LULA

 

 

 

            In veste di Presidente del Brasile ha deciso di visitare spontaneamente Cuba per la seconda volta, benché la mia salute non gli garantisse un incontro con me.

            Precedentemente, come ha detto lui stesso, visitava l’Isola quasi tutti gli anni. L’ho conosciuto in occasione del primo anniversario della Rivoluzione Sandinista in casa di Sergio Ramírez, allora vicepresidente del paese. Di passaggio, dico che in un certo modo quest’ultimo m’ingannò. Quando lessi il suo libro Castigo Divino – eccellente racconto -, giunsi a credere che si trattava di un fatto reale accaduto in Nicaragua, con tutti gli intrighi legali tipici delle antiche colonie spagnole; lui stesso mi raccontò un giorno che era pura finzione.  

            Lì m’incontrai anche con Frei Betto, oggi critico, ma non nemico di Lula, e con il Padre Ernesto Cardenal, militante sandinista di sinistra ed attuale avversario di Daniel. I due scrittori provenivano dalla Teologia della Liberazione, una corrente progressista in cui abbiamo sempre visto un gran ponte verso l’unità dei rivoluzioni e dei poveri, ben oltre la sua filosofia e le sue credenze, adattata alle concrete condizioni di lotta dell’America Latina e dei Caraibi. 

            Confesso, nonostante, che vedevo in Padre Ernesto Cardenal, a differenza di altri nella direzione nicaraguense, un’espressione del sacrificio e delle privazioni del monaco medievale. Era il vero modello di purezza. Lascio da parte altri che, meno coerenti, furono alle volte rivoluzionari, perfino militanti d’estrema sinistra in Centro America ed in altre zone, e successivamente passarono armi e bagagli, per brama di benessere e denaro, nelle file dell’impero.

            Cosa ha a che vedere con Lula quanto riferito? Molto. Non è mai stato un’estremista di sinistra, né è assurto a condizione di rivoluzionario partendo da posizioni filosofiche, al contrario da quelle di un operaio di origine molto umile e di fede cristiana, che ha lavorato duramente, creando plusvalore per altri. Carlo Marx vide negli operai i seppellitori del sistema capitalista e proclamò: “Proletari di tutto il mondo, unitevi”. Lo ragiona e lo dimostra con una logica irrefutabile; si compiace e si burla, dimostrando quanto ciniche erano le menzogne impiegate per accusare i comunisti. Se le idee di Marx erano giuste allora, quando tutto sembrava dipendere dalla lotta di classe e dallo sviluppo delle forze produttive, la scienza e la tecnica, per sostenere la creazione dei beni indispensabili per soddisfare le necessità umane, esistono ora fattori assolutamente nuovi che gli danno ragione ed al contempo si scontrano con i suoi nobili obbiettivi.

            Sono sorte nuove necessità che possono rovinare gli obbiettivi di una società senza sfruttatori né sfruttati. Tra queste nuove necessità nasce quella della sopravvivenza umana. Ai tempi di Marx non si sapeva nulla del cambio climatico. Lui ed Engels sapevano fin troppo che un giorno il sole si sarebbe spento consumando tutta la sua energia. Pochi anni dopo il Manifesto, nacquero altri uomini che approfondirono gli studi in campo scientifico e nella conoscenza delle leggi chimiche, fisiche e biologiche che reggono l’Universo, a quei tempi sconosciute. In quali mani sono quelle conoscenze? Anche se continuano ad evolversi, addirittura superandosi,  e le loro teorie sono nuovamente negate ed in parte contraddette, le nuove conoscenze non sono nelle mani dei popoli poveri, che attualmente rappresentano i tre quarti della popolazione mondiale. Si trovano nelle mani di un gruppo privilegiato di potenze capitaliste ricche e sviluppate, associate al più potente impero mai prima d’ora esisto, costruito sulle basi di un’economia globalizzata, retta dalle stesse leggi del capitalismo che Marx descrisse e analizzò a fondo.

            Oggi, quando l’umanità ancora soffre quelle realtà in virtù della stessa dialettica dei fatti, dobbiamo fronteggiare questi pericoli. 

            Come si è comportato il processo rivoluzionario a Cuba? Nelle ultime settimane si è scritto abbastanza sulla nostra stampa in merito a distinti episodi di quel periodo. Si rende tributo alle date storiche nei giorni corrispondenti agli anniversari che raggiungono la cifra tonda di cinque o dieci anni. È giusto, ma dobbiamo evitare che, nell’insieme di tanti fatti descritti da ciascun organo o spazio, secondo il loro criterio, si sia incapaci di vederli nel contesto dell’evoluzione storica della nostra Rivoluzione, nonostante lo sforzo dei magnifici analisti a nostra disposizione. 

            Per me, unità significa condividere il combattimento, i rischi, i sacrifici, gli obbiettivi, le idee, i concetti e le strategie, a cui si giunge attraverso il dibattito e l’analisi. Unità significa la lotta comune contro gli annessionisti, i voltagabbana  ed i corrotti che non hanno nulla a che vedere con un militante rivoluzionario. Mi sono sempre riferito a questa unità legata all’idea dell’indipendenza e contro l’impero che avanzava sopra i popoli d’America. Qualche giorno fa, sono ritornato a leggerla, pubblicata da Granma in prossimità delle nostre elezioni, e Juventud Rebelde ne ha riprodotto un facsimile scritto di mio pugno.

            La vecchia consegna pre-rivoluzionaria d’unità, non ha niente a che vedere con il concetto, poiché nel nostro paese non esistono oggi organizzazioni politiche in cerca di potere. Dobbiamo evitare che, nell’enorme mare di criteri tattici, si diluiscano le linee strategiche e ci immaginiamo situazioni inesistenti. 

            In un paese in cui intervennero gli Stati uniti, durante la sua lotta solitaria per l’indipendenza dell’ultima colonia spagnola, insieme alla fraterna Porto Rico – “di un uccello le due ali” - , i sentimenti nazionali erano molto profondi.

            I veri produttori dello zucchero, che erano gli schiavi recentemente liberati ed i contadini, di cui molti combattenti dell’Esercito di Liberazione, trasformati in precari o nullatenenti, e che erano gettati nel taglio della canna nei grandi latifondi creati dalle compagnie statunitensi o dai proprietari terrieri cubani che ereditavano, compravano o rubavano la terra, erano materia prima propizia per le idee rivoluzionarie.

            Julio Antonio Mella, fondatore del Partito Comunista insieme a Baliño – che conobbe Martí e con lui creò il Partito che portò all’indipendenza di Cuba -, prese la bandiera, ne aggiunse l’entusiasmo emerso dalla Rivoluzione d’Ottobre e consegnò a questa causa il suo stesso sangue di giovane intellettuale, conquistato dalle idee rivoluzionarie. Il sangue comunista di Jesús Menénedez s’aggiunse a quello di Mella 18 anni dopo.

            Noi adolescenti e giovani che studiavamo nelle scuole private, nemmeno avevamo sentito parlare di Mella. La nostra appartenenza di classe o ceto sociale, con maggiori introiti del resto della popolazione, ci condannava come uomini ad essere la parte egoista e sfruttatrice della società.

            Ho avuto il privilegio di arrivare alla Rivoluzione attraverso le idee, di sfuggire al noioso destino a cui mi conduceva la vita.  Adesso lo ricordo solamente nel contesto di ciò che scrivo.

            L’odio nei confronti di Batista per la sua repressione ed i suoi crimini era così grande che nessuno corresse le idee che espressi in mia difesa di fronte al tribunale di Santiago de Cuba, dove trovarono tra le proprietà dei combattenti perfino un libro di Lenin stampato in URSS – frutto del credito di cui godevo nella libreria del Partito Socialista Popolare di Carlos III all’Avana. “Chi non legge Lenin è un ignorante”, gli spiattellai durante l’interrogatorio nelle prime sessioni del dibattimento, quando lo mostrarono come elemento accusatorio. Mi giudicavano ancora insieme agli altri prigionieri sopravvissuti.

            Non si capisce bene ciò che affermo, se non si considera che nel momento in cui attaccammo il Moncada, il 26 luglio 1953, con un’azione frutto dello sforzo organizzativo di oltre un anno e contando solo su noi stessi, la politica prevalente in URSS era quella di Stalin, morto all'improvviso mesi prima.  Era un militante onesto e degno, che successivamente commise gravi errori che lo condussero a posizioni straordinariamente conservatrici e prudenti. Se una rivoluzione come la nostra avesse avuto successo allora, l’URSS non avrebbe fatto per Cuba ciò che più tardi fece la direzione sovietica, liberata ormai da quei metodi oscuri e tortuosi, entusiasta della rivoluzione socialista scatenatasi nel nostro paese.  Questo lo compresi bene, nonostante le giuste critiche che, per fatti ben noti, feci in un momento a Krusciov. 

            L’URSS possedeva l’esercito più potente di tutti i partecipanti alla Seconda Guerra Mondiale, solo che si trovava purgato e smobilizzato. Il suo capo sottovalutò le minacce e le teorie belliciste di Hitler. Dalla capitale del Giappone, un importante e prestigioso agente dei Servizi Segreti sovietici gli aveva comunicato l’imminenza dell’attacco: il 22 giugno 1941. Questo sorprese il paese, che non si trovava in assetto di guerra. Molti ufficiali erano in permesso. Anche senza i comandanti d’unità di maggiore esperienza, che furono sostituiti, se fossero stati avvisati e mobilitati, i nazisti si sarebbero scontrati fino dal primo istante con delle forze potenti e non avrebbero distrutto a terra la maggior parte dell’aviazione da combattimento. Peggio della purga fu la sorpresa. I soldati sovietici non s’arrendevano quando gli parlavano di carri armati nemici nella retroguardia, come fecero gli altri eserciti dell’Europa capitalista. Nei momenti più critici, sottozero, i patrioti siberiani misero in moto i torni delle fabbriche d’armi che Stalin aveva prudentemente trasferito nell’interno del territorio sovietico. 

            Come mi raccontarono gli stessi dirigenti sovietici, quando visitai quel gran paese nell’aprile del 1963, i combattenti russi, abituati alla lotta contro l’intervento straniero, in base al quale furono inviate truppe a combattere la rivoluzione bolscevica, lasciandola successivamente bloccata ed isolata, avevano stabiliti dei rapporti ed scambiato esperienze con gli ufficiali tedeschi, di tradizione militare prussiana, umiliati dal Trattato di Versailles, che pose fine alla Prima Guerra Mondiale.

            I Servizi Segreti delle SS introdussero il sospetto contro molti che erano nella stragrande maggioranza leali alla Rivoluzione. Mosso da una sfiducia divenuta malattia, negli anni che precedettero la Grande Guerra Patria, Stalin purgò 3 dei 5 Marescialli, 13 dei 15 Comandanti d’Armata, 8 dei 9 Ammiragli, 50 dei 57 Generali di Corpo d’Armata, 154 dei 186 Generali di Divisione, il cento per cento dei Commissari d’Armata e 25 dei 28 Commissari di Divisione dell’Unione Sovietica.

            Quei gravi errori costarono all’URSS un’enorme distruzione ed oltre 20 milioni di vita; alcuni affermano 27.

            Nel 1943 si scatenò, in ritardo, l’ultima offensiva di primavera dei nazisti sul famoso e tentatore saliente di Kursk, con 900 mila soldati, 2.700 carri armati e 2.000 aerei. I sovietici, conoscitori della psicologia nemica, aspettarono in quella trappola il sicuro attacco con un milione e 200 mila uomini, 3.300 carri armati, 2.400 aerei e 20.000 pezzi d’artiglieria. Diretti da Zhukov e dallo stesso Stalin distrussero l’ultima offensiva di Hitler. 

            Nel 1945, i soldati sovietici avanzarono incontenibili fino a prendere la cupola della Cancelleria tedesca di Berlino, dove issarono la bandiera rossa tinta del sangue dei tanti caduti.

            Osservo un momento la cravatta rossa di Lula e gli domando: “Te l’ha regalata Chávez?” Sorride e risponde: “Adesso gli invierò delle camice, visto che si lamenta che il colletto delle sue è molto duro e le cercherò a Bahía per regalargliele.”

            Mi ha domandato di dargli delle foto che ho fatto.

            Quando ha commentato che era molto impressionato per la mia salute, gli ho risposto che mi stavo dedicando a pensare e scrivere. Non ho mai pensato così tanto nella mia vita. Gli ho raccontato che, conclusa la mia visita a Córdoba, in Argentina, dove avevo assistito ad una riunione con numerosi leader, tra cui lui stesso, ero ritornato ed avevo partecipato a due manifestazioni per l’Anniversario del 26 di Luglio. Stavo controllando il libro di Ramonet. Avevo riposto a tutte le sue domande. Non l’avevo presa di petto. Credevo che era qualcosa di molto veloce, come le interviste di Frei Betto e Tomás Borge. Quindi mi sottomisi al libro dello scrittore francese, ormai al punto d’essere pubblicato senza revisione da parte mia e con parte delle risposte prese al volo. In quei giorni quasi non dormivo.

            Quando nella notte tra il 26 ed il 27 luglio mi sono gravemente ammalato, pensai che era la fine, e mentre i medici lottavano per la mia vita, il Capo di Gabinetto del Consiglio di Stato leggeva a mia richiesta il testo ed io dettavo le correzioni pertinenti.

 

Fidel Castro Ruz

22 gennaio 2008         

 

    

(seconda Parte)

 

Lula mi ha ricordato con calore la prima volta che visitò il paese nel 1985, per partecipare ad una riunione convocata da Cuba per analizzare l’opprimente problema del debito estero, durante la quale esposero ed esaminarono i loro criteri i rappresentati delle più varie tendenze politiche, religiose, culturali e sociali, preoccupati dall’assillante dramma.

Gli incontri si svolsero nel corso dell’anno. Furono convocati leader operai, contadini, studenteschi e di altre categorie in base al tema.

Lui era uno di loro, già conosciuto tra di noi ed all’estero per il suo messaggio diretto e vibrante, di giovane dirigente operaio.

L’America Latina doveva allora 350 miliardi di dollari. Gli ho raccontato che in quell’anno d’intensa lotta avevo scritto delle lunghe lettere al Presidente argentino, Raúl Alfonsín, per persuaderlo a non continuare a pagare quel debito. Conoscevo le posizioni del Messico, imperturbabile nel pagamento del suo enorme debito, anche se non indifferente al risultato della battaglia, e la speciale situazione politica del Brasile. Dopo i disastri del

governo militare, il debito argentino era sufficientemente grande. Era giustificato il tentativo d’aprire una breccia in quella direzione. Non ebbi la possibilità d’ottenerlo. Pochi anni dopo, con i suoi interessi, ammontava a 800 miliardi; si era duplicato ed era già stato pagato.

Lula mi spiega la differenza con quell’anno. Afferma che oggi il Brasile non ha alcun debito con il Fondo Monetario e nemmeno con il Club di Parigi, e dispone nelle sue riserve di 190 miliardi di dollari americani.

Ho dedotto che il suo paese deve aver pagato delle somme enormi per soddisfare quelle istituzioni. Gli ho spiegato la colossale truffa all’economia mondiale realizzata da Nixon, quando nel 1971 sospese unilateralmente la convertibilità con l’oro, che limitava l’emissione di banconote. Il dollaro aveva mantenuto fino ad allora un equilibrio rispetto al suo valore in oro. Trent’anni prima, gli Stati Uniti disponevano di quasi tutte le riserve di questo metallo. Se era molto, compravano; se era scarso, vendevano. Il dollaro esercitava il suo ruolo di moneta di scambio internazionale, in base ai privilegi concessi a quel paese

a Bretton Woods, nel 1944.

Le grandi potenze erano state distrutte dalla guerra. Il Giappone, la Germania, l’URSS ed il resto dell’Europa possedevano poche riserve di questo metallo. L’oncia Troy d’oro poteva essere acquistata addirittura a 35 dollari; oggi ne sono necessari 900.

Gli Stati Uniti – gli ho detto – hanno comprato beni in tutto il mondo stampando dollari e su queste proprietà acquistate in altre nazioni esercitano prerogative sovrane. Nessuno desidera, ciò nonostante, che il dollaro si svaluti ancora, poiché quasi tutti i paesi accumulano dollari, ossia banconote, che si svalutano costantemente a partire dalla decisione unilaterale del Presidente degli Stati Uniti.

Le attuali riserve in valuta della Cina, del Giappone del sudest asiatico e della Russia ammontano a tre mila miliardi (3.000.000.000.000) di dollari; sono cifre astronomiche. Se a queste sommiamo le riserve in dollari dell’Europa e del resto del mondo, vediamo che equivale ad una montagna di soldi il cui valore dipende da ciò che fa il governo di un paese.

Greenspan, che fu per oltre 15 anni il Presidente della Riserva Federale, morirebbe dal panico di fronte ad una situazione come l’attuale. A quanto può salire l’inflazione negli Stati Uniti? Quanti nuovi impieghi può creare quest’anno quel paese? Fino a quando funzionerà la sua macchina per stampare banconote, prima che si produca il collasso della sua economia, oltre ad utilizzare la guerra per conquistare le risorse naturali di altre nazioni?

Come conseguenza delle dure misure imposte a Versailles alla Germania, sconfitta nel 1918 e dove s’insediò un governo repubblicano, il marco tedesco si svalutò in modo tale che ne erano necessari decine di migliaia per comprare un dollaro. Questa crisi alimentò il nazionalismo tedesco e diede un contributo straordinario alle assurde idee di Hitler. Questi cercò i colpevoli. Molti dei più importanti talenti scientifici, scrittori e finanzieri erano d’origine ebrea. Li perseguitarono. Tra loro, vi era Einstein, autore della teoria che lo

rese famoso per cui l’energia è uguale alla massa moltiplicata per il quadrato della velocità della luce. Anche Marx, nato in Germania, e molti dei comunisti russi, erano di quell’origine, professassero o no la religione ebraica.

Hitler non incolpò il sistema capitalista del dramma umano, bensì gli ebrei.

Partendo da rozzi pregiudizi, ciò che realmente voleva era "spazio vitale russo" per la sua razza superiore germanica, sognando d’edificare un impero millenario.

In base alla Dichiarazione Balfour i britannici decisero nel 1917 di creare, all’interno del loro impero coloniale, lo Stato d’Israele nel territorio popolato dai palestinesi, d’altra religione e cultura, che in quelle terre vissero insieme ad altre etnie, tra cui quella giudaica, per molti secoli prima della nostra era. Il sionismo divenne popolare tra gli statunitensi, che a ragione odiavano i nazisti e le cui borse finanziarie erano controllate da rappresentanti di quel movimento. Quello Stato applica oggi i principi dell’Apartheid, possiede sofisticate armi nucleari e controlla i più importanti centri finanziari degli Stati Uniti. Fu utilizzato da questo paese e dai suoi alleati europei per fornire armi nucleari all’altra Apartheid, quella del Sudafrica, per usarle contro i combattenti internazionalisti cubani che lottavano contro i razzisti nel sud dell’Angola, se oltrepassavano la frontiera

con la Namibia.

Immediatamente dopo ho parlato a Lula della politica avventuriera di Bush in

Medio Oriente.

Ho promesso di consegnargli l’articolo che sarebbe stato pubblicato su Granma il giorno successivo, il 16 gennaio. Avrei firmato di mio pugno quello a lui destinato. Gli avrei anche consegnato, prima di partire, l’articolo di Paul Kennedy, uno dei più influenti intellettuali degli Stati Uniti, riguardante l’interconnessione tra i prezzi degli alimenti ed il petrolio.

"Tu sei un produttore d’alimenti" aggiunsi "ed hai appena trovato importanti riserve di greggio leggero. Il Brasile possiede 8 milioni 534 mila chilometri quadrati e dispone del 30 percento delle riserve idriche del mondo. La popolazione del pianeta ha sempre più bisogno d’alimenti, di cui voi siete grandi esportatori. Se si dispone di grani ricchi di proteine, oli e carboidrati – che possono essere frutti, come il seme dell’anacardio, la mandorla, il pistacchio; radici come l’arachide; la soia, con oltre il 35% di proteine, il

girasole; o cereali, come il grano ed il mais -, è possibile produrre la carne o il latte che desideri". Non ho indicato gli altri della lunga lista.

A Cuba, ho continuato a spiegare, abbiamo avuto una mucca che stabilì un record mondiale di latte, un incrocio di un Holstein con un Zebù. Immediatamente Lula ha esclamato: "Ubre Blanca!". Ne ricordava il nome. Ho aggiunto che giunse a produrre 110 litri di latte al giorno. Era come una fabbrica, però bisognava darle oltre 40 chili di foraggio, il massimo che poteva ruminare ed ingerire in 24 ore, una massa dove la farina di soia, una leguminosa molto difficile da produrre con il suolo ed il clima di Cuba, è il componente fondamentale. Adesso voi avete le due cose: fornitura sicura di combustibile, materie prime alimentari ed alimenti elaborati.

Si proclama già la fine di cibi a buon prezzo. Cosa faranno le decine di paesi con centinaia di milioni d’abitanti che non possiedono né l’uno né l’altro?, gli dico. Ciò significa che gli Stati Uniti possiedono un’enorme dipendenza esterna, ma al contempo un’arma. È mettere mano a tutte le loro riserve di terra, ma il popolo di quel paese non è preparato a questo. Ho proseguito argomentando che stanno producendo etanolo utilizzando mais e ciò provoca che ritirino dal mercato una grande quantità di quel grano calorico.

Parlando del tema, Lula mi racconta che i produttori brasiliani stanno già vendendo il raccolto di mais del 2009. Il Brasile non è così dipendente dal mais come il Messico o l’America centrale. Penso che negli Stati Uniti la produzione di combustibile partendo dal mais non sia sostenibile. Ciò conferma, ho affermato, una realtà correlata all’aumento impetuoso ed incontrollabile dei prezzi degli alimenti, che colpirà molti popoli.

Viceversa, gli ho detto, tu può contare su un clima favorevole ed una terreno disgregato; il nostro è argilloso ed a volte duro come il cemento. Quando vennero i trattori sovietici e quelli degli altri paesi socialisti, si rompevano, fu necessario comprare degli acciai speciali in Europa per fabbricarli qui. Nel nostro paese abbondano le terre nere o rosse di tipo

argilloso. Lavorandole con cura, possono produrre per il consumo familiare quello che i contadini dell’Escambray chiamavano "alto consumo". Ricevevano dallo Stato delle quote alimentari ed inoltre consumavano i loro prodotti. Il clima è cambiato a Cuba, Lula.

Per produzioni commerciali di granaglie su grande scala, secondo i bisogni di una popolazione di quasi 12 milioni di persone, le nostre terre non sono adatte, ed ai prezzi attuali, il costo in macchinari ed in combustibile, che il paese importa, sarebbe molto alto.

La nostra stampa informa sulla produzione di petrolio a Matanzas, della riduzione dei costi e di altri aspetti positivi. Però nessuno segnala che il loro guadagno in valuta bisogna dividerlo con i soci stranieri che investono nelle macchine sofisticate e nella teologia necessarie. D’altro canto, non esiste la manodopera necessaria da utilizzare intensivamente nella produzione di granaglie, come fanno i vietnamiti ed i cinesi, coltivando pianta per pianta il riso ed estraendo a volte due, e perfino tre, raccolti. Si deve alla posizione ed alla tradizione storica della terra e dei suoi abitanti. Non sono passati per

la meccanizzazione su grande scala con moderne trebbiatrici. Com’era logico, a Cuba i tagliatori di canna da zucchero ed i lavoratori delle piantagioni di caffé delle montagne hanno abbandonato i campi da molto tempo; anche un gran numero di operai edili, alcuni con le stesse origini, hanno abbandonato le brigate e si sono trasformati in lavoratori in proprio. Il popolo sa quanto costa riparare un’abitazione. È l’equivalente per il materiale, sommato all’elevato costo del servizio così prestato. Il primo ha una soluzione, il secondo non si risolve – come crede qualcuno – lanciando pesos per la strada, senza la loro contropartita in valuta convertibile, che ormai non saranno dollari, ma euro o yuan sempre più cari; se tutti insieme riusciamo a salvare l’economia internazionale e la pace.

Intanto, stiamo creando e dovremo continuare a creare riserve alimentari e di

combustibile. In caso di un attacco militare diretto, la forza del lavoro manuale diretto si moltiplicherebbe.

Nel breve tempo che sono stato con Lula, due ore e mezza, avrei desiderato sintetizzare in alcuni minuti i quasi 28 anni trascorsi, non da quando visitò la prima volta Cuba, ma da quando lo conobbi in Nicaragua. Adesso è il leader di un immenso paese, sebbene la sua fortuna dipenda da molti aspetti che sono comuni a tutti i popoli che abitano questo pianeta.

Gli ho chiesto permesso per parlare della nostra conversazione in libertà ed al tempo stesso con prudenza.

Quando si trova davanti a me, sorridente ed amichevole, e lo sento parlare con orgoglio del suo paese, delle cose che sta facendo e si propone di fare, penso al suo istinto politico. Avevo finito di controllare velocemente un rapporto di cento pagine sul Brasile e sullo sviluppo dei rapporti tra i nostri due paesi.

Era l’uomo che avevo conosciuto nella capitale sandinista di Managua e che si era così legato alla nostra Rivoluzione. Non gli ho parlato, né gli avrei parlato di qualcosa che potesse risultare un’ingerenza nel processo politico brasiliano, però lui stesso, tra le prime cose, mi ha detto: "Ti ricordi, Fidel, quando parlavamo del Forum di San Paolo e mi hai detto che era necessaria l’unità della sinistra latinoamericana per garantire il nostro progresso? Stiamo già avanzando in quella direzione."

D’immediato mi parla con orgoglio di ciò che è oggi il Brasile e delle sue grandi possibilità, considerando i suoi progressi nella scienza, nella tecnologia nell’industria meccanica, energetica ed altre, insieme al suo enorme potenziale agricolo. Naturalmente, inserisce l’alto livello delle relazioni internazionali del Brasile, descrivendole con entusiasmo, e di quelle che è disposto ad incrementare con Cuba. Parla con veemenza dell’opera sociale del

Partito dei Lavoratori, appoggiata oggi da tutti i Partiti della sinistra brasiliana, lontani da una maggioranza parlamentare.

Senza dubbio era una parte delle cose analizzate anni fa nei nostri colloqui.

Già allora il tempo trascorreva velocemente, ma adesso ogni anno si moltiplica per dieci, ad un ritmo difficile da seguire.

Desideravo parlargli anche di questo e di molte altre cose. Non si sa chi dei due avesse più bisogno di trasmettere idee. Da parte mia, ho pensato che se ne sarebbe andato il giorno dopo e non la stessa notte, secondo un piano di volo programmato prima di vederci. Erano circa le cinque del pomeriggio. È incominciata una specie di gara sull’utilizzo del tempo. Lula, astuto e rapido, si è preso la rivincita riunendosi con la stampa, ed in modo picaresco e sempre sorridente, come si può apprezzare nelle foto, ha detto ai giornalisti di aver

parlato solo mezz’ora, mentre Fidel due. È naturale che io, avvalendomi del diritto d’anzianità, ho utilizzato più tempo di lui. Bisogna togliere quello per le foto reciproche, visto che ho chiesto in prestito una macchina fotografica e mi sono trasformato in reporter, e lui ha fatto lo stesso.

Ho qui 103 pagine di dispacci d’agenzia che parlano di ciò che Lula ha detto alla stampa, le foto che gli hanno fatto e le rassicurazioni sulla salute di Fidel. Non ha lasciato realmente spazio giornalistico alla riflessione pubblicata il 16 gennaio, che ho terminato d’elaborare il giorno precedente alla sua visita. Ha occupato tutto lo spazio, equivalente al suo enorme territorio, confrontato con la minuscola superficie di Cuba.

Ho detto al mio interlocutore quanto ero soddisfatto della sua decisione di visitare Cuba, sebbene non avesse la sicurezza di incontrarmi. Quando l’ho saputo, ho deciso di sacrificare gli esercizi, la riabilitazione ed il recupero funzionale, per dedicarmi a lui e conversare a fondo.

In quel momento, anche se sapevo già che se ne sarebbe andato quello stesso giorno, non conoscevo l’urgenza della sua partenza. Evidentemente, lo stato di salute del vicepresidente brasiliano, secondo le sue stesse dichiarazioni, l’ha spinto a partire per giungere a Brasilia quasi all’alba del giorno dopo, in piena primavera. Un’altra lunga giornata di fatica per il nostro amico.

Un fortissimo e sostenuto acquazzone è caduto sulla residenza di Lula mentre aspettava le foto ed altri due materiali con delle mie note. Quella notte è partito sotto la pioggia verso l’aeroporto. Se avesse visto ciò che era stato pubblicato sul Granma in prima pagina: "2007, il terzo più piovoso in 100 anni", l’avrebbe aiutato a capire ciò che avevo affermato sul cambio climatico.

Dunque, è già cominciato a Cuba il raccolto cella canna da zucchero ed il cosiddetto periodo secco. La rendita dello zucchero non oltrepassa il nove percento. Quanto costerà produrre zucchero per esportarlo a dieci centesimi la libbra, se il potere d’acquisto di un centesimo è quasi cinquanta volte meno del Primo Gennaio 1959, quando trionfò la Rivoluzione? Ridurre i costi di questi od d’altri prodotti per rispettare i nostri impegni, soddisfare il nostro consumo, creare riserve e sviluppare altre produzioni, è un gran merito, ma non per quello bisogna sognarsi che le soluzioni dei nostri problemi siano facili e si trovino dietro l’angolo.

Abbiamo parlato, tra i numerosi temi, dell’insediamento del nuovo presidente del Guatemala, Álvaro Colom. Gli ho raccontato che ho visto l’atto senza perdermi un dettaglio e degli impegni sociali del Presidente recentemente eletto.

Lula ha commentato che ciò che oggi si può vedere in America Latina, nacque nel 1990, quando decidemmo di creare il Forum di San Paolo: "Prendemmo una decisione qui, durante una conversazione. Avevo perso le elezioni e tu sei venuto a pranzare a casa mia a San Bernardo."

Stava appena iniziando la mia conversazione con Lula ed ho ancora molte cose da raccontare ed idee da esporre, forse di una certa utilità.

 

Fidel Castro Ruz

23 gennaio 2008

(Traduzione ESTI)

 

(terza Parte)

 

Quando si verificò la disintegrazione dell’Unione Sovietica, che per noi fu come se smettesse di sorgere il sole, la Rivoluzione Cubana ricevette un colpo demolitore.  Non si tradusse solo nella chiusura totale dei rifornimenti di combustibile, materiali ed alimenti; perdemmo i mercati ed i prezzi raggiunti dai nostri prodotti nella dura lotta per la sovranità, l’integrazione ed i principi. L’impero ed i traditori, colmi d’odio, affilavano i coltelli con cui pensavano di trafiggere i rivoluzionari e recuperare le ricchezze del paese.

Il Prodotto Interno Lordo iniziò a precipitare progressivamente fino al 35 per cento. Quale paese avrebbe potuto resistere ad un colpo tanto terribile? Non difendiamo le nostre vite; difendiamo i nostri diritti.

Molti partiti ed organizzazioni di sinistra si persero d’animo di fronte al collasso dell’URSS, dopo il suo titanico sforzo per costruire il socialismo, durato oltre 70 anni.

Le critiche dei reazionari da tutte le tribune ed i mezzi di divulgazione erano feroci. Non sommammo le nostre al coro dei difensori del capitalismo facendo legna dell’albero caduto. A Cuba non fu demolita nessuna statua dei creatori o degli alfieri del marxismo. Non cambiò nome nessuna scuola o fabbrica. E decidemmo di proseguire con inalterabile fermezza. Così l’avevamo promesso in tante ipotetiche ed incredibili circostanze.

Nel nostro paese non è mai stato praticato il culto della personalità, proibito per nostra stessa scelta fin dai primi giorni del trionfo.

Nella storia dei popoli, i fattori soggettivi hanno fatto avanzare o retrocedere le situazioni, indipendentemente dai meriti dei leader.

Ho parlato con Lula del Che, facendogli una breve sintesi della sua storia. Lui discuteva con Carlos Rafael Rodríguez sul sistema dell’autofinanziamento o sul metodo di bilancio, a cui davamo molta importanza, occupati allora nella lotta contro il blocco nordamericano, i piani d’aggressione e la crisi nucleare dell’ottobre del 1962, un vero problema di sopravvivenza.

Il Che studiò i bilanci delle grandi compagnie yankee, i cui funzionari amministrativi vivevano a Cuba, non i loro proprietari. Ne dedusse una chiara idea del modo d’agire imperialista e di ciò che occorreva nella nostra società, arricchendo le sue concezioni marxiste e giungendo alla conclusione che a Cuba non si potevano usare gli stessi metodi per costruire il socialismo. Non si trattava però di una guerra d’insulti; erano onesti scambi d’opinione, pubblicati su una piccola rivista, senza alcuna intenzione di creare scissioni o divisioni tra di noi.

Ciò che in seguito accadde in URSS, credo non avrebbe sorpreso il Che. Nel periodo in cui ebbe incarichi importanti ed esercitò funzioni, fu sempre attento e rispettoso. Il suo linguaggio s’indurì quando si scontrò con l’orribile realtà umana imposta dall’imperialismo, osservata nell’antica colonia belga del Congo.  Uomo abnegato, studioso e profondo, morì in Bolivia insieme ad un pugno di combattenti cubani e di altri paesi latinoamericani, lottando per la liberazione della Nostra America. Non giunse a conoscere il mondo attuale, a cui s’aggiungono problemi che allora s’ignoravano.

Tu non l’hai conosciuto, gli ho detto. Era sistematico nel lavoro volontario, nello studio e nella condotta: modesto, disinteressato, dava l’esempio nelle fabbriche ed in combattimento. Penso che nella costruzione del socialismo, più ricevono i privilegiati, meno riceveranno i più bisognosi.  Ripeto a Lula che il tempo misurato in anni trascorre ora velocemente; ogni anno si moltiplica. Si può dire quasi lo stesso per i giorni.

Si pubblicano costantemente nuove notizie, riguardanti situazioni previste nel nostro incontro del giorno 15.

Proseguendo con gli argomenti economici, gli ho spiegato che nel 1959, al momento del trionfo della Rivoluzione, gli Stati Uniti pagavano al prezzo preferenziale di 5 centesimi la libbra una parte importante della nostra produzione saccarifera, da quasi un secolo inviata al mercato tradizionale di quel paese, che fu sempre approvvigionato nei suoi momenti critici da un rifornitore sicuro molto vicino alle sue coste. Quando proclamammo la legge di Riforma Agraria, Eisenhower decise ciò che doveva fare, e non si era ancora arrivati alla nazionalizzazione delle sue fabbriche di zucchero – che sarebbe stata prematura – e nemmeno era stata applicata ai suoi grandi latifondi la recente legge agraria, approvata nel maggio del 1959.  In base a quella precipitosa decisione, nel dicembre del 1960 la nostra quota di zucchero fu soppressa e successivamente, come castigo, ridistribuita tra altri produttori di questa o altre regioni del mondo. Il nostro paese rimase bloccato ed isolato.

Il peggio fu la mancanza di scrupoli ed i metodi che l’impero esibì per imporre il proprio dominio sul mondo. Introdussero nel paese dei virus e distrussero le migliori canne da zucchero; attaccarono il caffè, la patata ed anche i suini. La Barbados-4362 era una delle nostre migliori varietà di canna da zucchero: maturazione rapida, resa in zucchero che a volte raggiungeva il 13 o il 14 per cento; in piante di 15 mesi, il peso per ettaro poteva sorpassare le 200 tonnellate. Gli yankee annientarono le migliori, infestandole. Ancora più grave: introdussero il virus del dengue emorragico, che colpì 344 mila persone e costò la vita a 101 bambini. Se sono stati usati altri virus non lo sappiamo – forse per il timore della loro vicinanza con Cuba.

Quando, per queste cause, non potemmo effettuare le spedizioni di zucchero concordate con l’URSS, questi non smisero d’inviarci le merci che avevamo stabilito.  Ricordo che negoziai con i sovietici ogni centesimo del prezzo dello zucchero; scoprì nella pratica ciò che solamente conoscevo in teoria: lo scambio disuguale. Garantivano un prezzo superiore a quello presente sul mercato mondiale. Gli accordi erano programmati sui cinque anni; se all’inizio del quinquennio stavi inviando una certo numero di tonnellate di zucchero per pagare le merci, al termine dello stesso il valore dei loro prodotti al prezzo internazionale era un 20 per cento maggiore. Nelle negoziazioni, furono sempre generosi: una volta il prezzo sul mercato raggiunse per una congiuntura internazionale i 19 centesimi, noi ci afferrammo a quel prezzo e loro l’accettarono. Questo servì successivamente come base per l’applicazione del principio socialista che i paesi maggiormente sviluppati economicamente dovevano sostenere quelli meno sviluppati nella costruzione del socialismo. Alla domanda di Lula su quanto era il potere d’acquisto di 5 centesimi, gli spiego che con una tonnellata di zucchero si compravano allora 7 tonnellate di petrolio; oggi, al prezzo di riferimento del petrolio leggero, 100 dollari, si compra un solo barile. Lo zucchero che esportiamo, ai prezzi attuali, basterebbe solo per acquistare il combustibile importato consumabile in 20 giorni. Bisognerebbe spendere per acquistarlo circa 4 miliardi di dollari all’anno.

Gli Stati Uniti forniscono sussidi alla loro agricoltura per decine di miliardi all’anno. Perché non lasciano entrare liberamente negli Stati Uniti l’etanolo che voi producete? Lo sovvenzionano in modo brutale, carpendo ogni anno al Brasile entrate per miliardi di dollari. Lo stesso fanno i paesi ricchi, con le loro produzioni di zucchero, oli e grani per produrre etanolo. Lula analizza dei dati di grande interesse riguardanti le produzioni agricole brasiliane. Mi comunica che ha nelle sue mani uno studio effettuato dalla stampa brasiliana in cui si mostra che fino al 2015 la produzione mondiale di soia crescerà del 2 per cento all’anno; ossia, significa che bisognerà produrre 189 milioni di tonnellate di soia in più di quelle che si producono oggi. La produzione di soia del Brasile dovrà crescere ad un ritmo del 7 per cento annuale per poter soddisfare le necessità mondiali.

Qual è il problema? Molti paesi ormai non possiedono più terre dove seminare. L’India, ad esempio, non possiede più terra libera; la Cina possiede molto poco terreno disponibile e nemmeno gli Stati Uniti ne hanno per ulteriori produzioni di soia. 

Ho aggiunto alla sua spiegazione che in molti paesi latinoamericani ci sono milioni di cittadini con salari da fame, producendo caffé, cacao, vegetali, frutta, materie prime e merci a basso prezzo per rifornire la società statunitense, che ormai non risparmia e consuma più di ciò che produce.

Lula spiega che hanno installato in Ghana un ufficio di ricerca della EMBRAPA – l’Impresa Brasiliana per la Ricerca Agricola e Zootecnica – ed aggiunge che in febbraio ne inaugureranno uno anche a Caracas. 

Trent’anni fa, Fidel, quella regione di Brasilia, Mato Grosso, Goiás, si considerava una parte del Brasile che non possedeva nulla, era uguale alla savana africana; in 30 anni si è trasformata nella regione con la maggiore produzione di grano di tutto il Brasile e penso che l’Africa abbia una parte molto somigliante a questa regione del nostro paese; perciò abbiamo installato l’ufficio di ricerca lì in Ghana e desideriamo creare una società anche con l’Angola.

Il Brasile, mi ha detto, possiede una situazione privilegiata. Abbiamo 850 milioni d’ettari di terra; di questi, 360 milioni sono in Amazzonia; 400 milioni di buone terre per l’agricoltura e la canna da zucchero occupa solamente l’uno per cento.

Il Brasile, gli commento, è d’altra parte il maggior esportatore di caffé del mondo. Al Brasile pagano per questo prodotto lo stesso che valeva una tonnellata nel 1959: circa 2, 500 dollari attuali. Se allora in quel paese un tazza valeva 10 centesimi, oggi per un profumato espresso all’italiana si pagano 5 dollari o più. Negli Stati Uniti questo è PIL.

In Africa non possono fare ciò che fa il Brasile.

Gran  parte dell’Africa è coperta da deserti ed aeree tropicali e subtropicali, dove è difficile produrre soia e grano. Abbondano le produzione di granaglie solamente nella zona del Mediterraneo, al nord – dove cadono alcune centinaia di millimetri all’anno o dove irrigano con le acque del Nilo -, negli altipiani o al sud, dove se ne appropriarono quelli dell’Apartheid.

I pesci delle loro fredde acque, che bagnano soprattutto la costa occidentale, alimentano i paesi sviluppati che spazzano via con le reti a strascico gli esemplari grandi o piccoli delle specie che s’alimentano con il plancton delle correnti provenienti dal Polo Sud.

L’Africa, quasi 4 volte la superficie del Brasile (30,27 milioni di chilometri quadrati) e 4,3 volte la popolazione del Brasile (911 milioni d’abitanti), è molto lontana da produrre le eccedenze alimentari del Brasile e la sua infrastruttura è da costruire.

I virus ed i batteri che colpiscono la patata, gli agrumi, la banana, il pomodoro, gli allevamenti in generale, la febbre suona, aviaria, aftosa, la malattia della mucca pazza ed altre che colpiscono in generale gli allevamenti mondiali, abbondano in Africa.

Ho parlato a Lula della Battaglia d’Idee che stiamo conducendo. Giungono sempre nuove notizie che evidenziano la necessità di questa lotta costante. I peggiori organi di stampa dei nemici ideologici si dedicano a divulgare nel mondo le opinioni di alcuni vermiciattoli che nel nostro eroico e generoso paese nemmeno desiderano sentire la parola socialismo. Il 20 gennaio, cinque giorni dopo la visita, uno di questi organi pubblicò quella di giovincello che grazie alla Rivoluzione ha raggiunto un buon livello educativo, sanitario e lavorativo: “Non voglio sapere di nessun socialismo”, e spiega la ragione della sua collera: “molta gente impegnava anche l’anima per pochi dollari. Al nuovo che verrà per questo paese, sia quello che sia, gli diano un altro nome”, manifesta. Un lupetto mascherato da nonnina.

Lo stesso corrispondente continua contento, affermando: “La propaganda ufficiale, convocando i cubani alle urne, cita più volte la Rivoluzione del socialismo. Intanto Cuba ormai non è più un paese sotto una campana di vetro, come lo è stato fino agli anni 80. Lo sguardo insulare sta transitando verso una visuale globale ed il paese, soprattutto nella capitale, sta vivendo una mutazione accelerata verso la modernità. Uno degli effetti è che si stanno rompendo le cuciture del socialismo importato decenni indietro”.

Si tratta dell’appello volgare del capitalismo imperiale all’egoismo individuale, predicato quasi 240 anni fa da Adam Smith come la causa delle ricchezze delle nazioni; ossia, mettere tutto nella mani del mercato. Questo produrrebbe ricchezze senza limiti in un mondo idilliaco. Penso all’Africa ed al suo quasi miliardo d’abitanti, vittime dei principi di questa economia. Le malattie, che volano alla velocità degli aerei, si propagano al ritmo dell’AIDS, ed altre vecchie e nuove malattie colpiscono la sua popolazione e le sue coltivazioni, senza che nessuna delle antiche potenze coloniali sia realmente capace di inviare medici e scienziati.

Di questi temi ho parlato con Lula.

 

Fidel Castro Ruz

26 gennaio 2008

(Traduzione ESTI)

 

(quarta parte)


Non voglio abusare della pazienza dei lettori, né dell’eccezionale opportunità offertami da Lula per scambiare delle idee durante il nostro incontro. Perciò affermo che è la quarta ed ultima riguardante la sua visita. 

Parlando del Venezuela, mi ha detto: pensiamo di cooperare con il Presidente Chávez. Ci siamo messi d’accordo. Mi recherò due volte all’anno a Caracas e lui verrà due volte in Brasile per non permettere divergenze tra noi e, se ci fossero, poterle risolverle al momento. Il Venezuela non ha bisogno di soldi – mi dice – poiché possiede molte risorse, ma di tempo ed infrastrutture. 

Gli ho riferito che ero molto contento della sua posizione nei confronti di quel paese, poiché siamo grati a quel popolo fraterno per gli Accordi sottoscritti, che ci garantiscono una fornitura regolare di combustibile. 

 

Non posso dimenticare che, a causa del colpo di Stato dell’aprile del 2002, l’ordine nei confronti del nostro paese di coloro che assaltarono il potere, fu: “nemmeno più una goccia di petrolio per Cuba”. Ci siamo trasformati in un ulteriore motivo del tentativo dell’imperialismo di far saltare l’economia venezuelana, sebbene di fatto era ciò che si proponevano di realizzare dal momento in cui Chávez prestò come Presidente il giuramento sulla moribonda Costituzione della IV Repubblica, che più tardi, in maniera legale e democratica, trasformò nella V Repubblica.

Quando il prezzo del petrolio aumentò bruscamente e sorsero delle reali difficoltà per acquistarlo, Chávez non solo mantenne la fornitura, ma addirittura l’aumentò.  Dopo gli Accordi dell’ALBA, firmati all’Avana il 14 dicembre 2004, questo prosegue con condizioni onorevoli e favorevoli per entrambi i paesi. Lavorano lì quasi 40 mila abnegati specialisti cubani, in maggioranza medici, che con il loro sapere ed in particolare con il loro esempio internazionalista, stanno contribuendo nella formazione degli stessi venezuelani, che li sostituiranno.  

Gli ho spiegato che Cuba intrattiene rapporti d’amicizia con tutti i paesi dell’America Latina e dei Caraibi, siano di sinistra o di destra. Da tempo abbiamo adottato questa linea e non la cambieremo; siamo disposti a sostenere qualsiasi passo a favore della pace tra i popoli. È un terreno spinoso e difficile, ma proseguiremo su questo cammino. 

Lula mi esprime nuovamente il suo rispetto ed il suo affetto profondo nei confronti di Cuba e dei suoi dirigenti. Immediatamente aggiunge che sente orgoglio per ciò che sta succedendo in America Latina ed ancora una volta afferma che qui all’Avana decidemmo di creare il Forum di San Paolo e d’unire l’intera sinistra latinoamericana, e questa sinistra sta giungendo al potere in quasi tutti i paesi.

Nell’occasione gli ho ricordato ciò che c’insegnò Martí riguardo alle glorie di questo mondo che possono entrare tutte in un grano di mais. Lula aggiunge: “Dico a tutti che nelle conversazioni avute con Lei, non mi ha mai dato un solo consiglio che potesse essere in contrasto con la legalità; mi ha sempre chiesto di non farmi molti nemici contemporaneamente. E questo è ciò che sta permettendo che le cose proseguano. 

Subito dopo, riferisce che il Brasile, un paese grande e con risorse, deve aiutare l’Ecuador, la Bolivia, l’Uruguay ed il Paraguay.

Siamo stati in America Centrale. Mai prima d’ora un Presidente brasiliano aveva visitato un paese di quell’area con dei progetti di cooperazione.

Gli domando: “Ti ricordi, Lula, ciò che ti dissi durante la cena familiare ed informale da te offerta alla nostra delegazione il giorno successivo al tuo insediamento, nel gennaio del 2003? Nessuno dei figli del stragrande maggioranza dei poveri che ti ha votato sarà mai un dirigente delle grandi imprese statali del Brasile; gli studi universitari qui sono troppo cari!

Al rispetto, Lula spiega: “Stiamo realizzando 214 scuole tecniche, professionali; stiamo creando inoltre 13 nuove Università federali e 48 sedi universitarie distaccate.

Gli domando: ”Per questo non si paga nulla, vero?” Mi risponde subito: “Abbiamo creato un programma e già abbiamo sistemato 460 mila giovani delle periferie, poveri, delle scuole pubbliche, affinché possano frequentare i corsi universitari.  La destra mi accusava di voler abbassare il livello dell’insegnamento; due anni dopo sono stati analizzati 14 corsi: gli studenti migliori erano i poveri delle periferie.  Stiamo creando un altro programma con una media di 18 studenti; questo permetterà d’avere 250 mila giovani nel livello d’istruzione universitario.

Mi riferisce che il Brasile ha più rapporti commerciali con l’America Latina che con gli Stati Uniti. Ho proseguito spiegandogli che se stabiliremo delle forti relazioni tra i due paesi, non solo come amici, ma anche come partner in settori importanti, avevo bisogno di conoscere il pensiero dei leader brasiliani, dato che ci saremmo associati in aree strategiche e noi dobbiamo come regola adempiere ai nostri impegni economici.

 

Abbiamo parlato d’altri importanti problemi, dei punti in cui coincidiamo o meno, con il maggior tatto possibile.

Gli ho parlato delle varie regioni, compresi i Caraibi, e delle forme di cooperazione che abbiamo svolto.

Lula mi ha riferito che il Brasile dovrebbe avere una politica più attiva nella cooperazione con i paesi più poveri. È il paese più ricco delle regione ed ha nuove responsabilità.

 Gli ho parlato, logicamente, del cambio climatico e della scarsa attenzione che prestano al tema numerosi dirigenti dei paesi industrializzati.  

Quando ho parlato con lui la sera del 15 gennaio, non gli ho potuto menzionare l’articolo pubblicato solo tre giorni dopo, scritto a Toronto da Stephen Leahy. Ci fornisce delle notizie sul nuovo libro di Lester Brown intitolato Mobilitarsi per salvare la civiltà.

 “La crisi è estremamente seria e urgente e richiede una mobilizzazione delle nazioni simile a quella realizzata durante la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945)” – argomenta l’autore, Lester Brown, Presidente del Centro Studi dell’Istituto per le Politiche della Terra,con sede a Washington.  

 “Il cambio climatico avviene molto più velocemente di quanto previsto dagli scienziati ed il pianeta soffrirà inevitabilmente un aumento della temperatura d’almeno due gradi”, riferisce Brown alla IPS, “collocandoci decisamente in una zona di pericolo.” 

 “Nessuno dei candidati alle elezioni degli Stati Uniti” – previste per il primo martedì di novembre – prospetta l’urgenza del problema del cambio climatico.”

“Le emissioni di gas serra, parzialmente responsabili del riscaldamento globale, devono ridursi dell’80 per cento entro il 2020.”

Come informa l’agenzia di stampa, si tratta di una meta molto più ambiziosa di quella prospettata dalla Commissione Intergovernativa sul Cambio Climatico (IPCC), premio Nobel per la Pace nel 2007 insieme all’ex vicepresidente statunitense Al Gore, che ha raccomandato un taglio tra il 25 ed il 40 per cento rispetto ai livelli del 1990.

Brown stima che i dati utilizzati dal IPCC non siano aggiornati e che siano già di due anni fa. Aggiunge che studi più recenti indicano che il cambio climatico si sta accelerando. 

Sebbene confida che il IPCC modificherà questa raccomandazione, ha segnalato che sarà diffusa tra cinque o sei anni. “Troppo tardi, dobbiamo già agire”, ha assicurato Brown.   

Il Piano B 3.0 di Brown raccomanda delle misure per arrivare all’80 per cento della riduzione dell’emissioni, basandosi con forza sull’uso efficiente dell’energia, sulle fonti rinnovabili e sull’espansione dello “scudo” degli alberi del pianeta.

 “L’energia eolica può coprire il 40 per cento della domanda mondiale con l’installazione di 1,5 milioni di nuove turbine da due megawatt. Sebbene il numero possa sembrare elevato, nel mondo si producono ogni anno 65 milioni d’automobili. Un’illuminazione più efficiente può ridurre l’uso mondiale d’elettricità del 12 per cento.  

 “Negli Stati Uniti, gli edifici commerciali e residenziali sono responsabili del 40 per cento delle emissioni di carbonio. Il passo successivo deve puntare a generare elettricità in modo non contaminante per riscaldare, climatizzare ed illuminare le abitazioni.  

“L’impiego di biocombustibili, prodotti impiegando granaglie come il mais e la soia, spinge al rialzo dei prezzi di questi alimenti e può provocare una disastrosa scarsità di cibo per i poveri del mondo. 

 “L’aumento annuale di 70 milioni di persone nella popolazione mondiale si concentra nelle nazioni dove le riserve d’acqua si stanno esaurendo ed i pozzi si seccano, le aree boscose si riducono, i terreni si degradano ed i campi destinati al pascolo si trasformano in deserti.

 “Anno dopo anno aumenta il numero di “Stati intransitabili”, che costituisce  un segnale d’allarme del declino di una civiltà”, ha commentato Brown.

 

” Alla lista dei problemi va aggiunto l’aumento del prezzo del petrolio. I paesi ricchi ne avranno quanto vorranno, mentre i poveri dovranno ridurne il consumo.

 “La crescita della popolazione e della povertà richiedono una speciale attenzione da parte del mondo sviluppato.

 “Il tempo è la nostra risorsa più scarsa”, ha concluso il prestigioso scienziato.

Non si può esprimere con maggiore chiarezza un pericolo che grava sull’umanità.

Non è però l’unica notizia pubblicata dopo la mia riunione con Lula. Appena due giorni fa, lanciando un anatema e facendo a pezzi il discorso di Bush al Congresso, il New York Times, nel suo editoriale ha espresso in una riga quest’idea: “Pericoli orripilanti attendono il mondo civilizzato”

La Cina, un paese la cui superficie è 87 volte quella della nostra isola ed in cui vivono 117 volte gli abitanti di Cuba, è appena stata investita da una inusuale ondata di freddo  che ha colpito Shanghai, l’area di maggior sviluppo, ed il resto della zona meridionale e centrale di quel grande paese. Le autorità informano dell’emergenza, che i dispacci dell’agenzie internazionali dell’Occidente – AFP, AP, EFE, DPA, ANSA ed altre – trasmettono: “Le forti nevicate hanno obbligato a chiudere le centrali termiche ed a ridurre la metà delle riserve di carbone, la principale fonte d’energia del paese, creando una grave crisi energetica.”   

 “… nella zona più colpita, un sette per cento dell’energia totale, hanno fermato le loro operazioni, ha sottolineato la Commissione dell’Energia.

 “…90 centrali, che producono un ulteriore 10 per cento d’elettricità d’origine termica, potrebbero chiudere nei prossimi giorni se non migliora la situazione…

 “Le riserve di carbone si sono ridotte a meno della metà, avvertono le autorità…

 “Il principale problema è il trasporto. Oltre la metà dei treni sono utilizzati per trasportare il carbone, perciò la paralisi della rete ha provocato molti problemi, ha segnalato Wang Zheming, esperto della Commissione Statale di Sicurezza.

 

”Wang ha ricordato che il trasporto del carbone affronta in questi giorni la concorrenza di quello passeggeri, dato che per le feste vi è un esodo ferroviario di quasi 180 milioni di persone in un solo mese.

 “È difficile per la Cina utilizzare un’altra fonte energetica. L’ideale sarebbe il gas naturale, però i depositi non sono ancora sufficienti, ha commentato l’esperto.”

Bisogna inoltre considerare che la conca dello Yangtzé ed altre zone del centro e del sud del paese hanno sofferto in questi mesi la peggiore siccità degli ultimi cinquant’anni, fatto che ha colpito la produzione idroelettrica.  

Secondo l’Associazione Cinese di Meteorologia “la neve continuerà a cadere con forza nei prossimi tre giorni”.

 “L’intero paese si è mobilitato per risolvere l’emergenza. Nella città di Nanjing, 250 mila persone sono state destinate alla rimozione della neve dalle strade.”

 

Le note d’agenzia parlano di “460 mila soldati dell’Esercito Popolare di Liberazione mobilitati nelle province cinesi per aiutare milioni di persone all’intemperie, colpite dal peggiore freddo degli ultimi tempi, e di un milione d’agenti impegnati per aiutare a ristabilire il traffico ed i servizi. 

 “Il Ministro della Sanità ha inviato 15.000 medici per assistere i sinistrati.

 “Il primo ministro Wen Jiabao si è rivolto nella città di Canton ad una moltitudine di passeggeri i cui treni erano rimasti bloccati.

 “Si calcola che sono state colpite oltre 80 milioni di persone. Si stanno analizzando i danni provocati all’agricoltura ed alla produzione alimentare.”

La BBC World riferisce: “Il governo cinese  ha informato che una forte siccità ha provocato che il livello dell’acqua di una parte del fiume più grande del paese, lo Yangtzé, scendesse al valore più basso da quando sono iniziate le sue rilevazioni, 142 anni fa. 

 

 “Nella città portuale di Hankou, nel centro del paese, i livelli dell’acqua all’inizio di gennaio sono scesi a 13,98 m., come non si registrava dal 1866”, ha indicato citando fonti locali.

In Vietnam l’ondata di freddo s’avvicinava con temperature insolitamente basse.   

Tali notizie danno l’idea di ciò che può significare il cambio climatico che tanto preoccupa gli scienziati.  In entrambi gli esempi che ho citato si tratta di paesi rivoluzionari, perfettamente organizzati, con una grande forza economica ed umana, dove tutte le risorse sono messe immediatamente al servizio del popolo. Non si tratta di masse affamate abbandonate alla loro sorte.

D’altra parte, un dispaccio dell’agenzia Reuters del 29 gennaio, informa che “la Francia prevede di modificare la sua politica sul consumo di biocombustibili, a causa dei dubbi sull’impatto ambientale dei cosiddetti “combustibili verdi”, ha informato martedì la Segretaria di Stato all’Ambiente.  

 

 “La Francia si è trasformata in uno dei maggiori produttori di biocombustibili europei, dopo avere stabilito una politica ambigua che anticipa di due anni l’obbiettivo dell’Unione Europea di miscelare i biocombustibili con i combustibili standard.

 “Per raggiungere i suoi obbiettivi nella miscela dei combustibili… la Francia ha stabilito un sistema di quote che si beneficiano della riduzione dei dazi, con l’intenzione di renderli competitivi nei confronti dei combustibili standard.

 “La politica ha incoraggiato molte compagnie ad investire nel settore, costruendo stabilimenti d’etanolo e biodiesel in tutto il paese.”

Tutto ciò che ho appena terminato d’esporre, che sebbene previsto concettualmente costituisce una somma d’elementi nuovi, appena accaduti, in tali circostanze comporteranno sicuramente per il Brasile, fortunatamente non colpito in questo periodo da grandi calamità climatiche, dei passi importanti nella sua politica commerciale e degli investimenti.  Immediatamente, la suo importanza in campo internazionale aumenta.

 

È evidente che un numero di fattori complica la situazione del pianeta. Se ne possono indicare diversi:

1.      Crescita del consumo del petrolio, un prodotto non rinnovabile e contaminante, per lo spreco delle società consumistiche.

2.      Scarsità di generi alimentari per varie cause, tra cui la crescita esponenziale della popolazione umana e degli animali, trasformando direttamente le granaglie in proteine con una domanda in crescita.

3.      Eccessivo sfruttamento dei mari e contaminazione delle loro specie, causati dai rifiuti chimici dell’industria, incompatibili con la vita.

4.      La macabra idea di trasformare gli alimenti in combustibile per l’ozio ed il lusso.

5.      Incapacità del sistema economico dominante dell’uso razionale ed efficiente della scienza e della tecnica nella lotta contro flagelli e malattie che aggrediscono la vita umana, gli animali e le coltivazioni che la sostengono. La biotecnologia trasforma i geni e le multinazionali creano ed impiegano i suoi prodotti, massimizzando il profitto attraverso la pubblicità, senza sicurezza per coloro che li consumano, né possibilità d’accedervi per chi ne ha bisogno.  Tra questi prodotti, le nuovissime molecole nanotecnologiche – il termine è relativamente nuovo – che si sviluppano disordinatamente utilizzando la stessa via.

6.      La necessità di pianificazioni razionali della crescita familiare e sociale nel suo insieme prive di pretese egemoniche e di potere.

7.      L’assenza quasi totale d’educazione, anche nelle nazioni con i più alti livelli di scolarità, riguardo a temi decisivi per la vita.

8.      I rischi reali derivati dalle armi di sterminio di massa in mano ad irresponsabili, fatto che il già citato New York Times, uno degli organi di stampa più influenti degli Stati Uniti, ha qualificato come pericoli orripilanti.  

Esistono i rimedi per questi pericoli? Sì: conoscerli e farsene carico.  ¿ Come? Sarebbero riposte puramente teoriche.   Se le pongano da soli gli stessi lettori, specialmente i più e le più giovani, come si dice ultimamente per non sembrare discriminanti nei confronti delle donne.  Non aspettate ad essere prima dei Capi di Stato.

Avevo o no dei temi di conversazione con Lula? Era impossibile raccontargli tutto. In questo modo è più facile commentare le notizie giunte successivamente.

Gli ho ricordato che cercavo di riprendermi da due incidenti: da quello di Villa Clara e dalla malattia sopraggiunta dopo il mio ultimo viaggio in Argentina.

Quasi al termine mi ha detto: “Sei invitato in Brasile quest’anno.” Grazie, gli ho risposto, almeno con il pensiero sarò lì. 

Come ultima cosa, mi ha detto: “Racconterò ai compagni ed agli amici che Lei ha in Brasile che sta molto bene.”

Abbiamo camminato insieme fino all’uscita. È valsa veramente la pena rivederci.

 

Fidel Castro Ruz

31 gennaio 2008