HOME CRONOLOGIA

Il traduttore si scusa per gli errori

 

 

Due secoli di cospirazione (I)

 

26.10.10 - G.Molina www.granma.cu 

 

L’ostile cospirazione del governo di Washington verso la Rivoluzione Cubana non cominciò nel 1959.

 

Batista sempre riceveva ordini dagli ambasciatori nordamericani.
Batista sempre riceveva ordini dagli ambasciatori USA

Le ragioni e le radici risalgono al 1805, quando il presidente Thomas Jefferson avvertì il ministro inglese a Washington che "in caso di guerra contro la Spagna, gli Stati Uniti avrebbero occupato Cuba per necessità strategica".

 

Nel  1823 John Quincy Adams, segretario di Stato del presidente Monroe, scriveva: "È praticamente impossibile resistere alla convinzione che l’annessione di Cuba alla nostra Repubblica federale sarà indispensabile." (1)

 

E così si disegnò la strategia di aspettare il momento propizio per cogliere la "frutta matura", che fu per il presidente McKinley il 20 maggio del 1902.

 

Nel  dicembre del 1958, la condanna del presidente Eisenhower della lotta  guerrigliera era pubblica. Il noto generale non fu estraneo si tentativi del Dipartimento di Stato e della CIA per evitare che Fidel Castro, leader della lotta armata contro la tirannia del generale Fulgencio Batista, completasse la sua vittoriosa campagna ed intraprendesse un programma rivoluzionario dopo aver conquistato il potere politico.

 

Di fronte all’impetuosa avanzata della guerriglia nelle provincie orientali e centrali, Washington sviluppò il piano di ritirare l’appoggio a Batista, negoziare con un gruppo moderato che neutralizzasse le convinzioni radicali dei  rivoluzionari ed instaurasse una giunta civico militare che mantenesse l’ordine stabilito nel 1902 per l’intervento degli Stati Uniti.

 

Di fronte alla reticenza dell’ambasciatore Earl Smith, che in difesa dei suoi interessi personali si negava di notificare a Batista il "comunicato 292" di Washington, fu incaricato  l’impresario William F. Pawley di farlo e di aiutare la CIA ad organizzare un gruppo  di riserva per rimpiazzare Batista con elementi moderati dell’opposizione e del governo. Con Pawley lavorarono all’impegno William Wieland, capo del Burò della CIA in Messico e nei Caraibi; Roy Rubotton, segretario di Stato assistente, e James Noel, capo della CIA a L’Avana. I selezionati furono Tony Varona, ex Primo Ministro nel governo di Carlos Prío; Manuel Artime Buesa, ex ufficiale dell’Esercito Ribelle; José Ignacio Rasco, del Movimento democratico-cristiano; Aureliano Sánchez Arango, ex ministro di Prío e Justo Carrillo, del Movimento Montecristi.

 

Si pretendeva anche  d’incorporare altri  tipi con  cui la CIA già lavorava, come l’ex colonnello Barquín, che era in prigione  per aver cospirato contro Batista, ed altri membri del Secondo Fronte dell’Escambray. Quasi tutti parteciparono poi ai piani per l’invasione dalla Baia dei Porci.

 

Batista non fece caso a Pawley. Ma le manovre dell’ambasciatore  degli Stati Uniti per mantenere il potere in Batista mediante un prestanome non prosperarono. Il 17  dicembre, Smith fu  obbligato a trasferirsi nella fattoria Kuquine, dove risiedeva Batista, ed ad ammettere che nonostante tutti i suoi sforzi personali per ottenere che fosse sostituto  da Andrés Rivero Agüero, candidato che rispondeva al generale, il governo di Washington "temeva che Cuba sarebbe affogata in un bagno di sangue se continuava  lui come presidente, ma che se Batista agiva rapidamente, il Dipartimento di Stato credeva che  c’erano elementi cubani che avrebbero potuto salvare la deteriorata situazione" (2)

 

Smith si riferiva al fatto che  Washington stava prendendo contatti confidenziali con gli ambasciatori dell’Organizzazione degli Stati  Americani (OEA), suggerendo che trattassero con i ribelli e facessero pressioni sul lo sconfitto regime, per far sì che il gruppo moderato potesse  costituire la progettata giunta di militari e civili.

Il decaduto Batista cercò inutilmente d’insister che si poteva fare la giunta, presieduta da Rivero Agüero, perchè era  stato "eletto".

 

Smith gli disse  che nel suo ultimo viaggio a Washington, al principio del mese, aveva finito tutte le sue risorse, cercando d’ottenere un appoggio per Rivero. Tutto era stato invano perchè il suo governo era convinto che il generale aveva già perduto il  dominio della la situazione e che le guerriglie avanzavano mentre la sua autorità  diminuiva.

 

Di repente, Batista domandò se lo avrebbero lasciato andare  negli Stati Uniti, nella sua residenza a Daytona Beach. Smith gli rispose  che era meglio se  al principio chiedeva asilo in un altro paese  come la  Spagna. Era  liquidato. Il cammino era  già  pavimentato per la "soluzione nazionale" che sarebbe stata presieduta   dal magistrato Manuel Piedra. Ma la determinazione del giovane leader rivoluzionario era ferrea. La giunta preparata per succedere a Batista, denunciata da Radio Rebelde, non ebbe alcuna considerazione : al suo posto, Fidel a Santiago chiamò allo sciopero generale, dopo la su avanzata vittoriosa con Almeida e Raúl dalla Sierra Maestra.

 

La forza degli invasori ribelli che  veniva dalla Sierra, comandata da Che Guevara e Camilo Cienfuegos, come qualal dell’Eroe della Patria Antonio Maceo nel 1895, prendendo Santa Clara precipitò la fuga di Batista e dei suoi più vicini collaboratori, il 31 dicembre. Il Comandante  ordinò di andare sino a L’Avana ed occuparla. L’audace passo contò sull’appoggio popolare che significava la paralisi del paese per lo sciopero. La perfetta sincronizzazione impedì al generale Eulogio Cantillo d’impadronirsi del governo mediante un colpo di Stato, appoggiato dall’ambasciata degli Stati Uniti.

 

Nei  primi mesi del 1959 i rivoluzionari vittoriosi  cercarono di  sviluppare il loro programma senza ostilità verso  Washington e senza complicità con il cruento periodo di sette anni di Batista. Ma il colore conservatore del settore guidato dal Presidente Manuel Urrutia e dal Primo Ministro José Miró Cardona nel nuovo governo de L’Avana, stimolato dagli Stati Uniti, tendeva verso l’immobilismo politico, economico e sociale. Nello stesso  governo, i rappresentanti del Movimento 26 di Luglio (M-26-7) notificarono a Fidel che con quel gruppo non si poteva avanzare  se il leader della Rivoluzione non lo capeggiava.

 

Il 13 febbraio del 1959, Fidel s’incaricò  di guidare il Governo, in sostituzione di Miró Cardona, sino ad allora  Primo Ministro, che prontamente abbandonò l’incarico d’ambasciatore negli Stati Uniti che gli era stato affidato e  passò agli ordini del vicino del Nord, al quale realmente apparteneva.

 

(1) United States House. Exec. Doc.,32nd Cong., 1st Sess. 1851-52 Doc. núm 21, pp. 6-7.

(2) John Dorschner & Roberto Fabricio. The Winds of December. Coward, McCann & Geoghegan, Nueva York, 1980, pp. 190.

(3) Domanda del popolo  cubano contro il governo degli Stati Uniti. Editora Política 2000, pp.6

 

GIRÓN 50

 

Nixon e la baia dei Porci (II)

 

3.10.11 - G.Molina www.granma.cu 

 

Dall’aprile del 1959, quando come vicepresidente ricevette FidelFoto: Archivo (febrero de 1955) Castro, l’appoggio  offerto da Nixon al rovesciato dittatore Fulgencio Batista, che aveva visitato nel 1955, due anni dopo l’assalto alla Caserma Moncada, le sue alleanze con interessi oligarchici lo portarono a demandare con molto anticipo la rimozione del giovane leader guerrigliero. Le misure adottate culminarono con l’invasione nella baia dei Porci, il 17 aprile del 1961.

 

I due ex presidenti misero a fuoco il tema della Rivoluzione cubana come se fosse  un problema nazionale nelle elezioni del 1960.

 

Nixon fu uno dei politici che utilizzò l’anticomunismo come forma per fare carriera. Nato a Yorba Linda, nel 1913 e con una borsa di studio nell’Università Duke della Carolina del Nord, si laureò in Diritto nel 1937 ed entrò nella firma Winger & Bewley, sino a divenirne  socio. Allo scoppio della II Guerra Mondiale si arruolò nella Marina e poi si dedicò interamente alla politica. Fu eletto nella Camera dei Rappresentanti, vincendo Jerry Worheer, che accusò d’essere uno strumento di Mosca.

 

Tra il 1948 e il 1949, fu la figura principale nella Camera del Comitato d’Attività  Antiamericane del senatore Joseph McCarthy, dove si distinse nazionalmente facendo condannare Alger Hiss, ex ufficiale del Dipartimento di Stato. Fu così che lo designarono per partecipare al Piano Marshall ed evitare l’avanzata del socialismo in Europa occidentale. Nel 1950 lo elessero  senatore per la California, nel 1952 vicepresidente di Eisenhower e presidente dal 1968 al 1974, quando fu obbligato a dimettersi.

 

Fidel Castro ricorda il suo storico incontro con Nixon: "In data tanto precoce come il mese d’aprile del 1959 (il giorno 19) visitai gli Stati Uniti invitato dal Club della Stampa di Washington. Nixon si degnò di ricevermi nel suo ufficio personale... Non ero un militante clandestino del Partito Comunista, come Nixon con le sue occhiate furbe che mi squadravano, giunse a pensare. Se c’è una cosa che posso assicurare, e lo scopersi nell’ Università, è che  sono stato il primo comunista utopico e dopo un socialista radicale, in virtù delle mie stesse analisi e studi, e disposto a lottare con strategia e tattiche adeguate.

 

"La mia unica difficoltà nel parlare con Nixon era la ripugnanza di spiegare con franchezza il mio pensiero a un vicepresidente e probabile futuro Presidente degli Stati Uniti, esperto in concetti economici e metodi imperiali di governo nei quali io da molto tempo non credevo più." Anni dopo Granma pubblicò, in un articolo di Luis Báez, altri particolari della riunione con Nixon che Fidel raccontò in un’intervista con giornalisti nordamericani.

 

"Fu un’intervista molto franca da parte mia, perchè gli spiegai come vedevamo la situazione cubana e le misure che avevamo l’intenzione d’adottare. In generale, lui non  discusse, anzi si mostrò  amichevole ed ascoltò tutto quello che dovevo dirgli. La nostra conversazione se limitò a quello. Credo che lui trasse le sue  proprie conclusioni da quella conversazione. Credo che fu dopo quella che cominciarono i piani per l’invasione."

 

La riunione con Nixon durò poco più di due ore e mezza e il criterio del vicepresidente degli  Stati Uniti fu reso pubblico anni dopo: "Per ciò che concerne la sua visita negli Stati Uniti, il suo interesse fondamentale non era ottenere un cambio nella quota dello zucchero, nè ottenere un prestito del governo, ma guadagnarsi l’appoggio dell’opinione pubblica statunitense per la su politica... Devo riconoscere che in essenza ho appena incontrato nei sui argomenti motivi di disaccordo.

 

Con molto tatto ceraci d’insinuare a Castro che Muñoz Marín aveva fatto un magnifico lavoro in Puerto Rico, attraendo capitale privato e in generale elevando il livello di vita del suo popolo, e che Castro poteva positivamente inviare a Puerto Rico uno dei suoi principali assessori economici a conversare con Muñoz Marín. Quel suggerimento non lo entusiasmò molto e segnalò che il popolo cubano era ‘molto nazionalista’ e avrebbe sospettato di qualsiasi  programma iniziato in un paese considerato come una ‘colonia’ degli  Stati Uniti...

 

Va sottolineato che non ha fatto nessuna domanda sulla quota dello zucchero e non ha nemmeno nominati specificatamente gli aiuti economici”.  

 

"La mia valutazione di lui come uomo è in una certa forma ambivalente. Possiamo essere sicuri, senza dubbi, che possiede quelle qualità indefinibili che ne fanno un leader degli uomini. Non dobbiamo considerarlo, illudendoci, come un ribelle furibondo stile Bolívar, per cui dovremo operare  in conseguenza.

 

"Indipendentemente da quello che pensiamo di lui, sarà un grande fattore nello sviluppo di Cuba e molto possibilmente nei temi dell’America Latina in generale. Sembra sincero, ma  o è incredibilmente ingenuo a proposito del comunismo  del comunismo o è sotto tutela  comunista". "Ma dato che ha il potere di leader al quale mi sono riferito, la sola cosa che possiamo fare è almeno trattare d’orientarlo verso la strada corretta."

 

Richard Nixon fu poi conosciuto come Dirty Dick (Dick l’imbroglione), per la mancanza  di scrupoli che dimostrò per realizzare i suoi obiettivi con sporchi metodi, come i falsi  idraulici che inviò a spiare i candidati del Partito Democratico nell’edificio Watergate, capeggiati dall’ufficiale della CIA Howard Hunt, uno dei capi dell’invasione a Cuba nel 1961. L’episodio fu la scintilla che incendiò la sua presidenza sino a fargli presentare le dimissioni quando compiva il suo secondo mandato.

 

Il Watergate fu un meritato scivolone nella carriera di Nixon. Dirty Dick aveva vinto la presidenza degli Stati Uniti nel 1968, in gran parte come conseguenza dell’assassinio di Robert Kennedy, che svolgeva investigazioni sull’uccisione di suo fratello John in Texas nel 1963. Senza dubbio, questo crimine non è mai stato relazionato con Nixon, nonostante sia stata riportata la sua presenza a Dallas nel giorno dell’assassinio del maggiore dei Kennedy.   Però sì che gli si riconosce la responsabilità dei massacri in Cile, già che dall’elezione di Salvador Allende come presidente, nel settembre del 1970, organizzò il complotto della CIA che, alleata al sanguinario generale Augusto Pinochet, distrusse il governo dell’Unità Popolare eletto nelle urne e preparò il cammino per estendere il terrore in tutta l’America del Sud.

 

Le raccomandazioni di Nixon fecero sì che  Eisenhower decise di far cadere  Fidel e che, a soli sette mesi dall’incontro negli Stati Uniti, in un famoso memorandum dell’11  dicembre del 1959, il capo che  poco guidò la Divisione dell’Emisfero Occidentale della CIA, J. C. King, esortasse ad: "Analizzare minuziosamente la possibilità d’eliminare Fidel Castro: [... ] Molte  persone ben informate considerano che la scomparsa di Fidel accelererebbe  grandemente la caduta del governo..."

 

La baia dei Porci fu uno dei risultati.

 

GIRÓN 50

 

Los Dulles, arquitectos

de la invasión (III)

 

10.11.10 - G.Molina www.granma.cubaweb.cu

 

Los hermanos Allen y John Foster Dulles fueron los arquitectos principales de la Guerra Fría de Estados Unidos contra Cuba, que rebasa ya el medio siglo.

 

 

 

El joven presidente Kennedy con el tenebroso director de la Agencia Central de Inteligencia (CIA), Allen Dulles.

 

 

No era por gusto ni por ideología. Según el diario The Worker, poseían intereses económicos personales que determinaron su posición respecto a la Isla.

Las compañías azucareras Francisco y Manatí Sugar eran controladas por la firma J. Henry Banking Corporation de Nueva York, de la cual era director Allen Dulles, quien desde la CIA fue ejecutor de los planes subversivos de Estados Unidos sobre Cuba, Indonesia, El Congo, Irán y Guatemala. Actuaba en combinación con su hermano John Foster Dulles, secretario de Estado en el gobierno de Dwight Eisenhower.

La United Fruit, que llegó a poseer plantaciones en Colombia, Costa Rica, Jamaica, Nicaragua, Panamá, Santo Domingo y Cuba, en esta Isla poseía 109 700 hectáreas, arrebatadas por habilidosos abogados a indefensos campesinos, así como instalaciones, edificios, maquinarias, ganado y otros bienes. La United se las ingenió para hacer valer sus documentos de posesión —fuesen estos legítimos o falseados—, apropiándose de la mayor parte de las haciendas de Banes, hasta integrar esas tierras en un enorme latifundio.

 

 

 

El presidente Ike Eisenhower (a la derecha) se congratula con su secretario de Estado y ejecutor de la Doctrina Monroe, John Foster Dulles.

 

 

 

Socios de la poderosa firma Sullivan & Cromwell, además de accionistas de la United Fruit, los hermanos Dulles —junto a la familia Bush, en particular el abuelo—, destinaron bienes por mil millones de dólares al Partido Nazi de Adolfo Hitler, según Karlheins Deschner en su obra The Moloch Dulles. Por su parte, Stephen Kinzers en su libro Overthrow revela que la firma se benefició haciendo negocios con el régimen nazi. Wikipedia registra, además, que John Dulles apoyaba públicamente a los nazis hasta 1935 en que cerró la oficina de Berlín. A pesar de esas infamantes tendencias, pretendieron ser paladines de la democracia.

Allen sostenía relaciones personales con Batista, a quien visitó en 1955, para sentar las bases de una especie de sucursal de la agencia, el Buró de Represión de Actividades Comunistas, el tenebroso BRAC.

Un documento de noviembre 24 de 1959, desclasificado por el gobierno inglés y entregado a Cuba por la parte norteamericana en marzo del 2001 —en ocasión de la Conferencia Académica Girón 40 años después—, revela que Allen Dulles tenía desde entonces ya madura su estrategia para rescatar a Cuba: presionaba a Inglaterra para impedir la venta al gobierno revolucionario de aviones Hunter de combate que se negociaba, así como toda otra clase de armamentos. Su secreto objetivo era forzar a los cubanos a "solicitar armas a los soviéticos o al bloque soviético"(1), a fin de insertarla en la Guerra Fría y dar credibilidad a su tesis del peligro que representaba la Revolución Cubana para la seguridad de todo el hemisferio occidental. Pretendía repetir el éxito alcanzado con semejante táctica en 1954, que sirvió de pretexto para la operación con que derrocaron al presidente de Guatemala, Jacobo Arbenz. Allen Dulles presentaba a Cuba como una plataforma de la URSS en América.

Solo un mes después de la huida de Batista, ya el gobierno de Eisenhower negó créditos modestos a una delegación del Banco Nacional que los solicitaba pues "los principales cabecillas del régimen derrocado por la Revolución habían malversado o se habían robado 424 millones de dólares de los recursos que en oro y dólares respaldaban al peso cubano"... y fueron recibidos en Estados Unidos, junto a los autores de los más abominables crímenes y abusos contra el pueblo cubano".(2)

La radical Ley de Reforma Agraria promulgada a los tres meses, en mayo 17, atrajo enseguida la ira de sus vecinos ya que lesionó sobre todo intereses de la United Fruit, por tanto a los Dulles: "Si le quitáramos a Cuba su cuota, la industria azucarera sufriría rápidamente una rápida caída, causando desempleo generalizado. Muchas personas quedarían sin empleo y comenzarían a pasar hambre¼ una guerra económica", reconocía el Secretario de Estado, Foster Dulles. (3)

A solo seis meses de promulgada la Ley, un memorando fechado el 11 de diciembre de 1959 por el jefe de lo que poco después se tituló División del Hemisferio Occidental de la CIA, J. C. King, exhortaba a "analizar minuciosamente la posibilidad de eliminar a Fidel Castro [que] aceleraría grandemente la caída del gobierno¼ " (4) fue aprobado y de modo especial la propuesta de asesinato, como se refleja en la anotación al documento, firmada por Allen Dulles y fechada un día después, el 12 de diciembre.

Los Dulles, en nombre de la libertad y la democracia, subvirtieron medio mundo. Su primer descalabro fue en 1961 con Cuba. Hasta cierto punto es natural, aunque injusto, que esos hermanos, socios de la United y de Sullivan & Cromwell, defendiesen sus intereses personales. No se puede pedir peras al olmo.

Pero es demasiado desdeñoso de la inteligencia humana hacer creer que los hermanos Dulles actuaron para preservar la democracia y la libertad. Carecían de la franqueza que tuvo en junio de 1961 el presidente de la Esso Standard, B. Rathsbone, al declarar en Copenhague: "No se nos puede reprochar que veamos con sumo disgusto cómo se elabora el petróleo soviético en nuestras refinerías de Cuba". Es prepotencia sin hipocresía.

 

(1) Juan Carlos Rodríguez. Girón, La Batalla Inevitable. Editorial Capitán San Luis, pp. 21.

(2) Demanda del pueblo cubano contra el gobierno de Estados Unidos. Editora Política 2000, pp.6

(3) Foreign Relations of the United States (FRUS) Volumen VI Cuba. Citado en Ricardo Alarcón. Medio Siglo de revolución, Prólogo pp. 541

(4) FRUS. Volumen IX .Citado en Tim Weiner. La Historia de la CIA. Random House Mondadori, Barcelona 2008, pp.158

 

 

GIRÓN 50

Béisbol y Guerra Fría (IV)

 

18.11.10 - G.Molina www.granma.cubaweb.cu

 

Ni siquiera el béisbol escapó a la implacable guerra iniciada por Estados Unidos contra Cuba, desde hace medio siglo.

 

 

 

El equipo cubano ganó el campeonato de la liga Internacional y después se coronó también en la Pequeña Serie Mundial, al vencer al Minneapolis Millers, campeón de la otra liga Triple A, la American Association. Gene Mauch, manager de los Millers, quien aparece entre Fidel y Guerra Matos, desmintió versiones de que jugaron intimidados.

 

 

El 26 de julio de 1959, a seis meses del triunfo de las armas, el 6to. aniversario del Asalto al Cuartel Moncada coincidió con un juego de la Liga Internacional, categoría Triple A, entre los Cuban Sugar Kings y Alas Rojas de Rochester. Oleadas de campesinos fueron invitados a la capital para conmemorarlo y Fidel llamó a asistir al de la víspera.

El Ejército Rebelde compró 10 000 entradas para los campesinos y soldados. Pero en la euforia de la conmemoración, a las 12 de la noche, algunos dispararon tiros al aire y una bala al descender —se dijo—, rozó a Frank Verdi, del Rochester, coach en tercera base y otra a Leo Cárdenas, torpedero local. Los jueces suspendieron el encuentro. Muchos en Cuba pensaron que la suspensión fue parte de la conjura, pues el gobierno de Eisenhower ya había comenzado a tomar medidas hostiles.

Los revolucionarios triunfantes en enero de 1959 habían tratado de llevar a cabo su programa sin hostilidad hacia Washington. Pero el tinte conservador del gobierno presidido por el juez Urrutia tendía a impedir medidas radicales, y en febrero 13 de 1959 Fidel Castro asumió el cargo de Primer Ministro, en sustitución de José Miró Cardona, quien poco después sería designado como uno de los líderes de la oposición que organizaba Washington.

La radical Ley de Reforma Agraria que el nuevo gobierno promulgó a los tres meses, en mayo 17, atrajo enseguida una serie de represalias de Washington, ya que lesionó sobre todo intereses de la United Fruit. Desde abril de 1959 ya el vicepresidente Nixon había convencido al Presidente de que Fidel era "peligroso" para los intereses de Estados Unidos. En julio, ante la actitud de Urrutia, Fidel renunció. El 23 un paro general del país obliga en pocas horas a la renuncia del presidente, quien es sustituido por Osvaldo Dorticós y Fidel se reintegra al premierato.

Días antes, el 20 de julio, un diario de Rochester ya se unía a las campañas con un editorial titulado "El desmoronamiento de Castro", donde se afirmaba que los turistas y empresarios se estaban alejando de este país. Que los Sugars perdían dinero y que Maduro planeaba venderlo. Fidel reiteró su promesa de sufragar las deudas para mantenerlo en la Liga, pues era importante para el deporte y la recreación de Cuba.

Entretanto, Washington ya había concebido un plan subversivo y la CIA pasó a reclutar agentes masivamente en Cuba y por doquier, para sabotear la Revolución. Una semana antes del juego, el 21 de julio, George Beahon, que cubría al equipo para el diario Rochester Democrat and Chronicle, pretendía adivinar: "el domingo 26 de julio, fecha de aniversario de la revolución, promete ser excitante si no azaroso. El jefe Castro ha llamado a 50 000 ciudadanos a invadir La Habana desde las provincias y viajar con sus machetes. El sentimiento general de los cubanos es que los americanos son hipercríticos del gobierno revolucionario en una medida tal que un poco de ron y afilados machetes empuñados, pueden crear un serio incidente internacional".(1) Era el aspecto propagandístico del plan.

Al ocurrir el incidente en la madrugada del 26 de julio, George Sisler, director general del equipo hizo un precipitado llamado al presidente del club, Frank Horton, quien les ordenó regresar.

El escritor Howard Senzel, testimonia que la prensa de Estados Unidos, lejos de reconocer esta actitud, hacía creer que se trataba de cambiar al fútbol las preferencias del pueblo cubano. Investigó el incidente y llegó a sospechar que fue preparado y se exageró su importancia, a pesar de que nadie fue herido seriamente y de las disculpas enviadas por Felipe Guerra Matos, director de Deportes.

El cinco de septiembre del mismo 1959, Horton anunciaba que no volvería a Cuba y otros seis clubes dijeron lo mismo. Sin embargo, el campeonato continuó hasta el final a despecho de la campaña.

El aliento brindado por la Revolución al béisbol fue mucho. Los Cubans terminaron en primer lugar en la Internacional y después, en octubre, se coronaron campeones en la Pequeña Serie Mundial. No se podía admitir tal éxito. La Guerra llegó al béisbol: el 8 de julio de 1960, el nuevo Secretario de Estado, Christian Herter hizo presión y tras una reunión en Washington con Ford Frick, comisionado de las Grandes Ligas, se decidió transferir la franquicia de La Habana a Jersey City, pues "el clima en Cuba ya no es saludable para nuestro pasatiempo nacional". (2) Al dar a conocer la noticia, Horton se justificó con la necesidad de proteger a los peloteros por la situación allí. Cuando un periodista le preguntó a cuál situación en Cuba se refería respondió: Bueno, lo que dicen que pasa en Cuba.

Senzel considera ingenuo pensar que los servicios secretos norteamericanos no estaban mezclados en el plan del béisbol, ya que este resultó el último juego de un equipo de Estados Unidos en Cuba. El despojo de la franquicia pretendía condicionar la opinión pública. El Gobierno cubano, los medios, las instituciones y el dueño del club, protestaron y alegaron que la presencia de Cuba brindaba la verdadera característica internacional de la Liga. Pero todo fue inútil. Ya estaban en marcha los planes para invadir a Cuba y se preparaba justificarla con una declaración en agosto de 1960 de la Octava Conferencia de Cancilleres, en Costa Rica, so pretexto de una alegada injerencia de la URSS, que se materializaría con la invasión por Playa Girón en abril de 1961.

En el deporte se completó la agresión con la medida de que no podría jugar ningún cubano en el "béisbol organizado" sin romper con su gobierno, pues las leyes del bloqueo impiden que sean remunerados. Medio siglo después aún existen esas sanciones.

 

(1)Howard Senzel. Baseball y la Guerra Fría Harcourt Brace Jovanovich, USA, 1977. Pág. 76

GIRÓN 50

La guerra contra cuba

atormentó a Hemingway (V)

 

26.11.10 - G.Molina www.granma.cu 

 

Hasta el llamado Dios de Bronce de la literatura norteamericana, el insigne escritor Ernest Hemingway, fue afectado y atormentado a causa de los planes de su gobierno contra Cuba.

 

 

 

Las informaciones difundidas cuando Hemingway entregó a Fidel el trofeo que ganó en el torneo de la pesca de agujas, eran justamente lo que Bonsal dijo que su gobierno estaba decidido a impedir, para no afectar la imagen que en Washington se quería dar sobre el líder cubano.

 

 

La periodista y escritora irlandesa Valerie Danby-Smith, secretaria particular de Hemingway en los últimos años de vida del laureado premio Nóbel de 1954, fue testigo excepcional de las presiones del gobierno del general Eisenhower para obligarlo a salir de Cuba. Su presencia estorbaba a la justificación de la operación bélica que ya se había decidido para ahogar a la Revolución.

Ernest había vuelto en marzo de 1959 a la Isla que abandonó en 1957, tras un registro practicado por la policía de Batista en su acogedora finca la Vigía, de 61 000 m2 en San Francisco de Paula, a 24 km de La Habana. Al New York Times manifestó su simpatía por el proceso guerrillero. Ya en La Habana, el argentino Rodolfo Walsh, escritor y uno de los fundadores de Prensa Latina relata que lo interceptó en el aeropuerto de La Habana e hizo el reportaje más corto de su vida. Hemingway decía: "Vamos a ganar. Nosotros los cubanos vamos a ganar —y agregaba—. I’m not a yankee, you know". (1) Valerie, quien años después adoptaría el apellido Hemingway al casarse con Greg —uno de los hijos del autor de El viejo y el mar—, llegó al aeropuerto de Rancho Boyeros de La Habana el 27 de enero de 1960. Su impresión fue muy agradable. Anotó que era imposible pasase inadvertido, la gente se apiñaba a su alrededor. Su cuerpo robusto, con unos pantalones cortos de color caqui y una camisa a cuadros de manga corta, los mocasines marrones y la cara redonda y enmarcada por la barba.

La joven irlandesa fue acomodada en el espacioso alojamiento contiguo a la residencia en sí, que había servido a huéspedes tan ilustres como Gary Cooper, Luis Miguel Dominguín, Ava Gardner, Antonio y Carmen Ordóñez, Jean Paul Sartre, Errol Flynn, Spencer Tracy y muchos otros.

Algunos visitantes se sentaban ciertos días a la semana en la bien servida mesa de Ernest y Mary. Entre ellos cenaba los jueves Philip W. Bonsal, embajador de Estados Unidos, con quien Hemingway hablaba ampliamente de su país, que representaba "una conexión directa con su tierra natal. Ernest seguía con avidez todo lo que sucediera en su país natal". (2)

Pero desde meses antes, diciembre de 1959, ya el presidente Eisenhower había aprobado el documento de la CIA redactado por J.C. King, oficial encargado de la América Latina en la División del Hemisferio occidental, que recomendaba derrocar a Fidel Castro. El 18 de enero de 1960, once días antes de que llegase Valerie a Cuba, en Washington era designado J. D. Esterline como jefe de un grupo interno creado por Allen Dulles para dirigir el llamado Proyecto cubano, que no dejaba ningún eslabón suelto.

Consecuente con el Proyecto de la CIA, en esa primavera, es decir, entre marzo y mayo, "apareció un jueves Bonsal con el semblante muy serio. Le trajo a Ernest un mensaje importante, aunque informal, de Washington D.C. El gobierno estadounidense empezaba a plantearse muy seriamente la ruptura de relaciones diplomáticas con Cuba. Hemingway era ciudadano norteamericano, pero también era residente en Cuba, y seguía siendo el expatriado más conspicuo y relevante de la isla a todos los efectos. Lo que Washington deseaba de él era no solo que pusiera punto final a su residencia en Cuba, sino también que diera abierta manifestación de su desagrado con el gobierno de Castro y el régimen cubano.

"Ernest protestó, aquella era su casa, era un escritor, no veía que hubiera motivo para cambiar su forma de vida, su vida misma, su manera de ganársela", (3) testimonia Valerie Danby. Ella recuerda como su jefe y amigo manifestó a Bonsal una lealtad incondicional a Estados Unidos. El embajador estuvo de acuerdo con todo, pero agregó que en Washington veían las cosas de modo distinto y podría verse obligado a afrontar represalias. Se exponía a ser catalogado de traidor.

Único testigo del diálogo —con excepción de Mary, la esposa de Hemingway—, Danby anota que este hizo como si no se lo hubiese tomado en serio, pero a medida que pasaban los días, se dio cuenta de que la amenaza de perder su casa y todo lo que representaba, empezó a tener un gran peso en su ánimo.

Al comenzar el nuevo año el embajador los visitó y les comunicó con tristeza que había sido convocado a Washington, pues el gobierno de Eisenhower había roto las relaciones entre ambos países, el 3 de enero de 1961, 17 días antes de dar posesión a Kennedy, quien confesó no había sido consultado. Bonsal dijo tener la sensación de que Hemingway tendría que elegir entre su país y su tierra de adopción, con claridad y de forma notoria. La tristeza asomó a los ojos de Ernest según Valerie.

Poco después Hemingway recibió la visita del conocido periodista Herbert Matthews, quien le contó que "el New York Times retocaba sus reportajes para que Castro saliera menos favorecido; en algunos casos llegaba a recortar sus artículos o a no publicarlos". (4 )

Valerie notó un creciente desánimo en Hemingway. Lo atribuyó a "la inquietante certeza de que la situación política de Cuba y sus consecuencias traerían consigo un futuro plagado de incertidumbre" (5) o a los problemas de visión que comenzaron en España y empeoraban su salud. Todo se complicó más después de su primer encuentro personal con Fidel Castro en ocasión del Torneo de Pesca de la aguja, que ganó el propio Fidel y las fotos de Ernest entregándole el trofeo fueron profusamente publicadas en todas partes.

Las relaciones entre los dos países continuaron empeorando. Hemingway tuvo que revisar sus cada vez más reducidas opciones, la soga se estaba tensando. El resto fue tarea de los servicios secretos de Estados Unidos, el 25 de julio de 1960 los Hemingway dejaron vacía la finca La Vigía.

 

 

(1) Rodolfo Walsh. www..elortiga.org. Los que luchan y los que lloran. Prólogo

(2 ) Valerie Hemingway. Correr con los toros. Santillana Ediciones Generales. 2005. Madrid, pp 131

(3) Ibid. pp 132

(4) Ibid. pp 144

(5) Ibid. pp 155

GIRÓN 50

El secuestro de Masetti (VI)

 

3.12.10 - G.Molina www.granma.cu 

 

El gobierno de Perú había solicitado en los primeros meses de 1960 efectuar una Reunión de Consulta de la Organización de Estados Americanos (OEA), sobre "las tensiones en El Caribe" que preocupaban a Estados Unidos. Así, bajo presiones de Washington, la OEA aprobó el pedido y convocó a las Sexta y Séptima Conferencias de Cancilleres de América, para agosto de ese año.

 

 

 

 

 

 

Masetti entre dos destacados dirigentes políticos: el doctor Carlos Rafael Rodríguez y el periodista Raúl Valdés Vivó.

 

 

 

La agencia de noticias Prensa Latina que había sido inaugurada el año anterior, en junio de 1959, consideró importantes ambas reuniones, por lo que Jorge Ricardo Masetti, su director, decidió encabezar un equipo de cinco periodistas para darles cobertura informativa en San José, Costa Rica. Nadie hubiera podido imaginar que allí iba a ser secuestrado el destacado periodista argentino, quien se distinguió con sus reportajes sobre Fidel Castro y Che Guevara en la Sierra Maestra, para la Radio El Mundo de su país y volvió a La Habana en enero de 1959 para fundar esta agencia latinoamericana de información.

El primer intento diplomático formal contra Cuba había tenido lugar a partir del 12 de agosto de 1959, durante la Quinta Conferencia de Cancilleres en Lima. Los hechos cotidianos ya alarmaban a los dirigentes cubanos. Washington se mostraba hostil y negaba cualquier facilidad a un gobierno que no se le sometía. Pretendía aislar a Cuba y preparaba condiciones, enmascaradas en acuerdos continentales, que justificasen eventualmente una resolución condenatoria y una intervención colectiva.

Había suficientes motivos para sospechar que esa Conferencia pretendía acusar a Cuba por las llamadas "tensiones". Desde el 26 de marzo de 1959, a solo tres meses del triunfo revolucionario, se conoció un importante indicio. "Fue descubierto por las autoridades policiales un plan de atentado contra el Comandante Fidel Castro, dirigido por Rolando Masferrer y Ernesto de la Fe" (1). Masferrer fue jefe del grupo paramilitar "Los tigres", que asesinaba revolucionarios durante la guerra cubana de liberación; Ernesto de la Fe era uno de los voceros de la dictadura de Batista.

El plan fue generado entre el dictador dominicano general Rafael L. Trujillo y el general Fulgencio Batista en Santo Domingo, donde se había refugiado en primera instancia el fugitivo ex dictador, y había recibido el visto bueno de la CIA: "Todo marcha de acuerdo a lo planificado. Si tenemos suerte, en unos días habremos acabado con Castro", (2) informó el coronel J.C. King a Richard Bissell, subdirector de la agencia.

La delegación cubana presentó en un momento culminante de la reunión en Perú, pruebas de una frustrada invasión organizada también por el dictador dominicano Leonidas Trujillo que terminó con la captura de los participantes, quienes llegaron en un avión C-47 a Trinidad, pues se les había hecho creer que la ciudad estaba tomada por fuerzas afines a ellos. Los principales dirigentes enviados directamente por Trujillo, Luis Pozo, hijo del ex alcalde de La Habana, y Roberto Martín Pérez, uno de los criminales de guerra escapados el 31 de diciembre de 1958, fueron recibidos y apresados en esa ciudad al centro de la isla, para su gran sorpresa, por el propio Fidel Castro.

Las pruebas del complot fueron llevadas al Canciller Roa personalmente por Raúl Castro, ministro de las Fuerzas Armadas Revolucionarias, en un vuelo especial desde La Habana a Santiago de Chile, para ser presentadas en la Conferencia de Cancilleres, de modo que Cuba lejos de ser acusada por esas tensiones, podía acusar a sus enemigos de provocarlas. Y demostrar sus alegatos.

El domingo 14 de agosto, ya en vísperas del inicio de las sesiones de la Sexta Conferencia de Cancilleres en San José, los periodistas cubanos se percataron, de pronto, que los demás colegas habían abandonado la sala de prensa. Era alrededor de las once de la noche y, algo extrañados, decidieron concluir y salir.

Recuerdo cómo en el umbral del local de la prensa ubicada en el propio Teatro Nacional —sede de las dos Conferencias de Cancilleres—, un pequeño sujeto tropezó intencionalmente con Masetti y acto seguido trató de agredirlo: gritaba que este se le había encimado. En un santiamén entró un grupo de miembros armados de la guardia nacional, enfundados en sus uniformes color beige y forcejearon con los cubanos.

Sin escuchar a quienes trataban de explicar lo sucedido, introdujeron al director de Prensa Latina en un jeep, al tiempo que rechazaban al resto del grupo que trataba de abordarlo también. Algunos logramos penetrar en el vehículo, pero nos sacaron a la fuerza. Solo interesaba Masetti, quien protestaba por la detención.

Aún no repuestos del asombro, los cubanos nos dirigimos de inmediato al auto que utilizábamos e indicamos al chofer, un tico de confianza, que partiese raudo al lugar donde internaban a los perseguidos políticos.

Las experiencias adquiridas en la lucha contra la tiranía de Fulgencio Batista desde la Universidad de La Habana, hacían comprender rápidamente que se trataba de una operación política punitiva, y que debía hacerse todo lo posible para tratar de frustrarla, pues se podía temer por la vida de Masetti. Francisco V. Portela, corresponsal de PL en Nueva York, corrió a pasar aviso al canciller Raúl Roa. También debía redactar una información en que se denunciara el secuestro. Los tres restantes, Roberto Agudo, Ricardo Sáenz y Gabriel Molina, miembros de la Redacción Internacional de PL, abordamos el auto.

La policía política se hallaba enclavada en una especie de castillo y allí entramos. Sáenz permaneció apostado en la puerta, por si se nos retenía más de media hora.

Agudo y yo fuimos recibidos por un achaparrado teniente, quien tras escucharnos y poner cara de sueco, trató ridículamente de impresionarnos golpeando la pared con un vergajo, mientras negaba que allí se encontrara Masetti. Lo dejamos con la palabra en la boca.

Al llegar a la puerta, airados, dimos cuenta a Sáenz de la infructuosa gestión y lo invitamos a irnos. Mas este nos sorprendió con el notición de que vio entrar a Masetti conducido por los guardias. La rápida actuación nos había hecho llegar minutos antes de que arribaran aquellos guardias devenidos delincuentes.

Llamamos a Roa y ante el escándalo armado por el embajador cubano Juan José Fuxá en el Departamento de Seguridad, no les quedó más remedio a los secuestradores que soltar a Masetti, tres horas después del rapto, pasadas las dos de la mañana. Allí el Director de PL vio al pequeño asaltante revisando los papeles del portafolio que le habían quitado. Relató que fue encerrado en una celda pequeña, aislada y oscura y se puso a cantar el himno nacional de Cuba para que otros presos supiesen que había allí un cubano. Lo primero que hizo al ser liberado esa madrugada, fue llamar a La Habana para confirmar que estaba bien. Le habían devuelto sus papeles, pero notó la falta de algunos. Buscaban supuestas evidencias subversivas que no hallaron.

Al día siguiente comenzó la Conferencia. El pequeño agresor de la sala de prensa, siempre vestido de civil, con todo desparpajo se sentó cerca de los periodistas cubanos. Sin dar muestras de haberlo reconocido, dos de nosotros llegamos hasta él y le hicimos moverse para ocupar un estrecho espacio a su lado. No reaccionó y poco después desapareció para siempre. Masetti subrayó después que esa fugaz presencia era un virtual reconocimiento a la intencionalidad de la agresión. La delegación oficial cubana protestó airadamente y exigió garantías para la vida de Masetti. Ya para entonces se sabía que al aprobar la CIA los planes de atentados, se emplearía cualquier medio para debilitar a Cuba o provocar reacciones que justificasen una agresión directa.

Y no se sabía algo peor aun. Mientras esto ocurría: "en agosto de 1960 la CIA dio pasos para enrolar miembros del bajo mundo criminal en contacto con el sindicato del juego para que ayudasen a asesinar a Castro ". (3) Otra prueba de lo peligroso de la situación se produciría al día siguiente en San José, en la persona de Raúl Roa.

 

 

(1) Fabián Escalante. Acción Ejecutiva. Objetivo Fidel Castro. Ocean Press. Melbourne. pp 32

(2) Ibid. pp 31

(3) Church Committee Report. Alleged Assassinations Plots Involving Foreign Leaders. B-Cuba. pp 74 y 75.

GIRÓN 50

 

 

La Conferencia de

 

Cancilleres (VII)

 

10.12.10 - G.Molina www.granma.cu 

 

La VI Conferencia de Cancilleres de la OEA se inició el 15 de agosto de 1960 dentro de un ambiente más tenso aún, que cuando fue convocada por Perú, a instancias de Estados Unidos y Venezuela. De ese modo se complacía a Washington y a Rómulo Betancourt, presidente de Venezuela, inquieto por el dictador Trujillo que en esos días había organizado un Plan para asesinarlo.

A renglón seguido vendría la VII Conferencia que era de interés en realidad solo para Estados Unidos, para santificar sus campañas contra la Revolución cubana. Ese objetivo era denunciado en Costa Rica por organizaciones como la Confederación de Trabajadores y los Comités de Solidaridad.

El apoyo popular se manifestaba en acciones como la vibrante bienvenida, casi subrepticia, brindada por cientos de costarricenses en el Aeropuerto de Los Cocos a la delegación. Ese gesto llenó de emoción al canciller Raúl Roa y a su esposa Ada Kourí, pues habían recorrido más de 20 kilómetros a pie, en una manifestación desde San José, ya que la tarde anterior se decidió por el gobierno impedir el uso de diez ómnibus que habían preparado los trabajadores para el recibimiento. Tuvieron que esconder las banderas cubanas para poder llevar algunas, pues muchas les fueron requisadas.

La noche anterior se había efectuado el dramático secuestro de Masetti, pero las provocaciones no habían terminado: la Esso se había negado a repostarle el carburante al avión de la Aeropostal de Cuba fletado por Masetti y a la aeronave de Cubana que condujo a San José a la delegación encabezada por Roa. Luis Martínez, interventor de Cubana de Aviación, declaró que el gerente de la Esso en San José, Leonel Iglesias, había tratado de justificarlo todo con decir que no tenía gasolina y después que "pidió instrucciones a Miami con resultado negativo". (1)

Sin embargo, ante las protestas oficiales del embajador Fuxá y la advertencia de que podrían ser causales de que Cuba se retirase de la Conferencia, el gobierno tico decidió obligar a las empresas de Estados Unidos a cumplir con su deber. El aparato de Cubana que trajo a Roa y a la delegación no pudo regresar a La Habana hasta el día siguiente.

La negativa actitud de la Esso estaba relacionada con el hecho de que varias semanas antes, el 2 de julio, el Instituto Cubano del Petróleo había intervenido las refinerías norteamericanas, no solo la Esso, sino también la Texaco y después la anglo-holandesa Shell, por haber rehusado procesar el petróleo adquirido por el Estado cubano en la Unión Soviética, todo lo cual amenazaba con paralizar el país. Al día siguiente el Congreso de Estados Unidos autorizó al Ejecutivo a rebajar la cuota azucarera de la Isla. Cinco días después, el 6 de julio, el Departamento de Agricultura se apresuró a poner en práctica la medida, al prohibir que se embarcase un cargamento de azúcar de 700 000 toneladas, parte de la cuota azucarera cubana, la mayor fuente de ingresos del país.

Un mes después, el 6 de agosto, durante la clausura del Primer Congreso de Juventudes Latinoamericanas, Fidel anunció la nacionalización no solo de la Esso, sino también de la Texaco que se había sumado al boicot energético para paralizar el país. Con rara franqueza, el presidente del consorcio propiedad de la familia Rockefeller, Mr. Rathsbone, declaraba en Copenhague "nosotros pensamos que cambiaría de opinión en cuanto le fuera cortado el abastecimiento de petróleo...dijimos clara y abiertamente a las compañías de navegación dedicadas al transporte de petróleo que no veríamos con placer que pusieran sus barcos a disposición del Gobierno cubano. En ese momento ya estábamos en guerra con Fidel Castro... en definitiva nos ha ganado la batalla".(2) También se expropiaban varias empresas norteamericanas, como la Compañía Cubana de Electricidad, propiedad de la Electric Bond and Share; la Compañía Cubana de Teléfonos, de la Bell, y 36 centrales azucareros en su mayor parte de la Atlántica del Golfo y la United Fruit Co. Un valor total de 800 millones de dólares de esa época.

Solo algunas horas después de la llegada de la delegación cubana a San José, el canciller Roa se dirigía, acompañado por algunos miembros de su comitiva, a participar en un acto popular de adhesión a Cuba, autorizado por el Subsecretario de Gobernación, Eladio Chinchilla, en la cuadra en que se enclavaba la embajada de la Isla. Allí cantaría el popular artista puertorriqueño Daniel Santos*. Acompañaban a Roa, entre otros, José A. Portuondo, Carlos Lechuga, Manolo Pérez, Eduardo Delgado, Rogelio Montenegro y Ramón Vázquez. Habían salido en dos taxis desde el hotel Costa Rica, donde se alojaban las delegaciones participantes, pues el auto que correspondía a Cuba había sido enviado al aeropuerto, al recibimiento del Canciller Herter. Caso insólito, se había invitado a las delegaciones a recibirlo en la terminal aérea de Los Cocos.(De Herter, Roa dirá a su regreso a La Habana: "Es un chicharrón sin pellejo de idea").

Cuando los taxis llegaron a la bocacalle más próxima, se percataron de que el acceso estaba vedado por hileras de miembros de la Guardia Nacional con armas largas, pues se había revocado la autorización y se había prohibido publicar el manifiesto de los organizadores, en el que denunciaban la maniobra contra Cuba que —como ya era del dominio público—, constituía el objetivo de la VII Conferencia de Cancilleres. Era todo un plan. Trujillo en la Sexta y después Cuba en la Séptima.

Roa fue interceptado y, al identificarse, un oficial dijo que consultaría el caso con sus superiores. Como la consulta se demoraba, de repente el ex decano de la Facultad de Ciencias Sociales de la Universidad de La Habana exclamó: "Yo soy el Canciller de Cuba y paso de todas maneras". (3) A continuación avanzó sobre el cordón de uniformados y comenzó a abrirse paso a la fuerza, seguido por sus acompañantes.

La dramática escena subió de tono cuando los guardias palanquearon sus armas y bastones para agredir a Roa. Dispuestos a impedirlo, escoltas del ministro, como Juan Otero y Segundo Pérez, llevaron las manos a sus armas. Uno de ellos, Ramón Vázquez, atinó a levantar en vilo al delgado Roa para detener su avance y retirarlo, protegido con su propio cuerpo. De inmediato se alivió la tensión al aparecer el coronel Arias y pedirle excusas al canciller cubano mientras le franqueaba el paso.

Ante las protestas del embajador cubano, Juan José Fuxá, la Cancillería de Costa Rica actuó y los incidentes se redujeron de número y de tono.

Pero como colofón, el cantante boricua Daniel Santos, conocido en Cuba como el Inquieto Anacobero, no solo no pudo actuar en defensa de la Isla, según se había anunciado, sino que fue expulsado del país. La embajada cubana le ofreció hospitalidad y al día siguiente partió hacia la Habana. Se ahorró el disgusto de presenciar la compra de algunas conciencias.

*Daniel Santos era un artista muy apreciado en Cuba, catalogado como una interesante mezcla de tarambana y patriota. Su manera cotidiana de manifestarse, la confesaba en uno de los números musicales que lo colocaban entre la élite de favoritos en la Isla: Vive como yo vivo, si quieres ser bohemio.(bis) De barra en barra, de trago en trago. Vive como yo vivo, para gozaaar, Laaaa Habana... No era ficción. Así mismo vivía. Sin embargo, equilibraba su personalidad con un acendrado nacionalismo. Otro éxito musical era el titulado Borinquen, que expresaba: Pena que haya tantos que no quieran que tenga mi bandera, y desplegarla al sol. Que tenga uno que ser americano, en vez de ser boricua, de sangre y corazón...

 

(1) Diario Revolución, 16 de agosto 1960, p. 2

GIRÓN 50

 

La diplomacia en la Bahía

 

 

de Cochinos (VIII)

 

24.12.10 - G.Molina www.granma.cu  

 

La Séptima Conferencia de Cancilleres en San José, Costa Rica, se efectuaba, según despacho de Prensa Latina, "bajo la vigilancia de 1 350 marines que permanecerían en aguas del Caribe mientras se desarrollase el cónclave, para realizar ejercicios cuando terminase". (1)

Pocos días antes, la Sexta Conferencia había terminado con el acuerdo de la ruptura de relaciones diplomáticas con el régimen trujillista y la interrupción parcial de las relaciones económicas y comerciales. Venezuela y México se apresuraron a romperlas; Cuba ya las tenía rotas desde 1959 y Estados Unidos adujo, por su parte, que estaba estudiando la ruptura.

El Canciller estadounidense Christhian Herter centró su estrategia durante la Séptima en las llamadas intervenciones extracontinentales, por la advertencia del Primer Ministro de la Unión Soviética, quien ante las amenazas de agresión a Cuba dijo estar dispuesto a defender a la Isla proporcionando armas ligeras, pesadas y tanques, junto a la oferta de comprarle todo el azúcar que Eisenhower dejaba de comprar al recortar la cuota, días antes, en setecientas mil toneladas. Nikita Jruschov dijo, en un sentido figurado, que si fuese necesario los artilleros soviéticos pueden respaldar al pueblo cubano con fuego de cohetes, si las fuerzas agresivas del Pentágono se atreven a lanzar una intervención en Cuba. Recordó al Pentágono no olvidar que, como lo han demostrado las pruebas recientes, la URSS tiene cohetes que pueden aterrizar exactamente en un blanco cuadrado, fijado de antemano, a trece mil kilómetros de distancia.

Los periodistas nos acercamos al Canciller peruano, Raúl Porras Barrenechea, cuyo gobierno se había aprestado para convocar la Conferencia, a pesar de la desconfianza que despertaba en Cuba el controvertido tema. El profesor causó sorpresa al declarar: "No se puede intervenir en Cuba; no hay un solo canciller que opine de otro modo". (2) Agregó que el gobierno de Cuba tiene todo el respaldo de su pueblo y por tanto los demás pueblos de América tienen que respetar sus decisiones.

Un nicaragüense somocista se acercó al reconocer a Porras y le interrumpió para pedirle su opinión sobre lo que se dice por ahí de que hay comunismo en Cuba. "No se puede juzgar si lo hay por lo que digan los corresponsales, respondió Porras. Ellos expresan sus puntos de vista personales. De todos modos, si Cuba quiere implantar el comunismo dentro de sus fronteras, es muy dueña de hacerlo. Lo que no puede hacer es llevar el comunismo a la América. Ya eso sería injerencia. Yo nunca he oído decir eso. No sé de dónde usted lo ha sacado", (3), agregó el Canciller peruano con firmeza, cuando el nica le manifestó que Cuba estaba interviniendo en Nicaragua. Ahí mismo lo conminamos a no seguir interrumpiendo.

En el curso de la reunión se manifestó el rechazo a las amenazas de intervención, desde las posiciones de un grupo de ministros de los más importantes países, encabezados por el venezolano Ignacio Luis Arcaya, miembro del partido Unión Republicana Democrática (URD), que compartía el gobierno de Venezuela con el de Acción Democrática, del presidente Rómulo Betancourt. Durante la reunión se conoció la aprobación, por el Senado de Estados Unidos, de una enmienda a la Ley de Ayuda Exterior, mediante la cual todo país que prestase ayuda a Cuba o le venda armas, sería privado de la ayuda norteamericana" (4). Los medios cubanos interpretaron el hecho como una amenaza a la Conferencia, con el objetivo a mediano plazo de debilitar a Cuba militar y políticamente.

El canciller cubano, Raúl Roa, leyó en su turno el 26 de agosto un enjundioso y firme discurso que impresionó a todos los presentes. En una segunda intervención, y en respuesta a las palabras de Herter, Roa improvisó otra alocución, de parecido talante, que se caracterizó por las frases "Y esto no lo dijo Nikita Jruschov, lo dijo José Martí"¼ "Y esto no lo digo yo, lo dijo Abraham Lincoln", y así sucesivamente. Entretanto la delegación norteamericana cabildeaba en reuniones secretas. Llegado un momento de inmovilismo, se comisionó a un grupo de once delegados para redactar una especie de solución de compromiso. El Secretario de Estado norteamericano logró una declaración por estrecha mayoría de un voto. El texto aludía elípticamente a las palabras del Primer Ministro soviético, Nikita Jruschov, donde declaraba a su país dispuesto a defender a Cuba en un sentido figurado con sus cohetes, y calificaba indirectamente de intervención extracontinental a esta posición soviética. La resolución fue arrancada por Herter a los países asistentes, al costo de ochocientos millones de dólares en promesas y quedó aprobada de ese modo en la sesión plenaria. Roa anunció el desacuerdo cubano y se retiró pronunciando aquella celebre frase: "Y con Cuba se van los pueblos de América". Desde entonces se le conoció como el Canciller de la Dignidad.

Arcaya y Porras Barrenechea votaron en contra de la declaración, desafiando las instrucciones de sus respectivos gobiernos. El primero renunció y con ello creó una crisis en el gobierno venezolano, pues su partido lo apoyó y dieron fin a la coalición, secundados por algunos miembros del partido del presidente Betancourt. A Porras lo separó de su cargo el primer ministro Beltrán Espantoso. Cuba apreció hondamente el gesto de los dos ministros que desobedecieron a sus gobiernos.

Con la VII Conferencia de Cancilleres el gobierno de Estados Unidos no logró su objetivo de obtener "una condena expresa a Cuba por parte de la Organización de Estados Americanos, a pesar del crédito por 1 000 millones de dólares de esa época, utilizados para comprar votos. Pero la resolución obtenida mostraba el aspecto diplomático de la agresión, y sería utilizada para alcanzar, en 1962, la separación de Cuba de la OEA, muy a pesar de la invasión en abril de 1961 conocida como Bahía de Cochinos, pues entre el 11 y el 14 de marzo de 1961, en la Casa Blanca, se decidió que el planeado desembarco sería realizado por las tres playas de esa bahía.

El primer intento diplomático formal había tenido lugar del 12 al 18 de agosto de 1959, durante la V Reunión de Consultas de los Ministros de Relaciones Exteriores de la OEA, en Santiago de Chile. La delegación cubana presentó en un momento culminante de la reunión en Santiago pruebas de una frustrada invasión organizada por el dictador dominicano Leonidas Trujillo, que terminó en ritmo de comedia, pues los invasores se vieron ridiculizados cuando fueron recibidos por el propio Fidel Castro, quien les había hecho creer que Trinidad estaba tomada por sus aliados. Raúl Castro, ministro de las Fuerzas Armadas Revolucionarias, llevó personalmente las pruebas a la Conferencia.

La respuesta de Cuba a la Declaración de San José obtenida en la VII Conferencia de Cancilleres en Costa Rica, fue establecer relaciones con la República Popular China, dado a conocer en una concentración en la Plaza de la Revolución, el dos de septiembre de 1960, en la cual el pueblo asumió la Declaración de La Habana, aclamada por más de un millón de personas. Era servir dos tazas al que no quería té, a quien declaraba una guerra por haberse establecido relaciones con la Unión Soviética.

La Declaración de La Habana calificó el acuerdo de San José de injerencista y también "la intervención abierta y criminal que durante más de un siglo ha ejercido el imperialismo norteamericano sobre todos los pueblos de América Latina, que han visto invadido su suelo en México, Nicaragua, Haití, Santo Domingo o Cuba; que han perdido ante la voracidad de los imperialistas yankis extensas y ricas zonas, como Texas, centros estratégicos vitales, como el Canal de Panamá, países enteros, como Puerto Rico, convertido en territorio de ocupación (...). La ayuda espontáneamente ofrecida por la Unión Soviética a Cuba en caso de que el país fuera atacado por fuerzas militares imperialistas, no podrá ser considerada jamás como un acto de intromisión, sino que constituye un evidente acto de solidaridad". (5)

 

 

(1) Diario Combate, 25 de agosto, de 1960 p. 12.
(2) Ibíd. 18 de agosto de 1960. p. 8.
(3) Ibíd.
(4) Diario Revolución.
(5) Declaración de La Habana.

GIRÓN 50

 

Roa,dramático regreso (IX)

 

 

7 gennaio 2011 - Gabriel Molina www.granma.cubaweb.cu

 

 

El regreso a La Habana del Canciller Raúl Roa al terminar la VII reunión de los ministros de Relaciones Exteriores de la Organización de Estados Americanos (OEA), se caracterizó por el intento concebido por la CIA para hacer desaparecer a toda la delegación cubana, derribando al avión que los traería de Costa Rica.

Un operativo tan cruel es difícil de creer para cualquier persona decente. Pero como lo muestran documentos desclasificados los años siguientes, y la voladura del avión de Cubana en 1976, el objetivo era consecuente con el progresivo desarrollo de criminales planes contra los líderes y el pueblo cubanos. A las decisiones anteriores de hacer rendir por hambre, mediante maniobras económicas como cortar la cuota azucarera e impedir cualquier clase de ayuda a Cuba, se añadieron los sabotajes y atentados terroristas.

Tras una reunión en la que estaban presentes Tracy Barnes, segundo de Richard Bissell, director de Operaciones clandestinas de la Agencia Central de Inteligencia y el coronel J.C. King, jefe de la División Hemisferio Occidental, este último envió un mensaje el 21 de julio de 1960 al jefe de centro de la CIA en Cuba, para informar que "la posible eliminación de los tres principales líderes cubanos está recibiendo seria consideración del Estado mayor de la agencia...el oficial del caso debía dar aprobación a un agente infiltrado en los medios dirigentes militares en La Habana, quien había manifestado su disposición a organizar un accidente que afectase al Comandante Raul Castro... El siniestro estaría coordinado con un incidente en la Base Naval de Guantánamo que encendiese la llama de un conflicto armado entre ambos países". (1)

Era el primer intento contra la vida de los dirigentes cubanos auspiciado por la CIA que admitió el informe del Comité Church. Pero el siguiente mes, agosto, mientras en el frente diplomático se trataba de convencer a los países de la región para que respaldasen a Estados Unidos en sus planes contra Cuba, el subdirector de la CIA Richard Bissell, encargó al coronel Sheffield Edwards, director del Buró de la seguridad, contactar a la mafia ítalo americana para "encontrar alguien con el fin de matar a Castro. Edward sugirió contactar a miembros del sindicato del juego en La Habana. El 16 de agosto de 1960 se entregó a un oficial una caja de tabacos favoritos de Fidel Castro acondicionados con botulina tóxica, tan potente, como para que una persona muriese con solo colocarlo en su boca".

Casualmente, ese mismo día se ordenó por el entonces presidente Eisenhower "el asesinato del Primer Ministro de El Congo, Patrice Lumumba, a quien consideraba el Castro de África antes que se convirtiera en otro Fidel Castro" (2) .

Un grupo de agentes de la CIA reclutados entre los enemigos cubanos de la Revolución, tuvo la misión de participar en las provocaciones y hostigamientos que se produjeron contra la delegación cubana en Costa Rica.

Otro complot fue el de estar presente este grupo en la sesión final, para ocupar el puesto de la delegación si esta se retiraba de la reunión cuando se condenase a Cuba como calculaban. Se frustró porque los agentes trataron de bajar del lugar del público y chocaron con los amigos de la solidaridad costarricense. Las fuerzas del orden, dirigidas por el aparato de seguridad de la OEA (léase el FBI), trataron de detener a Virginia, una de las ticas y Roa la tomó por el brazo y les dijo que tenían que detenerlos juntos, lo que no se atrevieron a hacer.

La segunda parte de ese plan fue revelada a Granma por Eduardo Delgado, único que queda vivo de la delegación oficial de Cuba a la VII Reunión de Cancilleres.

A Delgado, miembro de las Fuerzas Armadas Revolucionarias, le fue asignada 24 horas antes del viaje por el Comandante Ramiro Valdés Menéndez, junto a otros cuatro compañeros (Ramón Vázquez, Rogelio Montenegro, Segundo Pérez y Juan Nilo Otero), la tarea de apoyar y proteger a la delegación cubana que asistiría a esas reuniones de la OEA y fueron habilitados como miembros de ella. Ya en San José, al final del cónclave, obtuvieron una información de fuentes ticas más importante aun, sobre la segunda parte del plan de la CIA en complicidad con Tachito Somoza, el tirano de Nicaragua:

"Pretendían derribar el avión de cubana en el cual regresaría la delegación, utilizando para ello 2 o 3 de los aviones que tenían enmascarados en las bases donde se preparaba la invasión de Playa Girón, en Guatemala y Nicaragua".

Vino la última prueba que debía pasar la delegación: regresar sanos y salvos ante el peligro de que fuera derribado el avión. Estaban involucrados varios funcionarios costarricenses y esto fue informado por Roa al presidente de ese país, Mario Echandi y de acuerdo con él, se preparó una operación en la cual utilizamos un avión civil costarricense (DC4 cuatrimotor) que partió secretamente desde la punta de la pista en el mismo momento que aterrizaba para recogernos el avión que había sido enviado desde Cuba (un Super G Constellation) y que posteriormente regresó vacío. Además, el Presidente designó para que nos acompañara a un funcionario costarricense de alto rango (que por cierto estaba vinculado con aquellos planes), el Ministro de gobernación, quien hizo el viaje literalmente aterrado, esperando a cada momento que aparecieran los aviones asesinos y a quien hicimos blanco de nuestras bromas, ya que cada quince o veinte minutos, nos alternábamos para decir en voz alta: "Se está acercando un avión por el ala izquierda".

"Todo al final por poco termina en tragedia, porque debido a la falta de comunicación adecuada (ya que para más seguridad) no habíamos podido informar los datos de la nave aérea en que regresaríamos, cuando nos acercamos al territorio cubano, los equipos de radio del avión no se podían comunicar con las torres de control, lo que finalmente se pudo hacer cuando ya estábamos sobre Batabanó". (3)

Delgado realza en justos términos la posición de los cancilleres de Perú y Venezuela: "Al final de la reunión, frente al bochornoso espectáculo de la condena a Cuba (implícita, porque no se menciona por su nombre, se dice régimen totalitario, intromisión extra continental, etc.), los cancilleres peruano (Raúl Porras Barrenechea) y venezolano (Ignacio Luis Arcaya) presentaron su renuncia en desacuerdo con la declaración, el primero antes de la votación y el segundo, después de efectuada esta, en protesta por aquel acuerdo que sus gobiernos refrendaban y ellos consideraban injusto", testimonia Delgado.

Porras, personalidad académica y diplomática, estaba gravemente enfermo de cáncer y murió dos semanas después que regresara a Lima. Se sintió utilizado ya que él firmó la solicitud de reunión por creer, como nos dijo en San José en una intención mediadora. Se paró en la sesión última y dijo que recibió instrucciones de su Presidente de votar a favor y que por lo tanto renunciaba. Allí mismo, "en desacuerdo con el espíritu y la letra de la resolución que desconocía los derechos de Cuba a la autodeterminación".

Arcaya, primo de Roa, era dirigente de URD y tenía grandes diferencias con el presidente Rómulo Betancourt, del partido Acción Democrática, no renunció en San José debido al pacto político para formar la coalición de gobierno con Betancourt. Renunció al regresar a Caracas, donde lo esperó una multitud en el aeropuerto, se reunió con la cúpula de su partido, que lo apoyó, y presentó la renuncia a Betancourt.

También hay que destacar el pronunciamiento del canciller Manuel Tello, de México —añade Delgado— en contra de cualquier intervención y defendiendo el derecho de Cuba a la autodeterminación. Tuvo una participación muy negativa el canciller Laffer de Brasil. En cambio, César Turbay Ayala, de Colombia, bastante positiva, aunque nunca como los tres primeros. Al llegar a La Habana, la delegación se dirigió directamente al antiguo Palacio Presidencial, donde en una concentración hablaron Roa y Fidel. Al día siguiente se aprobó la Declaración de La Habana. Fue un regreso dramático, pero glorioso.

 

 

(1)Interim Report. Alleged Assasinations Plots Involving Foreign Leaders. pp 71 a 75.

(2)Tim Weiner. Legado de Cenizas. La historia de la CIA. Randon House Mondadori. Tercera Edición.2008, pp 165.

(3)Declaraciones al autor.

GIRÓN 50

 

La CIA Nostra (X)

 

 

14 gennaio 2011 - Gabriel Molina www.granma.cubaweb.cu

 

 

La Central Intelligence Agency (CIA), nel 1960, si alleò con due dei dieci più pericolosi criminali per assassinare Fidel Castro. Questa terribile notizia è stata pubblicata in un documento ufficiale del Senato degli Stati Uniti, ma solo con la declassificazione dei testi segreti, negli ultimi anni, è stato possibile comprendere questa aberrante realtà.

 

La relazione dell’allora Procuratore Generale degli Stati Uniti, Robert Kennedy, citava per nome Sam Giancana e Santos Trafficante, che furono  invitati a partecipare alle operazioni della CIA approvate dall'allora presidente degli Stati Uniti, Dwight Eisenhower, e dal direttore dell'Agenzia, Allen Dulles.

 

L'informazione è stata confermata da una relazione del Comitato Speciale presieduto dal senatore Frank Church, che recita testualmente:"nell’agosto 1960 la CIA fece passi per arruolare i membri del sottobosco criminale in contatto col sindacato del gioco perché la aiutassero ad assassinare Castro". (1)

 

Richard Bissell, vice direttore della CIA incaricato dei Piani, strettamente legato ad Allen Dulles, chiamò nella mattina d'estate del 18 agosto 1960 il colonnello Sheffield Edwards direttore dell'Ufficio Sicurezza dell’Agenzia - ufficio responsabile della gestione delle operazioni e che nulla trapelasse - e gli disse che aveva espresse istruzioni  da Dulles di uccidere Fidel Castro. La decisione era stata approvata dal Presidente Eisenhower, dopo una riunione alla Casa Bianca con Dulles e Bissell stesso.

 

Il rapporto del Comitato, guidato dal senatore democratico Frank Church, afferma che alcuni uomini dell'Agenzia erano in contatto con Cosa Nostra.

 

Robert Maheu, un agente per affari “sporchi”, fu incorporato e gli fu chiesto da parte di alti dirigenti della CIA che incontrasse John Roselli per "accertare se avrebbe partecipato ad un piano per sbarazzarsi di Castro".(2)

 

Quelli assegnati al compito dovevano trovare qualcuno che potesse realizzarlo a Cuba e che l'Agenzia non sembrasse coinvolta, per cui s’istruì che fosse realizzato da qualcuno di esterno. Per  i suoi contatti a Cuba, il colonnello Edwards  propose l'uso di Cosa Nostra. Gli elementi essenziali di questa alleanza CIA-Cosa Nostra sono contenuti, dal 1975, nella relazione della Comitato Speciale del Senato.

 

La prima partnership tra il governo degli Stati Uniti e la mafia italoamericana è stata con Lucky Luciano, capo della Commissione che dirigeva le diverse borgata o famiglie di malavitosi a livello nazionale, che stava scontando una pena da 30 a 50 anni di carcere dal 18 giugno 1936, nel carcere di massima sicurezza in Dannemora. Meyer Lansky, l'astuto ebreo, amico di Luciano e di fatto suo consigliere,  negoziò con il C.te Charles R. Haffenden, un alto funzionario del Ufficio di Intelligence del Terzo Distretto Navale, un'alleanza per utilizzare i mafiosi in lavori di controspionaggio sui moli di New York che erano obiettivo degli agenti nazisti e di intelligence per lo sbarco e l'occupazione della Sicilia da parte delle truppe degli Stati Uniti. Luciano, in tal modo, uscì dalla prigione ed estradato in Italia.

 

Il Piano Militare Speciale per la Guerra Psicologica in Sicilia arrivò nelle mani del generale George Marshall, massimo responsabile della Giunta dei Capi di Stato Maggiore Congiunto degli Stati Uniti, e su sua raccomandazione fu approvato "il 15 aprile 1943 a Washington. Fu inviato ad Algeri, dove lo ricevette Eisenhower, il generale al comando  nel teatro delle operazioni in Nord Africa. Il messaggio era molto chiaro: gli Alleati stavano per utilizzare la mafia nella conquista della Sicilia. La Giunta dei Capi di Stato Maggiore Congiunto raccomandò che il piano fosse approvato ed inviato ad Algeri al generale Dwight D. Eisenhower".(3)

 

Per questo stretto vincolo Maheu, in poche ore,  ebbe un appuntamento con Roselli, nel ristorante Brown Derby a Beverly Hills, dove era stabilito il gangster, uno dei più importanti boss mafiosi della California e Las Vegas, con ampie relazioni con artisti come Frank Sinatra, Debbie Reynolds e Dean Martin.

 

Maheu volò in California nel settembre del 1960 e lì incontrò Roselli, il 14 al Brown  Derby, che si mostrò ricettivo quando Maheu gli comunicò che alti funzionari governativi erano interessati a liquidare Fidel Castro, che poteva contare su cubani nemici di Fidel e gli offrì 150000 dollari per il contratto. Roselli si rese conto che, più di quella somma, il rapporto gli sarebbe servito per eludere la minaccia di estradizione che pendeva sulla sua testa.

 

A L'Avana, quello stesso 14 settembre, si annunciava che Fidel Castro, Primo Ministro del Governo Rivoluzionario, avrebbe presieduto la delegazione cubana all’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle  Nazioni Unite, così che Maheu e Roselli si trasferirono a New York per contattare un alto funzionario della CIA, al Plaza Hotel. Roselli lì propose, e fu accettato, d'incorporare nella cospirazione il suo amico Sam Giancana, il successore di Al Capone, per le sue comprovate capacità organizzative per tale tipo di operazioni, e Santos Trafficante - con molti interessi a Cuba espropriati dalla rivoluzione - per  le sue grandi relazioni con l'isola per stabilire i necessari contatti. Pertanto, si recarono a Miami per trovarli.

 

Giancana fu d'accordo, ma escluse la possibilità di un attentato in stile mafioso. Nessuno poteva essere assunto per farlo, essendo estremamente improbabile sopravvivere. Disse che l'unico modo per raggiungere il successo e proteggere la vita del sicario sarebbe stato quello di utilizzare un potente veleno da porre in una bevanda di Fidel Castro.

 

Sam "Momo" Giancana ereditò a Chicago l'impero di Al Capone e lo tenne dal 1957-1966. La stampa lo ha descritto come un uomo piccolo e calvo che amava gli abiti in seta, le auto appariscenti e le donne ancora più appariscenti. Colpivano anche le sue associazioni, come quella con Frank Sinatra o con la cantante Phyllis McGuire, del trio McGuire Sister.  Phyllis McGuire fu  la causa della prima indiscrezione sui piani di assassinio, quando Giancana ottenne che la CIA ponesse microfoni nella stanza della cantante per determinare se gli era infedele. I microfoni furono scoperti dall'FBI e il fatto stava per diventare uno scandalo bloccato solo dalla copertura data dall'Agenzia. Il modo con cui si rapportò a Phyllis McGuire, era molto di Giancana. Lo raffigura. Lei "perdeva ad un tavolo da gioco di Las Vegas più di  100000$. Momo la distrasse parlando in modo che non continuasse a perdere. Andò a trovare il direttore del casinò, il famoso Moe Dalitz, e gli disse che lui si faceva carico del debito, semplicemente se lo mangiava".(4)

 

Santos Trafficante era un socio da molti anni di Giancana. Erano insieme nel 1957, quando la riunione ad alto livello dei mafiosi degli Appalachian fu scoperta dalla polizia. Era anche legato ai boss Carlo Marcello, Joseph Bonnano, Meyer Lansky e Lucky Luciano. Il giovane Trafficante incominciò amministrando il casinò del cabaret avanero Sans Souci. Con Lansky realizzò altri investimenti nei casinò dei nuovi hotel Habana Riviera e Capri, per cui si circondò di gangster cubani. Prestare servizio al  proprio governo gli avrebbe sempre prodotto dividendi positivi.

 

L'ispettore capo della polizia di New York, Michael J. Murphy, sventò il primo tentativo di quella CIA Nostra. Murphy fu responsabile della sicurezza di Fidel in città, in occasione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, e Murphy apprese da un ufficiale della CIA che si sarebbe voluto utilizzare un membro della mafia locale, Walter Martino, per collocare un ordigno esplosivo nei pressi della tribuna in Central Park di New York, dove Fidel avrebbe parlato.

 

Il capo della polizia informato da un ufficiale della CIA, al Waldorf Astoria Hotel, dove avevano il loro quartier generale gli operativi della polizia newyorkese responsabile della sicurezza dei capi di stato presenti al conclave, arrestò Martino e fece fallire il piano.

 

Il fratello di Walter, John Martino, un membro della mafia italoamericana nell'Hotel Nacional de L'Avana, era stato arrestato il 5 ottobre 1959 mentre cercava di salire su un traghetto con una valigia piena di dollari dalla mafia.

 

Dopo fuggì e fu reclutato da Sam Giancana per organizzare l'attentato al C.te in Capo, di cui incaricò il fratello Walter.

 

 

(1) Church Report. Alleged Assasinations Plots Involving Foreign Leaders.
(2) Ibid.
(3) Tim Newark. Los Aliados de la Mafia. Alianza Editorial. Madrid, 2007.
(4) William Brashner. The Don Ballantine Books. New York, 1978.
(5) Fabián Escalante. Acción Ejecutiva. Objetivo Fidel Castro. Ocean Press Melbourne, 2006.

GIRÓN 50

 

Il veleno della

CIA Nostra (XI)

 

 

21 gennaio 2011 - Gabriel Molina www.granma.cubaweb.cu

 

 

Su indicazione del padrino di Cosa Nostra Sam "Momo" Giancana, il Dipartimento medico della Divisione dei servizi tecnici della CIA lavorò su una prima versione di pastiglie di veleno per uccidere Fidel.

 

Ma stavano perfezionandole e poi fu preparata un'altra famiglia di pillole,  dagli stessi scienziati di quei servizi, che furono consegnate ad una vecchia conoscenza di Santos Trafficante, Juan Orta Cordova, collegato con il sindacato del gioco organizzato a L'Avana e in che in quel momento svolgeva il ruolo di capo degli uffici del primo ministro cubano.

 

Il Comitato Church rivelava che "la relazione dell'Ispettore Generale descrisse conversazioni tra Richard Bissell, vice direttore della CIA incaricato dei Piani strettamente legato ad Allen Dulles; Sheffield Edwards, direttore dell'Ufficio di Sicurezza dell'Agenzia ed il Capo della Divisione dei Servizi Tecnici (DTS), riferentesi al metodo più efficace per assassinare Castro. (...)."

 

Gli archivi mostrano chiaramente che le pillole furono consegnate ad un cubano per essere introdotte sull'isola, in coincidenza con l'invasione della Baia dei Porci (...) alla fine di febbraio o nel marzo 196l, Roselli riferì al Capo di Sostegno che le pillole erano state consegnate ad un funzionario vicino a Castro (...) la relazione dell'Ispettore Generale suggerisce che questo cubano stava ricevendo fondi da Trafficante e da altri criminali interessati nel garantire i monopoli del gioco d'azzardo, della prostituzione e della droga a Cuba dopo la caduta di Castro. 1

 

Il rapporto del Comitato Church riporta che il funzionario restituì le pillole gelatinose dopo pochi mesi. Probabilmente perché aveva perso la sua posizione all'interno del governo cubano. Il C.te Fidel Castro ha confermato che Orta lavorò nei suoi uffici, "il tentativo di avvelenarmi tramite un funzionario del governo cubano che aveva accesso al mio ufficio, lo abbiamo conosciuto da uno degli ultimi documenti declassificati della CIA ... non ho il minimo dubbio che Juan Orta fosse un traditore ... aveva ricevuto le pastiglie avvelenate proposte da Giancana e Santos Trafficante a Maheu ...

 

"Il traditore Orta non possedeva meriti speciali. Mantenni rapporto epistolare con lui quando cercammo il sostegno degli emigrati e degli esiliati negli Stati Uniti. Era apprezzato per la sua apparente preparazione e l'atteggiamento servizievole. Per questo aveva una speciale abilità. Dopo il trionfo della Rivoluzione, in un periodo importante aveva, con frequenza, accesso a me. Partendo dalle possibilità che allora aveva credeva che avrebbe potuto introdurre del veleno in una bibita o succo d'arancia (...) Egli aveva ricevuto soldi dal crimine organizzato per presumibilmente aiutare a riaprire i casinò. Non aveva niente a che fare con queste misure. Fummo noi che abbiamo preso tale decisione. L'ordinanza unilaterale e non collegiale di Urrutia di chiuderli stava creando caos e le proteste di migliaia di lavoratori del settore turistico e commerciale, quando la disoccupazione era molto elevata (...) Quando gli consegnarono il veleno, al contrario di quello che era successo nei primi tempi, erano molto poche le possibilità che Orta si incontrasse con me". 2

 

Dopo lo scambio di impressioni con i mafiosi, Bissell diede ordine di accelerare l'operazione. Allora si effettuò una riunione presso l'Hotel Fontainebleau di Miami, convocata da Maheu. Erano presenti Maheu, Giancana, Trafficante, Roselli, Tony Varona, primo ministro durante il governo di Carlos Prio e figura chiave nei piani della CIA per invadere Cuba. Senza perdere tempo Maheu aprì un portafoglio e collocò un sacco di soldi sulle ginocchia. Spiegò che erano 50000$ per le spese - che consegnò ai suoi complici - prese una busta contenente cinque o sei capsule gelatinose piene di un liquido insapore, inodore e incolore. "Le capsule non possono essere utilizzate in acqua bollente o in nulla di caldo" spiegò Maheu, "ma possono essere utilizzate in acqua o qualcosa del genere. Hanno un effetto limitato nel tempo, ma se si introduce nei cibi o bevande di Castro, può ammalarsi e morire nel giro di due o tre giorni. Neppure l'autopsia potrebbe rivelare che cosa lo ha ucciso". 3

 

Trafficante inviò a L'Avana Richard Caine, un ex poliziotto, membro della famiglia di Giancana, per incontrarsi con Eufemio Fernandez, uno dei suoi vecchi soci del cabaret Sans Soucit, nell'ottobre del 1960. La riunione ebbe luogo presso l'hotel Habana Riviera e Fernandez accettò di svolgere il compito, ma avvertì che era abbastanza complicato e chiese di coinvolgere il suo amico Herminio Díaz, che era stato la guardia del corpo di Trafficante a L'Avana. Entrambe spiegarono la difficoltà dell'operazione. 4

 

Trafficante fornì a Varona diversi nomi del settore gastronomico a L'Avana per coinvolgerli nell'operazione. Potevano essere integrati con gli uomini dell'organizzazione Rescate che Varona dirigeva da Miami. Tra di loro c'erano Leopoldina Grau Alsina (Polita), nipote dell'ex presidente Grau San Martín, Manuel de Jesus Companioni Souza, Santos de la Caridad Pérez Núñez, cameriere del bar dell'hotel ed altri. Companioni ricevette le capsule e discusse il piano con alcuni dei suoi complici che lavoravano presso l'hotel Habana Libre, per attendere l'occasione giusta in cui Fidel si fermasse lì per un drink come era solito fare.

 

La variante militare dell'operazione della CIA contro il governo cubano era più veloce del piani di assassinio in cui tanto confidava Allen Dulles. Queste ed altri motivi mantennero Fidel lontano dall'hotel Habana Libre. Trascorsero alcune settimane dopo il fallito attacco della Baia dei Porci  e quando Fidel Castro entrò, in una fresca notte del marzo 1963, nella caffetteria dell'hotel, con due dei suoi aiutanti e chiese loro di servire batido di cioccolato, le mani di Santos Pérez Núñez cominciarono a sudare.

 

Questa era l'occasione che aspettava. Si diresse al frigorifero, frugò a tentoni nei tubi di conduzione dove aveva lasciato la capsula di veleno, prima dell'aprile '61, e  le dita la trovarono. "Ma nella fretta e il nervosismo, che gli ispirava l'azione per cui si era preparato da più di un anno, ruppe la capsula di veleno, cercandola di prendere dal momento che  aveva aderito alla serpentina ghiacciata del frigorifero dove era nascosta". 5 Dovette abbandonare i suoi sforzi e preparare i frullati.

 

 

1 Church Report: Alleged Assasinations Plots Involving Foreign Leaders.
2 Fidel Castro: Reflexiones.
3 Fabián Escalante: Acción Ejecutiva. Objetivo Fidel Castro. Ocean Press Melbourne, 2006.
4 Ibid.
5 Church Report. Ibid.

GIRÓN 50

 

 El Año de la Alfabetización

comenzó ardiendo (XII)

 

 

28 gennaio 2011 - Gabriel Molina www.granma.cubaweb.cu

 

 

El año 1961 comenzó ardiendo en sentido figurado y real. La populosa esquina habanera de Galiano y Neptuno quedó chamuscada como un horno tras aquel incendio que se inició la noche del 31 de diciembre de 1960.

Bomberos, milicianos, soldados, trabajadores, hombres y mujeres cubanos despidieron la Nochevieja desafiando el peligro una vez más para evitar que las llamas se extendieran a los edificios colindantes desde la elegante tienda La Época, una de las cinco más importantes de La Habana.

Semanas después Reynold González, cabecilla de uno de los grupos de saboteadores, confesaba en la televisión nacional que el incendio de La Época había sido ejecutado por agentes cubanos de la CIA, con dinamita gelatinosa y fósforo vivo suministrados por oficiales de inteligencia bajo la fachada de funcionarios de la embajada de Estados Unidos. Era parte de un plan que día a día provocaba sensibles bajas en las filas del pueblo y graves daños a la economía del país. Era, como lo denominaban en Washington, una preparación psicológica para la proyectada invasión.

También ardía el país. Tres meses antes los órganos de la Seguridad habían recogido suficiente información para sustentar la denuncia realizada por el canciller Raúl Roa ante la Asamblea General de la ONU, el 7 de octubre de 1960, sobre el aceleramiento de los planes de Estados Unidos para invadir a Cuba. Solo 37 días después de la Conferencia de Cancilleres en Costa Rica convocada para enjuiciar a Cuba por las tensiones en el Caribe.

En la Finca Helvetia, colindante con los departamentos de Retalhuleu y Quetzaltenango, Guatemala, estaba ya recibiendo entrenamiento especial una brigada reclutada por la CIA, bajo el mando de militares norteamericanos. Allí se había construido una pista de aterrizaje de concreto por ingenieros norteamericanos, con hangares subterráneos, para facilitar el aterrizaje y despegue de aviones pesados y de propulsión a chorro. Se construía asimismo una carretera hacia la costa del Pacífico. En agosto y septiembre —denunciaba el informe—, mientras en San José se trataba de legalizar la intervención, entraron en Guatemala, haciéndose pasar por turistas, más de cien aviadores y técnicos militares norteamericanos.

Y en el aeropuerto de Ciudad Guatemala se vieron aviones de bombardeo con insignias cubanas. Era rumor público que escondían un doble motivo: servir para agredir a Cuba o para simular una agresión cubana contra Guatemala. Un año antes, un despacho de la agencia AP informaba que: inexplicablemente se desconocía el destino y paradero de "cinco bombarderos B-26 sustraídos de una base aérea de Estados Unidos en Miami por el piloto chileno Oscar Squella, quien después de ser interrogado fue puesto en libertad tras pagar una fianza de 2 mil dólares".1 Desde los primeros meses de 1959, Washington se negó a entregar al gobierno revolucionario aviones B-26 comprados por Batista que no fueron embarcados. El 5 de agosto de 1960 se dijo que habían sido saboteados.

No por azar, el Canciller de Uruguay daba a conocer coincidentemente un informe "secreto" circulado a los gobiernos latinoamericanos por el de Estados Unidos, según el cual, Cuba construía 17 rampas de lanzamiento de cohetes soviéticos que ponían en peligro la paz en el hemisferio occidental.

Las agencias de prensa afirmaban que Uruguay consideraba la posibilidad de romper relaciones diplomáticas con Cuba. El día anterior, el gobierno de Perú había roto, después que en una operación preparada por la CIA, un grupo asaltó la embajada cubana en Lima. Después presentaron documentos prefabricados por los servicios secretos norteamericanos, sobre supuestas subvenciones de Cuba a los movimientos de izquierda peruanos. Ya antes, sin muchos subterfugios, Guatemala también rompió. Allí, desde 1953, la represión abierta suplía a las explicaciones.

Fidel había presidido una cena de año nuevo con 10 000 maestros en el antiguo campamento militar de Columbia, convertido en la escuela Ciudad, Libertad. A la entrada un arco lumínico esplendoroso, exhortaba: ¡Alfabetice! Pues paradójicamente, 1961 había sido denominado Año de la Educación. El Primer Ministro comentaba el número dado a conocer en Uruguay, y explicaba que se trataba de un plan fraguado por Allen Dulles para crear un incidente. Las 17 rampas de cohetes formaban parte del mismo.

Había información de que la ejecución de la invasión a Cuba era inminente, con idea de realizarla antes de la toma de posesión del nuevo presidente de Estados Unidos. Fidel anunciaba que ante el peligro decenas de miles de jóvenes marcharon con sus baterías antitanques, antiaéreas y morteros a sus puestos. El Ejército Rebelde, en columnas especiales de combate y artillería, tomaba posiciones. El incendio de La Época trataba de crear condiciones para la operación.

 

 

EISENHOWER DECIDIÓ ROMPER

RELACIONES CON CUBA

 

 

El segundo aniversario del triunfo de la Revolución se conmemoraba el 2 de enero dentro de un bivalente clima de tensión y alegría.

Durante esos dos últimos años se habían producido en Cuba los cambios estructurales más profundos de Latinoamérica en todos los tiempos. La ley de Reforma Agraria, la de Reforma Urbana, las nacionalizaciones de las compañías agrícolas, industriales y de servicio norteamericanas y de la industria y el gran comercio cubanos, entre otras medidas, unidas a la disolución del antiguo ejército de Batista, de hecho complementaba la destrucción del aparato económico y militar establecido desde el 20 de mayo de 1902.

El pueblo estaba ansioso por tener una visión de conjunto de las armas con las que segmentadamente se estaban entrenando, por lo que varios cientos de miles de personas prorrumpieron en aclamaciones cuando el comandante Juan Almeida, Jefe del Ejército Rebelde, abría el desfile en un yipi, al frente de cuatro columnas especiales de combate del Ejército Rebelde, antes de incorporarse a la tribuna.

A continuación desfilaron compañías de bazucas, baterías de morteros de 120 milímetros, de antiaéreas, de cañones antitanques, de artillería pesada. Nunca se había visto una cosa igual en el país. Una hilera que parecía interminable, poderosa, de tanques pesados y medianos T-34, irrumpió en la Plaza con el mecánico ruido de sus orugas elevándose sobre las aclamaciones. Aquella tarde el sonido de los tanques desplazándose contenía una armonía casi musical.

Ya todo el mundo sabía que primero en secreto y después de modo trascendente, Fidel, Raúl y otros dirigentes cubanos habían adquirido esas armas en los países socialistas, principalmente en la URSS, pues el gobierno de Estados Unidos se negó a vender armas a Cuba y además impidió que Europa occidental continuase haciéndolo para conseguir que la Isla no tuviese con qué defenderse. Mientras tanto, en esos mismos días de enero, el presidente recién electo, John F. Kennedy, analizaba los problemas más urgentes antes de tomar posesión. Desde el 17 y el 22 de noviembre del año anterior, Allen Dulles y Richard Bissell, director y subdirector de la CIA respectivamente, habían informado a Kennedy sobre el llamado Proyecto Cuba que se planteaba el objetivo de liquidar a la Revolución Cubana. Esa decisión se había tomado por Eisenhower diez meses antes, a instancias de Nixon.

De acuerdo con los informes de inteligencia suministrados por Dulles, el pueblo cubano y el propio Ejército Rebelde manifestaban un amplio repudio por el Gobierno Revolucionario y se contaba con un levantamiento masivo una vez que se produjera la invasión. Los servicios secretos norteamericanos poseían un defecto capital: Sus agentes y oficiales informaban a los jefes lo que estos querían escuchar, aunque no fuese realidad.

En la gigantesca concentración del 2 de enero, cuando Fidel iba a iniciar sus palabras, comenzó a lloviznar. El pueblo, inmediatamente, olvidándose de su propia salud, exigió: ¡Que se tape, que se tape! Los presentes recordaban con alarma cómo en julio anterior, Raúl tuvo que tomar el relevo de Fidel cuando este hacía el resumen del Congreso Latinoamericano de Juventudes y dramáticamente perdió la voz.

Alguien trajo a Fidel una capa accediendo al clamor popular. Pero este dijo que no importaba mojarse y se despojó de ella. Las protestas alcanzaron entonces un nivel ensordecedor. ¡No, no. Que se la ponga, que se la ponga!

El Comandante insistió diciendo que en momentos en que todo el pueblo estaba dispuesto a dar su vida para defender la causa, no importan unas cuantas goticas de agua encima. Los presentes no cejaron en su empeño en que se tapase. No le quedó más remedio que volverse a poner la capa.

En noviembre último Eisenhower había completado el bloqueo económico y comercial; en diciembre 29 fueron apresados 17 miembros de una banda que, mediante tres fábricas de bombas, venía realizando atentados terroristas. Fidel fue tajante en su discurso: "la embajada americana paga aquí el terrorismo (...) Ahí hay un enjambre de agentes del Servicio Central de Inteligencia, del FBI, y del Pentágono que han estado operando impunemente, y esos agentes modernos de destrucción son los que han abastecido a los terroristas de explosivos de alto poder (...) La Revolución ha consentido que una plaga de agentes del Servicio de Inteligencia, disfrazada de funcionarios diplomáticos, hayan estado aquí espiando y promoviendo el terrorismo. Pero el Gobierno Revolucionario ha decidido que antes de 48 horas la embajada de Estados Unidos no tenga aquí ni un funcionario más de los que nosotros tenemos en Estados Unidos". 2

La orden significaba que de más de 300 funcionarios, solo debían quedar once. Al día siguiente, el gobierno de Eisenhower anunciaba al mundo su decisión de romper relaciones diplomáticas y consulares con Cuba. Dos días después se produciría otra especie de macabra respuesta: el cruel asesinato del alfabetizador Conrado Benítez .

 

 

1 Diario Revolución, 26 de enero de 1960.

2 Diario Hoy, 3 de enero de 1961.

GIRÓN 50

 

 Eisenhower pisoteó el

derecho de viajar a Cuba (XIII)

 

 

4 febbraio 2011 - Gabriel Molina www.granma.cubaweb.cu

 

 

El presidente Dwigt D. Eisenhower, en su obsesión por ahogar a la Revolución Cubana, arrebató a los ciudadanos de Estados Unidos el derecho de viajar a Cuba, hace ahora 50 años.

La insólita prohibición del 17 de enero de 1961 —tres días antes de entregar la presidencia a John F. Kennedy—, pretendía cerrar al país esa fuente de ingresos, con vistas a rendirlo por hambre. (1)

El intento de lanzar el desembarco durante la campaña electoral de 1960 para que el vicepresidente Richard Nixon pudiese aprovechar electoralmente el aura que se produciría, fue pospuesto cuando comprendieron que necesitaban un plan de mayor envergadura. Se había confiado en que repetir el éxito obtenido en 1954 por la CIA con la operación contra el presidente Arbenz de Guatemala, sería suficiente para ganar los comicios contra el carismático Senador Kennedy.

Pero la victoria de Kennedy en noviembre del 60 hacía más urgente poner en marcha el plan operativo, antes de que Cuba continuase su rápido fortalecimiento militar. De ahí la medida de romper relaciones decretada por Eisenhower el 3 de enero de 1961, a menos de tres semanas de terminar su mandato.

En una reunión en el cuartel general en la cual estaban presentes Tracy Barnes, segundo de Richard Bissell, director de Operaciones clandestinas de la CIA y J.C. King, jefe de la División América Latina, se había aprobado que un agente infiltrado en los medios dirigentes militares en La Habana provocase un accidente en que muriese Raúl Castro, segundo jefe de la Revolución. La instrucción fue orientada, según el Comité Church, en un despacho del 21 de julio de 1960 al jefe de centro de la CIA en Cuba. (2)

El atentado a la libertad de locomoción se escondía bajo el pretexto de que no se podía brindar servicio de protección normal a los ciudadanos norteamericanos después del rompimiento de re¬laciones. Desde antes, una serie de medidas, secretas unas y públicas otras, habían llevado, prácticamente, a anular el turismo norteamericano hacia Cuba. Pero el gobierno temía las visitas de grupos que viajaban a la isla a pesar de la propaganda adversa. Estos grupos, integrados por elementos liberales y progresistas de Estados Unidos, al contrastar las realidades cubanas con lo que de ellas se decía en EEUU, manifestaban su rechazo a las campañas y hacían declaraciones de solidaridad con Cuba

Por otra parte, en Estados Unidos se anunciaba que la National Air Lines suspendía sus vuelos a Cuba.

Fidel mostraba la causa profunda de la medida: la Revolución constituye un ejemplo no sólo para los pueblos de América Latina, sino también para el pueblo de Estados Unidos.

Sobre la prohibición ese día el New York Times había publicado la carta de una ciudadana norteamericana, Alice Hussey Balassa, quien regresó a su país después de unas cortas vacaciones en Cuba. La misiva se refería a los signos del progreso material, entre los muchos beneficios que ha obtenido la población cubana: liquida los barrios de indigentes, reduce el analfabetismo, aumenta la fabricación de viviendas para los obreros y campesinos y construye escuelas y cooperativas campesinas.

Documentos oficiales desclasificados por el Archivo Nacional de Seguridad, revelaron que desde el 12 de diciembre de 1963, menos de un mes después del asesinato de John F. Kennedy, el aun Secretario de Justicia Robert Kennedy envió un comunicado al secretario de Estado, Dean Rusk, instando a que se retiraran las regulaciones a los viajes de ciudadanos de Estados Unidos a Cuba

Robert Kennedy calificó en esa oportunidad las limitaciones de viajar a la isla del Caribe como una violación de las libertades americanas.

En los documentos desclasificados por el Nacional Security Archives en junio 29 del 2005, encontrados en la librería del Congreso y en la del Presidente John F. Kennedy, el entonces secretario de Justicia Robert Kennedy, agregaba: es impracticable arrestar, acusar y comprometerse en persecuciones de mal gusto contra los ciudadanos que buscan viajar a Cuba.

La iniciativa era apoyada por McGeorge Bundy, consejero de seguridad Nacional, quien en otro memo las calificó también como inconsistentes con las tradicionales libertades americanas.

Sin embargo, al día siguiente, de esa exhortación, el 13 de diciembre, el Secretario de Estado adjunto, George Ball, desestimó cualquier relajación en las restricciones. El decreto fue mantenido por el presidente Johnson, alegando que le perjudicaría una decisión sobre Cuba en las elecciones de 1964. El sucesor de John F. Kennedy tras el criminal atentado, también desestimó gestiones ulteriores del Fiscal general para normalizar las relaciones.

En la reunión no estuvo presente ningún representante de Kennedy, a pesar de ser el autor de la propuesta. En lugar de aprobarla, Ball propuso advertir a las personas que pudieran estar considerando tal viaje, que al hacerlo sus pasaportes serían descalificados y podrían ser objeto de proceso criminal.

A pesar de que Robert continuó solicitándolo, el decreto fue mantenido por el presidente Johnson hasta que el presidente Carter lo dejó sin efecto durante su período al frente del gobierno, de 1976 a 1980. Pero las restricciones fueron reimpuestas por el presidente Ronald Reagan, quien sucedió en el cargo a Carter en enero de 1981. Al iniciar su segundo mandato, (1996-2000) Clinton permitió viajes amparados en licencias por motivos religiosos, académicos y otros. Después el presidente Bush hijo reforzó las prohibiciones, antes de las elecciones del 2004. La Administración Obama ha retrotraído las medidas en 2011 a la situación en que la puso Clinton con su política del segundo carril: expedir licencias para contactos pueblo a pueblo. Ellas ni rozan en esencia el bloqueo.

Desde la misma tarde del asesinato del Presidente, Robert Kennedy, su Secretario de Justicia, preguntó a John McCone, director de la Agencia en sustitución de Allan Dulles, si había sido la CIA la autora del crimen de su hermano. Robert sabía que quien la controlaba era Richard Helms, un profesional de la inteligencia designado Subdirector de la CIA y Director de Operaciones Especiales, que siempre miró con desprecio la actividad de Robert de supervisor de la agencia.

Los meses subsiguientes aún como Secretario de Justicia en el gobierno de Johnson, Robert Kennedy calladamente investigaba ya a los grupos de oficiales de la CIA y pandilleros cubanos, pues llegó a conocerlos tanto como para sospechar de ellos.

Cinco años más tarde, a punto de aspirar a la jefatura del Estado norteamericano frente a Richard Nixon, estaba aún más convencido que los intentos de culpar a Cuba del magnicidio eran parte del complot de aquellos.

Al declarar por primera vez desde el magnicidio que reabriría la investigación si ganaba la presidencia, durante un mitín electoral en que le hicieron la pregunta, Robert ponía en peligro el secreto tan bien guardado por la CIA.

Las conclusiones del Comité Especial del Congreso que investigó desde 1976 a 1978 el asesinato del Presidente de Estados Unidos, demandaron a la Secretaría de Justicia reiniciar la investigación. Pero la Agencia Central de Inteligencia se niega a abrir los files sobre el caso que escondió al Comité Selecto bipartidista presidido por el Representante a la Cámara Louis Stokes.

En la primavera del año2007 fue dado a conocer que miembros del grupo de oficiales CIA sospechoso de haber participado en el asesinato del Presidente, entre ellos Joannides, estaban presentes, más allá de sus funciones, en el hotel donde fue asesinado Robert, el candidato seguro a ganar la presidencia. Desde entonces, nuevas evidencias mostradas por investigadores aconsejan reabrirlo pero la CIA se remite al plazo de 50 años de los trágicos sucesos para que sea obligatorio desclasificar los expedientes.

Según el libro Brothers del investigador David Talbot, el diplomático y periodista William Attwood, partícipe en las negociaciones autorizadas por el Presidente días antes del asesinato y algunos íntimos de Robert Kennedy, han revelado que "Helms interceptó los teléfonos de Lisa Howard". (3 ) El Secretario de Justicia también sospechó que de ese modo el grupo de la CIA y de los mafiosos cubanos que con ellos trabajaban en los complots contra Fidel Castro se complotaron para ejecutar el magnicidio.

Como Robert era el brazo derecho de John y el continuador de sus ideas y sus acciones, "algunos demócratas de los círculos íntimos del Secretario de Justicia apodaban Raúl a Bobby" (4 ) bromeando sobre cierta semejanza en sus misiones con Fidel y Raúl.

 

(1) Departamento de Estado: Relaciones Exteriores de los Estados Unidos, 1958-1960. Tomo VI Cuba

(2 ) Church Committee Report. Alleged Assassinations Plots Involving Foreign Leaders. B-Cuba. pp 71

(3 ) David Talbot. Brothers. The hidden history of the Kennedy years. Simon & Shusters. 2007 pp 233

(4 ) Ibid. pp. 92

 

GIRÓN 50

 

Aquella polémica

en Miami (XIV)

 

11 febbraio 2011 - Gabriel Molina www.granma.cubaweb.cu

 

Una pintoresca polémica se estaba desarrollando en Miami durante los últimos días de enero y los primeros de febrero de 1961, cuyo resultado no es difícil de identificar en nuestros días. Los personajes parecían extraídos de una tragicomedia. Se trataba de Esteban Ventura Novo y Tony Varona.

El primero se había hecho famoso por su vocación de criminal, por la sangre fría con que asesinaba revolucionarios en tiempos de Batista. Los primeros pasos de Ventura lo caracterizaron como represor de las manifestaciones estudiantiles bajo la severa mirada del Alma Máter. Se podría decir que no tuvo ningún padrino. Sin ayuda de nadie, de asesinato en asesinato, fue ganando los grados con que Batista lo premiaba. De teniente a coronel en solo dos años.

 

Ventura vs. Varona: el esbirro y el politiquero.

 

En los últimos años de la tiranía, casi a diario su figura alta y espigada, enfundada en un almidonado traje blanco dril 100 o en su azul uniforme, bigotillo cuidadosamente cortado, irrumpía en las primeras páginas de los periódicos junto a un grupo de revolucionarios detenidos o abrazados a un charco de sangre. La más pública de sus hazañas fue el crimen monstruoso de Fructuoso Rodríguez, José Machado, Juan Pedro Carbó Servia y Joe Westbrook, en Humboldt 7.

Ventura se ensañó particularmente con ellos como venganza por el asalto al Palacio Presidencial, organizado por el Directorio Revolucionario. Y tal vez por el recuerdo de aquella mañana aún siendo teniente, en que franqueó las puertas del hospital Calixto García persiguiendo a los estudiantes. En su afán, el ya conocido esbirro ingresó en uno de los locales del internado. De repente, Juan Pedro Carbó salió del interior de un armario —donde se había escondido— y accionaba el índice y el pulgar, como los niños cuando juegan a los policías y ladrones para simular que portan una pistola, a la par que lo conminaba a rendirse.

Sorprendido por la inesperada y desdeñosa broma, Ventura casi deja caer su arma del susto. Montó en cólera y le gritaba histéricamente:

—¡Te voy a matar, Carbó...Te voy a matar!

Con aquel desenfado que lo caracterizaba, burlándose del destello de temor del represivo, Carbó le contestaba riendo:

—No vas a matar a nadie, Ventura, tú eres una...

Tony Varona, en cambio, era un político profesional, ex primer ministro, ex presidente del Senado, famoso hasta entre los oficiales de la CIA por sus escasas luces mentales. Howard Hunt, el espía norteamericano subordinado a David Attlee Philips en los planes contra Cuba, ha relatado en su libro Give us this day las comprometidas situaciones en que lo colocaba esa característica de Tony. Era tanta su torpeza que se le conocía como Pony. Aquí y allá.

Ventura estaba indignado con Tony porque este lo había vetado públicamente para formar parte en las filas de la CIA contra la Revolución cubana. Esa distinción provocó que el esbirro se dirigiera en carta pública al favorito de la Compañía en esos momentos: "diríamos que los que ocupábamos posiciones destacadas en los cuadros de las fuerzas armadas de nuestro país somos los verdaderos veteranos anticomunistas, porque fuimos los primeros en combatirlos".

Después de esa singular profesión de fe, Ventura pasaba a contar una parte de la historia de Varona. Le relacionaba varios asesinatos cometidos en los gobiernos de los cuales Pony fue un conspicuo dirigente. Mencionaba el crimen de los estudiantes Masó y Regueyro; de la impunidad para matar concedida a ciertos grupos gangsteriles; el cuarto de tortura forrado de corcho del Buró de Investigaciones y le decía que las manos de Tony no solo estaban manchadas de sangre, sino también de oro, por haber participado en la falsa incineración de 40 millones de pesos, cantidad de la que se apropió un grupo en el gobierno de Carlos Prío, encabezado por su hermano y ministro de Hacienda, Antonio Prío.

Mientras acusaba a Varona, se burlaba del tirano que al huir lo dejó embarcado en Cuba: "¿Qué pensaba el doctor Tony Varona acerca de sus obligaciones como premier del gobierno cuando aceptó, tácitamente, la concesión de amplias facilidades al famoso traficante de drogas Lucky Luciano, para que pudiera hacer de La Habana su base de operaciones para toda la América Latina? Esto también produjo oro, doctor Tony Varona, oro que bañó las manos de varios funcionarios del régimen del que era usted premier. El soborno, la ‘botella’, el despilfarro, la dilapidación de los fondos públicos, sentaron sus reales en Cuba, doctor Tony Varona, no precisamente en la época de los manchados por usted sino de los ‘inmaculados’ gobiernos que precedieron al del cobarde que huyó en la madrugada del 1ro de enero... no divida a los cubanos por delitos, sino por épocas... si por delitos los va a arrojar del ‘templo de los puros’, le aseguramos que se le quedará el templo vacío."

En Miami y Guatemala, la polémica VV, Ventura vs. Varona, cuya esencia era la participación de los batistianos en los planes de invasión a Cuba, se generalizaba y amenazaba con poner en peligro la aventura.

El desarrollo de los hechos le estaba dando la razón al esbirro sobre el politiquero. La CIA prefería a los batistianos en sus filas. La CIA pensaba como Ventura: los primeros anticomunistas habían sido los es-birros. Pero no se trataba de que Tony vetase a todos los batistianos. La cuestión era con ciertos batistianos como Ventura. A otros, como Calviño y el chino King, se les había aceptado. Pero la presencia de Ventura Novo era demasiado escandalosa.

Arthur Schlesinger, consejero del presidente Kennedy además de escritor, admitió más tarde esa preferencia, adornándola con razones tácticas: "Los consejeros norteamericanos se impacientaban ante lo que consideraban sutilezas políticas. Ellos preferían hombres con experiencia militar profesional (del ejército de Batista) como Pepe San Román que había sido entrenado en Fort Belvoir y Fort Benning, en Estados Unidos, en los que se podía confiar para cumplir las órdenes dadas."1

En realidad eran los oficiales batistianos quienes tenían experiencia militar, aunque en la Sierra Maestra no les valió de nada.

Como pantalla de la agresión, la CIA había formado en junio de 1960 un llamado "Frente Revolucionario Democrático", en que agrupó a cinco de los principales cabecillas. Uno de ellos era Tony Varona, quien se apresuró a declarar cuando fue escogido que se devolverían los bienes confiscados por el régimen de Castro a sus propietarios americanos y cubanos. Pero el control de la CIA originó resentimientos dentro del mismo frente, apuntaba Schlesinger. En septiembre la CIA designó a Tony Varona coordinador del grupo, lo cual provocó la renuncia de uno de los miembros, Aureliano Sánchez Arango, antiguo ministro de educación y de relaciones exteriores en el gobierno de Prío, al que también perteneció Tony Varona.

Esa tormenta pasó. Pero en los campos de entrenamiento se reflejaban estas pugnas al acaparar los batistianos las jefaturas. Los parciales de Tony Varona y de Manuel Artime, jefe político de la brigada, reclamaban la presencia de ambos en Guatemala para exponerles personalmente las quejas. Esas y las del trato despectivo que les daban muchos de los instructores norteamericanos. Pero a los "dirigentes" del frente la CIA no les permitía visitar los campos de entrenamiento de Retalhuleu, y estaban obligados a aceptar las órdenes o se les cortaban los jugosos ingresos.

Mas la situación hizo crisis y a despecho de la opinión de los jefes de la CIA en los campos de entrenamiento, en Washington se decidió autorizar a Tony Varona y Artime a trasladarse allí para tratar de resolver el problema. Pero en la jefatura de la CIA no se permitían veleidades, pues para eso pagaban todos los gastos, incluso la vida acomodada y los periplos por América y Europa de los cabecillas. Se dieron instrucciones a Howard Hunt de que los condujese a la base de entrenamiento en Guatemala y que redujese a todos a la obediencia.

Hunt era un viejo amigo de Miguel Ydígoras, el presidente de Guatemala. Cuando la CIA organizó y ejecutó en Guatemala el plan contra el presidente constitucional Jacobo Arbenz en 1954, Hunt era el jefe de acción política. Oficial de inteligencia desde los viejos tiempos de la Organización Servicio Secreto (OSS), tenía el orgullo de haber sido felicitado incluso por Eisenhower en el operativo de 1954. Los Varona y Artime de aquella aventura fueron los coroneles Carlos Castillo Armas y, precisamente, Miguel Ydígoras. Hunt llevó a Varona y Artime a ver al presidente Ydígoras, quien se caracterizaba por sus excentricidades, como la muy comentada ocasión en que se puso a bailar la suiza ante las cámaras de televisión.

Varona debía agradecimiento a Ydígoras por haber cedido el territorio de Guatemala para instalar los campos de entrenamiento. Ydígoras debía agradecimiento a Varona por haber utilizado a los hombres de la futura brigada 2506 en sofocar la revuelta militar contra el gobierno, algo más de dos meses antes. Pero ambos sabían que en realidad debían esos favores a la CIA, y para respaldar intereses de Estados Unidos, Hunt narró la entrevista de Ydígoras y Varona que seguramente fue deliciosa.

Varona puso su voz más engolada que de costumbre y trató de imprimir sinceridad a sus palabras en un retórico discurso. Pero Ydígoras dictaba un memorándum a su secretaria mientras el ex premier disfrazado de libertador hablaba. En definitiva ya había desempeñado ese papel y lo conocía bien. Hunt escribiría irónicamente después que fue una prueba del talento de Ydígoras para hacer dos cosas a la vez. El futuro "plomero" de Watergate fue noticia en los años 70 por haber dirigido la operación de espionaje de Nixon contra el cuartel general del Partido Demócrata en Washington, usando a los mismos individuos de origen cubano que cuando los planes de invasión. En Retalhuleu, Varona no tuvo más remedio que atenerse a las instrucciones de Hunt y calmar a sus amigos. Aunque varios de ellos ya habían sido puestos tras rejas en la selva guatemalteca.

Esas preferencias por los batistianos no dejaron de reflejarse, incluso con matices más intensos, en los congresistas de origen cubano que lideran las conspiraciones contra Cuba, en los últimos años encabezados por Ileana Ros Lehtinen y los hermanos Díaz-Balart, hijos y nietos de altos funcionarios del régimen de Batista, muy ligados a él.

 

 

1 Arthur M. Schlesinger: Los mil días de Kennedy, Ayma Sociedad Anónima, Barcelona, 1966, p. 179.

 

GIRÓN 50

 

La polémica Ventura-Varona

acabó en reyerta (XV)

 

19 febbraio 2011 - Gabriel Molina www.granma.cubaweb.cu

 

Una silla volando por el aire vino a posarse sobre la anatomía de Carlos Prío Socarrás, uno de los últimos politiqueros llegados a Miami para unirse a los planes de invasión a Cuba.

 

 

 

 

Masferrer y Prío, otras dos “buenas piezas” en la polémica entre esbirros y politiqueros.

 

 

Era el colofón de la polémica sostenida desde semanas antes entre los esbirros de Batista Esteban Ventura y Rolando Masferrer, y los de Allen Dulles, Tony Varona y Prío Socarrás. Los primeros se autodenominaban "puros" y llamaban "arribistas" y "arrepentidos" a quienes llegaron a las costas floridanas después de ellos.

Los batistianos comenzaron a llegar a Estados Unidos desde el mismo Primero de enero de 1959. Y pronto fueron bien recibidos. Se les reconocían sus méritos. Los otros fueron después.

Ventura no hacía distingos entre Tony Varona y Miró Cardona. La causa del irrefrenable disgusto de los batistianos era que los recién llegados se habían apoderado de los fondos suministrados por el gobierno de Estados Unidos y manejados a través de la CIA. Incluso más sustanciosos que los recibidos por ellos.

Uno de los periódicos batistianos, en los días previos a la reyerta, la emprendía contra el grupo formado por la CIA como fachada dirigente de la invasión que se preparaba.

"El Frente Revolucionario Democrático está en la agonía —decía el periodiquito batistiano. Su 'coordinador' (Tony Varona) se esfuerza por hacerlo reaccionar, viaja a Washington, a Nueva York, a Guatemala. Toca en todas las puertas. Hace invitaciones a los que antes cerrara por considerarse el dueño de 'La llave de los rayos', pero hay una verdad. El FRD se ha ganado ya el R.I.P.". Y agregaba más adelante: "Todo ello unido al desenfreno en el manejo de los cuantiosos fondos que se le pusieron en las manos, los que solo han sido utilizados para crear el divisionismo, entorpecer la lucha anticastrista y proporcionar la vida cómoda y confortable a un grupo de favoritos que han estado viviendo —y aún viven en el exilio—, en mejores condiciones económicas que las que antes disfrutaban en Cuba."

La nota periodística seguía la más depurada técnica del chantaje. Brindaba la información real que poseía, pero sin entrar en detalles, para que se supiera que se estaba dispuesto a soltarlos si no había reacción crematística.

Efectivamente, Tony Varona había tenido que viajar a Guatemala para tratar de acallar las protestas por haber situado la CIA a ex militares batistianos al frente de la brigada invasora, a pesar de que él mismo desconfiaba de ellos. Y lo habían obligado a viajar a Nueva York y Washington, porque el gobierno norteamericano le imponía aceptar a Miró Cardona por encima de él y a que incluyese en la nómina a Manuel Ray, un conocido desertor, quien fuera ministro de obras públicas. Como integrantes estos dos últimos del primer gabinete de 1959 en Cuba, parecía a la nueva administración de Estados Unidos que el grupo se hacía menos cuestionable.

No era cierto lo de la vida "cómoda y confortable" que llevaban estos con los generosos cheques de la CIA, que invertía varios millones de dólares en el proyecto. Solo que en la otra acera el tejado era de frágil cristal.

A la llegada de los "líderes" para el acto convocado en una nave acondicionada con sillas de tijera por el FRD, los batistianos se apostaron en la calle para recibirles con rechiflas. Discusiones y bofetadas estallaban antes de que la policía yanki interviniese para restablecer el orden a garrotazos.

Adolorido física y mentalmente, Prío negaba en sus palabras que el acto se hubiese convocado para dividir. El resumen lo hacía Miró Cardona, quejándose también del incidente, y terminaba con su habitual estilo ampuloso: "La historia impoluta pasará de comunión en comunión, mientras haya mujer cubana que sostenga el cáliz de la procreación..."

Pero la pugna, desde luego, no era solo entre batistianos y no batistianos. Se trataba de algo más y así lo definía Lomberto Díaz, ex ministro en los gobiernos auténticos y jefe de la organización de Tony Varona en Cuba hasta que huyó del país. Junto a César Lancis y otros, Lomberto declaraba enjuiciando la conducta de su jefe Tony Varona: "Con dolor asistimos al deplorable espectáculo que ofrecen hombres que, desconectados de la realidad cubana, se entregaron a una frenética lucha por el poder personal..."

Así eran los "demócratas que iban a liberar a Cuba". Conociéndolos bien, Fidel los enjuició así: "Lo más que se les ha ocurrido en su vida es ir allá de mendigos al Gobierno yanki a pedirles dinero y a pedirles armas, y a buscar al FBI y a la CIA, los esbirros yankis, para que les faciliten armas y les hagan planes y les preparen campañas terroristas... ¿Esos son los hombres que van a venir a derrocar al pueblo armado? ¡No nos hagan reír!... Porque ese gobierno de mercenarios no les dura (en Cuba) ni 24 horas."

 

DISCREPANCIAS DEL SENADOR FULBRIGHT

 

En esos mismos días, en Washington, el presidente Kennedy invitaba a James William Fulbright, presidente de la Comisión de Relaciones Exteriores del Senado de Estados Unidos, a pasar con él la Pascua de Resurrección en Palm Beach. Ambos eran católicos.

Al conocer la invitación, Fulbright redactó un memorándum ayudado por Pat Holt, miembro de su equipo de trabajo, el que entregó al Presidente al abordar el avión que los llevaría al sur, cerca de Cuba.

El memorándum, contentivo de los puntos de vista del Senador, expresaba: "La cuestión de la política de Estados Unidos respecto a Cuba, supone escoger entre dos posibilidades prácticas:

"1) Derrocamiento del régimen de Castro.

"2) Tolerancia del régimen de Castro, combinada con esfuerzo para aislarlo y separar el resto de América Latina de él.

"Puede añadirse una tercera posibilidad —modificar al régimen de Castro. Pero Castro ha tenido muchas oportunidades de modificarlo y las ha rehusado, por lo cual este curso parece más teórico que real. Tal vez, sin embargo, no debe ser rechazado hasta que el Presidente esté conscientemente satisfecho, a través de cualquier canal privado adecuado de que no es posible seguir este curso".

Más adelante, Fulbright añadía: "No se puede contar con un colapso del régimen de Castro o su derrocamiento violento, sin la ayuda de fuerzas internas.

"Casi a diario, sin embargo, la prensa trae relatos y en algunos casos fotos, de los exiliados cubanos sosteniendo entrenamiento militar en bases secretas en la Florida o en algún lugar del Caribe, o en Guatemala, para una invasión a Cuba. Es un secreto a voces que el gobierno de Estados Unidos ha presionado a los exiliados a unirse y que Estados Unidos está apoyando, o al menos tolerando, actividades en su suelo con el objetivo de retornar a Cuba..."

Después de analizar los pro y los contra —para Estados Unidos— de cada uno de los posibles cursos de acción respecto a Cuba, Fulbright afirmaba:

"Debe también afrontarse la perspectiva de que una invasión a Cuba por exiliados encontraría una formidable resistencia que los exiliados, por sí solos, no serían capaces de vencer. Entonces surgiría la cuestión de si Estados Unidos desearía dejar caer el intento (en la probable esperanza de que pueda ser ocultado el papel jugado por Estados Unidos) o si los Estados Unidos responderán con la progresiva asistencia necesaria para asegurar el éxito. Esto incluiría en última instancia el uso de fuerzas armadas, y si llegamos a eso, incluso encubiertos en la legitimidad, echaríamos a perder el trabajo de 30 años tratando de hacer olvidar las tempranas intervenciones..."

Las ideas de Fulbright suscitaron más preocupaciones en el recién estrenado Presidente. Kennedy sabía que a Fulbright no le faltaba razón, pero....

GIRÓN 50

 

Conjura en escuelas

privadas (XVI)

 

5 marzo 2011 - Gabriel Molina www.granma.cubaweb.cu

 

La isla entera sentía aumentar la tensión al finalizar febrero de 1961. En la Plaza Cadenas de la Universidad de La Habana, donde cada día se han reunido siempre los jóvenes estudiantes, ocurría algo insólito: el techo de un automóvil caía a más de 50 metros del lugar en que se hallaba estacionado, al explotar una potente bomba.

El auto fue dejado junto a la Escuela de Ciencias por elementos criminales, con la bomba en su interior cronometrada para explotar a una hora determinada. Una joven estudiante, Teresa Pérez González, sufrió heridas graves de las cuales fue atendida en el contiguo hospital docente Calixto García.

 

 

El exclusivísimo Vedado Tennis Club se convirtió en el círculo social José Antonio Echeverría al ser abandonado completamente por sus dueños.

 

 

El atentado dinamitero se combinaba con el llamamiento a una huelga estudiantil hecho por los conspiradores en la enseñanza secundaria, cuyas aulas aparecieron con letreros incitando a apoyarla y una absurda consigna digna de sus autores: "Caigan los libros". La conjura era consecuente con la intensificación de las actividades subversivas contra la Revolución, que fueron claramente ilustradas por Reynol González González, quien, semanas después ante la televisión nacional, se confesó cabecilla de un grupo autor de la ola de terrorismo, como el incendio en la tienda La Época con que comenzó el año 1961. González admitió haber empleado fósforo vivo y dinamita gelatinosa suministrados por oficiales de Inteligencia que eran funcionarios de la embajada de Estados Unidos.

Eran también consecuencia de las reuniones que desde el 22 de enero, dos días después de la toma de posesión del presidente, John Fitzgerald Kennedy, estaba sosteniendo el equipo de dirigentes de la nueva administración con Allen Dulles, director de la CIA, y el general Lyman Lemnitzer, jefe del Estado Mayor. El informe que dieron los militares encargados por Kennedy de analizar la situación, fue que el levantamiento interno de cierta importancia dado por Dulles como garantía del éxito, era muy poco probable que se produjese, pues no tomaba en cuenta un informe de inteligencia nada menos que de los analistas de la CIA, el cual aseguraba que el apoyo popular al liderazgo revolucionario crecía, lejos de disminuir. Los jefes de la agencia no habían hecho el menor caso. Sin embargo, el dictamen a Kennedy concluía: "al menos contribuiría al final derrocamiento del régimen". (1) A pesar de sus dudas, el presidente le dio luz verde.

La Asociación de Jóvenes Rebeldes (AJR), frente a la pretendida huelga, convocó a una gran concentración frente a Palacio.

 

RAÚL HABLA a LOS ESTUDIANTES

 

Los alumnos agrupados en la AJR de las escuelas privadas protestaban contra la expulsión de ocho jóvenes del colegio La Luz, por sus posiciones revolucionarias en respaldo a los estudiantes de la Electromecánica de Belén. Y se movilizaban hacia la demostración convocada. Con una gigantesca bandera cubana, se agolparon frente al antiguo Palacio Presidencial, bajo la lluvia, a escuchar las palabras de Raúl. El segundo jefe de la Revolución preguntó si querían suspender la reunión para evitar mojarse y ante la rotunda afirmación de continuarla, explicó en un sereno discurso el verdadero origen imperialista de la conjura. Los conspiradores retaron a los alumnos entonces a expresar en alta voz las consignas cantadas durante el desfile frente a Palacio. Ellos se dirigieron hacia el patio de la escuela, entonaron el Himno Nacional y repitieron las consignas revolucionarias. Por esto se pretendía expulsarlos del plantel.

La panorámica se completaba con la denuncia de la FEU sobre la expulsión de ocho estudiantes, por haber puesto letreros en el colegio que condenaban el asesinato de Patricio Lumumba. Gil Beltrán, director de la escuela, los expulsó y agregó que estaba dispuesto a cerrarla antes de permitir que allí se manifestaran a favor de la Revolución. Los estudiantes testimoniaron que Beltrán amenazó con expulsar al resto de los alumnos que se solidarizasen con la actitud de los revolucionarios. Cuando lo hicieron, el exaltado director cerró el colegio y se dispuso a irse hacia Estados Unidos, como le habían sugerido sus asesores ligados a la embajada. El Ministerio de Educación designaba a un director provisional del plantel y las clases se reanudaban normalmente.

La situación en la Isla continuaba caracterizándose por los multifacéticos esfuerzos de la contrarrevolución interna para sacar la cabeza. El diario Revolución publicaba una nota en la que llamaba la atención sobre esta nueva fase de su acción: estaban abandonando las escuelas. Se trataba de una de las campañas de propaganda para crear ambiente favorable a los designios de ahogar a la Revolución concebidos en Washington. Era uno de los puntos principales de la operación, aspecto dirigido desde la poderosa estación JM Wave, de Miami, por el especialista de la CIA David Atlee Philips.

El propósito era dejar a Cuba sin técnicos y profesionales para dificultar la economía y los servicios y así crear un ambiente de zozobra. Para enfrentar esa subversión en la enseñanza secundaria los profesores revolucionarios formaron una organización y denunciaron la conjura.

 

LAS MAQUINACIONES DE LA BURGUESÍA

 

La consigna de abandonar las propiedades y marchar a Estados Unidos para participar en las maquinaciones contra la Revolución o esperar a que estas dieron fruto, encontraba más audiencia lógicamente entre la alta burguesía afectada por las medidas revolucionarias, como las leyes de Reforma Agraria y de Reforma Urbana.

María Luis Gómez Mena, condesa de Revilla de Camargo, abandonó el país, como otros millonarios, impulsados por la desenfrenada acción de los Shackleys, los Atlee Philips y los Hunts que propalaban cataclismos como la falsa Ley de la Patria Potestad, en su apogeo aquellos días, para ablandar las conciencias en la fase preparativa de la invasión. Algunos sencillamente no resistían el auge de los de abajo y se iban. Otros, como el ex presidente Carlos Prío y sus allegados, además de guiarse por los consejos que vaticinaban la zozobra del barco, no veían qué hacer si se acababa la politiquería. El diario Revolución lo señalaba diciendo que "allí donde los criminales de guerra tienen su paraíso. Donde una vez sin respetar su condición de ex presidente de una nación amiga le llevaron esposado por las calles. Donde la conjura contra la tierra que lo vio nacer es tema que se habla a viva voz con el cómplice asentimiento de las autoridades. Allí en Miami, Carlos Prío hizo ayer su profesión de fe contrarrevolucionaria... olvidando que la Revolución, generosa, sí le perdonó sus muchos errores en atención a gestos que parecieron de rectificación".

Mientras fenecía febrero, los medios masivos nacionales reflejaban también otros residuos de la época que iban desapareciendo junto con sus beneficiados, al par que se tomaban medidas que acrecentaban el respaldo popular. Se daba a conocer, por ejemplo, que las viviendas populares y las a construir en lo adelante, se pagarían con el 10 % del salario de los inquilinos, que se abonaría cada mes como compra a plazos de la casa. En un universo donde los alquileres ascendían cada año y llegaban en algunos países al 40 % y 50 % de los salarios, la noticia causaba asombro. Y por supuesto alegría popular. En el sentido también de rescate de las riquezas, el exclusivísimo Vedado Tennis Club se convertía en el círculo social José Antonio Echeverría, al ser abandonado completamente por sus dueños. Era natural, desde luego, les quedaba cada vez menos "clientela". En lo adelante, los pobres y los negros podrían entrar en el coquetón club de 12 y Calzada, como ocurrió con los restantes recintos donde antes solo admitían a blancos ricos.

 

1) Arthur Schlesinger. Los mil días de Kennedy. Editora Ayman. Barcelona, pp. 181

 

GIRÓN 50

 

Asesinatos en el Escambray (XVII)

 

12 marzo 2011 - Gabriel Molina www.granma.cubaweb.cu

 

El presidente Dwight D. Eisenhower siguió los consejos de su vicepresidente Richard Nixon y ordenó el 17 de marzo de 1960 a Allen Dulles, director de la CIA, intensificar el apoyo a los alzados en zonas montañosas de la isla para respaldar a una fuerza invasora cubana que desembarcaría y llevaría a cabo una acción de guerrillas contra el Gobierno.

"La fase inicial de las operaciones paramilitares contempla el desarrollo, apoyo y orientación de grupos disidentes en tres áreas de Cuba: Pinar del Río, el Escambray y la Sierra Maestra. Estos grupos serán organizados para una acción guerrillera concreta contra el régimen", expresa el texto. (1)

En la práctica se agregó la provincia de Matanzas, también en zonas de difícil acceso.

Dulles presentó el plan, que incluía formar el mayor número posible de organizaciones contrarrevolucionarias, realizar toda clase de sabotajes y atentados, intensificar la propaganda y la captación de adeptos, sembrar el terror y desestabilizar y hacer insostenible la situación en el país con otras medidas de carácter económico hasta derrocar al Gobierno.

De inmediato la CIA comenzó a montar en Guatemala y Miami la agresión. Este operativo, conocido finalmente en la CIA como Plan Pluto, primero se llamó Plan Escambray y después Plan Trinidad, antes de adoptar su nombre criptográfico definitivo. Desde el primer momento su objetivo consistía en, además de reclutar y adiestrar una fuerza contrarrevolucionaria para alzarse en las montañas de la región central de Cuba, junto a otras medidas paramilitares —unidas a las económicas y diplomáticas—, acabar con la Revolución cubana.

Desde entonces Eisenhower aprobó a esos efectos un presupuesto de 13 millones de dólares para el Plan Escambray. La CIA planeaba formar pequeños grupos que se filtraran en Cuba o se alzaran directamente en las regiones montañosas y establecieran centros de resistencia. Los suministros en armas y alimentos les serían enviados desde Estados Unidos, a través de vuelos de aviones piratas. El presupuesto fue creciendo y a la larga, costó más de 250 millones de dólares a los contribuyentes norteamericanos.

El fracaso en hacer llegar los suministros a las manos de los alzados fue una de las razones que hicieron variar la concepción táctica de la CIA por la de un asalto directo semejante al de Guatemala en 1954. En eso consistió el Plan Trinidad, segunda variante diseñada por Dulles, quien incorporó a oficiales que habían actuado contra el gobierno de Arbenz, como Howard Hunt, más tarde organizador de los "plomeros" de Watergate.

A mediados de 1960, se alzó en el Escambray la banda de Osvaldo Ramírez, quien conocía la región palmo a palmo por ser oriundo de la zona de Sancti Spíritus, la que recorría de arriba a abajo antes de la guerra, manejando el camión de un aserradero. Ramírez amplió sus conocimientos y relaciones en el área, cuando operó allí durante la guerra contra Batista. Por esas razones, el contacto entre la CIA y los grupos de alzados —un cuñado de Tony Varona conocido como el comandante Augusto—, lo nombró jefe de todos los alzados del Escambray, pasando por encima de bandas como las de Sinesio Walsch y Plinio Prieto, que comenzaron a merodear y cometer depredaciones antes que Osvaldo Ramírez.

El flamante jefe de todos los alzados en el Escambray era tan dependiente de la CIA que cuando los oficiales de la agencia que actuaban en La Habana creyeron tener penetrado al comandante Tony Santiago, quien en realidad actuaba infiltrado por los órganos de Seguridad del Estado, y propusieron a Osvaldo Ramírez que se convirtiera en segundo de Santiago, Ramírez aceptó sin discusión, ya que en el anterior proceso, antes de 1959, había actuado bajo sus órdenes y lo respetaba. La propuesta fue hecha por Louis C. Herbert, jefe de la CIA para toda Centroamérica.

La identidad entre la CIA y los alzados era tan completa que la manera de hacerse sentir, de sembrar el terror, era realizar asesinatos indiscriminadamente.

Esos son los antecedentes del asesinato, el 5 de enero de 1961, de Conrado Benítez, un estudiante de bachillerato de 18 años que se fue a las montañas del Escambray, en respaldo al llamado de la Revolución para acabar con el analfabetismo en un año. Con él fue también asesinado el campesino Heliodoro Rodríguez.

El ex alzado Mirio Pérez Venegas hizo un escalofriante relato de esos hechos: "En el campamento parecía que había una fiesta esa noche. Todos le hacíamos coro al corral y le tirábamos piedras, escupías, le decíamos palabrotas obscenas, hasta que llegó Osvaldo (Ramírez) y le dijo a Conrado Benítez: ‘si te unes a nosotros te perdono la vida’".

Cuenta Mirio que Conrado respondió que ante todo era revolucionario. "Vea, decirle eso a Osvaldo en su propia cara... Repito, aquello parecía una fiesta, primero sacaron a Conrado Benítez, que con una soga al cuello tenía que caminar aprisa para no ser arrastrado, a la vez que todos los allí presentes le dábamos palos y le pasábamos cuchillos.

"Cuando estuvo debajo de la mata escogida para la ejecución, la soga se pasó por un gajo, los ojos del brigadista miraban a su alrededor como preguntando si nosotros éramos personas o animales. El cuerpo fue suspendido y bajado en varias ocasiones como si fuera un muñeco, hasta el final de su vida en que lo dejamos arriba. No obstante estar bien muerto, Osvaldo ordenó que lo siguiéramos pinchando y apaleando". (2)

Las torturas y el ahorcamiento de Conrado Benítez se produjeron la víspera de la Operación Silencio, un lanzamiento masivo por vía aérea de armas para los alzados, realizado por la CIA el 6 de enero de 1961, que incluía morteros, bazucas, cañones de 57 milímetros sin retroceso, plantas de radio, granadas, petacas incendiarias, fusiles, etcétera. Y coincidían con la clausura de la embajada de EE.UU. y la salida de Cuba de todos sus funcionarios. El comandante Augusto dirigió un mensaje a Osvaldo Ramírez por la planta que le había suministrado la embajada de Estados Unidos que expresaba su estado de ánimo: "Periódicos sacan hoy fotos de armas capturadas tiradas por avión punto supongo sean de operación silencio punto si cayó operación silencio en manos enemigas estamos perdidos punto estoy confundido punto investigue e informe fin".

Con el asesinato de Conrado Benítez la banda de Osvaldo Ramírez se hacía más acreedora a la jefatura de los grupos de alzados en el Escambray y a los cargamentos de armas y suministros varios.

El pretexto para el horrendo crimen fue el carné de maestro, del INRA, que Conrado Benítez portaba y que los bandidos calificaron como carné de maestro comunista. Osvaldo Ramírez y su banda fueron liquidados un año más tarde en el Escambray.

Pero los asesinatos continuaron antes y después de Girón. Los planes fraguados contra Cuba eran más publicitados cada día. El diario Wall Street Journal se refería al asunto con un desconcertante desenfado: "No es un secreto que los Estados Unidos están suministrando armamentos y equipos a los contrarrevolucionarios cubanos en las montañas del Escambray", decía el vocero de las finanzas norteamericanas.

En Sancti Spíritus se efectuaba el sepelio del jefe del G-2 en esa localidad, Bernardo Arias Castillo, muerto a tiros en la finca La Esperanza, a seis kilómetros de Sancti Spíritus, cuando se disponía a practicar un registro en una casa perteneciente a un familiar del cabecilla de los bandidos alzados, Osvaldo Ramírez, por disponer de informaciones de que allí se escondían miembros de las bandas. Cuando Arias, junto a otros compañeros, abrió la puerta para registrar una de las habitaciones, fue recibido con una ráfaga de M-3, y lo alcanzaron siete balas, dos de ellas en la cabeza. Al repeler la agresión los acompañantes de Arias Castillo, resultó herido y capturado uno de los atacantes, de apellido Bermúdez. Los demás lograron escaparse. Una impresionante manifestación popular acompañó el sepelio de Arias hasta el cementerio local.

A raíz de estos crímenes, el Consejo de Ministros aprobó aplicar la pena capital a los autores de actos terroristas como sabotajes, incendios y asesinatos. La ley promulgada, en su introducción, responsabilizaba al imperialismo con esos hechos.

El atentado de Conrado Benítez y otros, son responsabilidad de la CIA, que se encarga de los trabajos sucios del gobierno de EE.UU., que actúa como si no se resignase a perder el apellido que sus acciones le validan y los documentos desclasificados demuestran.

 

(1) Archivo Nacional de Seguridad. Informe del Inspector general de la CIA, Lyman Kirkpatrick. B. Historia del Proyecto, Plan de Operaciones 36.

(2) Cuba, la historia no contada. Editorial Capitán San Luis.

 

GIRÓN 50

 

 

Escambray, destrozando el

Plan Trinidad (XVIII)

 

18 marzo 2011 - Gabriel Molina www.granma.cubaweb.cu

 

El Primer Ministro Fidel Castro anunció el 4 de marzo de 1961, en el acto por el primer aniversario del estallido del barco La Coubre, la neutralización de más de 420 alzados, quienes esperaban la invasión que organizaba el gobierno de Estados Unidos.

 

 

 

 

Miles de integrantes de las Milicias Nacionales Revolucionarias y del Ejército Rebelde participaron en “la limpia” y acabaron con las bandas de alzados.

 

 

 

Las arduas operaciones realizadas por las Milicias Nacionales Revolucionarias, el Ejército Rebelde y los órganos de Seguridad del Estado en las montañas del Escambray lograron su objetivo al impedir la materialización del proyecto tan acariciado por la CIA: hacer de las bandas de alzados una base de apoyo para la invasión.

De los aproximadamente 500 integrantes de las bandas, 39 resultaron muertos en combate y 381 fueron hechos prisioneros. Se capturaron 6 de los 10 cabecillas de los grupos. Por parte de la Revolución, hubo un balance de 6 muertos en acciones de persecución al enemigo y 22 en accidentes de diversos tipos. Once resultaron heridos también en combate. Se estableció que aproximadamente 80 alzados permanecieron escondidos en las montañas del Escambray.

En el Escambray, de 60000 a 70000 milicianos y miembros del Ejército Rebelde participaban en las operaciones de limpia para terminar con los brotes de bandidos. Días antes se había anunciado que este rastrillaje palmo a palmo de las montañas en el centro del país, estaba provocando el acorralamiento de las bandas.

Frente al crecimiento de la actividad enemiga interna en coordinación con los planes de invasión, continuaban en toda la Isla los cursos y operaciones para fortalecer la defensa.

Los días 17 y 18 grandes titulares anunciaban y ofrecían posteriormente más detalles de la captura, en Trinidad, de Francisco López Blázquez, quien se hallaba alzado en el Escambray con el grupo de bandidos del cabecilla Evelio Duque y cuya fotografía, portando un fusil, había sido publicada por la prensa de Estados Unidos.

El parte dado a conocer por el G-2 expresaba que a las 11:45 p.m. del miércoles 13 de marzo se presentaron ante el miliciano Miguel Rodríguez Rodríguez, quien cubría posta en la calle Real y Media Luna, Trinidad, dos personas, interesándose por una dirección en la ciudad. Al virar la espalda el miliciano, los dos individuos se abalanzaron sobre él tratando de arrancarle el arma que portaba. En el forcejeo, uno de ellos disparó contra Rodríguez Rodríguez, hiriéndolo de gravedad.

El ruido atrajo hacia el lugar de los hechos a otro miliciano que también cubría su posta y llegó a tiempo para observar cómo uno de los atacantes huía, mientras el otro no tuvo tiempo de emprender la retirada y procedió a detenerlo. Se trataba del "comandante" López Blázquez, a quien Evelio Duque, que se encontraba también huyendo en esos momentos, había conferido ese grado.

Los campesinos de la zona de Manacal de Piedra declararon que López Blázquez se hallaba siempre en compañía de Duque, y hacía "fantásticos ofrecimientos" para que se sumasen a la contrarrevolución respaldada por el gobierno de Estados Unidos. Un miembro de la banda de Duque capturado en otro operativo en esos días relató que este hizo asesinar al obrero agrícola Manuel Rodríguez Pozo, de la cooperativa "Reinaldo Urquiza", ubicada en el valle de Jibacoa, porque los había visto y podría denunciarlos.

En sus declaraciones, ampliando los detalles sobre el ahorcamiento de Rodríguez Pozo, el detenido dijo que Duque acampó cerca de la casa de un campesino, adonde envió varios de sus seguidores para obtener alimentos. En esa casa se había quedado a pasar la noche Rodríguez Pozo. Al saberlo Duque ordenó que lo ahorcaran.

Al conocerse estos hechos, se despachó un grupo de milicianos al Valle de Jibacoa y se ordenó extraer el cadáver. Cuando la tierra fue removida lo primero que emergió fueron las botas que calzaba Rodríguez Pozo. En los bolsillos del pantalón de trabajo que vestía se hallaron dos pesos, un carné del sindicato agrícola de Fomento y una receta médica del Servicio de Sanidad Rural de la Cooperativa. Los familiares de Rodríguez Pozo no habían sabido nada más de él, desde que partió de su casa rumbo a la cooperativa el 10 de enero de 1961.

El Ejército Rebelde continuaba deteniendo restos de las bandas que, durante 1960 y los primeros meses de 1961, pretendieron ser el soporte interno de la invasión contra Cuba preparada por el gobierno de Estados Unidos y que ya tenía el plazo fijo de efectuarse en la primavera, es decir, a partir de abril. Las provincias donde habían proliferado más estos elementos fueron Las Villas y Matanzas. En esta última fue capturada el día 20 una banda en la zona de La Montaña, entre Jagüey Grande y Araújo.

La acción fue desarrollada por el escuadrón 43, cuyos efectivos se dirigieron a la zona al recibir información de que allí se encontraba el grupo. En el combate que se entabló, tres de los bandidos resultaron muertos, uno herido y doce prisioneros. A la banda le ocuparon armas y medicinas. Los muertos fueron Osvaldo Oliva, Rey Hernández y Raúl Figueroa. El herido, Jaime Guerra.

Entretanto, desde Santa Clara se reportaba la captura de Israel Hernández, uno de los jefes de bandas que operaban en la zona, quien fue detenido en Levisa. El alzado quedó a disposición de los tribunales.

Entre los cabecillas que resultaron muertos en el Escambray figuraban: Ismael Heredia Roldan, conocido como Látigo Negro, Inocente González Rojas, Alberto Becerra González, Pedro Águila Pérez y José Antonio Abdala Benítez. Entre los jefes de bandas más conocidos capturados figuraban Ismael Rojas, jefe de grupo subordinado a Evelio Duque; y los jefes de columna Juan Cajigas, conocido por Edgar; Carlos Duque, hermano de Evelio; Alejandro Lima, conocido por Nando, Zacarías Gracia y otros. Sobre la mayor parte de ellos pesaban acusaciones de haber cometido varios asesinatos.

Después de las noticias sobre la neutralización de las bandas de alzados en el Escambray al ponerse fuera de combate a unos 500, entre muertos, heridos y detenidos, la prensa revolucionaria comenzaba a reflejar pormenores de la gigantesca operación en la que intervinieron de 60000 a 70000 milicianos.

Se relataba cómo unas semanas antes Cajigas había logrado eludir varios cercos tendidos por las Milicias Nacionales Revolucionarias, a cuyo frente marchaban los más experimentados oficiales del Ejército Rebelde. Huía de la ofensiva revolucionaria con cinco de sus seguidores, después que su banda quedó desorganizada en los primeros choques. Tras varios días de infatigable búsqueda, los bandidos fueron localizados en una cueva del Escambray.

El estado de los detenidos se relataba del siguiente modo: "Todos estaban en deplorables condiciones físicas producto de una deficiente alimentación. Cuando los interrogaron confesaron que llevaban nueve días ocultos en la cueva y que solo de noche comían alguna vianda".

 

CAJIGAS ENTERRABA HASTA LA NARIZ

 

Entre los cinco apresados en la cueva no se hallaba Cajigas. Largas horas de interrogatorio permitieron determinar que estaba todavía dentro de la cueva. No había salido de ella. De inmediato comenzó nuevamente el reconocimiento del lugar, utilizando faroles de luz brillante. Un registro bajo esa débil luz permitió descubrir lo que parecía una nariz humana. En efecto, lo era. Se procedió a remover la tierra y bajo ella estaba Cajigas. Para eludir la persecución se había hecho enterrar con la nariz a flor de tierra a fin de poder respirar.

Los diarios elogiaban la actuación de los milicianos expresando que estaban demostrando una gran capacidad militar. Virtualmente aniquilaron al enemigo sometiéndolo a una persecución tenaz.

La prensa revolucionaria en sus trabajos especiales sobre los bandidos alzados en el Escambray, describió la cueva en la cual tenía su cuartel general el cabecilla Evelio Duque, quien fuera uno de los principales jefes de ese movimiento contrarrevolucionario. Los bandidos construyeron allí una especie de acueducto, haciendo correr el agua desde un salto situado a 100 metros, a través de cañas bravas. En el interior de la cueva, situada en Manacal de Piedras, con troncos de árboles construyeron bancos, mesas, cocinas. Allí había botellas de cerveza, latas de leche, cajas de tabacos, linternas, pilas y lamparitas conocidas por chismosas. En lo alto de la cueva almacenaban alimentos.

En esos parajes las bandas se consideraban a salvo de toda persecución. A fines del año 60, por tanto, circulaban en la zona muchísimas leyendas de bravuconerías. Pero la movilización hacia el Escambray de decenas de miles de milicianos, permitió ir pisándoles los talones a los integrantes de esta banda hasta que el 17 de febrero pudieron ser desalojados de Manacal de Piedras y de su cuartel general.

A continuación los bandidos tuvieron que moverse constantemente en el monte, cansados, hambrientos y hostigados por los cercos y peines de las milicias. Muchos fueron apresados sin oponer la menor resistencia. Otros presentaron combate, lo que provocó digna respuesta.

En esta fecha continuaban aún huyendo, en las zonas más intrincadas, varias decenas de bandidos dispersos, impedidos ya de realizar fechorías a causa de la ofensiva contra ellos desplegada.

La estratégica ofensiva emprendida por el Gobierno revolucionario destrozó uno de los pilares de Dulles y se convirtió en el principio del fin del Señor de la CIA, aunque sus sucesores seguirían sosteniendo en estas montañas a los bandidos, quienes sembrarían un brutal terror en todo el macizo montañoso, mientras se derramaría la sangre generosa de numerosos revolucionarios en la lucha por derrotarlos.

GIRÓN 50

 

Patria Potestà, versione CIA (XIX)

 

26 marzo 2011 - Gabriel Molina www.granma.cubaweb.cu

 

David Atlee Phillips è stata la stella di un team selezionato di spie che  ha realizzato le operazioni sediziose segrete della CIA di Allen Dulles. A questo alto ufficiale, che entrò a far parte dell'Ufficio dei Servizi Segreti (OSS) degli Stati Uniti dai tempi della seconda guerra mondiale, si attribuisce la paternità della falsa legge della Patria Potestà che diede luogo all’Operazione Peter Pan , parte oscura della propaganda per la pianificata invasione, che s’incrementava nel marzo 1961. Insieme a Ted Shackley e David Morales, disinformavano, trafficavano, cospiravano, e assassinavano - secondo i documenti declassificati e altre ricerche - così come a Cuba, in Laos, Vietnam, Cile, Guatemala, Nicaragua, Honduras, Messico, Repubblica Dominicana e in altri paesi. Si sospetta, inoltre, che il gruppo sia stato coinvolto con l'assassinio del presidente Kennedy.

 

Phillips ha fatto una carriera di 25 anni presso l'Agenzia. Il suo primo compito è stato quello di dirigere in Cile un settimanale, in lingua inglese, per l'intera America Latina, The Sun Pacific Mail. Anni dopo sarebbe tornato a Santiago per partecipare al colpo di stato contro Allende. In Guatemala era responsabile della propaganda e istituì una rete di radio clandestine, antesignane di Radio Swan, che gli valse una felicitazione personale del presidente Eisenhower dopo la cruenta cacciata di Arbenz, nel 1954. Fu promosso a Cuba nel 1955, nello stesso periodo in cui il direttore della CIA Allen Dulles si recò a L'Avana per stabilire l'Ufficio per la Repressione delle Attività Comuniste del dittatore Batista, il temuto BRAC. Stabilì un ufficio in  "calle 106 Humboldt Street e viveva con la moglie e quattro figli in avenida 19A No. 2143, Nuevo Biltmore". (1)

 

La prima testimonianza pubblica della campagna sulla Patria Potestà ebbe luogo il 26 ottobre 1960, quando Radio Swan, creata e diretta da Phillips, ad immagine di quella del Guatemala, cominciò ad intercalare un annuncio che diceva: "Mamma cubana, ascolta questo: la prossima legge del governo sarà toglierti i tuoi figli dai 5 ai 18...Madre cubana, non lasciarti togliere tuo figlio" (2).

 

Radio Swan faceva parte dell’aspetto propagandistico e psicologico del piano generale contro Cuba, “Un programma di azioni segrete contro il regime di Castro”, approvato dal governo del presidente Eisenhower, il 17 marzo 1960, nel cui percorso di propaganda sovversiva non lasciava nulla all'iniziativa dei cubani reclutati: "Come principale voce dell’opposizione si è proposto di istituire almeno una stazione di propaganda controllata dagli USA, che sarà installata sull’isola di Swan e trasmetterà in bande dotate di un notevole potenza. La preparazione degli scritti sarà fatta negli Stati Uniti ed inviati al sito di trasmissione elettronicamente." (3)

 

Tra le più riprovevoli iniziative della CIA c’era la falsa legge, ampiamente riprodotta e distribuita dai suoi agenti a Cuba, per far credere che il governo cubano avrebbe privato i genitori della patria potestà sui loro figli, questo arcaico principio del diritto risalente all’antica Roma imperiale.

 

La falsa legge, ipoteticamente firmata da Fidel e Dorticós, dichiarava nel suo paragrafi operativi: "Articolo uno: Si derogano i capitoli 1, 2, 3, 4 e 5 e il Titolo Sette che regolano le istituzioni della patria potestà e l'adozione, rimanendo vigente il Codice Civile e derogando totalmente gli articoli 154 al 180 ... Articolo 3: A partire dalla promulgazione della presente legge, la patria potestà di persone minori di 20 anni sarà esercitata dallo Stato attraverso gli individui o le organizzazioni a cui si deleghi tale facoltà..."

 

Una inusitata massa di bambini confusi che si preparavano a viaggiare, da soli, verso gli Stati Uniti cominciò a riempire l'aeroporto José Martí dell'Avana. Più di 14000 famiglie così si lasciarono ingannare dal macabro piano organizzato con il crittografico nome di Operazione Peter Pan L'obiettivo era di generare una maggiore pressione e disagio negli strati medi e alti dell'isola, ed ottenere un maggiore sostegno per l'ondata terroristica approvata da Eisenhower.

 

La prof.ssa Maria de los Angeles Torres, che fu una dei bambini Peter Pan, ha detto che la CIA ha organizzato l'operazione per far sapere che Washington era pronta a garantire i visti per facilitare il trasferimento dei bambini cubani verso gli Stati Uniti e convalidare la farsa già messa in circolazione, che il governo rivoluzionario aveva intenzione di separare i figli dai loro genitori per scopi politici. I ricercatori José Buajasán e Ramón Torreira qualificano l’operazione come la manipolazione di Washington per creare paura tra i genitori cubani.

 

Il complotto della Patria Potestà aveva cominciato a operare, con il passaparola, da mesi prima. La CIA diede, in principio, tale compito al gruppo cospiratore guidato da Tony Varona, ex primo ministro sotto la presidenza di Carlos Prio. Dopo coinvolse altri gruppi poiché Varona, su istruzioni della CIA, abbandonò il paese e lasciò il compito in mano dei suoi subalterni, Leopoldina e Ramon Grau Alsina, nipote dell'ex presidente Ramon Grau San Martin. Lei dichiarò che da "un accordo con il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Brian Walsh, un sacerdote di Miami, rilasciava un visto speciale che erano inviati clandestinamente a Cuba ... Dal momento che non vi era alcuna ambasciata degli Stati Uniti, ci siamo convertiti in una sorta di consolato clandestino". (4)

 

Loro stamparono la falsa legge e dissero di averla rubata dall’ufficio del Presidente Dorticós. La fecero circolare clandestinamente per creare il panico nella famiglia cubana. Strutturato il piano a livello nazionale e continentale, il governo USA dichiarò che poteva ricevere tutti i cubani che lo desideravano, senza visti o documenti. In una tale violazione delle sue proprie leggi di immigrazione, Washington spese ingenti somme con le compagnie aeree per riceverli a Miami, in un centro di "rifugiati" per gli adulti e altri, con numerosi padiglioni, per i bambini che arrivano soli negli USA.

 

L'isteria di molti cittadini apprensivi fu tale che, Walsh posto dal governo USA a capo di questo apparato, poteva affermare, anni dopo, che, finché durò  il centro, ricevette più di 14000 bambini mandati, soli, dai loro genitori, in una traumatica avventura.

 

Arrivavano ​​da L'Avana soli, in voli che li portavano via in segreto e con la convinzione che i loro genitori li avrebbero, poco dopo, raggiunti ma la separazione durò anni per molti bambini dell’ "Operazione Peter Pan".

 

Il piano era pronto nel dicembre 1960 e il volo iniziale -  quasi tutte della PanAm - atterrò a Miami il giorno dopo Natale. L'operazione si convertì, in due anni, in uno dei più grandi esodo di bambini della storia.

 

Una parte dei minori trovarono un famigliare che li ospitò  nella zona di Miami, ma altri rimasero alla cura delle istituzioni cattoliche,  in asili o furono ricevuti da famiglie in diverse parti degli Stati Uniti.  

 

Bagley Rose fu accolta da una famiglia a West Orange, New Jersey, dove ha vissuto per un anno. Rincontrò i suoi 48 anni dopo, via Internet.

 

Juan Pujol arrivò a Miami a 16 anni. Fu ospitato a Camp Matacumbe vicino a quella città, dove ha incontrato la sua attuale moglie, anch’essa arrivata con i voli. "È stata dura stare lontano dalla mia famiglia" ha detto Pujol, che ha vissuto una esperienza diversa, perché i suoi genitori non hanno mai lasciato Cuba.

 

Il Padre Bryan O. Walsh, che le autorità statunitensi misero a capo del programma, ha potuto dichiarare, anni dopo, di aver ricevuto circa 15000 bambini. E' stato un grande paradosso: hanno abbandonato i loro figli a un destino incerto, con l'incauta intenzione di proteggerli. I bambini andarono in 187 città, in 45 Stati degli USA, secondo fonti dell'Unione.

 

La maggior parte di questi bambini ha sofferto un grande trauma che ha portato allo sradicamento. Da soli dovettero apprendere la vita, sino a casi drammatici come Robert Rodriguez, che a 55 anni ha presentato una denuncia davanti a un giudice di Miami. Denunciò che nel corso dei cinque anni in cui fu sotto la "protezione del programma dell'Arcidiocesi di quella città, fu vittima, insieme ad altri bambini, di continui abusi sessuali ed emotivi ... nei vari campi dove si trovò".

 

Per quanto riguarda gli stampatori e distributori, nello stesso mese di settembre gli organi di sicurezza dello stato sequestrarono gli stampi e le bozze della falsa legge nella stamperia di Rosa Enriquez n. 563. Fu anche arrestato un gruppo di complici, in Calle 23 n. 1615, tra 28 e 30. Fino alla fine del 1962 - quando i voli furono sospesi dopo la crisi dei missili - negli Stati Uniti si stimò che 14048 bambini cubani, non accompagnati, erano arrivati ​​nel paese per, ironia della sorte, non perdere la patria potestà.

 

I canti di sirena per attrarre verso gli Stati Uniti, prima un qualunque cubano, in particolare i tecnici, sono continuati, dopo, con lo stesso obiettivo di attaccare la Rivoluzione, ma in diverse varianti, che ancora oggi sono messe in pratica.

 

 

(1) Fabián Escalante. Acción ejecutiva. Objetivo Fidel Castro. Ocean Press. Melbourne. 2006, pp 117

(2) Ramón Torreira Crespo y J. Buajasán Marrawi. Operación Peter Pan. Editora Política 2000. La Habana, pp 90.

(3) A program of Covert Action Against the Castro Regimen. Documento desclasificado por la CIA. Informe del Inspector General de la CIA, Lyman Kirkpatrick. B. 12 y 27.

(4) Luis Báez. Preguntas Indiscretas. Ediciones Prensa Latina 1999, pp. 219 y 220.

GIRÓN 50

 

Hacer arder Santiago y La Habana (XX)

 

4 aprile 2011 - Gabriel Molina www.granma.cubaweb.cu

El valiente marinero René Rodríguez Hernández resultó muerto en singular combate con una lancha artillada que ametralló el 13 de marzo de 1961 la refinería Hermanos Díaz, en Punta Gorda, Santiago de Cuba, a 963 kilómetros de La Habana.

Armado únicamente con su carabina M1 y su experiencia de guerrillero en el Tercer Frente, liderado en la Sierra Maestra por el Comandante Juan Almeida, el joven René, que estaba de guardia en la punta de la bahía, pudo disparar unos 15 tiros antes de caer con el cráneo destrozado por los proyectiles de ametralladora de grueso calibre y un cañón de 55 milímetros con los que la lancha pirata lo acribilló alrededor de las 4 de la madrugada de aquel día.

 

Foto: Periódico Revolución

 

 

 

Sepelio de René Rodríguez Hernández, el marinero acribillado en el ataque a la refinería de Santiago

 

 

Según el diario Revolución, los impactos abrieron un boquete con más de cuatro pulgadas de ancho en la torre atmosférica de la planta de destilación y varias perforaciones en otros tres tanques. También los disparos provocaron un incendio que fue sofocado en menos de media hora por los trabajadores de la refinería. Ninguno huyó. Por esa gallarda actitud no ardió la refinería y parte de la ciudad. El canciller Raúl Roa denunció ese día el ataque en la ONU.

José A. Díaz, compañero de René en la Marina, relató que la lancha artillada, en cuanto terminó su cruenta tarea en la Hermanos Díaz, se acercó y al cruzar frente a la posta, abrió fuego de nuevo. Rodríguez había contraído matrimonio solo tres meses antes con Noelia Bayard.

Los terroristas tirotearon asimismo a la posta de la Socapa y alcanzaron al miliciano Roberto Rabón Castro, dejándole una grave herida en el hombro. Se presume —agregaba el diario—, que los atacantes salieron de la base naval de Estados Unidos situada a 45 millas náuticas de la bahía santiaguera. Lanchas de la policía la persiguieron mas no le dieron alcance, pues la de los atacantes poseía poderosos motores.

 

DIPLOMACIA A CAÑONAZOS

 

Ese mismo día, al resumir la conmemoración por el aniversario del ataque al Palacio Presidencial, acción revolucionaria ejecutada el 13 de marzo de 1957 en el inmueble donde residía el dictador Batista, el Comandante en Jefe calificó de insólita la agresión a la segunda ciudad de Cuba, un país dedicado al trabajo, que no está en guerra con nadie, en plena madrugada. Que haya penetrado una nave de guerra artillada, a ametrallar una industria nacional, mientras se está hablando de que Cuba constituye un peligro para la seguridad del continente, es un hecho escandaloso, dijo.

Denunció que fue perpetrado por una nave militar entregada por los únicos que podían entregar esa nave militar a los terroristas, el gobierno de Estados Unidos, y partiendo de las bases desde donde único pueden partir, de las organizadas por el gobierno de Estados Unidos. "Estamos condenados a que en los puertos nos asesinen cientos de obreros, a que nos quemen nuestras cañas, a que violen constantemente el espacio aéreo nacional, a que envíen cargamento tras cargamento de explosivos para sabotear nuestras industrias (... ) el derecho a matar a nuestros obreros, a asesinar a nuestros niños, el derecho a destruir nuestras industrias a cañonazos (... ) atacaron una industria y asesinaron a un marino e hirieron a un miliciano".

Se preguntó: "¿no están expuestos igualmente al ataque, como en los peores tiempos de la piratería y el filibusterismo los puertos y los pueblos de nuestro país, por aviones piratas y naves piratas organizadas por la Agencia Central de Inteligencia? Porque todo el mundo sabe que son ellos los que les han entregado esas armas, esas naves y esos aviones".

El aparatoso ataque a la refinería de Santiago de Cuba tenía un doble objetivo: dificultar al máximo la vida del pueblo cubano al provocar molestas interrupciones del servicio de la electricidad y el combustible, a fin de dejar a los cubanos sin fuentes de energía ni transporte. Ya se había intentado provocar, a mediados del año 1960, esta cruel situación, cuando Washington prohibió a las empresas norteamericanas comercializar el petróleo en la isla, una especie de sanción, bajo el pretexto de que se le había comprado una cantidad a la Unión Soviética, que lo había ofrecido a menos precio.

La medida era de hecho muy peligrosa para la Revolución dentro del cohesionado paquete de operaciones aprobadas por Eisenhower en marzo de 1960, orientadas a implementar la decisión tomada en diciembre de 1959: derrocar al Gobierno revolucionario. "El plan original de la invasión llamaba a realizar incursiones aéreas para quemar las refinerías de Esso, Shell y Texaco, pero funcionarios de las petroleras con la esperanza de recobrar intactas las instalaciones tras la invasión, presionaron a la CIA para cancelar los raids". (1)

El fracaso de la conjura fue facilitado en gran parte cuando el gobierno de Jruschov ofreció no solo suministrar todo el petróleo necesario, a menores precios, razón que había sido alegada para crear el conflicto, sino también porque aseguró el transporte, pues los transportistas normales no hubiesen podido desafiar la presión de Washington.

Casi dos años después de la derrota imperialista en Playa Girón, exactamente el 25 de abril de 1963, a las 10 de la noche, un avión bimotor voló a baja altura sobre la refinería Ñico López de La Habana, lanzó una bomba de 100 libras y roció napalm, atentados que no lograron hacer arder la refinería ni la ciudad capital. Las agencias de noticias de Estados Unidos reportaron que un tal Alexander Rorke se ufanó en Washington de haber sido el autor del ataque. Según The New York Times, un personaje de nombre parecido, O’Rorke, se había confesado autor de 11 ataques a embarcaciones cubanas desde 1961 con su barco Violin III. El aludido dijo que la CIA estaba al corriente de lo que él hacía. El Gobierno revolucionario hizo responsable al de Estados Unidos por el ataque.

Era el mismo Alex Rorke. El libro The fish is red ofrece abundante información sobre la relación del tenebroso personaje con el pediatra terrorista Orlando Bosch y Frank Fiorini, el mafioso también conocido como Frank Sturgis. "Mike McLaney, antiguo operador de casinos de juego en La Habana (...) sometió un plan a la CIA para bombardear y quemar las refinerías Shell, Esso y Texaco. La acción de Bosch con Sturgis y Rorke produjo 11 golpes contra Cuba desde abril 25. Rorke roció bombas en las refinerías Shell y Esso cerca del centro de La Habana". (2)

 

 

INFILTRANDO JEFES DE LA SUBVERSIÓN

 

 

El segundo objetivo del ametrallamiento de la refinería, no menos importante, fue probablemente el de distraer la atención de las autoridades hacia esa región, a fin de favorecer la infiltración, el propio 13 de marzo, de Humberto Sorí Marín, Rafael Díaz Hanscom y Rogelio González Corzo, coordinador general, jefe militar y enlace con la CIA, respectivamente. Ellos venían a encargarse de la dirección de las operaciones subversivas y terroristas que se incrementaban al aproximarse abril, la fecha escogida por Kennedy para la invasión.

Desembarcaron de modo clandestino, "por un lugar en los límites de las provincias entre La Habana y Matanzas, al frente de un grupo de agentes de la Compañía que traía 13 toneladas de explosivos y uno de los proyectos más peligrosos para asesinar el 26 de marzo al comandante Fidel Castro". (3) Pretendían contribuir al éxito del plan de invasión de la Isla. Con ellos vino Eufemio Fernández, uno de los cubanos ligados al capo mafioso Santos Trafficante.

Para fines del mes Rorke, Fiorini (Sturgis) y Frank Nelson organizaron un grupo de pilotos que participarían en una maniobra diversionista de la Operación 40 en Pinar del Río, distante de la Ciénaga de Zapata, donde estaría la dirección principal del golpe, para tratar de desviar parte de la fuerza del gobierno durante la invasión. Se realizaría combinada con Howard Anderson, quien poseía una estación de gasolina en La Habana e incluía un frente de alzados en Pinar del Río, orientado por Sorí Marín a Alcibíades Bermúdez, quien lo recibió a su llegada el 13.

Pero Fidel había asignado a Mario Morales la jefatura de la unidad de contrainteligencia que debía investigar los complots para asesinar al propio Comandante en Jefe y a otros dirigentes. Morales logró, junto al capitán Federico Mora, infiltrar a Bermúdez dentro de los conspiradores.

Fue así que el 18 de marzo, cinco días después de la infiltración, el oficial José Luis Domínguez dirige un operativo en el cual es detenido todo el grupo de Sorí en la residencia número 110 de la calle 186, reparto Flores.

Sorí Marín había sido Comandante del Ejército Rebelde y ministro de Agricultura del primer Gobierno tras el triunfo del 1ro. de Enero de 1959, en el cual todavía quedaban muchos elementos de la derecha que no compartían los ideales de la Revolución, a tal punto que este señor, desde su cargo, se opuso y torpedeó la Reforma Agraria, esencia del carácter antiimperialista del movimiento revolucionario.

Y no solo entorpeció esa noble medida, sino que traicionó y se puso a las órdenes de un gobierno extranjero, justamente para apoyar la invasión mercenaria de abril de 1961.

Junto a Sorí fueron detenidos Díaz Hanscom, González Corzo y Eufemio Fernández; los agentes CIA Manuel L. Puig Miyar, Nemesio Rodríguez Navarrete, Gaspar Domingo Trueba y nueve colaboradores. Una vez más la infiltración organizada por la CIA y el gobierno de Estados Unidos, fracasaba.

 

 

(1) Warren Hinkle & William Turner.
The fish is red. Harper & Row. New York 1981, p. 162.
(2) Ibid. p, 201.
(3) Fabián Escalante. Acción Ejecutiva.
Ocean Press. Melbourne. 2006, p. 81.

GIRÓN 50

 

Devastación de El Encanto, preámbulo

de la invasión (XXI)

 

8 aprile 2011 - Gabriel Molina www.granma.cubaweb.cu

 

El vandálico incendio de la tienda El Encanto el 13 de abril de 1961, se inscribe dentro de toda la estrategia contra Cuba en la fase final de preparativos para la invasión.

Estuvo antecedido el siniestro por operaciones de introducción de armas, explosivos y agentes, a través de infiltraciones por las costas y por vuelos piratas, en especial sobre el Escambray, para fortalecer a las bandas de alzados con armas, equipamiento y agentes entrenados.

En la primera fase se introdujeron toneladas y toneladas de armas y explosivos por las costas —algunas se enterraban hasta poder contactar a los complotados en la Isla—, a través de agentes que eran infiltrados desde barcos madres. Las lanchas que llegaban al litoral en ocasiones exfiltraban agentes y dirigentes de ellos para entrenarlos en Estados Unidos y crear después cientos de organizaciones en todo el país, como soporte interno a la invasión en montes y ciudades.

Esa fase primera se incrementa desde finales del 1960. Había tomado forma desde el 8 de enero de 1960, cuando Allen Dulles orientó a Richard Bissell, subdirector de la CIA, organizar una fuerza operativa especial para derrocar a la Revolución. Esa fuerza, denominada rama 4, comenzó con 20 personas y en abril de 1961 había crecido a más de 500. "Aunque la rama 4 tenía como objetivo las operaciones del desembarco en preparación, no suponía suspender o abandonar otros programas paramilitares que eran acelerados e intensificados. Ellos incluían el suministro por mar y aire de implementos para los bandidos a sueldo que atentaban contra su propio pueblo; la conducción de operaciones de sabotaje; introducción de grupos paramilitares especialmente entrenados, y la extensión de nuestras redes de agentes a través de la Isla". (1)

Al entrar ya en la etapa más inmediata a Girón hay varios procesos. El primero fue organizar una red de sabotajes de grandes proporciones para en los días 10 y 13, como preludio a los ataques a los aeropuertos, crear un ambiente y desestabilizar el país. Así se seleccionan objetivos emblemáticos de la capital: El Encanto (EE), la Papelera de Puentes Grandes y varias tiendas más, como los Ten Cents de la cadena norteamericana Woolworth, situado uno enfrente a la tienda El Encanto (EE) en la céntrica Galiano y San Rafael, y otros en las calles Obispo, Monte y en 23 y 10, los aeropuertos de La Habana y Santiago, preludio de la Invasión.

Mario Pombo Matamoros, jefe en el sector del comercio del grupo denominado Movimiento de Recuperación del Pueblo (MRP), citó urgente a Carlos González Vidal, miembro activo de la organización terrorista, quien había sido reclutado por su tío, Reynold González, agente de la CIA y principal cabecilla del MRP.

González Vidal, joven de unos 20 años a quien le gustaba jugar billar en el club de empleados de EE, evolucionó desde una posición de simpatizante de la Revolución a enemigo encandilado por las relaciones que le proporcionaba la rica clientela de la tienda. El se desempeñaba como vendedor en la sección de discos, situada en el segundo piso, donde había comenzado dos años antes.

Influido también por su tío, acudió solícito al lugar de la cita, en el 156 de la bucólica avenida Paseo, Vedado. Matamoros comunicó a Vidal que como hombre de confianza se necesitaba recurrir a él para una misión importante. Se trataba del mayor de los atentados en que había participado ese grupo y se acercaba la hora cero. El objetivo era incendiar la más famosa tienda del país y se recurría a él por su condición de empleado en ella.

Días antes, el 9 de abril, habían hecho estallar una bomba en los portales de EE junto a la puerta principal, que logró destruir las vidrieras de la calle Galiano. La onda expansiva rompió también las vidrieras del Ten Cent y de la peletería La Moda, ambas situadas frente al EE, mas no paralizó la tienda como quería David Phillips, principal organizador de la subversión en el grupo de la CIA que operaba desde Miami con el críptico nombre de JM/Wave.

Se aseguró a Carlos, con razón, que el impacto allí sería sensacional, dado el abolengo en el mundillo comercial, tanto en Cuba como en el exterior, sobre todo en Estados Unidos, de la tienda habanera.

El 13 de abril, Vidal recibió de manos de Dalia Jorge, responsable de acción y sabotaje del MRP, dos petacas incendiarias preparadas con explosivo plástico C-4 en cajetillas de cigarros Edén, que había traído de Miami Cawy Comellas, agente CIA infiltrado en la Isla. No esperó nada, esa misma tarde a las seis, despachó su última venta en el departamento de discos y se dirigió al cercano de sastrería, que tenía delante colgados los trajes en venta y detrás las telas, un sitio ideal para provocar un gran incendio. "Deslizó una petaca entre dos rollos de género y regresó al pasillo; avanzó unos pasos a otro anaquel y repitió la acción. Se sentía seguro". (2)

Ya todos los empleados salían, se apagaban las luces y dejaban de funcionar las escaleras automáticas. Salió del establecimiento, montó en un auto que lo esperaba y le condujo hasta la playa Baracoa, en las afueras al oeste de La Habana, donde se escondió en una casa para salir del país como se había acordado.

En Galiano, alrededor de las 7 de la noche, cuando no quedaba casi nadie dentro de la tienda, comenzó el incendio y rápidamente se expandió por los conductos de aire acondicionado propagándose por todo el inmueble, lo que provocó el desplome de una de sus paredes. Una de las empleadas, Fe del Valle Ramos, decidió regresar al establecimiento a fin de recoger el dinero recaudado por la Federación de Mujeres Cubana del centro, del cual era la responsable. Fe era la jefa del cuarto piso y de la sección Niños. Pudo llegar pero las llamas y el humo tóxico le impidieron salir.

La abnegada trabajadora, casada, madre de dos hijos, una familia enteramente integrada a la Revolución, resultó la única fallecida en el siniestro. Recibieron lesiones, además, 18 personas. Las pérdidas materiales se valoraron en 20 millones de dólares, pues el carácter hermético en la estructura del edificio para el aire acondicionado, facilitó que el fuego completase la destrucción del inmueble. Bomberos, milicianos, empleados de la tienda, gente de pueblo, lucharon para que las llamas no se extendieran a locales aledaños y al amanecer se logró aplacar el fuego. Pero nada quedaba ya de El Encanto. Cientos de hombres y mujeres que habían permanecido luchando, iniciaron las labores de escombreo con una mezcla de dolor e ira. Solo quedó en pie la simbólica bandera cubana en un comprimido residuo de pared por la calle Galiano. Fe apareció carbonizada.

 

BÚSQUEDA Y CAPTURA

 

Las señales lumínicas que salían de una de las casas del litoral baracoense para guiar la embarcación que sacaría al terrorista del país, provocaron que se requisase la hilera de residencias, desde dónde se originaban las luces, por el destacamento de milicianos acuartelado en la zona. Como ya se sabía que el desembarco era inminente, estaban muy alertas y en una de esas viviendas, donde se había refugiado, fue detenido González Vidal, quien al ser interrogado respondió que se hallaba allí de visita en casa de una tía. Mas el jefe del grupo, el teniente de milicias Pena, quien también era empleado de la tienda y conocedor del sabotaje, lo reconoció y le remitió al Departamento de Seguridad, para ser investigado. Allí estaba otro de los trabajadores de la tienda, al par que miembro de la Seguridad del Estado, el hoy coronel Oscar Gámez, quien no tardó en clasificarlo como uno de los principales sospechosos al conocer de sus antecedentes. El oficial logró la confesión de que había sido el autor material. Meses después fue procesado por la justicia revolucionaria.

 

 

(1) Kennedy Library, National Security Files, Countries Series, Cuba, Subjects, Taylor Report. Secret. Branch 4
(2) Juan Carlos Rodríguez, Girón, la batalla inevitable. Editorial Capitán San Luis. La Habana. 2005, p. 194.

 

GIRÓN 50

Tensión en la Casa Blanca (XXII)

 

23 aprile 2011 - Gabriel Molina www.granma.cubaweb.cu

 

La banda de la Marina interpretó Mr. Wonderful (Sr. Maravilloso) la noche del 18 de abril de 1961, cuando el presidente John F. Kennedy, vestido de etiqueta con Jacqueline del brazo, hizo su entrada en el espacioso salón de la Casa Blanca en que se efectuaba la recepción anual a los congresistas.

 

 

 

Kennedy y su cúpula militar

A su izquierda el almirante Burke

 

 

Pero bajo su ancha sonrisa se adivinaba algún tormento. En la lejana Ciénaga de Zapata un panorama diferente, bien angustioso, dominaba el ambiente. Uno de los invasores de la brigada 2506, reclutada y financiada por el gobierno de Estados Unidos para la invasión por Bahía de Cochinos, Antonio Fernández Álvarez, menos de 48 horas después del desembarco sentía cierto descontento que se iba apoderando de todos cuando esperaban se cumpliesen las promesas de relevo: que no sería continua la pelea, si es que se peleaba. Se les llegó a decir que sería un paseo, que tras desembarcar iban a poder hacer señales para doblar hacia la izquierda y seguir hasta La Habana. Lejos de eso, llevaban retrocediendo más de 24 horas para resistir en Playa Girón.

En la Casa Blanca casi nadie advirtió que Robert Mc Namara, Lyndon Johnson y Dean Rusk, que conversaban con Robert Kennedy, de pronto desaparecieron junto al general Lyman Lemnitzer y el almirante Arleigh Burke.

Al acercarse la medianoche el grupo había pasado al Salón Oval para una reunión urgente pedida por el subdirector de la CIA, Richard Bissell. El tema era la situación de los invasores acorralados por las milicias y las fuerzas armadas en Playa Girón, pues, lejos de lo que se había dicho, los cubanos se mantenían firmes y rechazaban eficazmente la invasión.

Bissell hizo el recuento de la situación militar y dijo que estaba a punto de una completa derrota. Aconsejó entonces lo que, a su juicio, era la única manera de evitarla: una intervención militar directa de las fuerzas armadas.

El presidente les recordó que desde el principio había declarado que eso no ocurriría y lo había reiterado el día antes. Pero tanto los jefes de la CIA, como los del Pentágono, no habían tomado en serio la advertencia. El plan tenía como exitoso antecedente el operativo de Guatemala en 1954. Tanto confiaban que desde enero de 1960 lo dirigía el mismo grupo de los trabajos sucios de la CIA que derrocó al presidente Jacobo Arbenz, formado, entre otros, por Tracy Barnes, David Atlee Phillips, Howard Hunt y David Sánchez Morales.

Kennedy temía que un impacto más ruidoso del asunto le traería peligrosas represalias de la Unión Soviética. El primer ministro Nikita Jruschov protestaba crecientemente sobre la situación en Berlín, dividida entre la URSS por un lado y Estados Unidos, Francia y Gran Bretaña por otro, y se había comprometido con respaldar a la Revolución cubana en caso de una agresión militar.

Las actitudes de Jruschov habían alarmado a Eisenhower en 1960 cuando accedió a las reiteradas instancias de Allen Dulles y autorizó vuelos espías con los U-2 sobre el territorio soviético. En mayo fue derribado el piloto Francis Gary Power y ante el rompimiento de las promesas, Jruschov suspendió la reunión que planeaban realizar en París.

Kennedy pensaba que no debía realizarse un ataque directo de Estados Unidos por otras razones: conocía bien que las acciones de la CIA para derrocar a Jacobo Arbenz en Guatemala habían levantado una ola de antiamericanismo en el mundo, especialmente en América Latina. Además, lo hacía dudar su propia aureola de liberal que se vería afectada. Sin embargo, había aprobado la agresión pocos días después de tomar posesión de la presidencia. Pensó que si dejaba sin efecto un plan aprobado por su predecesor, sus adversarios lo llamarían un hombre débil.

El Comandante en Jefe Fidel Castro analizó la actitud de Kennedy en aquellos momentos: "Fue comprometido por sus predecesores en la aventura de Girón por confiar demasiado, ya que no dudaba de la experiencia y capacidad profesional de aquellos. Fue amargo e inesperado su fracaso, apenas a tres meses de su investidura. Aunque estuvo a punto de atacar directamente la Isla con las poderosas y sofisticadas armas de su país, en esa ocasión no hizo lo que habría hecho Nixon: emplear los cazabombarderos y desembarcar los marines.

"Ríos de sangre habrían corrido en nuestra Patria, donde cientos de miles de combatientes estaban dispuestos a morir".

ALTERCADO KENNEDY-BURKE

En septiembre de 1960 Fidel acusó a Burke en la ONU de irresponsable por sus insinuaciones de que Jruschov defendía a Cuba para que se sintiese protegida si realizaba un ataque contra la base naval de Guantánamo. El almirante también había calificado como secuestro la retención de varios marines por los guerrilleros, quienes los presentaron como testigos de los bombardeos a la Sierra en 1957. Aunque Fidel criticó la acción, desde la visita del vicepremier Anastas Mikoyan a Cuba, en los inicios de 1960, Burke reclamaba acciones contra un Gobierno "en proceso de caer bajo la dominación del comunismo internacional". (1)

El militar —quien había sido condecorado por el dictador Batista y agitaba contra Fidel casi tanto como Nixon —, insistió en la reunión de la Casa Blanca que con dos jets podría acabar con la aviación cubana y así virar la situación. Kennedy comenzaba a perder la calma y contestó que no quería ver a su país envuelto en eso. La situación se puso tensa cuando Burke reaccionó en tono airado:

—¡Diablos, señor presidente, nosotros estamos ya envueltos!

El almirante, héroe de la II Guerra Mundial y jefe del Estado Mayor Conjunto de las Fuerzas Armadas de Estados Unidos, casi se había insubordinado pocos días antes. Robert Kennedy reveló en 1964 que "a pesar de las órdenes del presidente de que no se usasen fuerzas americanas, las dos primeras personas que desembarcaron en la Bahía de Cochinos eran americanos enviados por la CIA... oficiales operativos de la CIA dijeron a la brigada cubana que si el presidente tratase de bloquear la invasión, arrestasen a quienes lo dijeran y siguieran con ella adelante de todos modos." (2) Los dos oficiales operativos de la CIA que iniciaron el desembarco eran William Robertson y Grayston Lynch, conocidos entre los que se entrenaban como Rip y Gray.

Dulles estaba seguro de que Kennedy cedería en involucrar directamente a sus fuerzas armadas. José Pérez San Román, exoficial del ejército de Batista que fue designado jefe militar de la invasión "testificó, junto a otros sobrevivientes, que los consejeros de la CIA les prometieron la ayuda militar de Estados Unidos que fuese necesaria". (3) A pesar de las órdenes, Burke envió el portaaviones Essex y helicópteros del Boxer a pocas millas de la costa.

Sin embargo, transcurridas tres horas, la reunión terminó sin que pudiesen hacerle aprobar la intervención directa. A las cuatro de la madrugada, aún Bissell demandaba que los aviones jets intervinieran. El capitán piloto Enrique Carreras en un caza a chorro hundió el Houston y atacó después el Río Escondido, sobre el que hizo blanco y se estaba hundiendo; había completado la faena y cumplido la orden dada por Fidel desde el primer momento: priorizar los ataques de la exigua aviación contra los buques mercenarios para escindir la logística de los invasores.

Kennedy transó entonces con los reclamos y aceptó enviar jets Sabre desde el portaviones Essex a proteger otros B-26, pilotados por norteamericanos. Ellos tratarían de impedir ataques de las FAR a las lanchas que, desde los barcos Blagar y Bárbara J., intentaban cargar suministros para los mercenarios. Ya desde los barcos dijeron que no podían arriesgarse a cargar y transportar en plena luz del día.

Meses después de Girón, en distintas ocasiones, Kennedy lamentó haber dado luz verde a la invasión a pesar de sus dudas. Cuando Bill Keller, editor ejecutivo del The New York Times se quejaba del fallo que habían tenido en el diario al no investigar más sobre la denuncia de la preparación del ataque, JFK replicó que hubiese deseado lo publicasen, pues así tal vez le hubiesen evitado el fiasco. En otra oportunidad, a Turner Catledge, también del Times, le dijo: si hubiesen publicado más sobre la operación, nos habrían salvado de un colosal error.

Vale la pena reseñar lo que escribió un hombre tan cercano a los Kennedy como Arthur Schlesinger: "la realidad fue que Castro resultó ser un enemigo mucho más formidable y estar al mando de un régimen mucho mejor organizado de lo que nadie había supuesto. Sus patrullas localizaron la invasión casi en el primer momento, sus aviones reaccionaron con rapidez y vigor. Su policía eliminó cualquier probabilidad de rebelión o sabotajes detrás de las líneas. Sus soldados permanecieron leales y combatieron bravamente. Él mismo nunca fue presa del pánico, y si se le pudo atribuir alguna falta, fue el haber estimado con exceso la fuerza de la invasión y el haber mostrado una preocupación indebida en el ataque por tierra contra la cabeza de playa. La forma en que se desenvolvió fue impresionante". (4)

Es elocuente esta admisión de Schlesinger, autor por encargo del Libro Blanco conque Washington justificó la invasión que preparaba. Y raro el error de Fidel que señala. Si se tiene en cuenta el plan de Estados Unidos: mantener la cabeza de playa durante al menos 72 horas para intervenir directamente, habría que concluir en que no es una falta, sino que tal vez sea el más importante aspecto de la estrategia de Fidel, pues la invasión costó muchas vidas, pero nunca tantas como hubiera ocurrido si las fuerzas armadas de Estados Unidos hubiesen participado de modo directo.

La energía desplegada por el comandante para empeñar toda la fuerza disponible a fin de derrotarlos antes de las 72 horas, permitió lograr una victoria estratégica. De ese modo frustró la cobertura legal pretendida de conservar la cabeza de playa lograda el primer día, trasladar allí a José Miró Cardona, Tony Varona y otros políticos cubanos escogidos para reconocerlos como gobierno de Cuba, que la CIA los tenía humillantemente incomunicados en Opa Locka, Florida, para que David Atlee Phillips y Howard Hunt, involucrados en la ejecución de numerosas acciones terroristas contra Cuba y planes de atentados contra la vida de Fidel, redactasen las triunfalistas mentiras que se publicaban en la mayoría de los órganos de la llamada prensa libre.

 

(1) Aleksandr Fursenko & Timothy Naftali. One Hell of a gamble. W.W. Norton & Co. New York 1997, p. 39

(2) Arthur Schlesinger. Robert Kennedy and his times. Ballantine Books. New York. 1978, pp. 486 y 487.

(3) Warren Winkle & William Turner, The fish is red. Haerper & Row. New York. 1981, pp. 100-101

(4) A. M. Schlesinger. Los miI días de Kennedy. Ayma S. A. Barcelona, 1966, p. 219

Respeto hacia los prisioneros (XXIII)

 

9 maggio 2011 - Gabriel Molina www.granma.cubaweb.cu

 

El domingo 23 de abril de 1961, Fidel compareció ante la televisión para hace un recuento al pueblo cubano sobre las operaciones que culminaron con la fulminante victoria del día 19.

El Comandante en Jefe había ordenado organizar un cerco para ir capturando a los enemigos que huían, y a los supervivientes de los barcos hundidos.

Uno de ellos, Ulises Carbó, hijo del ex propietario del diario Prensa Libre, estaba a bordo del Houston cuando el buque fue alcanzado por la puntería y arrojo de la aviación revolucionaria. Nadó como muchos otros integrantes de ese batallón que no pudo desembarcar, llegó a la costa y se escondió durante once días hasta que se entregó a los milicianos.

A las 2:40 p.m. del 19, cuando las fuerzas cubanas estaban a dos kilómetros y medio de Girón, aparecieron dos destructores de la Marina de Guerra de Estados Unidos que habían escoltado a la flota invasora desde Nicaragua hasta Cuba y avanzaban hacia la costa, a menos de 2 000 metros, con sus cañones desenfundados y apuntando hacia tierra en actitud provocativa. El entonces capitán José R. Fernández, quien ejecutaba la estrategia y táctica de la defensa de Fidel en la dirección del Central Australia, y después en los avances de la contraofensiva en esa dirección, ha narrado que la maniobra la tomaron por otro desembarco y se planteó una inquietante disyuntiva de disparar primero, como le reclamaban sus subalternos, dolidos por sus bajas.

Pero entonces la batalla sería contra la Flota de Estados Unidos y tal vez daría lugar a una conflagración internacional. Fernández tomó la sabia decisión de disparar a quienes venían a desembarcar, no a los destroyers. Minutos después llegó Fidel y se percató de que no desembarcaban, sino que escapaban y lo aclaró. Algunas barcas navegaban de la costa hacia los barcos.

Cuarenta años más tarde, en el 2001, en la Conferencia Internacional sobre los sucesos de Playa Girón, el Comandante en Jefe, con una sonrisa astuta, preguntó al ya general Fernández a quién le había consultado aquella decisión. La concurrencia estalló en una carcajada cuando el prestigioso militar exclamó ágilmente: "A quién iba a consultar Fidel, a los dioses".

En total más de 1 200 invasores fueron apresados sin el menor maltrato físico, como ordenó Fidel. Perdieron la vida en el intento 114. En cambio, en la defensa del país agredido cayeron 151 soldados y milicianos; con las bajas debido a los bombardeos de los aeropuertos y entre los vecinos de la Ciénaga de Zapata, el total de muertos fue de 176.

Un hecho posiblemente sin precedentes históricos fue la comparecencia de los prisioneros transmitida a todo el país por la televisión nacional, donde respondieron a las preguntas formuladas por un panel de periodistas y expresaron libremente lo que pensaban de los hechos que protagonizaron. Más excepcional aún fue el diálogo que sostuvieron con el Comandante en Jefe que los había derrotado, también transmitido en vivo por la televisión.

Solo 10 días después de liquidada la invasión fueron capturados los dos jefes. José Pérez San Román, excapitán del ejército de la tiranía, declaró que cumplía un deber de conciencia al decir lo que sentía: que la propaganda auspiciada por los que lo trajeron hasta aquí era mentira. En resumen, que se había equivocado, dijo ante la televisión. Poco antes había sido capturado el segundo jefe, Erneido Oliva (cuya historia contó Fernández recientemente en Granma), quien después, por sus servicios al imperio, llegaría al grado de mayor general del ejército yanki.

Manuel Artime, quien era el jefe civil, el golden boy de la CIA, se unió al Ejército Rebelde dos días antes del triunfo del 1ro de enero de 1959 y negoció grados de teniente con el comandante de la Sierra Humberto Sorí Marín. Relató cómo desde ese propio año funcionarios de la embajada de Estados Unidos —oficiales de la CIA con esa cobertura que ya trabajaban sediciosamente con Sorí Marín—, lo escondieron, lo ayudaron a salir del país, lo financiaron y guiaron en todo el proceso de la invasión. Se informó también cómo Artime, al abandonar el cargo que desempeñó los primeros meses de 1959 en el Instituto Nacional de Reforma Agraria, se llevó los fondos que manejaba.

Los prisioneros confirmaron que la travesía por mar fue escoltada por tres destructores y una fragata de la Marina de Guerra de Estados Unidos, que incluso evacuaron heridos de los barcos cuando se produjo un accidente.

La composición social de los "libertadores" era muy curiosa: 100 latifundistas, 24 grandes propietarios, 67 casatenientes, 112 grandes comerciantes, 194 exmilitares y esbirros de la tiranía, 179 acomodados, 35 magnates industriales y 112 lumpens.

José J. Martínez Suárez relató que por sus servicios se les pagaban 175 dólares por la señora, 50 por el primer hijo y 25 por cada uno de los demás. Él mismo recibía 275 dólares en su casa cada mes. Tanto en unos casos como en los otros, la cantidad aumentaba de acuerdo con la importancia que concedían a esos "instrumentos" a sueldo. Por ejemplo, Tony Varona y Miró Cardona cobraban, por sus actividades contra Cuba, estipendios mucho mayores, además de manejar más dinero para gastos.

Esbirros con aires de libertadores

Durante la entrevista con el esbirro Ramón Calviño los teléfonos de la CTC no cesaban de recibir denuncias de familiares de revolucionarios asesinados por él. Otros concurrieron personalmente al lugar y realizaron careos con él. De ese modo se le señaló su participación en los asesinatos de Marcelo Salado, Gerardo Abreu (Fontán), Jorge Sánchez Villar, Manolito Aguiar, Andrés Torres, Ángel Ameijeiras (Machaco), Alfredo Sánchez Martín, Rafael Guerra, José Rodríguez Vedo y Pedro Martínez Brito.

Calviño se infiltró en el Movimiento 26 de Julio, y después de ser detenido por Esteban Ventura lo nombraron cabo de la policía. A partir de entonces se dedicó a identificar a los revolucionarios y a participar personalmente en sus asesinatos y torturas. Se denunció en el programa uno de sus crímenes más horrendos, la forma en que mató a Rafael Guerra Vives, contada por los padres del mártir: le atravesó el cráneo con clavos y le sacó los ojos. Era un monstruo.

Jorge King Yung, conocido por el Chino, a mediados de 1960 sorprendió la buena fe del soldado del Ejército Rebelde Raúl Pupo Morales, quien estaba destacado como custodio en el embarcadero conocido por La Salina, en Matanzas. La oblicua mirada de King no pestañeó para asesinar a Pupo ante su esposa e hijos menores, asestándole varias puñaladas. De ese modo, King pudo robar una de las embarcaciones en la que huyó hacia la Florida, llevando como rehenes a la esposa e hijos de la víctima. Fue acogido con beneplácito por las autoridades y se alistó después para participar en la invasión.

Emilio Soler Puig, conocido por el Muerto, autor del asesinato del líder obrero portuario Aracelio Iglesias, en el año 1948, y del dirigente dominicano exiliado Pipí Hernández, en 1955. El también prisionero Antonio Valentín Padrón Cárdenas era hombre de confianza del asesino Fermín Cowley Gallegos y cometió varios crímenes en la región oriental, antes de 1959. Roberto Pérez Cruzata dio muerte en enero de 1959 a Rafael Escalona Almeida. Sancionado, se evadió de la prisión de La Cabaña para refugiarse, como era habitual, en Estados Unidos.

Calviño, King, Emilio Soler, Padrón Cárdenas y Pérez Cruzata fueron condenados en el juicio a pena de muerte y fusilados. Otros 9 juzgados por delitos semejantes que tenían asuntos pendientes con la justicia, recibieron condenas de 30 años para cada uno.

De la variada gama de confesiones, una de las que más llamó la atención fue la de Pablo Organvides Parada, agente de la CIA, quien declaró que desde enero o febrero de 1959, fue citado por un oficial de apellido Everfield, para que identificase a comunistas. Agregó que cuando los destructores se acercaron, entre los objetivos estaba evacuar una lancha con agentes CIA.

En su comparecencia en la televisión, Fidel puso de manifiesto que muchos círculos, en Estados Unidos, estaban enfurecidos por el fracaso, lo cual hacia aumentar el peligro. Dijo que Kennedy debía cesantear al señor Allen Dulles, lo que hizo el Presidente algunos meses después. JFK puso en su lugar a John McCone, y por una u otra razón, a partir de entonces el real conductor de la agencia fue Richard Helms, nombrado segundo de McCone quien, lejos de cambiar a los hombres de Dulles, los promovió para continuar la misma línea de operaciones encubiertas.

Uno de los miembros de la brigada invasora, llamada 2506, José Manuel Gutiérrez, al declarar antes las cámaras después de haber sido capturado, puso sencillamente en ridículo las versiones que pretendían esconder los hechos, cuando relató: (...) "Al otro día por la mañana pasa un jeep diciendo: Ríndanse, ríndanse; y al poco rato un grupo de milicianos. Salimos y nos entregamos, el que iba en el jeep era Fidel. Por eso nosotros perdimos, porque Fidel está con ellos, peleando en el frente, y los que estaban con nosotros, los que nos trajeron 'embarcados', se fueron ..."

 

Bush & Nixon, epílogo en Dallas (XXIV)
 

14 maggio 2011 - Gabriel Molina www.granma.cubaweb.cu

 

No es por azar que George Bush senior fue el primer alto oficial de la CIA a cargo de los planes contra Cuba.

 

 

 

Nixon y Bush padre, dos de los principales artífices de la invasión

 

 

 

 

 

George Herbert Walker Bush, formó con Richard Nixon y Allen Dulles el siniestro trío que aconsejó a Eisenhower y a Kennedy empeñarse en una agresión armada para ahogar en la cuna a la Revolución Cubana.

Una de las tareas de Bush en 1961 fue suministrar tres buques de la Armada de Estados Unidos para el proyecto de la CIA que se desarrollaba en Guatemala. Bush los hizo pintar de modo similar a los barcos civiles y los nombró Bárbara, por su esposa; Houston, por su ciudad de residencia, y Zapata, por el nombre de su empresa petrolera, según relató L. Fletcher Prouty, ex oficial de enlace de la CIA al investigador Paul Kangas. Prouty trabajó como consultante de Oliver Stone en la película JFK.

La CIA puso a su oficial George Bush y a su agente Félix Rodríguez Mendigutía, sobrino de un exministro de Batista, a cargo de reclutar exiliados cubanos desde 1959. Bush solicitó organizar la fuerza aérea de lo que sería la invasión a Charles Cabel, general de la Fuerza Aérea de Estados Unidos, oriundo de Texas, dijo Kangas al autor en una reciente visita a La Habana.

A menos de 100 días de su victoria en la Sierra Maestra, el comandante Fidel Castro visitó Estados Unidos en su primer viaje al extranjero como Primer Ministro del gobierno revolucionario. Respondía a una invitación de la Sociedad Cubana de Editores de Periódicos, en una visita de buena voluntad, pues desde los primeros días se desarrollaba una campaña de prensa negativa en ese país, a causa de las penas de muerte a que fueron condenados los criminales de guerra en juicios por los tribunales de justicia. En la noche del 15 de abril llegaba a Washington, donde es recibido por una entusiasta multitud de cubanos y latinoamericanos y comienza a romper el protocolo para saludarlos de cerca. (1)

Al día siguiente se entrevista con el Secretario de Estado interino, Christian Herter y varios congresistas. Después visita el diario Washington Post y más tarde a los editores de los diarios y les explica la razón de los enjuiciamientos. El viaje fue un constante encuentro con la prensa para explicar ese tema y su programa de gobierno concebido desde el asalto al cuartel Moncada. El 19 de abril termina su programa en la capital al reunirse, en ausencia de Eisenhower —quien asistía en realidad a un torneo de golf—, con el vicepresidente Richard Nixon. El "ahijado" de Preston Bush y los Dulles aconsejó acabar con el joven guerrillero no más salir de la reunión, sin más causa que los intereses de sus padrinos.

En el camino de regreso, Fidel visitó las universidades Yale, Princeton y Harvard, las tres preferidas por la elite de la nación, entre las 8 que componen la Ivy League. En el college de Connecticut, Yale, fue tratado de modo más modesto que en Princeton, donde lo llevaron en sus hombros los jóvenes anfitriones mientras lo aclamaban. En New Jersey el héroe cubano fue asediado y por la tarde, en la escuela Lawrenceville, habló en la capilla. Los estudiantes quedaron impresionados.

"En Boston 8 700 miembros de la comunidad estudiantil de Harvard se congregaron al aire libre para aclamarlo, junto al decano de la Facultad de Artes y Ciencias, McGeorge Bundy, cuando ambos avanzaron entre la corriente de jóvenes por la Dillon Field House en un auto convertible". (2) Bundy tendría una destacada participación en las decisiones del gobierno de Kennedy sobre Cuba al frente de la Seguridad Nacional.

Arthur M. Schlesinger, asesor y amigo de Kennnedy, había sido uno de los pocos que plantearon previas objeciones a la invasión de Girón, hasta que Robert Kennedy le dijo que no continuase, pues no podría dar marcha atrás y solo lograría perturbarlo. El autorizado escritor se refirió a esa visita de Fidel a Estados Unidos dos años antes de la victoria cubana en Bahía de Cochinos: "le oí hablar a varios miles de estudiantes en el Harvard Stadium. Pronunció una arenga memorable, especialmente por su habilidad para hacer chistes en inglés. Los estudiantes estaban encantados". (3)

DIRTY DICK Y LOS BUSH

George H. W. Bush fue elegido Representante a la Cámara dos veces por el 7º distrito del Estado de Texas, entre 1967 y 1971. Electo 41º Presidente de Estados Unidos, lideró el gobierno desde 1985 a 1989. Se desempeñó como Director de la CIA de enero a enero 1976-77. Sin embargo, antes ocultaba su labor en la agencia con los negocios de su padre, Preston Bush, quien participó junto a Allen y Foster Dulles en financiar el Partido Nacional Socialista de Alemania, el tenebroso régimen nazi de Adolfo Hitler. Precisamente a este trío debe su sucia carrera política Richard Nixon, iniciada de un modo no menos escabroso.

El trabajo del joven Nixon en la contrainteligencia de la II Guerra Mundial, a lo que fue destinado al enrolarse, le permitió conocer anticipadamente que una investigación conducía hacia esas lucrativas actividades de los Dulles y Bush, con quienes negoció una provechosa discreción. En agradecimiento, Preston Bush lo incluyó en la lista de candidatos del Partido Republicano para el Congreso de Estados Unidos. Fue elegido Representante y pudo así distinguirse por un anticomunismo oportunista y despiadado en el Comité de actividades enemigas, era el McCarthy de la Cámara Baja.

Como hombre de confianza de Dulles y las fortunas del petróleo y la banca, Nixon fue llevado por Preston Bush a la candidatura junto a Eisenhower, que le abriría el camino hacia la presidencia después del General. Preston guió a su hijo George I hacia la CIA y la política, con el fausto resultado de crear la dinastía Bush en la Casa Blanca, tras la eliminación del clan Kennedy por la tortuosa vía del asesinato que vengó la derrota de Nixon en 1960.

El empeño mostrado en Bahía de Cochinos era parte de ellos. Cuando algunos periodistas han preguntado a Bush y Nixon dónde estaban el 22 de noviembre de 1963, dicen que no recuerdan. Kangas y otros investigadores tienen evidencias de que estaban en Dallas y conocían del asunto. Una de ellas es el aviso que Edgar Hoover recibió varios días antes de que grupos de cubanos de Nueva Orleans, quienes conspiraban con la CIA, hablaban del magnicidio en esa fecha exacta. El jefe del FBI lo envió a Bush, según el Fiscal Garrison.

Al día siguiente de la gran derrota de Girón, el 20 de abril, el Presidente tenía que dirigirse a la Asociación Americana de Directores de Periódicos y no se podía hablar de otra cosa que ese fracaso. Ese día "las alegres esperanzas de los Cien días (del gobierno de Kennedy) habían terminado irrevocablemente; la hora de la euforia había pasado. En todo el país y en el mundo, la debacle estaba produciendo asombro y desilusión. Bundy recordó que Schlesinger se había opuesto y el Presidente contestó con sardónico humor: Ah claro, Arthur me escribió un memorándum que quedará bastante bien cuando se disponga a escribir su libro sobre mí. Sólo que más vale que no lo publique mientras yo esté vivo (...) No había vacilado en ningún momento en su determinación de no comprometer a tropas norteamericanas; si los Estados Unidos se moviesen contra Cuba, Khruschev podría tomarlo como pretexto para algún movimiento contra Berlín Occidental (...) El discurso a los directores le ofrecía la oportunidad de explicar la política de la autocontención y de desviar las demandas de acción contra Castro hacia un reforzamiento general de los designios norteamericanos". (4)

Khruschev había confiado en que los intercambios con el Presidente Kennedy, le habían convencido. Pero ante la fuerza de los hechos, comprendió que se equivocaba y le envió una carta el propio 18 de abril, segundo día de la invasión, en la cual le señalaba que "EE.UU. tenía aún la posibilidad de no continuar inflamando la antorcha de la guerra, antes que se convierta en una conflagración mundial (...) El armamento militar y la situación política en el mundo son tales, en este momento, que cualquier denominada ‘pequeña guerra’ puede desencadenar una reacción en cadena en todas partes del mundo. En lo que a la Unión Soviética concierne, no debe quedar error sobre nuestra posición: Enviaremos al pueblo cubano y a su gobierno toda la necesaria ayuda para repeler el ataque armado a Cuba". (5)

Otros famosos agentes de la CIA reclutados por Bush y Nixon para la invasión fueron Frank Sturgis, E. Howard Hunt, Bernard Barker y Rafael Quintero. Todos ellos estuvieron involucrados años después en el magnicidio y en el escándalo Watergate, cuyo objetivo verdadero fue, según Kangas: "ocultar el maldito asunto de la Bahía de Cochinos; era un código que Nixon usaba siempre para referirse al asesinato de Kennedy".

 

(1) Luis Báez: Fidel por el mundo, Casa Editora Abril, La Habana, 2011, p. 26.
(2) Alexandr Fursenko & T. Naftali: One hell of a gamble, W. W. Norton, New York, 1997, p. 10.
(3) A. M. Schlesinger: Los Mil días de Kennedy, Ayma S.A., Barcelona, 1966, p. 168.
(4) Ibid, pp. 215-217.
(5) Biblioteca Kennedy: Archivos de Seguridad Nacional, Serie de países. URSS. Correspondencia de Khruschev.

 

El imperio temía un segundo fracaso (XXV)

 

21 maggio 2011 - Gabriel Molina www.granma.cubaweb.cu

 

Por primera vez en América, un coro de más de un millón de personas cantó La Internacional, en la Plaza de la Revolución, el 1 de mayo de 1961, como para que al mundo no le cupiera dudas: Ya Cuba era socialista, porque los milicianos y soldados que cayeron en Playa Girón, los que participaron en aquellos combates, los que estuvieron atrincherados en todo el país para dar respuesta a la invasión, los que se acuartelaron en sus centros de trabajo y todos los hombres y mujeres del pueblo en los Comités de Defensa, defendieron la Revolución Socialista frente al imperio, y la hicieron victoriosa.

 

 

 

Como colofón de la marcha popular, desfiló una representación de las tropas victoriosas de Playa Girón

 

 

 

 

Tras la epopeya de la mayor isla del Caribe, en el exterior, los amigos de Cuba siguieron movilizándose y haciendo declaraciones, advirtiendo contra una intervención directa en la patria de Martí, ya que, por ejemplo, en Chile se filtraba que Estados Unidos conminaba a las cancillerías del continente a apoyar una nueva agresión o a permitir que se realizase.

Contra ella se levantaba la consigna que recorría el mundo: ¡Cuba sí, yankis no! Así ocurrió en París, bajo una incesante lluvia, cuando millares de trabajadores contestaban el saludo de Benoit Franchón, secretario general de la poderosa central sindical francesa, al nacimiento del socialismo en Cuba.

En cambio, en el continente americano ocurrían hechos bien distintos; por ejemplo, en Costa Rica y Venezuela. En Caracas, ese apoyo provocaba la agresión de la policía con armas de fuego y dejaba un saldo de 16 heridos. En San José, bandas fascistas atacaban a manifestantes que respaldaban la hazaña cubana.

Ese fue el momento escogido por los entonces gobernantes de Costa Rica para amenazar con el rompimiento de relaciones, si Cuba fusilaba a uno solo de los mercenarios. La respuesta de Cuba fue que la nación ponía su mejor empeño en mantener normales relaciones diplomáticas con ese Gobierno, pero no podía condicionarlas a decisiones que incumbían por entero a los órganos competentes y a la soberanía del país.

El Gobierno Revolucionario no disimulaba su indignación al rechazar la nota oficial. Respondió que causaba asombro cómo ese interés por el respeto a la vida humana no se manifestó ante las víctimas inocentes causadas por los bombardeos y la invasión, cuando ni siquiera formularon una declaración de condena a la agresión.

Fidel, días después, denunció la campaña de Washington para obligar a los gobiernos de América Latina a romper relaciones con Cuba. Y señalaba específicamente al de Costa Rica. El gobierno del presidente Echandi, sin tener en cuenta la generosidad con que estaba siendo tratado el gran número de prisioneros tomados, había amenazado en nota diplomática con romper si se fusilaba a alguno.

El líder cubano señalaba el increíble hecho de que el Gobierno de Costa Rica no rompiese relaciones con el agresor: Estados Unidos, ni con sus cómplices, los gobiernos de Somoza e Ydígoras, sino que profiriera amenazas contra el agredido.

Desde Moscú, un editorial del periódico Pravda analizaba el día 2 de mayo de 1961 las informaciones de fuentes norteamericanas sobre las discusiones en Washington para una intervención directa contra Cuba. Y en una frase encerraba la seria advertencia del país de los soviets contra esas aventuras belicistas: "El que prenda la llama y avive el fuego puede abrasarse las manos y arder con él".

La denuncia entregada por el Gobierno Revolucionario a los embajadores acreditados en Cuba sobre la continuación de esos planes, provocó una advertencia de la Unión Soviética sobre "las serias consecuencias para los mismos Estados Unidos de América" que traería un ataque directo armado a Cuba.

El senador Wayne Morse, presidente de una subcomisión de asuntos internacionales del Senado de Estados Unidos, sacó a la luz pública el intenso debate que se estaba produciendo en los primeros días de mayo de 1961 entre la elite del poder.

El legislador demócrata por el estado de Oregón, agitando su blanca cabellera, señaló que no se debía dejar a los grupos que favorecen una guerra preventiva determinar la política.

Agregó que vastos sectores de los Estados Unidos no apoyan la intervención y consideraba un error mayor invadir a Cuba. Los gobiernos de México, Ecuador y Brasil manifestaron prontamente su inalterable apoyo al principio de no intervención. En Washington, el secretario de Estado, Dean Rusk, declaraba que estaba realizando urgentes consultas con los gobiernos latinoamericanos sobre la actitud a seguir con Cuba.

El presidente Kennedy fue interrogado por un corresponsal sobre la proclamación de la Revolución socialista en Cuba. En una evasiva respuesta, manifestó que su gobierno

no tenía el propósito "en estos momentos" de adiestrar otra fuerza de contrarrevolucionarios cubanos en Norteamérica o en otro país. Añadió que la política exterior de Estados Unidos se guía por la Doctrina Monroe y que la proclamación hecha por Fidel Castro preocupaba a Estados Unidos y al hemisferio occidental.

Las palabras del presidente estadounidense no descartaban una intervención directa e invocaban la doctrina Monroe, de América para los americanos, que había servido siempre como base teórica para las agresiones de Estados Unidos en el continente. Cuando Kennedy recibió a José Miró Cardona, presidente del llamado Consejo formado por la CIA como pantalla de la invasión, hacía crecer más la desconfianza sobre las intenciones de la administración norteamericana. Robert McNamara, entonces secretario de Defensa del gobierno de Estados Unidos, dijo, posteriormente, que ellos estaban en ese momento histéricos con respecto a Cuba.

En la obra Robert Kennedy y su tiempo, editada en EE.UU. en 1978, se admite que en esos días de mayo de 1961 la Fuerza Aérea de Estados Unidos presentó un plan para un asalto contra el "régimen de Castro". Otro plan, auspiciado por la CIA y el Pentágono, pretendía crear una brigada de contrarrevolucionarios cubanos en el ejército de Estados Unidos, que después se materializó con el grupo y la Operación 40. Ya se había formado un equipo de trabajo sobre Cuba, desde abril, en que estaban representados, a los más altos niveles, la CIA, el Pentágono, el Departamento de Estado, el Consejo de Seguridad Nacional y otros. Pero no se ponían de acuerdo sobre cómo proceder. Temían a un segundo fracaso y a la opinión internacional. Estaban ante un dilema.