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LIBERTÀ PER I CINQUE EROI

 

 

Reportage di El País edizione
 

dei Paesi Vaschi
 

Le spose dei detenuti cubani incarcerati nel paese statunitense denunciano nel Parlamento vasco la situazione dei propri mariti

 

 

5 novembre 2010 - www.granma.cu

 

 

 

La prima volta che Ivette González ricorda di aver visto suo padre, aveva 13 mesi. La bambina guardò sua madre ed esclamò “guau, guau”, spiega la donna, Olga Slanueva. Il capo famiglia, René González, era in carcere da quando la bimba aveva quattro mesi, e gli permisero di vederla solamente ammanettato a una sedia e circondato da agenti dell’FBI. González, arrestato nel 1998 a Miami, è uno dei membri del gruppo dei Cinque, cittadini cubani incarcerati negli Stati Uniti, accusati di spionaggio e cospirazione per omicidio.

 

Salanueva e Adriana Pérez, moglie di Gerardo Hernández, un altro dei membri del gruppo, da allora denunciano la situazione dei loro mariti perché, assicurano, non si è mai provato nessuno dei delitti dei quali sono accusati. Le due donne hanno esposto alla Commissione di Diritti del Parlamento vasco il caso e offerto una conferenza stampa a Bilbao.

 

“L’ultima volte che ho vidi mio marito, era il 16 agosto del 2000”, ricorda con voce tremante Salanueva. La procura ha cercato di convincere René a testimoniare in cambio del permesso per lei e le sue due figlie di rimanere negli Stati Uniti. González non accettò, e la sua famiglia venne deportata a Cuba. Da allora, il contatto è stato intermittente, attraverso lettere e telefonate.

 

Gli Stati Uniti hanno sempre affermato che i Cinque spiavano agenzie ufficiali del paese e che si infiltrarono nel Comando Sud dell’Esercito, mentre Cuba assicura che entrarono solamente in gruppi anti-castristi della Florida per prevenire attacchi terroristi.

 

La Salanueva non solo ha le forze per difendere la causa di suo marito, ma ha anche parole per l’ingiustizia commessa contro le famiglie degli altri prigionieri (Ramón Labañino, Antonio Guerrero, e Fernando González) e anche per quella della sua compagna di viaggio. “Il più crudele è il caso di Gerardo. È da prima dell’arresto che Adriana non lo vede. È una coppia che non ha potuto avere figli”.

 

L’amarezza non vince queste due donne. Alla Salanueva restano solo tre anni per ritrovare suo marito, condannato a 15. Ma la Pérez, come lei stessa spiega, “dovrei vivere tre vite per poterlo vedere uscire dal carcere. Hernández, condannato a due catene perpetue e 15 anni, è il membro del gruppo con la maggiore sanzione. Il Tribunale di Miami che lo giudicò, lo condannò anche per aver partecipato all’esplosione dei due aeri di Fratelli al Riscatto, un’associazione anti-castrista, nel 1996.

 

Lo sconforto non ha neppure colpito i detenuti cubani. “René così come i suoi compagni, è incarcerato assieme a gente che ha commesso omicidi, stupri, o che ha trafficato droga. Eppure è molto rispettato”, assicura la Salanueva che aggiunge che i loro mariti stanno aiutando gli altri detenuti ispano-ammericani con l’inglese. “Si sono guadagnati il rispetto di chi è cosciente che non dovrebbero essere in carcere”, assicura.

 

Anche la Pérez ostenta la stessa fiducia nell’innocenza di suo marito che, afferma, ha saputo un anno fa della morte di sua madre per telefono. “Bisogna rispettare i diritti di ogni prigioniero, indipendentemente dal fatto che sia o meno colpevole. Non sto dicendo che si facciano leggi straordinarie per loro, ma che gli Stati Uniti rispettino i loro stessi regolamenti carcerari” chiedono le mogli che sembra quasi che si accontenterebbero di poter almeno visitare i mariti.

 

Il Governo cubano ha da tempo esperito tutte le vie giudiziali per riaprire il caso.

 

Gli resta solo la pressione che i famigliari, che dal 1998 hanno percorso praticamente tutta l’Ispanoamerica, e gran parte di Europa e Africa per esporre la situazione dei Cinque.

 

Recentemente hanno ricevuto un gran aiuto mediatico quando un gruppo di attori statunitensi (Sean Penn, Susan Sarandon, Martin Sheen…) hanno chiesto a Barack Obama la liberazione dei detenuti.