Da non credere: l’invasione a
 

Panama fu chiamata “causa giusta”

 

21 dicembre 2009 - José Luis Méndez Méndez www.granma.cu

 

Nella serata del 19 dicembre del 1989, cominciò la tredicesima invasione degli Stati Uniti a Panama, una delle più curate dal 1855, quando si cominciò ad invadere il Paese.

 

Cominciava l’Operazione Giusta Causa (Just Cause) con l’ovvio obiettivo di destituire il generale Manuel Antonio Noriega, accusato di essere narco-rafficante, il quale aveva assunto la conduzione del paese il 16 dicembre.

 

Al termine del 19, ed al principio del nuovo giorno, l’allora Presidente statunitense George H. W. Bush, annunciava al mondo dalla Casa Bianca, che si era dato inizio a quella nuova operazione chirurgica contro il popolo fratello, che aveva versato sangue in varie occasioni contro la presenza militare nordamericana nel suo territorio, istallatasi per decenni attraverso più di una dozzina di basi militari situate alle porte della capitale nell’Oceano Pacifico, ed altre nei Caraibi.

 

Bastava attraversare il Ponte delle Americhe, per incontrare le basi navali, aeree e di ogni tipo, da dove, in quell’epoca, erano partite migliaia di operazioni di spionaggio contro i paesi della regione, e che avevano partecipato alla guerra sporca contro il Nicaragua ed ai movimenti insurrezionali in Honduras, Guatemala ed El Salvador.

 

Dalle basi Rodman, Koobe, Howard, Albrook Field, partivano le incursioni di militari statunitensi nei mesi precedenti l’invasione, in un’allerta permanente. Da lì partì anche la provocazione contro il Quartier Generale delle Forze di Difesa panamensi, che causò la morte di militari statunitensi, fatto che rese ancora più tesa la situazione e che creò le condizioni per l’occupazione.

 

Il recinto militare era ubicato nell’umile quartiere di El Chorrillo, successivamente abbattuto dalle devastanti armi statunitensi, creando migliaia di vittime collaterali. Anche la città Colón e la sua popolazione soffrì dell’invasione.

 

Nella base militare statunitense, Fort Clayton prese possesso della Troika, che aveva concorso nelle elezioni, e in questo sudicio modo, i soldati dell’82° Divisione Aerotrasportata e di 193 Brigate di Fanteria ottennero il potere a colpi di forza e di terrore, così come fecero altre forze di varie armi che occuparono il paese in lungo e in largo, per sommetterlo e cambiare il suo percorso politico, lasciando alle proprie spalle la distruzione delle infrastrutture, la morte dei cittadini e causando danni indelebili in molti panamensi.

 

Nei giorni immediatamente successivi all’invasione, il comando militare statunitense e, in particolare, il generale di brigata Marc Anthony Cineros, aveva espresso con cinismo e disprezzo che, all’inizio dell’attacco avrebbe cominciato una birra che, al ritorno dall’azione punitiva, sarebbe stata ancora fredda. Ma lo stratega statunitense non aveva fatto i calcoli con la resistenza nazionale, che diede mostra di coraggio e valore a dispetto della superiorità numerica e di armi dei vicini del nord. Gli aeri fantasmi Stealth entrarono nello spazio aereo panamense causando panico, armi di sterminio di massa furono utilizzate, si trattò di un terreno nel quale mettere in prova gli sviluppi tecnologici raggiunti per provocare la morte. Due anni dopo, lo avrebbero ripetuto con efficacia leale in Iraq.

 

Le forze statunitensi per giorni lasciarono che il panico provocasse caos nella città, il saccheggio dei magazzini della Vía España, delle aree commerciali di El Dorado e di altri punti, furono oggetto di vandalismi che cercavano di paralizzare e distogliere la fermezza degli oppositori.

 

Da marzo e da ottobre del 1988, quando già erano stati eseguiti tentativi di golpe per togliere dal potere i militari panamensi e i presidenti legittimamente eletti, che fallirono grazie all’intervento di forze leali, cominciò un’invasione silenziosa dei militari statunitensi che si appropriarono di case, e che svilupparono un vasto piano di ricerca di informazioni circa la capacità difensiva delle Forze della Difesa, delle possibilità di operazioni future, e che misero anche in marcia una vera e propria caccia al generale Noriega e ai principali capi militari. Furono corrotti molti uomini a lui vicini.

 

I bersagli da attaccare furono attentamente selezionati, non solo quelli militari, ma anche civili, come il citato quartiere, che venne fatto virtualmente sparire, come pure il Centro Ricreativo Militare, CEREMI, installato vicino all’aeroporto internazionale di Tocumen, distrutto dall’aviazione dell'invasore, che pensava che Noriega vi ci fosse rifugiato, o la base aerea di Río Hato, che ricevette un impatto sproporzionato da parte degli aggressori.

 

Il quartiere lavoratore di San Miguelito, oppose una tenace resistenza agli occupanti fin dall’inizio dell’invasione, in altri punti della capitale e del paese i fuochi popolari causarono il ritiro degli invasori, ai quali i loro capi avevano raccontato che sarebbero stati accolti dalla popolazione con fiori e bandiere.

 

L’assedio alle Ambasciate ed Organismi Internazionali accreditati fu intenso per evitare che i sostenitori del Governo rovesciato ed il popolo trovassero rifugio. Le sedi di Cuba, Nicaragua, Perù e Venezuela, tra le altre, furono sanzionate, collocate nei famosi Check Point, che cercavano di violare le più elementari norme del diritto internazionale, che proteggevano i funzionari diplomatici ed i propri familiari.

 

John Maisto era tra gli specialisti del “progetto golpe”, gruppo inter-agenzie statunitense composto da sperimentati esperti in colpi di stato. Maisto, nei primi giorni dell’invasione abbandonò il paese invaso, dopo aver creato la cosiddetta Cruzada Civilista Nacional, che giocò un ruolo decisivo nei preparativi precedenti, ispirata e creata a somiglianza del Namfrel, Movimento Nazionale per le Elezioni Libere. L’uomo maturò esperienza nel rovesciamento di Ferdinando Marcos, nelle Filippine nel 1986, prima ancora in Cile, durante il Governo dell’Unità Popolare; fu poi Ambasciatore in Nicaragua, Venezuela e di fronte all’OEA, per allungare il suo curriculum di invasore.

 

Venti anni dopo le minacce si sentono di nuovo con il “ritorno a casa” del “poter intelligente” del nuovo inquilino della Casa Bianca in America Latina, con l’istallazione di nuove e rinnovate basi militare, punte di lancia per la stabilizzazione della regione.

 

A Panama, gli accordi Torrijos Carter restituirono alla nazione il controllo di quelle istallazioni militari statunitensi, però alcune rimarranno ancora fino al 2015, e forse oltre, se i governi di turno si accordano con l’Imperio, con l’inflazionato pretesto dell’affronto al terrorismo ed al narcotraffico.

 

Come scrisse un grande del giornalismo internazionale, Julius Fuick, nelle linee del suo reportage ai piedi del patibolo: “Uomini, vi ho amato. State attenti!”.

 

 

Panama 20 anni dopo, nessuna

giustizia è stata fatta

 

18 dicembre 2009 - G.Carotenuto  da www.giannimina-latinoamerica.it

 

Nella notte tra il 19 e il 20 dicembre 1989, esattamente venti anni fa, gli Stati Uniti invadevano Panama. Prima della prima guerra del golfo e contemporaneamente al finto massacro di Timisoara, in Romania, al crepuscolo del socialismo reale di Ceaucescu, una terribile e vera strage fu occultata dai media. Panama doveva essere liberata dal narcodittatore Manuel Noriega, un uomo della CIA oramai più narco che dittatore. La realtà è che fu un massacro: da 500 ai 6000 morti.

 

Quando il 20 dicembre 1989, con l’operazione “giusta causa” l’esercito statunitense invase Panama, l’opinione pubblica mondiale era stata da mesi indottrinata sulla pericolosità di Noriega. E Noriega, “faccia d’ananas”, come molti altri, era un cattivo vero. Sicario, uomo della CIA e narcotrafficante fin dai primi anni ’70 (e la CIA ne era perfettamente a conoscenza come dimostrò Noam Chomsky nel 1992) divenne scomodo solo a partire alla fine degli anni ’80. Si mise contro le oligarchie e gli stessi Stati Uniti, che deciso di liberarsene. Era necessario qualcuno più presentabile di lui per proseguire nel processo di restituzione del Canale (senza perderne il controllo) che l’amministrazione Carter aveva accettato nel 1977 con la firma del trattato tra lo stesso Carter e Omar Torrijos, sicuramente la figura più importante della storia politica di Panama, e che nell’81 morì in un incidente/attentato probabilmente organizzato dalla stessa CIA.

 

Dopo Noriega Panama fu normalizzata. Endara, Pérez Balladares, Moscoso e Martín Torrijos, Martinelli, i presidenti succedutisi negli ultimi vent’anni, sono stati tutti ligi nel rispondere agli interessi degli Stati Uniti e delle oligarchie locali e nel disegnare la Panama neoliberale dove oggi Martinelli programma di impiantare altre sette basi militari statunitensi oltre alle quattro già decise.

 

Intanto quella notte e nei giorni successivi a Panama si era combattuta la prima guerra post-guerra fredda (il muro di Berlino era caduto da appena un mese). “Per garantire la vita dei cittadini statunitensi e la sicurezza del Canale”, questa la motivazione ufficiale, un numero imprecisato di panamensi, dai 500 ai 6000 perse la vita. Erano soprattutto abitanti di alcuni quartieri popolari, rasi letteralmente al suolo dai bombardamenti degli aerei invisibili Stealth, che ebbero in quella guerra così asimmetrica il loro battesimo del fuoco.

 

Furono uccisi, spesso nel sonno, per abbattere un presidente con il quale non avevano nulla da spartire. Almeno 20000 persone persero tutto per trasformarsi in profughi, senza tetto.

 

Giustizia per quelle morti non è mai stata fatta e alcune fosse comuni, El Chorrillo, Corozal, Arco Iris e Chepo non sono mai state aperte. Il processo a Noriega, tenuto nel 1992 in Florida, fu tutto meno che commendevole. Decine di narcotrafficanti testimoniarono per ottenne benefici e alla fine Noriega ebbe la necessaria condanna a 40 anni di prigione dorata.

 

 

Fronte sociale di Panama in allerta

per l’istallazione di basi navali
 

 

18 novembre 2009 - Mario Esquivel www.granma.cu (PL)


 

Il Fronte Nazionale per la Difesa dei Diritti Economici e Sociali di Panama (FRENADESO) ha ieri segnalato che il governo deve decidere la verità circa l’istallazione di basi aeronavali, annunciata recentemente dall’esecutivo.

 

Secondo l’organizzazione, le autorità hanno accordato la creazione di fino ad otto centri di questo tipo in diversi punti della geografia panamense, i quali “potrebbero essere usati dall’esercito statunitense”.

 

FERNADESO ha questionato il finanziamento di tali istallazioni e le forze che vi opereranno, prendendo in considerazione il fatto che nel paese, dall’invasione americana del 1989, manca l’esercito.

 

In questo senso, il movimento si è riferito a dichiarazioni dell’ambasciatrice degli Stati Uniti a Panama, Barbara Stephenson, che ha rivelato che tre organismi di sicurezza statunitensi alleneranno il personale panamense. 

 

Allo stesso modo, la diplomatica ha manifestato che Washington appoggerà con combustibile il lavoro delle imbarcazioni incaricate di azioni di pattugliamento, oltre a mostrare il suo accordo con lo stabilimento delle basi.

 

Resta da dire che il ministro del Governo e Giustizia, José Raúl Mulino, ha assicurato che le istallazioni saranno operate da panamensi grazie ad un accordo interistituzionale tra i servizi di Frontiere, Aeronavali e la Polizia Nazionale.

 

Le autorità considerano zone come l’Arcipelago delle Perle, Baia Ananas (Darién) e Rambala (Bocche del Toro) come possibili luoghi di ubicazione delle stazioni.

 

Recentemente, gruppi di studenti hanno condotto azioni di protesta in rifiuto a questa iniziativa, che, considerano, servirà per imporre la presenza statunitense.

 

 

Le forze armate USA tornano

ad occupare le basi di Panama

 

11 novembre 2009 - A.Mazzeo www.coordinamentobolivariano.org


Procede senza sosta la controffensiva del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti in America latina. Dopo aver firmato un accordo con il governo colombiano per l’utilizzo di sette basi aeree, Washington ha ottenuto dalle autorità panamensi l’autorizzazione a reinstallare proprie unità militari in quattro stazioni navali di fondamentale importanza per il controllo del Canale di Panama e dei Carabi. Lo ha denunciato il diplomatico Julio Yao, presidente del Servicio de Paz y Justicia, durante il discorso ufficiale pronunciato il 3 novembre scorso in occasione dell’annuale festa di commemorazione del “padre dell’indipendenza” panamense, Manuel Amador Guerrero. Alla presenza del presidente Ricardo Martinelli e delle maggiori autorità civili e militari del paese, Julio Yao ha lanciato parole durissime nei confronti del governo, stigmatizzando la decisione che “viola apertamente la sovranità nazionale”. “Le basi aereonavali e della polizia panamensi messe segretamente a disposizione degli Stati Uniti per lanciare possibili operazioni in tutta la regione – ha dichiarato il diplomatico - accentuano la militarizzazione di un ampio spazio territoriale e sono una franca cospirazione contro la pacifica convivenza tra i popoli e la soluzione pacifica dei conflitti”.
La cessione di infrastrutture militari alle forze armate USA era trapelata già a fine settembre, dopo la visita a Panama della Segretaria di Stato, Hillary Clinton. Allora, il ministro alla Giustizia, Jose Raúl Mulino, aveva però ammesso solo la firma di un accordo di cooperazione bilaterale per rafforzare la presenza delle forze di sicurezza panamensi in due basi navali, a Bahía de Piña nella provincia del Darién, al confine con la Colombia, e a Punta Coca (Veraguas), nella parte sud-occidentale del paese. “Si tratterà esclusivamente di stazioni interforze panamensi, a disposizione dei Servizi di Frontiera e Aeronavali e della Polizia Nazionale, per rispondere all’esigenza di maggiori controlli delle coste panamensi contro il traffico di stupefacenti”, dichiarava il rappresentante dell’esecutivo.
Un mese dopo le basi militari sono divenute quattro e il loro uso è stato concesso alle forze armate statunitensi. “Si sono pure moltiplicate le finalità di queste installazioni militari”, commenta Marco Gandásegui, docente dell’Università di Panama e ricercatore del Centro di Studi Latinoamericani (CELA) “Justo Arosemena”.

“Accanto alla “lotta al traffico di droga”, compare il riferimento all’obiettivo di “frenare il traffico di persone illegali” e il “terrorismo”, eufemismo che i funzionari nordamericani possono interpretare come vogliono”. Oltre alle due basi navali di Bahía de Piña e Punta Coca, le forze armate USA potranno contare sull’utilizzo di un’infrastruttura aeronavale che sorge nell’isola di Chapera, nell’arcipelago de “Las Perlas”, e della base di Rambala, nella provincia di Bocas del Toro. Con l’accordo sottoscritto con il governo panamense, le forze armate statunitensi tornano ad assumere il controllo di Panama, dieci anni dopo aver abbandonato le 14 basi e stazioni radar che detenevano nel paese da tempo immemorabile.

L’articolo V del Trattato di Neutralità firmato nel 1977 dagli allora presidenti Omar Torrijos (Panama) e Jimmy Carter (USA) aveva stabilito che Panama avrebbe riacquisito il pieno controllo del Canale a partire dell’1 gennaio 2000 e che solo le autorità di questo paese avrebbero potuto mantenere forze e installazioni militari di difesa all’interno del territorio nazionale.
Nel 2002, però, un accordo tra il governo di Panama e l’ambasciatore James Becker, aveva disposto che i porti e gli aeroporti del paese centroamericano potessero essere utilizzati dalle forze armate statunitensi per esercitazioni militari o trasferimenti transitori di truppe e armamenti. “Un accordo senza alcun fondamento costituzionale che consente pure agli Stati Uniti d’America d’invitare paesi terzi a fare ingresso nel nostro territorio con il proposito di cooperare nella guerra contro il terrorismo, il narcotraffico e altri delitti internazionali”, spiega il diplomatico Julio Yao. “Secondo questo accordo, Panama è pure costretta a non poter esercitare alcuna giurisdizione sui funzionari civili e militari USA accusati di crimini di guerra, né può sottometterli a giudizio del Tribunale Penale Internazionale”.
Nell’ultimo triennio, la presenza di unità navali USA si è fatta sempre più frequente nelle acque territoriali e nei porti panamensi, in particolare quello di Vasco Nuñez de Balboa, all’interno del Canale, confinante con una (ex) stazione di trasmissione dell’US Navy utilizzata per le comunicazioni con i sottomarini in transito negli oceani. Panama, in particolare, è sede fissa delle operazioni della IV Flotta USA e della “Southern Partnership Station”, la missione navale attivata periodicamente nei Carabi e in America latina dall’US Southern Command (il Comando Sud delle forze armate USA) con finalità di addestramento e cooperazione militare per la “sicurezza di teatro” e l’interdizione del narcotraffico e delle migrazioni. Dall’11 al 22 settembre scorso, il Canale di Panama ha ospitato una delle più grandi esercitazioni aeree e navali mai realizzate a livello internazionale, Panamax 2009, a cui hanno partecipato 4500 militari, 30 navi da guerra e decine di cacciabombardieri di 20 nazioni straniere.
“Con l’esercitazione sono state sperimentate tutta una serie di risposte alla richiesta di protezione e assicurazione della libertà di transito attraverso il Canale”, si legge in una nota diffusa dall’US Southern Command, che ha pure enfatizzato l’importanza strategica di questo corridoio interoceanico per l’economia e il commercio USA e mondiale.
Gli Stai Uniti rappresentano oggi il maggior partner economico di Panama; si tratta però di un rapporto fortemente sbilanciato a favore di Washington. Nel 2008 il surplus degli scambi con il paese centroamericano è stato infatti di 4,3 miliardi di dollari, l’ottavo in ordine di grandezza a livello mondiale degli Stati Uniti. La concessione delle quattro basi panamensi alle forze armate USA viene considerata proprio in funzione del rafforzamento del controllo economico di Washington sul paese e sul Canale. Parallelamente al nuovo patto militare, la nuova amministrazione Obama e il governo di Panama hanno concluso un importante accordo di libero commercio (Free Trade agreement - FTA).
“Il nuovo trattato di libero commercio incoraggerà l’espansione e la diversificazione del commercio USA con Panama eliminando le barriere doganali e facilitando la movimentazione di beni e servizi a favore delle imprese statunitensi”, ha commentato James M. Roberts, ricercatore in “Libertà economiche e Sviluppo” del Centro per il Commercio Internazionale della ultraconservatrice Heritage Foundation. “L’FTA USA-Panama offrirà un insieme di regole chiare e vincolanti che favoriranno stabilità e prevedibilità. Le regole dell’accordo di libero commercio per servizi, attività, investimenti, commesse governative, diritti di proprietà intellettuale e risoluzione di dispute saranno maggiori di quelle previste dagli standard dell’Organizzazione per il Commercio Mondiale. L’FTA garantisce un trattamento non discriminatorio per i capitali stranieri e legittima la preparazione di ulteriori trasferimenti di tecnologie e migliori pratiche tra i paesi partner”.
Sempre secondo il ricercatore dell’Heritage Foundation, il nuovo accordo di libero commercio dovrebbe permettere alle imprese USA di recuperare lo “svantaggio competitivo” nella gestione del traffico attraverso il Canale, dopo che “la società cinese con sede a Hong Kong, Hutchison Whampoa, Ltd., ha firmato accordi di affitto a lungo termine con il governo panamense per operare nei porti commerciali strategici di Cristobal sull’Atlantico e Balboa sul Pacifico”.
Washington punta inoltre a spostare a proprio favore l’esito negativo della gara per i lavori di ampliamento del Canale di Panama (costo stimato 5,25 miliardi di dollari), gara appena aggiudicata ad un consorzio europeo che vede capofila l’italiana Impregilo. “Assicurato l’FTA, le compagnie USA potrebbero posizionarsi meglio per i lucrativi appalti di costruzione”, scrive ancora James M. Roberts.
“La maggior parte delle attrezzature che saranno utilizzate per costruire il nuovo sistema di chiuse, ad esempio, potrebbero essere prodotte negli Stati Uniti”. Immancabili, infine, le considerazioni di ordine geo-strategico, finalizzate all’isolamento e alla sconfitta dei nuovi “nemici” di Washington negli scenari latinoamericani.
“L’accordo di libero commercio con Panama – conclude il ricercatore – aiuterà a contrarrestare la crescente corrente rappresentata dal Chavismo che ha fortemente circondato la Colombia e provocato l’odierna crisi in Honduras, e che minaccia di minare gli interessi emisferici USA”.

 

 

Le elezioni a Panama
Un cambio nell’orientamento politico

 

4 maggio '09 - M.Esquivel www.granma.cu (PL)

 

La vittoria  dell’imprenditore  Ricardo Martinelli nelle elezioni a Panama, con risultati ancora extraufficiali che gli assegnano circa il 60% dei voti, colloca il paese di fronte ad un eventuale cambio d’orientamento della politica.

 

Appoggiato da un’alleanza che integra i partiti Cambio Democratico, Panameñista, Unione Patriottica e Movimento Liberal- Repubblicano Nazionalista (MOLIRENA), il presidente eletto ha utilizzato a suo favore i severi problemi di gestione dell’attuale governo.

 

Considerato un politico di destra, Martinelli ha detto di recente alla stampa straniera che vedeva se stesso come un panamense preoccupato per i problemi del paese.

 

Nell’ambito della sua campagna ha fatto promesse d’apporto di soluzioni a problemi come quello del trasporto pubblico, con la costruzione di una metropolitana valutata 1.100 milioni di dollari.

Questo però è un progetto a lungo tempo e richiede il disegno di alternative immediate, come la ricerca di finanziamenti per realizzare  vari degli impegni presi prima delle elezioni.

 

Martinelli ha incluso tra le priorità della politica estera la ratificazione del Trattato di Libero Commercio - TLC - con gli Stati Uniti e considera  una possibile uscita del paese dalla struttura del Parlamento Centroamericano (PARLACEN).

 

Dopo l’esperienza iniziale delle elezioni del 2004, quando restò al quarto posto  con solo il 5,3% dei voti, Martinelli si è lanciato in una nuova campagna elettorale per la presidenza ed ha avuto successo.

 

Nella prossima settimana sia il presidente eletto che l’attuale presidente Martín Torrijos, dovranno ultimare il processo di transazione la cui fase finale avverrà il 1º luglio, con la nomina ufficiale e la presa del potere della nuova amministrazione.