IL Parlamento europeo condanna il Venezuela.

 

Erano 27 in aula ma la stampa non lo dice

 

 10 maggio 2009 - G.Carotenuto tratto da www.gennarocarotenuto.it

 

Aprendo il quotidiano “El País” di Madrid di stamane, giornale dal quale spesso i nostri giornali ricalcano l’informazione latinoamericana, si trova un lungo e soddisfatto articolo. Il Parlamento europeo, come fosse un tribunale, avrebbe condannato il Venezuela con parole senza precedenti. Virgolettando si informa che ha espresso la sua “enorme preoccupazione per il deterioramento della qualità della democrazia in Venezuela” oramai “in grave rischio di collasso” per la “concentrazione di potere e l’autoritarismo crescente del presidente Hugo Chávez”. Inoltre il parlamento europeo -cosa a ben pensarci inaudita- solidarizza con i capi dell’opposizione che soffrono persecuzioni politiche e prosegue ricopiando e approvando gran parte della risoluzione del Parlamento Europeo. Cosa c’è che non va in questa risoluzione? Cosa nasconde la multinazionale Prisa che edita il quotidiano spagnolo?
Quello che “El País” nasconde, non si trova neanche a cercarlo con la lente d’ingrandimento, e rappresenta un chiarissimo caso di disinformazione, è che la risoluzione si è approvata in un’aula deserta con appena 27 parlamentari su 785, il 3% del totale. Non solo, “El País” tergiversa sul fatto che tutti i 27 votanti appartengono a gruppi di destra e di estrema destra e che il 97% dei parlamentari europei (758 contro 27) di destra, centro e di sinistra hanno semplicemente snobbato una risoluzione che in un documento si definisce dal contenuto che mostra “un chiaro accanimento” antivenezuelano e “un linguaggio artatamente distruttivo”. Insomma spazzatura ma che al gruppo Prisa, da anni impegnato in America latina come punta di lancia delle multinazionali iberiche, fa gioco.
Ovvero la notizia è semmai che il 97% dei parlamentari europei rifiuta di condannare il Venezuela. È inoltre peculiare il fatto che “El País”, quotidiano che appoggia in Spagna il PSOE (Partito Socialista al governo) si spelli le mani per una risoluzione che nessun parlamentare del PSE (Partito Socialista Europeo) ha avuto il cuore di votare perché impresentabile.
Il caso che ha originato la risoluzione votata dai neofascisti e affini europei piaciuta tanto a “El País” è però molto importante. È quello di Manuel Rosales, candidato presidenziale nel 2006 contro Hugo Chávez ed ex-sindaco di Maracaibo e governatore dello Stato di Zulia che, accusato di corruzione e arricchimento illecito, si è proclamato perseguitato politico e ha chiesto e ottenuto asilo in Perù dove governa Alán García, amico intimo dell’ex presidente venezuelano Carlos Andrés Pérez (e di Bettino Craxi) a sua volta destituito per corruzione nei primi anni ‘90. Chi scrive ha brevemente conosciuto Manuel Rosales e ne ha scritto come l’espressione di una maturazione dell’opposizione che per la prima volta si apponeva a Chávez in maniera non golpista.
Tuttavia gli innumerevoli casi di malversazione di fondi pubblici e di corruzione che hanno coinvolto in questi anni Rosales non possono essere rubricati come persecuzione politica. Quello che né i parlamentari di destra e ultradestra a Bruxelles né “El País” dice è che è la stessa INTERPOL a classificare come pienamente giustificata la richiesta di estradizione per Rosales perché non vi si desume “alcun pericolo di persecuzione politica, razziale, religiosa o militare”. È il presidente peruviano, per suoi fini, ad aver concesso l’asilo senza che alcuna persecuzione fosse in atto e sottraendo un inquisito alla giustizia venezuelana. Questa ha tutto il diritto di inquisire Rosales, che dovrebbe dimostrare come ha fatto ad arricchirsi smisuratamente in meno di dieci anni da pubblico amministratore.
La verità è un’altra ed è un punto debole senza via di uscita per il governo di Hugo Chávez. Se la magistratura si occupa di corruzione finisce inevitabilmente per occuparsi degli enormi arricchimenti illeciti degli ultimi cinquant’anni che spesso corrispondono a personaggi attivi nell’opposizione e incorre nell’accusa di voler perseguire oppositori politici. Se non lo fa però, e negli ultimi dieci anni lo ha fatto troppo poco, il bubbone della corruzione endemica non verrà mai inciso. Ma non aspettatevi che questo ve lo spieghi “El País”.