, nel porto di L'Avana il 4 marzo 1960, nessun osservatore avrebbe potuto trovare alcun indizio che quella data e quel posto si sarebbero tanto inseriti nella storia per il realizzarsi della più grande azione terroristica, fino ad allora eseguita, dal governo nordamericano contro la nascente Rivoluzione, con più di cento vittime e di quattrocento feriti — uno dei maggiore di tutti i tempi — come per aver, con ciò, fuso nella coscienza nazionale i concetti di libertà e di patria, dando origine a quello che a partir da allora — dall'esequie delle vittime, il giorno dopo — è stata bandiera di combattimento del popolo cubano: Patria o Morte!
 


Lo scenario del crimine
 


Come era abituale, a partire dalle sei della mattina stivatori e lavoratori di coperta cubierteros si erano concentrati nel vecchio edificio Oficios e Luz, in attesa di essere selezionati per i lavori da eseguire quel giorno, secondo la posizione di una lista rotatoria di più di un migliaio di stivatori e circa trecento cubierteros. I lavoratori, impiegati nei moli, si concentravano in propri locali, come parte dell'attesa giornaliera di lavoro.

Quel giorno non in tutti i casi si cominciò lo
scarico in orario, tanto presto: alle 8 e 12 minuti della mattina aveva fatto la sua entrata nella baia de L'Avana la nave francese La Coubre, con 36 marinai e due passeggeri a bordo, che nelle sue stive 2, 4 e 5 trasportava carichi vari e, nella stiva 6 e nel suo entrepuente refrigerato, alla fine della poppa, un importante carico di munizioni e granate anticarro ed antipersona per il fucile FAL, acquistato in Belgio per la difesa del paese, che soffriva, dallo stesso trionfo della Rivoluzione nel gennaio 1959, i forti colpi di una guerra non dichiarata proveniente dagli Stati Uniti.

Dopo aver attraccato nell'ancora denominato molo Pan American Docks, che già a quella data era passato in mano al popolo, attorno alle 10 della mattina erano terminate le procedure doganali, le ultime realizzate nel suo lungo foglio di servizio da Carlos Alfaro Galbán, che i suoi capi e compagni, chiamarono in maniera postuma, professore dell'ispezione nel porto, che lavorava come ispettore capo del Distretto Doganiere dell' Arsenale, assistito da Alberto Rosales Puebla, anch'egli ispettore ed antico combattente clandestino nelle file del Direttorio Rivoluzionario 13 Marzo, morto anch'egli quel giorno.

Immediatamente, il sovrintendente del molo, Julio González López, diede il beneplacito, per l'ultima volta nella sua vita, per iniziare lo scarico alle undici della mattina nella stiva 2 — carico generale — e nella stiva 6, quella di maggiore complessità data la indole di ciò che lì si trasportava. Rispetto a questa ultima, aveva
, in precedenza, ultimato ogni dettaglio col capitano Carlos Mir Marrero, capo della Sezione Materiale da Guerra della Direzione di Logistica (G-4), dello Stato maggiore dell'Esercito Ribelle (EMER), colui che accompagnato dal primo tenente Eduardo Calvet — gravemente ferito quel pomeriggio — e dai membri di quell'organo Estanislao Figueras ed Alfredo Vidal — che nel 1999 testimoniarono davanti al Tribunale Popolare Provinciale di Città di L'Avana, nella Domanda agli Stati Uniti per Danni Umani — avrebbe assunto in consegna l'armamento al molo e trasportato a destinazione. "Mir, da molto prima, aveva coordinato con me l'operazione per garantire il trasporto del carico verso i posti dove si sarebbe immagazzinato. Da poco aveva acquisito due traini nuovi, che in unione di camion più piccoli utilizzammo quello giorno. Gli autisti erano molto buoni, selezionati tra gli antichi combattenti ribelli, e viaggiavano scortati da altre forze" esprime, molto tempo dopo quei fatti, l'allora capitano Raúl Camacho Espinosa, a quell'epoca capo della Sezione dei Trasporti della Direzione Logistica dell'EMER.

Nel locale marcato col numero 61 nella strada Mision, dove si trovavano, in attesa, i lavoranti di quel molo, fu rapida la selezione di coloro che avrebbero partecipato allo scarico. Si erano, già in precedenza, adottate misure per garantirla. Altrettanto successe, non lontano da lì, nel controllo di stivatori di Oficios e Luz. Col numero 88 nella lista dei cubierteros, e come parte di un gruppo di una decina di lavoratori, a Rolando Oliver Navarro corrispose far parte del gruppo che iniziava, quella mattina, i lavori nella stiva 2, dove lavorava come operatore dei winches
1 o winchero. Con molta probabilità, l'essere stato assegnato a quel boccaporto, all'estremo opposto della poppa, fu determinante perché Rolando potesse sopravvivere alla più scioccante esperienza della sua vita.

Le più severe misure di sicurezza furono adottate dopo l'arrivo della nave. Per attuarle, tra le altre, poco dopo l'alba erano partiti da Managua, al comando del tenente Eulogio Ámita — veterano guerrigliero della Colonna 1 José Martí — forze specialmente selezionate tra antichi combattenti ribelli, molti di essi provenienti dal III Fronte Orientale Mario Muñoz, appartenenti alla Compagnia di Riconoscimento del Battaglione Blindato e del Battaglione 1 di Artiglieria delle Forze Tattiche di Combattimento di Occidente. Vicini a compiersi 47 anni da quei fatti, il tanquista Almelio Venero Portales che svolgeva compiti di protezione sulla coperta de La Coubre vicino a José Casanova Pruna, ricorda: "prendiamo le posizioni nella barca, ci diedero le istruzioni... Stavamo in movimento per vedere se veniva un aereo e tirava una bomba; un uomo rana che potesse uscire da sotto e tutto questo tipo di cose". "Io stavo custodendo, con vari combattenti, il molo e la scaletta", dice l'allora sergente Aladino del Toro. Riferendosi al gruppo di cui faceva parte, diretto dal sergente Marcelino Sánchez, Aladino ricorda: "eravamo responsabili della protezione del molo e del carico che lì si depositava". "Lì c'era un cordone di militari", evoca il tanquista Blas Masó, e continua: "stavamo sulle porte di entrata, sul molo ed anche dentro la barca". L'artigliere Manuel L'O, che ricorda con lui Víctor Arzuaga, Reynaldo Sánchez Galán e Rafael Echevarría, dice da parte sua: "La missione che ci diedero fu quella di prendere le misure di sicurezza e protezione. Si impedì l'entrata di fiammiferi e portafiammiferi, o di qualunque pacchetto non necessario. Gli stivatori venivano solamente coi loro vestiti da lavoro". Da parte sua, Lázaro Betancourt Collazo era membro della Polizia Marittima che copriva la scala di accesso alla nave, e tra gli altri compiti doveva garantire che chi entrasse ed uscisse trasportasse la documentazione che lo autorizzava: nessuno senza di essa poteva farlo.
 


Terrore vs. Rivoluzione
 


In mezzo a rigide misure si cominciò lo scarico delle munizioni trasportate nella stiva 6. Date le speciali condizioni di lavoro che lì si applicavano, all'una del pomeriggio terminava il primo turno di lavoro per quella stiva e per coloro che allora abbandonarono la nave col doppio del doppio del salario — con la giornata di lavoro, per trattarsi di carico speciale ed avere lavorato nell'orario di pranzo — erano molto lontano dal pensare che con ciò salvavano le loro vite. Tra coloro che lavorarono lì quella mattina si trovava Francisco Díaz Domínguez che non poteva neppure sospettare, salutando gli stivatori che lo sostituirono, la terribile notizia che avrebbe ascoltato per radio , poco dopo, a casa nel distante villaggio di Jaruco: nessuno di loro sopravvisse. Quelli non solo perirono, ma dovettero essere registrati come scomparsi, volatilizzati dall'enorme temperatura e pressione sviluppate provocate dal criminale esplosivo, preparato in forma tale che esplodesse quando si realizzassero i lavori di scarico delle casse di granate nell'entrepuente refrigerato di quella stiva.

L'orrenda esplosione, accaduta
approssimativamente alle tre e quindici minuti, torse le pesanti travi e le grosse plance dell'imbarcazione come se si fosse trattato di un fine guscio. Secondo Julio Martín Pérez, con ogni probabilità il testimone oculare, che rimase in vita, con maggiore visibilità e vicinanza al punto focale del sinistro quella fu "una esplosione barbara... a me quell'esplosione mi spinse indietro". Riferendosi all'impasto di ferri risultante, espresse: "tutto quel ferro io lo sentii quando cadde". Anche la testimonianza di Rolando Oliver è molto eloquente: "in quel momento un'onda d'urto mi lanciò in aria, ed aprendo gli occhi vidi cadere pezzi di ferro, oggetti e persone sconquassate, insieme ad un fumo denso che saliva come un fungo".

Nel turno del pomeriggio avevano anche incominciato i lavori nei due nuovi boccaporti con carico generale, corrispondenti alle stive 4 e 5. Nessuno degli operai assegnati a questa ultima sopravvisse, data la sua maggior vicinanza al macchinario infernale portatore di quel messaggio di morte e distruzione. Nel boccaporto 4 morirono i suoi wincheros — Anastasio Mascaró Pérez e Manuel Rodríguez Yánez — rimase gravemente ferito José Castromán Prieto, uno dei gangleros
2 che li dirigeva, e miracolosamente salvò la sua vita il suo compagno di lavoro, anch'egli ganglero Julio Martín Pérez, con sole ferite lievi.
 


Sangue cubano, francese e spagnolo
 


L'interno di quella stiva 4, attigua a quella che aveva sofferto la maggiore strage, si trasformò rapidamente in una scena di terrore. Il numero 608 nell'elenco degli stivatori, Miguel Herrera Herrera, allora ferito come risultato della forte scossa che sconquassò tutta la nave, ha ancora tra i suoi ricordi, in mezzo allo spesso fumo, la barcollante scala per la quale poté ascendere penosamente fino in coperta ed in un impreciso luogo, della sua memoria, il cadavere di un marinaio francese. Un altro ricordo gli risulta particolarmente lacerante: quello del cubiertero Marcelino Guevara, antico marinaio del mercantile cubano Manzanillo, affondato dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale, e che per tale fatto era molto conosciuto. Da lui aveva ascoltato i suoi racconti su altre latitudini mentre aveva condiviso, nella mattina, l'attesa della chiamata
e con lui si era incamminato verso La Coubre per essere imbarcati. Il fatto che Manzanillo fosse ganglero nel boccaporto 5, molto vicino al punto focale del sinistro, fu determinante affinché succedesse qualcosa che da il brivido, recensito il giorno dopo sulla stampa: il suo torso sconquassato, riconoscibile solo per i suoi tatuaggi da marinaio, volò per aria per cadere in un luogo tanto lontano come i paraggi della Polizia Motorizzata.

Per i casi del destino, anche un altro dei pochi che ancora oggi possono raccontare quanto accaduto all'interno de La Coubre, in quel nefasto giorno, si trovava nella stiva 4. René Oliver Mesa, impiegato come bottaio — incaricato della riparazione del carico con lesioni nell'imballaggio e lavori affini — della rappresentanza, in Cuba, della Compagnia navale francese Generale Trasatlántica (CGT),  che includeva nella sua flotta La Coubre, cominciò a lavorare all'una del pomeriggio. Dopo un certo tempo ricevette un compito dai suoi superiori: localizzare a terra il delegato della barca Tomás Pérez Carmona, con cui il vicepresidente e pagatore di quella rappresentanza francese, Alfonso León Martínez, come il capo di stivaggio Francisco González Fernández dovevano determinare se corrispondeva a qualche collettivo di quel turno di lavoro un trattamento salariale speciale, come era successo col gruppo di operai che aveva lavorato nella mattina. Ancora oggi trema ricordando che eseguendo l'ordine e presentandosi nella zona di poppa in cui quelli si trovavano, ricevette inizialmente l'indicazione di rimanere in quell'area, benché dopo fosse inviato alla stiva 4 dove aveva iniziato i suoi lavori. Fu quello che gli salvò la vita: solo pochi minuti trascorsero dal suo ritorno perché l'esplosione spazzasse tutti quelli che aveva lasciato dietro.

Quell'esplosione lasciò anche uno strascico di distruzione e morte nell'area dei moli. Julio Martín Pérez, testimone eccezionale, ricorda: "Non rimase niente sul molo. Sai tu ciò che sono due camion chiusi? Volarono come cartine cinesi. Dove prima tu vedevi il movimento, i montacarichi, merci per le imbarcazioni (...) rimase come un deserto". Tra i caduti si trovava il lavoratore, di quel molo, Alonso Solís Villarrica, asturiano trapiantato e con famiglia nel paese che aggiunse, tra gli altri, sangue spagnolo al cubano e a quello dei sei marinai francesi versato in quello giorno. Con lui caddero anche i lavoratori Martín Armenteros, Plácido Beltrán Santamarina, Gregorio Zulueta Pedroso, Arturo García Vargas (Manduley), Luis Reoyo Márquez ed Andrés Zaldívar González, il cui cadavere fu il primo dei 27 che arrivarono quella notte al Palazzo dei Lavoratori — gli identificati fino a quel momento — per ricevere l'addio di un popolo scosso dal dolore e dall'indignazione. Risultò scomparso José Guillermo Capetillo, tarjador, la cui funzione era il registro di quello che si andava scaricando dalla nave; nel 1999 sua sorella offrì testimonianza su quel fatto vandalico nella Domanda agli Stati Uniti per Danni Umani. Di Manuel Codina, con una lunga carriera nelle funzioni doganali, poco dopo il fatto si localizzò il suo cadavere orribilmente mutilato. L'ispettore di dogana Arturo González Coca, nonostante aver perso un braccio, rimase in vita. Risultarono vittime anche due operatori della squadra di carico di uguale nome: Juan Rigores. Erano padre e figlio; il più giovane lasciò la sua vita su quel molo. Suo padre, ferito, con piacere avrebbe scambiato la sua fortuna con quella di suo figlio deceduto.

Tra gli addetti al ricevimento e trasferimento dell'armamento, una delle vittime mortali fu Max Orúe Leyva — nonostante la sua gioventù era veterano di numerosi combattimenti contro la dittatura nel Secondo Fronte Orientale Frank País — che occupava un'importante responsabilità nella Sezione Materiale da Guerra dello Stato maggiore dell'Esercito Ribelle. Tra altri militari che caddero si trovavano anche i membri della Polizia Militare distaccata nella caserma di San Ambrosio, Juan Francisco Aro Fernández e Reynaldo Lago González; della Sezione del Trasporto della Direzione Logistica, Anselmo Rubiera Castillo, come gli addetti ai serbatoi Miguel de los Ángeles Cotorruelo Lozano, Emilio Reyes González, Pedro Manuel Suárez Figueredo, Argelio Tamayo Lago ed Agustín Astorga Cardoso.



Di fronte al terrore: solidarietà e fermezza rivoluzionaria



Il recupero delle vittime e la reazione ai risultati del sinistro non si fece aspettare. In mezzo all'ululare delle ambulanze, delle sirene della polizia e dei pompieri che arrivavano sul posto, si adoperavano, con celerità, tutti i mezzi di trasporto disponibili per inviare verso i centri ospedalieri le decine di feriti che faticosamente scappavano dall'imbarcazione o erano rimasti feriti sul molo ed i suoi paraggi, posto quello nel quale rapidamente si riunirono per aiutare le vittime ed affrontare le conseguenze del sinistro, non facendo caso alla pericolosità regnante, tanto i più alti dirigenti rivoluzionari come militari e poliziotti, lavoratori, operai portuali di altri moli, vicini ed impiegati del circondario e perfino di posti molto distanti, alcuni dei quali eludevano le barriere esistenti per offrire il loro aiuto solidale.

È di quel momento una delle più importanti testimonianze, ripetute da molti che poterono osservarlo: la presenza del Comandante in Jefe Fidel Castro che assunse immediatamente la direzione della reazione alle gravi conseguenze di quell'atto terroristico; come lo sforzo di dissuaderlo di chi l'accompagnava che cercavano di fermarlo nella sua avanzata verso la nave sinistrata. È riferito al comandante Ernesto Che Guevara un'altra importante attestazione. Secondo il pompiere Rafael Valdés, della caserma ubicata in Corrales e Zulueta, che accorse tra i primi, ancora l'assalta l'emozione al ricordare il Che, che saltò sopra di un'autocisterna che ostacolava l'accesso al molo per la sua principale via di entrata e seguito dai suoi compagni si incamminò verso La Coubre, in mezzo al denso fumo e l'esplosione delle munizioni e granate stivate all'interno del buque
3. Si presentarono rapidamente anche Raúl, Almeida, il presidente Osvaldo Dorticós, Ramiro Valdés, Efigenio Ameijeiras ed altri alti dirigenti e capi militari.

Alle 3 e 45 del pomeriggio accadde la seconda esplosione, qualificata dai testimoni come tanto spaventosa o più della prima che seminò una nuova stele di morte e distruzione tra coloro che aiutavano le prime vittime. Così cadde — uno tra molti — Lucilo Peñalver Pedroso che aveva prestato il suo aiuto solidale dal Mercato Unico, relativamente lontano, dove guadagnava il suo sostentamento; come crebbe esponenzialmente la quota di feriti, tra essi il membro della Polizia Nazionale Rivoluzionario capitano Juan Luis Rodríguez Infante (Bayamés) la cui testimonianza e denuncia su questo fatto si ascoltò anche nella Domanda agli Stati Uniti per Danni Umani. Gli effetti mortali dell'esplosione non si rimasero circoscritti alle aree più vicine: Ramón Sánchez Alonso, taxista al Terminale delle Ferrovie, secondo la stampa dell'epoca, morì colpito dai rottami di un crollo nell'incrocio delle strade Arsenal ed Economia. In un ampio raggio gli edifici subirono danni, alcuni di elevata gravità.

Espressione di dolore ed indignazione, ma anche di valutazione serena ed oggettiva dell'evento, di denuncia degli autori principali e di riaffermazione della volontà di lotta del popolo cubano fu l'intervento del capo della Rivoluzione all'esequie delle vittime. Con argomenti irrefutabili, la possibilità di un incidente per cattiva manipolazione del carico come causa del sinistro fu completamente scartata: per comprovarlo, granate che la nave trasportava, scaraventate a gran altezza nelle scatole che le contenevano, non erano esplose, nonostante la rottura degli imballaggi e il roteare liberamente sul terreno. I responsabili del sinistro erano chi si era opposto a che quelle armi arrivassero al paese. "Gli interessati a che non ricevessimo questi esplosivi", espresse Fidel, "sono i nemici della nostra Rivoluzione, quelli che non vogliono che il nostro paese si difenda, quelli che non vogliono che il nostro paese sia in condizioni di difendere la sua sovranità", precisando ancora più: "l'hanno detto le stesse autorità nordamericane, i loro porta voci, gli sforzi perché non si vendessero armi a Cuba".

Le azioni terroristiche già in opera e poco tempo dopo l'invasione di Playa Girón, davano ragione a quella sentenza e confermavano ancora più l'identità dei suoi veri responsabili. Ciò poté apprezzarsi nella sua migliore prospettiva al conoscersi, attraverso documenti declassificati della stessa Agenzia Centrale di Intelligence (CIA)
4, che da sette mesi prima — coincidente col fallimento del suo primo importante piano contro la Rivoluzione, dopo il trionfo, che culminò con la congiura CIA trujillista ed il fallito tentativo di invasione da Trinidad, agosto 1959 — le più alte sfere governative nordamericane avevano deciso di iniziare una nuova tappa nei piani per per eliminarla con la forza. Già dal mese di ottobre di quell'anno la CIA fece i primi passi nella sua applicazione, col bombardamento di zuccherifici e piantagioni; incrementò le azioni di spionaggio per determinare, tra gli altri molti aspetti, le possibilità difensive del paese — La Coubre aveva fatto il suo primo viaggio con armi belghe per Cuba nell'ottobre 1959 — e, nel gennaio 1960, due mesi prima della criminale azione, la CIA creó la sua struttura organizzativa (Ramo 4 della Divisione dell'Emisfero Occidentale) per assassinare Fidel Castro — così appare, esplicitamente, nel suo primi documenti5 — ed abbattere la Rivoluzione attraverso un vasto piano sovversivo. Conclusione di tutto ciò fu l'approvazione formale da parte del presidente Eisenhower di questi piani, già in esecuzione, realizzata il 17 marzo 1960, appena trascorse due settimane dall'orrendo crimine che oggi ricordiamo.

Quel minuto luttuoso si trasformò in un momento di virile riaffermazione riassunto nelle parole di Fidel:
 


"E non solo sapremo resistere a qualunque aggressione, ma sapremo vincere qualunque aggressione, e che nuovamente non avremmo altra alternativa che quella con cui iniziammo la lotta rivoluzionaria: quella della libertà o la morte. Solo che ora libertà vuole dire qualcosa di più ancora: libertà vuole dire patria. E la nostra alternativa sarà:

Patria o Morte!"
 

 


* Investigatori del Centro di Investigazioni Storiche della Sicurezza dello Stato.

1-La parola non è registrata nella lingua. Deriva dall'inglese winch [uinch], argano; tornio di asse verticale usato nelle manovre che esigono grandi sforzi.

2-Operaio portuale che indica ai wincheros i movimenti da realizzare col carico mediante segni.

3-Rolando I. Nogueira Castro: Pompieri contro il terrorismo. Memoria storica Corpo dei Pompieri.

4-Agencia Centrale di Intelligence: Relazione del Direttore generale della CIA sull'operazione di Baia dei Porci. Vedere Centro di Investigazioni Storiche della Sicurezza dello Stato, CIHSE, e CITMATEL: Cuba Accusa, CD-Rom multimedia. L'Avana, 2003.

5-Agencia Centrale di Intelligence: Memorandum per il Direttore dell'Agenzia Centrale di Intelligence, attraverso il vicedirettore di piani, da parte del capo della Divisione dell'Emisfero Occidentale J. C. King, 11 dicembre di 1959, Archivio di Sicurezza Nazionale dell'Universidad George Washington.