18 giugno '08 - Atilio A. Boron* www.prensa-latina.cu

 

Il Che Guevara e la

ricreazione del marxismo 

 

 

Uno dei migliori modi di commemorare l’80° anniversario della nascita del Che Guevara è recuperare uno dei suoi aspetti meno conosciuti o, forse, il più dimenticato: il suo ruolo come ricreatore del pensiero marxista in chiave latinoamericana. Ignoranza o dimenticanza spiegabile per la celebrità acquisita come guerrigliero eroico, coraggioso, come quello più nobile e contemporaneamente generoso come pochi con suoi nemici vinti. Un uomo la cui assoluta coerenza tra idee, valori e condotte lo trasforma in un paradigma insuperabile, specialmente in epoche come questa, nella quale il tradimento ai vecchi ideali (o la mancanza di connessione tra quello che si pensa o si dice e quello che si fa) ha acquisito proporzioni scandalose. Come bene lo ricordava giorni fa Miguel Barnet, questo strano guerrigliero portava nel suo zaino la poesia di Leon Felipe e Pablo Neruda. Nei suoi accampamenti nella selva boliviana aveva più di un centinaio di libri, molti dei quali erano veri gioielli del pensiero sociale universale. Non fu casuale la sua capacità di ricevere criticamente alcune delle categorie del marxismo e di sottomettere ad implacabile critica la grottesca deformazione che questo aveva sofferto con l'intervento dell'Accademia delle Scienze dell'URSS ed i suoi insopportabili manuali di marxismo-leninismo. C'è un parallelo tra Gramsci ed il Che: ambedue ripudiarono le codificazioni scolastiche del marxismo. Il primo, prendendosi gioco in un suo breve scritto a proposito della Rivoluzione Russa, “La rivoluzione contro Il Capitale”, dell'interpretazione canonica de Il Capitale del principale teorico della Seconda Internazionale: Karl Kautsky. Il Che, criticando “i mattoni sovietici” che decretavano inoltre l'impossibilità della rivoluzione nei paesi sottosviluppati.  

Tanto uno come l'altro fecero con successo una battaglia contro l'economicismo, decadi prima che alcuni intellettuali, pentiti dei loro peccati giovanili, rinascessero come infecondi postmarxisti e scoprissero il determinismo economicista che, secondo loro, condannava irrimediabilmente la teoria marxista nel cimitero delle idee. Carenti del talento e dell'audacia intellettuale che eccedevano in Gramsci e nel Che, si arresero davanti alle caricature ed invece di ripensare creativamente al marxismo optarono per aderire all'ideologia dominante del loro tempo.  

Erede di una nobile tradizione, della quale José Carlos Mariategui fu il grande precursore, il Che concepiva il marxismo in sintonia con la Tesi Undicesima di Marx: invece di interpretare il mondo, si tratta di cambiarlo. Come Lenin, credeva che il marxismo non era un dogma ma bensì una guida per l'azione. Per questo motivo, se la teoria si trovava distrutta dalla realtà, doveva essere rivista meticolosamente. Se l'eurocentrismo del marxismo originario non dava spazio alla rivoluzione socialista nella periferia, bisognava depurarlo da questo condizionamento e, “senza buttare il bambino insieme all'acqua sporca della vasca da bagno”, ricreare la teoria per affrontare l'inedita sfida. E se i manuali postulavano una visione a tappe e meccanicista secondo la quale non poteva esserci rivoluzione socialista senza che ci fosse prima una rivoluzione democratico-borghese guidata dalla borghesia nazionale, quello che bisognava fare era lanciare quei libri nella spazzatura e ripensare tutto di nuovo. In questa operazione il Che dimostrò, come i grandi classici del pensiero marxista che la teoria non è un edificio concluso ma un qualcosa in permanente revisione e ricostruzione, e che l'abbandono di certe proposte (e suoi correlati politico-pratici) e la loro sostituzione con altre si può fare senza necessariamente diminuire l'argomento centrale del marxismo, che rivela senza dubbio il carattere ingiusto, sfruttatore e predatorio del capitalismo. Dimostrò anche che il progetto socialista trascende la cornice economica o il produttivismo: perché qui si tratta di creare un uomo ed una donna nuovi, una nuova cultura, una democrazia partecipativa integrale, un internazionalismo concreto ed efficace, basato sulla solidarietà e sull'altruismo. Tutto questo richiede di un sostentamento materiale, ma se quell'appoggio non serve da fondamento, il progetto socialista sarà sconfitto prima di nascere.  

Il lascito teorico del Che è immenso ed è appena incominciato il compito di recuperarlo. I suoi pessimistici apprezzamenti sulla scena internazionale del suo tempo, dominata dalla “coesistenza pacifica” proclamata dall'URSS, furono profetiche; la sua visione che “non si può costruire il socialismo con l'aiuto delle armi consumate che ci ha trasmesso il capitalismo” è irrefutabile alla luce dell'esperienza recente; la sua analisi sulla natura incorreggibile e brutale dell'imperialismo si corrobora giorno per giorno, dai “bombardamenti umanitari” di Bill Clinton fino alle torture a bambini e bambine iracheni di 10 e 12 anni definiti da Bush e la sua combriccola come “minacce imperative”, come ha detto Juan Gelman in Pagina12 lo scorso 12 giugno; altrettanto precisa è la sua diagnosi sulla centralità dell'ideologia, quando dice che “il capitalismo ricorre alla forza, ma inoltre educa la gente nel sistema” e lo sta facendo da cinquecento anni, e con questo ci convoca a combattere “la battaglia di idee” su tutti i fronti. E così potremmo continuare ad enumerare pietre miliari di una riflessione teorica che non si ferma davanti al sapere prestabilito e prosegue, sempre più instancabile, la sua marcia verso orizzonti di comprensione profondi ed includenti. Quarant’anni dopo il suo vigliacco assassinio, il Che è più vivo che mai.

 



* l’autore è un intellettuale argentino marxista professore universitario titolare della Teoria Politica e Sociale nella Facoltà di Scienze Sociali di Buenos Aires

 

tradotto da Ida Garberi