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Nuestra America

 

Report sul Centro America
 

 

9.03.11 - www.granma.cu José Carlos Bonino giovane attivista latino americano che frequente un master nell’Università  di Torino 

 

A San Salvador, capitale del paese centroamericano, tutte le mattine il centro città viene invaso da una marea di ambulanti, che occupano le strade tra povertà, cantilene e commerci più o meno legali. Mentre il macellaio squarta la carne ai piedi della chiesa in stile coloniale, nella strada di fronte, accanto alla succursale della banca nazionale, s’improvvisa un ristorante all’aperto di piatti tipici, largo quanto il marciapiede. Il centro storico e questo mercato improvvisato sono diventati un tutt’uno, immersi in una moltitudine ondeggiante, che si muove come al ritmo d’un vecchio bolero popolare salvadoregno. L’America Centrale è un luogo di contrasti e armonie; di rapidi cambiamenti di rotta, di rivoluzioni, insurrezioni popolari e colpi di stato.

 

Il colpo di stato in Honduras nel giugno del 2009 ha costituito uno spartiacque nella geografia politica della regione e dell’America Latina, hanno voluto colpire l’anello debole dei governi di sinistra dell’America Latine e i Caraibi. Un chiaro ammonimento ai governi progressisti o comunque di segno opposto agli interessi dell’ingombrante vicino del Nord. Uno scontro aperto fra l’Alternativa Bolivariana per le Americhe Alba e i suoi alter ego, l’influenza nordamericana diretta, con la creazione della IV flotta della marina degli Stati Uniti, l’istallazione di basi militari in Colombia e Panama e indirettamente insieme all’Europa, con i loro trattati commerciali, agenzie di aiuto allo sviluppo, ong e transnazionali. Due modi opposti di intendere il commercio internazionale, la cooperazione e la solidarietà fra popoli. Dai vantaggi comparati liberisti dei trattati di libero commercio, ai vantaggi cooperativi dell’Alba, che tengono in considerazione le asimmetrie fra le diverse economie e promuovono lo sviluppo di progetti sociali per i più vulnerabili. In una manifestazione dopo il colpo di stato in Honduras, un giornalista domandò a una signora contadina che camminava in una delle strade roventi di Tegucigalpa cosa ne pensasse dell’Alba. Lei rispondeva che era una cosa buona, e al giornalista che insistendo chiedeva perché “è buona”,  lei replicò: “Se la odiano così tanto i ricchi, deve essere una cosa buona per i poveri”. 

 

 Dal 2006, dopo il ritorno al potere dei sandinisti di Daniel Ortega in Nicaragua, era cominciata una ventata di cambiamento e di governi meno neoliberisti e pro imprenditoriali, quelli che dalla fine degli anni ottanta avevano preso in mano le redini della politica e dell’economia, rendendo l’intero sistema economico funzionale all’accumulazione della ricchezza in poche mani. Niente di nuovo per il dimenticato Centroamerica, una delle regioni più diseguali al mondo, ma come si è visto in passato se il capestro è stretto per troppo tempo, la povertà estrema esplode nelle strade, in un misto di lancio di pietre, copertoni bruciati, lacrimogeni e, negli episodi più bui della storia centroamericana, repressione.

 

La storia non ufficiale dell’ultimo secolo ci racconta degli inizi degli anni trenta, quando due leader contadini, Augusto Cesar Sandino in Nicaragua e Farabundo Martí in El Salvador,  guidarono le rivolte che esplosero come risposta popolare all’impoverimento che portò con sé la crisi del ventinove.

 

Loro due furono poi, mezzo secolo più tardi, gli ispiratori dei movimenti rivoluzionari degli anni ottanta. Seguì una seconda ondata di rivolte, accelerata dalla crisi del debito degli inizi degli anni ottanta che strinsero una volta ancora il cappio. Quest’ondata finì con l’insurrezione popolare dei nicaraguensi nel 1979, che si lasciava alle spalle mezzo secolo di dittatura.  Dieci anni dopo era finita la rivoluzione sandinista e venivano avviati gli accordi di pace con il Farabundo Martí para la liberación Nacional di El Salvador e con la Unión Revolucionaria Nacional Guatemalteca del Guatemala. Il Costa Rica servì da mediatore nei conflitti fra gli stati e le guerriglie, mentre l’Honduras, dall'84 all' 89, da portaerei della Cia nella guerra a bassa intensità contro la Rivoluzione Sandinista.

 

Dal novanta, con l’imposizione/accettazione del consenso di Washington dai piccoli paesi centroamericani, una serie di dieci raccomandazioni di politica economica che hanno di fatto privatizzato il welfare, la povertà aumentò. La globalizzazione neoliberista o la modernizzazione in quest’angolo di mondo ha negli ultimi vent’anni creato un ombroso paesaggio politico, che dall’alto sembra un disegno d’ingegneria sociale e ha dato origine a due grandi soggetti di potere. Questo nuovo paesaggio fatto di ristretti arcipelagi di inclusione,  fra basti spazi di esclusione ha aizzato le disuguaglianze: ci sono i super ricchi, i megaprogetti, le grandi transnazionali e dall’altra sponda gli impoveriti, fuoriusciti ormai dal contratto sociale, (socialmente invisibili), vivi in regime di morte civile. A lato del potere il triangolo dei vip della globalizzazione, formato da dieci famiglie, cento transnazionali e ventisei gruppi finanziari, questi ultimi legati a doppio filo alle banche privatizzate con il consenso di Washington.

 

È una classe politico-imprenditoriale finanziaria di dimensioni regionali, molto coesa e strettamente legata alle transnazionali, che si situa e agisce al di sopra delle politiche nazionali. Poi una zona grigia nella geografia del potere e al di là di questa, los actores fácticos: soggetti senza potere formale ma con grandi influenze di fatto. Di loro si parla poco ed è vietato parlare. Negli ultimi anni sono tanti i giornalisti e i ricercatori che sono stati rapiti, minacciati o semplicemente fatti sparire; io, se oggi fossi là, non potrei pubblicare queste righe senza rischiare minacce. Le ricerche accademiche e le inchieste giornalistiche arrivano fino alla zona grigia e poche volte ci mettono piede, una zona in cui i riflettori della legalità e della vita pubblica si spengono. Qui gli imprenditori diventano progressivamente actores fácticos, dando vita a una frontiera torbida, imbastita con una serie di prestanomi che fanno perdere le tracce degli affari meno legali. L’istmo, stretto fra i due narco-stati (la Colombia e il Messico), si trova oggi lungo la strada del traffico di cocaina, un viaggio in cui il prezzo di un solo grammo, salendo verso il Messico, aumenta di circa il 90%. Al contempo, il lavaggio di narcodollari inizia nel paradiso fiscale di Panama City, con la sua bolla immobiliare senza ombra di doping (finanziario). Salendo, poi, si distribuisce nell’economia di tutto l’istmo tramite i ventisei gruppi finanziari legati a doppio filo alle banche private. Da lì i narcodollari si smistano fino alle più comuni transazioni giornaliere. Così capita che camminando per il tuo quartiere, trovi dei ristoranti sempre vuoti ma fantomaticamente lontani dal fallimento. Oppure grandi centri commerciali simili a quelli che si trovano nelle periferie delle città italiane, circondati da una rosa di favelas, come si può vedere in un giro in macchina per San Salvador.

 

Alla radice di questo processo si ritrova il fallimento degli accordi di pace (1992 El Salvador, 1996 Guatemala) a cui seguono una serie di auto amnistie, l’impunità e l’omertà diffusa, che hanno creato una sorta di cordone sanitario intorno ai carnefici, addomesticando tutti gli intenti di ricerca di giustizia e, di conseguenza, aizzando la corruzione, indebolimento infine le strutture statali, già rese fragili dal consenso di Washington.

 

Lo stato nazionale, con la connivenza dei politici locali, dopo il 1989 è stato peró, indebolito irregolarmente. È diventato forte per essere  in grado di disciplinare la sua debolezza e debole perché funzionale al sistema. Forte nel rafforzare i meccanismi di accumulazione e la privatizzazione dell’economia. Debole nello smantellamento del contratto sociale, situazione che ha esposto intere popolazioni, già vulnerabili, alla forza centrifuga della globalizzazione, spingendole a uno status di post-contrattualismo. Debole perché ha dato il via libera allo smantellamento dello stato sociale, ma forte nel disciplinare l’imposizione fiscale a favore dei più ricchi, per favorire gli investimenti esteri degli amici dei governi di turno (le 100 transazionali). Debole nel lasciar entrare dentro ai loro sistemi giuridici le leggi dei trattati commerciali, modificando di conseguenza quelle domestiche. Forte nell’imporre l’abbandono statale dei piccoli produttori delle campagne (fondamentali per l’autosufficienza alimentare) tanto quanto dell’artigianato familiare nelle città. E ancora debole e miope nel non percepire l’infiltrazione delle reti di narcotrafficanti in tutti i corpi di polizia dei paesi centroamericani. Irresoluto nel non cercare di chiarire i crimini di guerra degli anni ottanta, esitante nella ricostruzione della memoria storica e nel contrasto dell’impunità e disattento nel farsi sfuggire di mano il monopolio della violenza, che è progressivamente finita  in mano a los actores fácticos.

 

L’impunità è oggi il punto di flessione che permette alle reti criminali di accrescere il loro potere d’infiltrazione, utilizzando da serbatoio tattico le strutture ex militari in esubero dopo la firma della pace. Il monopolio della violenza in mano a questo nuovo soggetto di potere, al margine dello stato di diritto, utilizza la para-politica come linguaggio e i para-militari come braccio armato. L’impunità è il suo lasciapassare, imprenditori puliti e non si mischiano in affari, mentre le auto-amnistie e l’omertà rendono asettico il tutto, in un meccanismo di cui non si intravede la fine.  in Guatemala e in Honduras in primo ordine, con minore intensità nel Salvador e ancor meno in Nicaragua e Costarica. 

 

Una domanda mi viene spontanea. Quanto queste dieci famiglie, i 26 gruppi finanziari e le banche sono legati al narcotraffico e al lavaggio di narcodollari in Centroamerica? Qual è la percentuale della loro ricchezza, che si contamina con la zona grigia aldilà dei prestanomi e qual è la percentuale della povertà della maggioranza dei 37 milioni di centroamericani, che di mano in mano sale fino alla cupola dei vip della globalizzazione?