La storia non raccontata dei

 

Cinque: gli Eroi proibiti  

 

28 ottobre '09 - Ricardo Alarcón de Quesada www.granma.cu Fonte Canter Punch

 

 

“Devi correre più che puoi

per rimanere nello stesso luogo.”

Attraverso lo specchio, Lewis Carroll

 

Vi ricordate di Elián?

 

Il caso di Elián González, un bambino di sei anni trattenuto a forza da sconosciuti contro la volontà del padre e che, in aperta sfida alle leggi degli Stati Uniti  e della decenza, fu riportato ampiamente dai media del mondo.

 

Il luogo del sequestro, Miami, divenne un tipo di città secessionista nel nord america, quando il sindaco, il capo della polizia, i politici e tutti i giornali e gli annunciatori delle radio e le televisioni assieme alle istituzioni religiose e imprenditoriali, si unirono ad alcuni dei più noti terroristi e gruppi violenti per opporsi all’ordine dei tribunali e del governo che era di liberare il bambino.

 

Fu necessario inviare un gruppo delle forze speciali da Washington DC che si lanciò in un operazione surrettizia e rapida per occupare varie case disarmare individui che erano fortemente armati e nascosti nel quartiere e salvare il bambino restaurando la legge  Tutti seguirono la notizia un giorno dopo l’altro. 

 

Però quasi nessuno sapeva che nello stesso tempo ed esattamente nello stesso luogo – Miami – altri cinque giovani cubani furono arbitrariamente  privati della libertà e assoggettati in una grave ingiustizia. 

 

Gerardo Hernández, Ramón Labañino, Antonio Guerrero, Fernando González e René González furono detenuti all’alba di sabato 12  settembre del 1998, e incarcerati per i successivi 17 mesi in celle di castigo.  In isolamento.  Le accuse principali contro di loro, come fu riconosciuto dai pubblici ministeri e dal giudice, dall’atto di accusa e sino all’ ultimo giorno del processo fu che loro avevano, pacificamente e senza armi, controllato i gruppi terroristi anticubani, con l’obiettivo d’ informare Cuba sui loro piani.

 

Era concepibile che un rivoluzionario cubano avesse un giudizio giusto a Miami, affrontando questo tipo di accuse? Poteva accadere questo durante il sequestro di Elián, con l’ambiente de violenza, odio e timore che  lo circondava ?

 

In accordo con la pubblica accusa, era perfettamente possibile.

 

Nelle sue parole, Miami è una “grande, diversa ed eterogenea comunità” capace di trattare qualsiasi tema sensibile, includendo quelli che coinvolgono la Rivoluzione cubana. La pubblica accusa sostenne questa linea e respinse più di dieci mozioni preséntate dagli avvocati difensori per cambiare la sede prima dell’inizio del processo.

 

Lo stesso governo che si vide obbligato a trattare Miami come una specie di città ribelle e ad inviare segretamente le forze per restaurare la legalità, mentì ripetutamente sul tema  della sede, negando agli  accusati il diritto tanto rispettato per i nordamericani, e rifiutò di muovere il processo alla città vicina di Fort Lauderdale, a mezz’ora da Miami. Ironicamente, pochi anni dopo, nel 2002, quando il governo fu accusato civilmente in un caso amministrativo d’importanza assai minore, successivamente risolto con un accordo al di fuori della Corte, e solo indirettamente relazionato con il caso Elián, il governo chiese un cambio di sede a Fort Lauderdale, affermando che era impossibile che qualsiasi cosa relazionata con Cuba potesse essere giudicata   giustamente in Miami (Ramírez vs. Ashcroft, 01-4835 Civ-Huck, June 25, 2002).

 

Questa contraddizione flagrante, prova chiaramente la cattiva condotta del Pubblico Ministero, di prevaricazione reale, che fu uno dei fattori principali nei quali si basò la decisione unanime del gruppo del Tribunale d’Appello, nel 2005, para annullare le condanne dei Cinque ed ordinare un nuovo processo. (Court of Appeals for the Eleventh Circuit, No. 01-17176, 03-11087).

 

Quella storica decisione fu successivamente  revocata dalla maggioranza  del tribunale sotto le pressioni del Procuratore Generale, Alberto Gonzales, con un’azione contraria alla pratica normale del diritto negli Stati Uniti. L’azione vincente del Sr. Gonzales, una manifestazione  della sua filosofia legale peculiare, chiuse la possibilità di una risoluzione  giusta per questo caso che potesse onorare gli Stati Uniti.

 

La decisione del gruppo, un documento solido di 93 pagine che presentavano fatti indiscutibili sulla guerra terrorista di mezzo secolo contro Cuba, continua ad essere un momento da sottolineare nella   migliore tradizione nordamericana e resterà come un testo che accademici e studenti di diritto analizzeranno con rispetto.

 

Ma  questo è un altro capitolo nella lunga  saga dei Cinque.

 

In quanto a Elián González, è al punto di terminare il liceo e continua ad attrarre l’attenzione dei media stranieri e dei visitatori che vanno a Cárdenas, la bella cittadina in cui vive. Quando vanno verso la casa di Elián, sono sorpresi nel vedere i manifesti che domandano la libertà di Cinque giovani che sicuramente i visitatori, sino a quel momento, non conoscevano.

 

Nelle  parole  di Leonard Weinglass: “Il processo fu mantenuto in segreto per i media della stampa   nordamericana. È inconcepibile che il processo più lungo negli Stati Uniti svolto sino ad oggi, sia stato coperto solo dalla stampa locale di Miami, soprattutto quando furono chiamati a testimoniare per la difesa, generali,  un ammiraglio e un assessore della Casa Bianca.

 

Dov’erano  i media della stampa nordamericana in quei sei mesi?

Non solo questo è stato il processo più lungo, ma era anche un caso che riguardava importanti temi di politica estera e di terrorismo internazionale. La domanda va fatta ai media nordamericani che continuano a non coprire un caso con tali violazioni dei diritti fondamentali ed anche violazioni dei diritti umani dei prigionieri. (Risposta di Leonard Weinglass, nel Foro organizzato da www.antiterroristas.cu, il 12 settembre del 2003)

 

Elián si salvò perchè i nordamericani conobbero il caso e s’impegnarono per far sì che la giustizia trionfasse. I Cinque sono sempre detenuti – da 11 anni – vittime di una terribile ingiustizia, perchè ai nordamericani non è permesso conoscerli. I Cinque sono castigati crudelmente, perchè hanno combattuto il terrorismo. Sono Eroi, ma sono Eroi proibiti.

 

 

Parte II

 

Giustizia nel Paese

 

delle meraviglie

 

 

 

 

“Prima la sentenza… il verdetto dopo!”

(Alice nel Paese delle meraviglie, Lewis Carroll)

 

Vinto il tema del cambio di sede, il risultato del giudizio dei Cinque era già predeterminato. Seguì rigorosamente la profezia della regina.

 

I media nordamericani giocarono un ruolo molto importante in due direzioni. Fuori da Miami un silenzio totale; come descrisse con tanta abilità l’avvocato Leonard Weinglass, in  contrasto con il ruolo che giocarono nella Contea di Dade, offrendo entrambi, media e Corte, uno show di impressionante disciplina.

 

I media locali, invece, non solo parlarono del caso intensamente, ma intervennero attivamente nello stesso, come se fossero parte della Procura. I Cinque furono condannati dai media prima ancora di essere accusati.

 

Nella primissima mattinata del sabato 12 settembre 1998, ogni mezzo di informazione a Miami parlava senza sosta della cattura di “terribili” agenti cubani, “disposti a distruggere gli Stati Uniti” (la frase che la Procura adorava e che venne ripetuta ossessivamente durante tutto il processo). “Spie tra di noi”, fu il titolo di quella mattina. Allo stesso tempo, a tal proposito, il capo dell’FBI di Miami si incontrava con Lincoln Díaz-Balart e Ileana Ros-Lehtinen, rappresentanti della vecchia banda di Batista nel Congresso.

 

Una campagna di propaganda senza precedenti venne lanciata contro cinque individui che non potevano difendersi perché si trovavano completamente isolati dal mondo esteriore, giorno e notte, per un anno e mezzo, in quello che si conosce nel gergo della prigione come “il buco”.

 

Un cerchio mediatico ha circondato i Cinque dalla loro detenzione ad ora. Però solo a Miami. Nel resto degli Stati Uniti, la dura situazione dei Cinque ha ricevuto il silenzio. Il resto del Paese non conosce molto del caso, ne viene mantenuto all’oscuro, come se tutti accettassero che Miami – quella “comunità molto diversa, ed estremamente eterogenea” per dirlo con le parole del Procuratore – appartenesse effettivamente ad un altro pianeta.

 

Questa potrebbe essere stata una proposta ragionevole, se non fosse per alcuni fatti vergognosi che si sono scoperti di recente.

 

Alcune delle persone dei media coinvolte nella campagna di Miami – “giornalisti” ed altri – ricevettero denaro dal Governo degli Stati Uniti, e figuravano nelle nomine come impiegati della macchina della propaganda anticubana della radio e della televisione, che è costata svariate centinaia di milioni di dollari ai contribuenti statunitensi.

 

Senza saperlo, infatti, gli statunitensi si videro obbligati ad essere molto generosi. C’è una lunga lista di “giornalisti” di Miami che coprì tutto il giudizio dei Cinque, ricevendo in cambio succulenti assegni federali (per conoscere di più del “lavoro” svolto da questi “giornalisti” consultare il sito www.freethefive.org).

 

Anche la decisione della Corte d’Appello nel 2005 apporta un buon riassunto della campagna propagandistica, prima e dopo il giudizio. Quella fu una delle ragioni che convinse il panel ad “invalidare le sentenze ed ordinare un nuovo giudizio”. Miami non era il luogo in cui contare con la presenza della giustizia. Come dissero i giudici “le prove presentate (di fronte al Tribunale di Miami) che appoggiavano la mozione per il cambio di sede erano molteplici”. (Court of Appeal for the Eleventh Circuit, No. 01-17176, 03-11087).

 

Cerchiamo di chiarire qualcosa. Qui non stiamo parlando dei giornalisti, nel significato che potrebbero intendere gli statunitensi al di fuori di Miami. Ci stiamo riferendo ai “giornalisti” di Miami, che è molto diverso.

 

Il loro ruolo non era quello di pubblicare le notizie, ma di creare un clima che garantisse le condanne. Essi convocarono addirittura manifestazioni pubbliche fuori dagli uffici nei quali si riuniva la difesa e aggredirono i presunti membri della giuria durante la fase preliminare del processo. Il tribunale in questione, mostrò concerno per “l’enorme quantità di sollecitudini di visioni previe degli interrogatori, apparentemente, con l’obiettivo di informare i cittadini, ma anche gli stessi membri della giuria, delle domande prima che il tribunale la formulasse”.

 

Stiamo parlando di un gruppo di individui che aggredirono i membri della giuria, perseguendoli con macchine fotografiche per la strada, filmando le loro patenti di guida e mostrandole in televisione; li seguirono fino a dentro l’edificio della Corte, attraverso la porta delle stanze della giuria, durante tutti i sette mesi del giudizio, dal primo all’ultimo giorno.

 

La giudice Leonard più di una volta protestò e supplicò il Governo di fermare una parodia tanto deplorevole. Lo fece dal principio, in varie occasioni, e fino alla fine. Non fu ascoltata. (Official transcripts of the trial, p. 22,23, 111, 112, 625, 14644-14646).

 

Il Governo non era interessato a portare avanti un processo giusto. Durante la selezione della giuria, la Procura era ansiosa di escludere la maggioranza dei membri afro-americani, così come i tre individui che non mostrarono di avere profondi sentimenti anti-castristi.

 

In quello stesso momento, Elián González veniva riscattato, e permaneva nelle menti dei membri della giuria. Uno di loro disse durante la previa visione dei testimoni: “Mi preoccuperei della reazione che si potrebbe suscitare…non voglio che avvengano situazioni simili a quelle che si verificarono nel caso di Elián”.  O, citandone un altro: “Se volete sapere la verità, io mi sentirei un fascio di nervi, avrei paura per la mia incolumità se non tornassi con un verdetto congruo con gli interessi della comunità cubana”.

 

Nel bel mezzo di una tale atmosfera di terrore cominciò il maggior giudizio – fino ad ora - della storia statunitense, lo stesso che i grandi media “decisero” di ignorare.

 

 

Parte III

La faccia dell’impunità

 

Come riconobbero quando furono intervistati per le selezioni della giuria, il sequestro di Elián González e le sue conseguenze per la comunità di Miami, erano ben presenti nelle menti di coloro che furono scelti come giurati nel processo dei Cinque cubani,  che cominciò solo pochi mesi dopo il riscatto del bimbo di appena sei anni, da parte dei federali.

 

Come tutta la comunità, anche loro avevano seguito i fatti relazionati ad Elián. Fatti che saturarono le notizie. Le facce dei sequestratori, dei loro promotori e sostenitori, così come quelle di altri coinvolti nello scandalo, divennero molto familiari per i membri della giuria. Le facce ed i dettagli del dramma di Elián, che avevano un carattere unico ed una connessione diretta con il processo dei Cinque cubani.  Prima di tutto, ci fu la sconcertante condotta di tutti i funzionari pubblici di Miami, dai congressisti federali, al sindaco, ai commissionati, e addirittura ai vigili del fuoco ed ai membri delle forze di polizia, che negarono dichiaratamente di obbedire alla legge e non fecero nulla per porre fine al caso di abuso infantile più pubblicizzato mai verificatosi. In secondo luogo, ma non meno incredibile, nulla si fece contro il gruppo di individui che in modo tanto chiaro avevano violato la legge con il sequestro di un bambino, e con la violenza ed i disturbi che causarono in tutta la città quando fu riscattato grazie al Governo Federale. Nessuno fu processato, arrestato, e neppure multato.

 

Il caso di Elián dimostrò in quale modo l’impunità anticastrista regna a Miami.

 

Quando i membri della giuria si sedettero per la prima volta nella sala del tribunale per assolvere al proprio dovere di cittadini, probabilmente si spaventarono. Lì, in carne ed ossa, si trovavano le “celebrità di Miami”, che loro erano abituati a vedere, giorno e notte, nella televisione locale. Ed erano tutti insieme, a volte sorridendo e abbracciandosi, come vecchi complici.

 

Erano i sequestratori e quelli che si incaricarono di fare in modo che “la legge venisse compiuta”, a braccetto con i procuratori (quelle valorose persone che non apparvero mai nella stampa mentre un bambino stava subendo molestie di fronte a tutti i mezzi di comunicazione).

 

I membri della giuria passarono sette mesi in quella stanza guardando , ed essendo osservati , quelle persone tanto familiari per loro,  che adesso si trovavano sul banco dei testimoni, nell’area del pubblico o nell’angolo della stampa. Le stesse persone che adesso loro incontravano frequentemente nel parcheggio, nell’entrata dell’edificio dei tribunali e nei corridoi. Alcuni, a volte, addirittura vestendo orgogliosamente l’abbigliamento che indossarono in occasione dell’ultima incursione militare a Cuba.

 

I membri della giuria li ascoltarono spiegare dettagli su prodezze criminali e ripetere che non parlavano del passato. Fu una strana sfilata di individui che si sedettero di fronte ad una corte giuridica, riconoscendo le proprie azioni violente contro Cuba. Azioni che pianificarono, prepararono ed intrapresero dal proprio vicinato. Ed erano lì, proferendo discorsi, esigendo il peggior castigo, diffamando e minacciando gli avvocati della difesa.

 

 La giudice fece il possibile per trattare di preservare la calma e la dignità. Ordinò alla giuria, molte volte, di non tenere in conto i commenti inappropriati, però questo fu semplicemente insufficiente a cancellare dalla mente della giuria gli effetti pregiudizievoli e terrorizzanti di queste dichiarazioni.

 

Le conseguenze furono ovvie. La decisione del gruppo della Corte d’Appello lo disse in termini molto chiari: “Le prove hanno messo in evidenza le attività clandestine non solo degli accusati, ma anche di vari gruppi di esiliati Cubani e degli accampamenti paramilitari che continuavano ad operare nell’area di Miami…la percezione che questi gruppi potessero fare danno ai membri della giuria che stavano per emettere il verdetto sfavorevole, secondo il loro punto di vista, era palpabile”. (Undicesimo Circuito del Tribunale d’Appello, No. 01-17176, 03-11087)

 

Però questo non era tutto. Dopo aver visto ed ascoltato le abbondanti prove degli atti terroristici che gli accusati avevano cercato di impedire, il Governo era riuscito a difendere i terroristi, convincendo il tribunale a togliere alla Giuria la possibilità di valutare il diritto dello Stato di necessità dei Cinque, che era la base legale della loro difesa. Il nocciolo della questione stava nella necessità di Cuba di proteggere il proprio popolo dai tentativi criminali dei terroristi che godono di totale impunità in territorio statunitense. La legge statunitense è chiara: se si agisce per prevenire un danno maggiore, anche se lo si fa violando la legge, si è esonerati da qualsiasi pena, perché la società riconosce lo stato di necessità, ed i benefici che derivano dall’agire in questo senso.

 

Gli Stati Uniti, unica superpotenza mondiale, hanno interpretato questo principio universale per giustificare la legittimità delle guerre in terre lontane in nome della lotta contro il terrorismo. Tuttavia, rifiutano di riconoscerlo per Cinque uomini disarmati, pacifici, non violenti che, in nome di un piccolo Paese, senza causare danno a nessuno, hanno cercato di impedire azioni illegali da parte di criminali che godono del rifugio e dell’appoggio statunitensi.

 

Il Governo degli Stati Uniti, attraverso i procuratori di Miami, è andato molto oltre, fino in fondo, per aiutare i terroristi. Lo ha fatto in maniera evidente, per iscritto e con discorsi appassionati che, curiosamente non vengono considerati d’interesse giornalistico.

 

Questo è successo nel 2001, mentre i procuratori del Sud e l’ufficio locale dell’FBI erano molto occupati nel castigare duramente i Cinque e nell’offrire protezione ai “propri” terroristi, i criminali che realizzarono l’attacco dell’11 settembre si allenavano, senza che nessuno li infastidisse,  da molto tempo, nella stessa Miami. Per qualche ragione, preferirono questa città.