Messaggio da Cuba agli intellettuali

ed agli artisti afro-nordamericani

 

 

 

7 dicembre '09 - www.granma.cu

 

Un proverbio Yoruba dice: "La menzogna può correre un anno, alla verità basta un giorno”. Anche se per lungo tempo l’opinione pubblica nordamericana ha cercato d’imporre, dai circoli politici più intolleranti e con i mezzi di comunicazione più poderosi, un’immagine distorta della società cubana contemporanea, in un modo o in un altro la realtà si è sempre aperta il cammino.

 

Succederà così, ne siamo sicuri, quando si conosceranno gli argomenti che smentiscono le bugiarde affermazioni sulla nostra società, contenete in un documento circolato lo scorso 1º dicembre a nome di un gruppo d’intellettuali e di leader afro-nordamericani.

 

Dire che tra di  noi esiste un insensibile disprezzo per i cubani negri, che si ledono le libertà civili per ragioni di razza ed esigere che “si ponga fine all’ inutile e brutale maltrattamento dei cittadini negri in Cuba, che difendono i loro diritti civili”, sembrerebbe una delirante elucubrazione se non fosse che dietro a queste finzioni si evidenzia la maligna intenzione di sommare rispettabili voci della comunità afro-nordamericana alla campagna anticubana che  pretende di corrodere la nostra sovranità e identità.

 

Se la Cuba di questi tempi fosse questo paese razzista che si vuole inventare, i suoi cittadini non avrebbero certo contribuito in massa alla liberazione dei popoli africani.

 

Più di 350000 volontari cubani hanno combattuto assieme ai loro fratelli  dell’Africa contro o il neocolonialismo. Più di 2000 combattenti dell’Isola sono morti nelle terre di quel continente. Una personalità d’indiscutibile rilievo mondiale, Nelson Mandela, ha riconosciuto il ruolo di questi volontari nella disfatta definitiva dell’infamante regime d’apartheid in Africa. I cubani hanno riportato solo i resti dei loro morti.

 

Se la Cuba di oggi sentisse questo disprezzo per il negro, più di 35000 giovani non avrebbero mai studiato nelle nostre scuole, negli ultimi 40 anni, e nemmeno 2800 giovani di una trentina di paesi di questa regione studierebbero oggi nelle nostre università.

 

Un popolo malato di razzismo non collaborerebbe mai alla formazione di medici e risorse umane nell’area della salute e nelle facoltà  di Scienze Mediche create in Guinea Bissau, Guinea Equatoriale, Gambia  ed Eritrea; gli specialisti cubani non lavorerebbe ai programmi d’assistenza sanitaria che hanno salvato migliaia di vite in vari territori dell’America Latina e dei Caraibi, dov’è significativa la presenza della diaspora africana e non avrebbero mai assistito più di 20000 haitiani e afro-caraibici di  lingua inglese che hanno recuperato la vista grazie ad operazioni chirurgiche praticate gratuitamente nell’Isola.

 

È molto probabile che la maggioranza dei firmatari del documento non ha saputo che dopo la devastazione provocata dall’uragano Katrina a New Orleans decine di medici e personale paramedico cubano, si offersero per assistere volontariamente le vittime del ciclone,  in un gesto umanitario che non ricevette nemmeno una risposta dalle autorità nordamericane.

 

Forse ignorano anche in che modo, nei primi giorni che seguirono la vittoria popolare del 1959, furono smantellate le basi istituzionali e giuridiche d’una società razzista. La Rivoluzione cubana incontrò nel 1959 una situazione disperata per la maggioranza della popolazione. Gli afro-discendenti cubani, che erano tra le vittime più colpite dal modello neocoloniale imperante nell’Isola, si beneficiarono immediatamente con la battaglia che sferrò il Governo Rivoluzionario per sradicare ogni forma d’esclusione, includendo il feroce razzismo che caratterizzava la Cuba d’allora.

 

La politica di Cuba, contro qualsiasi tipo di discriminazione e a favore dell’uguaglianza, ha come supporto la Costituzione e si esprime nei paragrafi  che si riferiscono alle fondamenta politiche, sociali ed economiche dello Stato ed ai diritti, doveri e garanzie dei cittadini. I diritti costituzionali, come i meccanismi ed i mezzi per renderli effettivi e per stabilire la legalità di fronte a qualsiasi violazione di questi, si garantiscono mediante una precisa legislazione complementare.

 

Come non era mai avvenuto nella storia di Cuba, i negri ed i mulatti hanno ottenuto, nel processo di trasformazione intrapreso nell’ultimo mezzo secolo, opportunità di realizzazione sociale e personale, sostentata nella politica e con programmi che hanno dato priorità allo spiegamento di quello che l’antropologo cubano Don Fernando Ortiz chiamò “L’irrinunciabile fase integrativa della società cubana”.

 

Si tratta, lo sappiamo, di un processo che non è esente da conflitti e  da contraddizioni per coloro sui quali gravitano svantaggi sociali ereditati come pregiudizi radicati da secoli.

 

Sei anni fa Fidel Castro, parlando a L’Avana con pedagoghi cubani e stranieri, commentò che: “Ancora oggi in società come quella di Cuba, sorta da una Rivoluzione sociale radicale, dove il popolo ha conquistato la piena e totale uguaglianza legale ed un livello d’educazione che ha rigettato la componente soggettiva della discriminazione, questa esiste ancora in altre forme. La definisco come una discriminazione oggettiva, un fenomeno associato alla povertà e ad un monopolio storico delle conoscenze”.

 

Chi osserva la vita quotidiana in qualsiasi luogo del paese, potrà avvertire che si  porta avanti un grande sforzo per superare definitivamente i fattori che condizionano questa situazione, mediante i nuovi programmi orientati ad eliminare tutti gli svantaggi sociali.

 

Gli intellettuali  afro-nordamericani devono sapere come i loro colleghi hanno affrontato questi temi e promuovono azioni dal luogo  notevole che occupano nella società civile.  Alcuni dei programmi  precedentemente citati sorsero dai dibattiti  svolti nel 1998 durante il VI Congresso della Unione degli scrittori e gli Artisti di Cuba (UNEAC), in un dialogo franco ed aperto con le massime autorità dello Stato e con l’allora presidente, Fidel Castro.

 

Va ricordato che l’organizzazione che raggruppa l’avanguardia del movimento intellettuale ed artistico di Cuba, ha avuto come presidente fondatore un poeta negro, Nicolás Guillén, uno dei più importanti poeti di lingua spagnola del XX secolo, attivo combattente contro la discriminazione razziale ed amico personale di Langston Hughes e Paul Robeson.

 

Nel seno della UNEAC, organizzazione che non ha mai tralasciato questa problematica, è stato creato un Comitato Permanente per lottare da una prospettiva culturale contro ogni rimanenza di discriminazione e pregiudizio razziale.

 

In un paese razzista sarebbe impensabile la fondazione con il funzionamento di istituzioni come la Casa de Africa, la Fondazione Fernando Ortíz, la Casa dei Caraibi, a Santiago, il Centro di Studi dei Caraibi della Casa delle Americhe o l’Istituto Nazionale di Antropologia che, tra l’altro, svolgono investigazioni a fondo sul legato africano nella nostra cultura e sulle relazioni inter-razziali nell’Isola. 

 

Non riceverebbero appoggio e nemmeno il più ampio riconoscimento sociale le entità artistiche tanto apprezzate come il Congiunto Folcloristico Nazionale, il Balletto Folcloristico di Camagüey, e il Congiunto Folcloristico dell’ Oriente. Non esisterebbe il Museo della Rotta dello Schiavo, il primo del genere in America Latina e nei Caraibi ed uno dei principali risultati dell’impegno e dell’apporto degli africani, strappati a forza dalle loro terre d’origine e portati in queste, dove hanno contribuito alla formazione di nuove identità.

 

Se l’odio razziale fosse un sentimento dominante nella nostra società, sarebbe solo un gesto retorico la commemorazione del centenario della fondazione del Partito Indipendente di Colore, sulla base del recupero della memoria storica d’una tappa delle lotte e degli sforzi del popolo cubano, per i suoi diritti e la sua liberazione da tutte le dominazioni.

 

Genuini portatori della cultura musicale tradizionale, molto apprezzati dal  pubblico nordamericano, come Los Muñequitos de Matanzas e i gruppi  Yoruba Andabo e Clave y Guaguancó, dovrebbero lavorare come braccianti mal pagati, nei porti, fare i parcheggiatori di macchine, i lustrascarpe o i domestici, se non si riconoscesse il oro grandissimo talento.

 

Una società razzista non si sarebbe impegnata nella traduzione e pubblicazione di centinaia di opere letterarie di decine d’autori africani e  afro-caraibici. 

 

In una delle sue visite a Cuba, il Premio Nobel nigeriano, Wole Soyinka, ha dichiarato: "È difficile incontrare un altro luogo, nell’emisfero occidentale, dove l’avidità di conoscere  gli scrittori africano è così forte nell’interesse delle istituzioni accademiche”.

 

Gli intellettuali e gli artisti cubani ringraziamo per la solidarietà, la comprensione ed il rispetto che molte personalità afro-nordamericane hanno mostrato per la realtà cubana in mezzo secolo. Non abbiamo mai impedito di condividere le nostre idee politiche e non abbiamo mai condizionato il dialogo od alcun tipo di appoggio o adesione, e per un elementare sentimento di etica rispettiamo i loro punti di vista.

 

Forse è opportuno che i firmatari della dichiarazione che commentiamo ascoltino senza pregiudizi questi criteri.

 

Siamo convinti che facendolo, come dice il proverbio Yoruba, la verità avrà il suo giorno.

 

 

Nancy Morejón, poetessa e saggista
Miguel Barnet, poeta e antropologo
Esteban Morales, politologo e saggista
Eduardo Roca (Choco), artista
Heriberto Feraudy, storiografo e saggista
Rogelio Martínez Furé, africanista 
Pedro de la Hoz, giornalista e saggista
Fernando Martínez Heredia, sociologo e saggista