Qual è la transizione?

 

Perdere l'identità?

 

 

21 febbraio '08 - L.B.Medina  www.granma.cubaweb.cu

 

Non meraviglia che W. Bush sia ritornato al suo ricorrente discorso su Cuba e la transizione “Credo che il cambio di Fidel Castro dovrebbe dare inizio ad un periodo di transizione democratica”, ha detto alcuni giorni fa in una conferenza stampa in Ruanda, nel contesto di una visita a cinque nazioni africane.

 

Per i cubani, questo, è un discorso consumato. Gli Stati Uniti hanno concentrato gli attacchi a Cuba con la personalizzazione del processo rivoluzionario, per così occultare in modo sibillino il vero obiettivo che li anima: distruggere la Rivoluzione cubana.

 

Con Bush si sono entusiasmati molto con l’idea. Hanno cominciato definendo la loro proposta “transizione”, “pacifica” e poco dopo hanno tolto l’aggettivo dal discorso, sostenendo la necessità di doverla accelerare.

 

Alcuni dei principali personaggi dell’amministrazione nordamericana sono stati molto espliciti, durante le riunioni con la mafia di Miami, definendola come “transizione politica rapida”.

 

Roger Noriega, Dan Fisk, Otto Reich ed altri ancora hanno confessato pubblicamente, senza nessun pudore, i propositi interventisti che animano il Piano Bush a partire dall’ipotesi della “transizione”.

 

- Dobbiamo fare tutto il possibile per assicurare che sia “una transizione democratica con successo, più che una successione” all’interno della “tirannia”. Questo è l’obiettivo della Commissione d’aiuto ad una Cuba Libera.

 

- Dobbiamo essere preparati per essere agili e decisivi quando finalmente arrivi il giorno, per mettere fine, una volta per sempre, a tutte le  vestigia del corrotto regime di Castro.

 

- Per iniziare la transizione c’è bisogno di liberarsi dell’ostacolo principale (la persona di Fidel Castro) e crediamo che la transizione possa avvenire in qualsiasi momento. Dobbiamo essere preparati con agire con agilità ed assicurarci che “i complici del regime non prendano il controllo”

 

Un’altra delle proiezioni di questa gente è stata la cosiddetta diplomazia pubblica ed il lavoro per l’internazionalizzazione dell’aggressione, mediante l’aumento degli sforzi diretti a governi di paesi terzi, disposti ad applicare una politica rigida e dinamica per sostenere la “transizione” cubana.

 

Quali cambi strutturati o che transizione dovrebbe fare Cuba dopo quanto ha fatto il Primo Gennaio del 1959?

 

Si può dimenticare che le leggi e le misure rivoluzionarie più radicali, che hanno modificato completamente le fondamenta del nostro Stato, furono adottate con il consenso dell’immensa maggioranza del popolo?

 

Non c’è, possibilmente, un altro caso nella storia in cui una Rivoluzione e la sua leadership abbiano contato con un sostegno così amplio e in un’epoca caratterizzata da cambi profondi, radicali ed accelerati, giacché hanno dovuto affrontare, per mezzo secolo, la forza non comune dell’aggressione nordamericana.

 

Lo Stato rivoluzionario riscattò, a beneficio di tutto il popolo, le ricchezze nazionali controllate dagli imperialisti e da sfruttatori d’ogni tipo. Eliminò la disoccupazione e aprì le porte del lavoro per tutti, eliminò l’analfabetismo e rendendo l’educazione, di forma gratuita, alla portata di tutti e con piena equità sociale. Garantì, per la prima volta, l’attenzione medica ed ospedaliera gratuitamente a tutti, popolarizzò e ampliò la cultura, sviluppò lo sport e qualcosa molto importante: organizzò il popolo e lo armò affinché si difendesse.

 

La Rivoluzione è partita da motivazioni autentiche, valori e principi, etici e morali, per muovere la maggioranza dei cubani verso una partecipazione sovrana dei cittadini negli affari più importanti della società.

 

Questo non vuol dire che siamo soddisfatti né molto meno, e che ancora nell’ordine democratico ci sia da lavorare per raggiungere uno stadio superiore, però nessuno può negare che, per la prima volta nella nostra storia nazionale, le maggioranze sociali sono riuscite ad esprimersi come maggioranze politiche.

 

Se abbiamo già fatto questa transizione 50 anni fa, quello che ci propongono non è un ritorno al passato, all’altro mezzo secolo di neocolonia con un danno irreversibile: la perdita della nostra identità?

 

Non si può ignorare che la Legge Helms-Burton e il Piano Bush, deliberatamente, attribuiscono al Presidente degli Stati Uniti la facoltà di “certificare” il governo che deve tenere il nostro paese.

 

Questo è l’alto costo che stiamo pagando per la sfida, questo è il merito non potranno mai togliere a Fidel, quello di aver rifondato una nazione libera e sovrana, di aver seminato in varie generazioni l’amore per la libertà e la giustizia, e non accettare mai che nessuno pretenda di piegare il nostro orgoglio e la nostra identità nazionale, imponendoci come dobbiamo essere o cosa dobbiamo fare affinché gli Stati Uniti possano calmare la loro ossessione.