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IL TRADUTTORE SI SCUSA PER GLI ERRORI 

 

I cinque anni di Raúl

da numero uno

L'1 agosto 2006 Fidel Castro annunciò che doveva cedere «temporaneamente» il potere Un lustro in cui molte cose sono cambiate. Rischi e incognite sulle riforme ma la certezza che come prima non si poteva continuare

 

 

2.08.11 - Maurizio Matteuzzi Fonte: www.ilmanifesto.it

 

Il primo agosto del 2006 Raúl Castro lasciò Cuba e il mondo senza fiato leggendo il comunicato con cui Fidel informava che la sua salute l'obbligava a cedere «temporaneamente» il potere al fratello. Il 19 febbraio 2008 il «temporaneo» divenne «permanente».

Raúl era solo. Privo di carisma ma consapevole che Cuba, a 50 anni dalla «rivoluzione vittoriosa», senza cambi radicali e dolorosi, rischiava di saltare in aria. Nel 2007 disse che erano necessari «cambiamenti strutturali» per «perfezionare» il modello socialista. Cos'è cambiato in 5 anni?


Dal modello sovietico Cuba aveva appreso che la proprietà statale è sinonimo di socialismo. Dopo il '68 era stato nazionalizzato tutto, fino all'attività di barbiere e venditore ambulante. E quasi nulla funzionava come doveva, favorendo la diffusione di una micro-illegalità e clandestinità giustificata dalle proibizioni e dall'impossibilità di vivere con salari ufficiali intorno ai 20 euro al mese. Le riforme, innanzi tutto, stanno facendo emergere l'underground.


Di grande impatto la cessione delle terre in usufrutto ai campesinos dopo anni di improduttivi ed inefficienti «kolkoz». Cuba, terra fertilissima, importa più dell'80% degli alimenti che consuma. Ma la «riforma agraria» non è riuscita ad aumentare, finora, la produzione per via dell'impossibilità dei campesinos di approvvigionarsi di quanto necessario a far fruttare la terra. 9000 delle 150 mila nuove famiglie usufruttuarie hanno restituito gli appezzamenti ricevuti allo stato.

Socialmente la misura più esplosiva, e rischiosa. è il licenziamento (la parola usata non è questa) di oltre un milione di lavoratori statali sui 5 totali, 500000 subito (ma i termini si sono allungati), da riciclare nei lavori autonomi o cooperativi che la «destatizzazione» controllata dell'economia dovrebbe creare ( 200mila licenze già concesse per lavori por cuenta propria), sgravando le esangui casse dello stato dai salari e immettendovi i proventi delle (salatissime) imposte, voce finora sconosciuta.

Questi cambi hanno prodotto un mini-boom del mercato interno, una febbre consumista alimentata dai soldi (illegali) finora «nascosti sotto il materasso». Dal 2008, quando fu legalizzata la vendita delle linee telefoniche, il numero dei cellulari è passato da 250000 a più di un milione. Ora tocca alle auto e alle case (finora era permessa solo una finta vendita sotto forma di «permuta») su cu fiorivano corruzione e mercato nero. Altro punto sensibile del «perfezionamento», l'istruzione. Meno universitari (via il 40% dei posti), più tecnici e operai specializzati.


Anche sul piano politico interno, Raúl non è stato a guardare. Ha maneggiato con abilità il nodo del dissenso, che - nonostante il caso Zapata, il detenuto morto per sciopero della fame nel 2010 - ha perso peso e ascolto (anche presso la Sezioni di interessi Usa all'Avana). La gran mossa, finalmente, è stato l'accordo con il cardinale Ortega (che di certo non risulterà gratis per Castro) e la mediazione del governo socialista spagnolo, che ha portato alla liberazione di tutti i dissidenti.

A livello internazionale? Con gli Usa, in chiaroscuro. Obama ha fatto qualche passo iniziale (via le proibizioni ai viaggi dei cubano-americani, alle limitazioni delle visite dei cittadini Usa, all'invio di rimesse). L'Europa è divisa su Cuba, ma l'ostile «posizione comune» imposta da Aznar ha effetti pratici scarsi o nulli su imprenditori e turisti europei e sulla cooperazione. I nuovi assi strategici, a livello politico ed economico, sono Cina e Venezuela, anche se Cuba sta intessendo forti relazioni commerciali sud-sud, con la «nuova» America latina, con Africa e Asia.

Ieri Raúl è intervenuto in parlamento per dare spinta alle riforme. Le resistenze della burocrazia di stato e di partito sono forti e immaginabili. I rischi sul tipo di paese che produrranno (senza che si sia mai detto nulla su cosa sia stato sbagliato) sono molti. Per ora l'unica certezza è che così Cuba non poteva continuare e che Raúl se n'è resto conto.