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I Cinque cubani sul

soffitto d'America

 

25 gennaio 2010 - Atilio Boron  professore universitario, scrittore, giornalista (pl)

 

L’Ambasciata di Cuba a Buenos Aires celebra la salita al Aconcagua in onore ai Cinque

 

26 gennaio 2010

 

L’Ambasciatore di Cuba in Argentina, Aramis Fuente Hernández ha trasmesso il ringraziamento del popolo del suo paese per la prodezza solidaria degli alpinisti argentini con i cinque antiterroristi reclusi negli Stati Uniti.

In un atto celebrato nella missione diplomatica ha ricevuto i tre alpinisti di Neuquén che hanno realizzato la spedizione all’Aconcagua, a quasi sette mila metri di altezza sul livello del mare, per collocarvi una bandiera reclamando libertà per i cinque giovani cubani ingiustamente reclusi dal 1998.

Ha qualificato come straordinaria la prodezza di Santiago Vega, conduttore radio-televisivo, e Alcides Bonavitta, attivista sociale, che, con l’appoggio indispensabile di Aldo Bonavitta, ha espresso in questo modo il suo ripudio all’ingiustizia commessa contro Ramón Labañino, Gerardo Hernández, Antonio Guerrero, Fernando González e René González.

Voi non avete solo portato una bandiera fino al Tetto d’America, ma anche una convinzione ed un ideale, ha detto l’Ambasciatore dell’isola, che ha aggiunto che si tratta di un azione straordinaria per una causa straordinariamente giusta come quella di reclamare la libertà di cinque lottatori contro il terrorismo che non avrebbe dovuto passare neppure un giorno di reclusione.

Hanno assistito all’incontro il politologo e scrittore argentino Atilio Borón, il giurista Carlos Zamorano, della Lega Argentina per i Diritti dell’Uomo, Graciela Ramírez, coordinatrice generale del Comitato Internazionale di Libertà per i Cinque, e Carlos “Calica” Ferrer, compagno di Ernesto Guevara nel suo secondo viaggio per l’America Latina.

C’erano anche Carlos Aznárez, direttore della pubblicazione Riassunto Latinoamericano, Norberto “Champa” Gaiotti, della Multisettoriale di Solidarietà con Cuba di Rosario e attivisti argentini del Comitato per la libertà dei Cinque.

Il 10 gennaio tre giovani andinisti argentini, della provincia del Neuquen, sono arrivati sulla cima dell'Aconcagua, il picco più alto di America che si alza a 6959 metri sul livello del mare.

 

Questa impresa molto importante, realizzata da Santiago Vega, conduttore radio-televisivo; Aldo Bonavitta, impiegato bancario, ed Alcides Bonavitta, attivista sociale, ha avuto un obiettivo politico tanto chiaro come nobile: esprimere la solidarietà del popolo argentino con la causa dei Cinque lottatori antiterroristi cubani, mantenuti in prigione dall'impero per undici anni, in condizioni che neanche vengono applicate al più feroce serial killer di questo paese. Condannati, inoltre, mediante giudizi assolutamente viziati che fanno giudicare l'incarceramento dei Cinque un affronto al dovuto processo ed all'impero della legge.

 

Gli agenti dell’intelligenza cubana Ramon Labañino, Gerardo Hernandez, Antonio Guerrero, Fernando Gonzalez e Renè Gonzalez sono stati ingiustamente ed illegalmente imprigionati per investigare attività terroristiche nella comunità cubana di Miami ed il loro caso costituisce una rotonda smentita alla pretesa lotta contro il terrorismo che dice di svolgere Washington.

 

Il caso de “I Cinque” rivela come pochi la portata della putrefazione morale dell'impero. Se sono in carcere negli Stati Uniti è precisamente per avere lottato contro il terrorismo.

 

Invece, godono della libertà terroristi provati e confessi come Luis Posada Carriles e Orlando Bosch Avila, responsabili dell'esplosione dell'aeroplano di Cubana di Aviazione causante 73 morti, essendo stato il primo dei famosi beneficiato con un indulto presidenziale: questo è perché Washington difende e protegge il terrorismo, come nel suo momento lo ha fatto con Osama Bin Laden, Saddam Hussein, Videla, Pinochet e la tenebrosa rete di mercenari che nella cornice del Piano Condor ha fatto scomparire ed ha torturato quasi mezzo milione di latinoamericani.  

La reclusione degli eroi antiterroristi cubani è uno scandalo, la cui immoralità denuncia palesemente che agli Stati Uniti non interessa assolutamente il fatto di combattere il terrorismo e che la sua predica in questo senso è una monumentale ipocrisia. Se Barack Obama vuole essere fedele alla memoria di chi nel suo discorso di Oslo ha considerato come uno dei suoi mentori, Martin Luther King, dovrebbe perdonare “I Cinque” oggi stesso e respingere con fermezza e dignità il parlottare della mafia terrorista introdotta nelle principali agenzie e dipartimenti dei tre poteri dello stato nordamericano.

 

Una mafia, inoltre, articolata con la destra radicale e con i grandi interessi del complesso militare-industriale, che sono degli oppositori intransigenti a qualunque iniziativa mediamente progressista che vorrebbe mettere in pratica chi arrivasse alla Casa Bianca seducendo l'elettorato con le sue promesse di cambiamento e la sua consegna di “Sì, possiamo.”  

Se Obama non perdona i lottatori antiterroristi, come l'esige la comunità internazionale - e lo reclama la bandiera che i coraggiosi andinisti di Neuquen hanno inalberato sulla cima dell'Aconcagua -, è perché o la sua integrità morale è tarlata per insanabili debolezze (cosa che è grave per un Premio Nobel della Pace) o perché non ha l'audacia e la prodezza necessarie per confrontarsi col “governo permanente” degli Stati Uniti: il fatidico complesso militare-industriale che è quello che realmente dirige i destini del paese del nord, facendo della democrazia nordamericana tanto esaltata uno scherzo sanguinante.

 

L'insanabile degradazione morale dell'impero e del nuovo elenco governante è scoppiato come il pus quando alcuni mesi fa il Dipartimento di Stato ha negato il visto di entrata temporale negli Stati Uniti ad Adriana Perez O’Conor, moglie di Gerardo Hernandez Nordelo.

 

In questa farsa legale montata a Miami col consenso di Bill Clinton, di George W.Bush e, ora, del Premio Nobel della Pace, Gerardo è stato condannato a due ergastoli più quindici anni di prigione. Come se tale mostruosità penale non fosse sufficiente la “giustizia” statunitense gli ha proibito, durante undici anni, la visita di sua moglie, qualcosa che non è proibito neanche al peggiore criminale confinato nelle loro carceri. In questo infame episodio, degno di figurare come un nuovo capitolo del memorabile libro di Jorge Luis Borges, “Storia Universale dell'Infamia”, l'attuale Segretaria di Stato Hillary Clinton ha dichiarato, per giustificare quello che è ingiustificabile, che la visita di Adriana “costituisce una minaccia alla stabilità e sicurezza nazionale degli Stati Uniti”. Poche espressioni possono superarla nel momento di dimostrare il marciume morale dell'impero.

 

Magari la prodezza di Santiago, Aldo ed Alcides sull'Aconcagua servirà affinché Obama prenda coscienza del discredito universale in cui sta cadendo per mantenere la politica dei suoi predecessori in relazione a due temi chiave: l'ingiusto incarceramento de “I Cinque” ed il mantenimento del bloqueo criminale contro Cuba.