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Il traduttore si scusa per gli errori

 

 

Ad otto anni dal colpo di Stato il

Venezuela risponde con più Rivoluzione

 
 

12.04.10 - Olga Ruiz Diaz www.granma.cubaweb.cu

 

Dopo quasi un decennio dal colpo di Stato, che per 48 ore istaurò una fugace dittatura fascista in Venezuela, Caracas era un brulicare di maglie rosse ed effervescenza rivoluzionaria. La città è stata presa da una moltitudine che, con bandiere nazionali e striscioni del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV), ha ricordato il luogo in cui, durante l’imboscata dell’opposizione, furono massacrati i sostenitori del Presidente bolivariano Hugo Chávez.

 

In commemorazione ad una data così significativa, il Comandante Chávez ha iniziato dai giardini centrali del Palazzo di Miraflores, il suo programma domenicale radio-televisivo “Aló Presidente”.

 

Durante il suo discorso, ha ricordato alcuni momenti di quell’11 aprile 2002, quando l’imperialismo statunitense, la Spagna di José María Aznar e l’oligarchia locale, a braccetto con i mezzi di stampa oppositori, portarono a termine un colpo di Stato per strappare dalle mani del popolo la democrazia e consegnarla agli interessi esteri. Essi ricorsero ancora una volta alla violenza attraverso la quale cercarono di ottenere il potere del paese per ridarlo alla fallita Repubblica del Patto del Punto Fisso.

 

“Oggi ricordiamo l’inizio e la caduta, due giorni dopo, della dittatura più breve della storia. L’11 aprile ci ricorderà per sempre come essa cercò di trionfare, e come soccombette”, ha espresso il Presidente.

 

In questo ottavo anniversario, Chávez ha reso omaggio agli uomini e alle donne della Patria che persero la vita in quegli eventi: “Io so che sono vivo grazie al loro sacrificio”, e ha chiesto al popolo venezuelano di continuare a lottare “per la speranza di un futuro pieno di pace, con il socialismo rivoluzionario e bolivariano”.

 

Nella sua colonna domenicale “Las lí-neas de Chávez” (Le li-nee di Cháves, ndt), il Presidente ha spiegato che quel colpo costituì un’inflessione nella storia della nazione sudamericana, “che prese coscienza del fatto che è lei stessa a lottare e costruire la sua propria storia”.

 

Eppure, il cammino continua ad essere difficile per quelli che sfidano il volere imperialista. Per questo Chávez non pensa al riposo, perché sa che “la battaglia non è ancora finita”, perché quelli che furono sconfitti dall’azione popolare e dalle truppe costituzionali, oggi cercano disperatamente di destabilizzare il paese e persistono nel progetto di attentare alla vita del Presidente.

 

Chávez ha denunciato nella sua colonna che i settori golpisti composti dai partiti tradizionali di destra, la gerarchia della chiesa cattolica e dell’oligarchia, finanziati dagli Stati Uniti, costituiscono solo “la quinta colonna dell’imperio”, a cui – ne è convinto – il fiero popolo venezuelano ed i suoi “valorosi soldati” sapranno far fronte come lo fecero otto anni fa.

 

In quell’occasione il tentativo di usurpare il Governo bolivariano fallì di fronte ad un popolo infiammato, che incorporò, nell’aprile del 2002, una contundente controffensiva per difendere le istituzioni della nazione, strappata per poche ore dal regime dittatoriale di Pedro “Il Breve” Carmona.

 

Il Golpe si perpetrò dopo tre giorni di sciopero generale convocato dall’opposizione venezuelana e che costò la vita di 19 persone e ne ferì oltre cento, in particolare quando sleali ufficiali dell’Alto Comando militare disconobbero l’autorità del presidente costituzionale Hugo Chávez, ordinandone la detenzione nella base aeronavale di La Orchila, a 160 km da Caracas, ed il suo successivo sollevamento dagli incarichi.

 

L’autoproclamato nuovo Presidente, ed i suoi, soppressero tutti i poteri dello Stato ed istaurarono un governo fascista.

 

Rispetto ad una simile azione, la risposta del movimento popolare venezuelano non si fece attendere, esigendo il ritorno del Presidente genuinamente eletto nei comizi del dicembre del 1998. A questo richiamo, si unirono gli ufficiali che rimasti leali alla Costituzione, appoggiarono le azioni per la strada intraprese dal popolo in difesa della democrazia, le quali permisero il ritorno di Chávez al suo incarico due giorni dopo.

 

Nel suo popolare spazio televisivo, il Presidente ha assicurato che la “capacità di neutralizzazione di questo genere di piani” è stata migliorata, e ha spiegato che “la cosa migliore che potete fare (rivolto all’opposizione), è accettare che questa Rivoluzione bolivariana, pacifica, democratica, è arrivata per rimanere”.

 

Oggi, quando siamo a pochi passi dal Bicentenario della sua Indipendenza, il Venezuela ricorda il protagonismo del popolo nella lotta per continuare il processo di cambi sociali che rappresenta la Rivoluzione Bolivariana, e si assume la sfida di costruire attraverso di esso una nuova repubblica socialista ed una nuova democrazia.

 

A otto anni dal golpe militare in Venezuela

12.04.10 - G.Carotenuto giannimina-latinoamerica.it

 

L’11 aprile 2002, la confindustria locale, i vertici della chiesa cattolica, le televisioni, l’esercito venezuelano con l’appoggio materiale e l’indirizzo politico del governo degli Stati Uniti di George Bush, della Spagna di José María Aznar e del Fondo Monetario Internazionale realizzavano un sanguinoso colpo di stato a Caracas ponendo a capo della dittatura il capo della Confindustria Pedro Carmona Estanga e mettendo, secondo loro, fine all’esperienza bolivariana. Il golpe doveva restaurare il dominio del fondo monetarismo in America latina e mantenere col sangue il cosiddetto “Consenso di Washington” neoliberale.


Non avevano fatto i conti con il popolo venezuelano. Questo si mobilitò a milioni, passandosi la parola di bocca in bocca e di casa in casa, scese in piazza, affrontò le pallottole dei sicari e degli squadroni della morte, pagando spesso con il sangue il proprio diritto a vivere in pace finché il 13 aprile riportò a Miraflores il presidente legittimo Hugo Chávez Frías.


Chávez è inizialmente sconfitto dal golpe. Il palazzo di Miraflores, sede del governo a Caracas, viene preso, iniziano i rastrellamenti e le violazioni di diritti umani. Ma è il terrore della restaurazione del neoliberismo più crudele che 13 anni prima aveva portato al Caracazo, le stragi ordinate dal presidente Carlos Andrés Pérez (del quale fu complice come Ministro del Fomento l’oggi grande editorialista del Sole24Ore e dell’Espresso Moisés Naím) a mobilitare le masse.


I bolivariani, oltre il golpe, vedono il vuoto assoluto. Niente più scuole né ospedali. I quasi trent'anni che separano l’11 aprile venezuelano dall’11 settembre cileno hanno distrutto la fiducia di classe nelle strutture organizzate, di derivazione europea, liquefatte dal neoliberismo. In Venezuela il ruolo di partiti e sindacati è marginale; sono i movimenti sociali e le unità di base a contare, riprendersi dallo sbandamento, autoconvocarsi e sconfiggere il golpismo. È la reazione popolare ad animare parte dell’esercito a difendere la Costituzione bolivariana.


Tutto quello che viene dopo, compreso Hugo Chávez, che è figlio della ribellione e non uomo della provvidenza, è possibile perché quel golpe fu sconfitto dal basso. Il popolo venezuelano può offrire, alla prova del golpe, il meglio di sé sulla base di una partecipazione popolare che è altra rispetto al Novecento europeo dei partiti. Il governo e la stessa Costituzione fungono da strumenti delle organizzazioni sociali. La bassa società civile, (1) si autoconvoca per difendere entrambi e, senza la mediazione di quadri tanto indecisi come quelli allendisti del 1973, cambia la storia.


Quel golpe, ma soprattutto la sconfitta dello stesso, fu fondamentale perché il già florido movimento popolare latinoamericano del XXI secolo acquisisse la coscienza di poter prendere nelle mani il proprio destino. Da allora verranno molte vittorie, servizi pubblici essenziali privatizzati durante la notte neoliberale sono tornati pubblici e l’abominio dell’ALCA, il mercato comune delle Americhe che doveva consegnare centinaia di milioni di lavoratori a una condizione semischiava per alimentare la competizione portata dagli Stati Uniti alla Cina, è stato sconfitto e l’America latina cammina sicura verso un cammino d’integrazione e di riduzione in pace e democrazia delle terribili disuguaglianze moltiplicate dal neoliberismo. Per tutto ciò oggi i media mainstream tergiversano l’importanza dei fatti di Caracas dell’aprile 2002 fino addirittura a negarne l’esistenza. Noi invece pensiamo sia indispensabile ricordarlo.

 

 
 (1)  L’opposizione a Chávez si autodefinisce, senza un filo d’ironia, “alta società civile”. Nelle televisioni commerciali compromesse con il golpismo, i democratici sono sprezzantemente definiti “lumpen” o direttamente “negros”. L’elemento razzista creolo è parte integrante di un classismo arcaico che ritroviamo sia in Cile che in Argentina, dove i peronisti di origine non europea sono chiamati cabecitas negras, testoline negre.