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Il traduttore si scusa per gli errori

 

 

 

STRAGE IN UNA RAFFINERIA IN VENEZUELA. 7

 

BUONI MOTIVI PER CREDERE A UN COMPLOTTO

 

 

7 settembre 2012 - CDT di davide DI JAMES PETRAS petras.lahaine.org  www.comedonchisciotte.org
 

 

 

Non si può escludere alcuna ipotesi…E’ praticamente impossibile che ci sia un impianto petrolifero come questo, completamente automatizzato, con migliaia di addetti presenti su turni per 24 ore al giorno, sia civili sia militari, e che per 3 o 4 giorni ci sia una fuga di gas e nessuno intervenga. E’ impossibile.”
— Il Presidente Chavez rispondendo ai canali d’informazione statunitensi e alle accuse dell’opposizione secondo cui l’esplosione e l’
incendio alla raffineria di petrolio sono da attribuirsi alla negligenza del governo. 26 Agosto 2012.

Solo 43 giorni prima dell’elezione presidenziale in Venezuela e con il Presidente Chavez in testa con un margine sostenuto del 20%, un’esplosione e un incendio alla raffineria Amuay ha ucciso per lo meno 48 persone – metà delle quali membri della Guardia Nazionale – e distrutto istallazioni petrolifere che producono 645000 barili al giorno.

Immediatamente dopo l’esplosione e l’incendio, tutti i canali d’informazione statunitensi e britannici , oltre all’opposizione conservatrice in Venezuela, hanno lanciato all’unisono un’accusa contro il governo di essere il primo responsabile del disastro, attribuendogli “una gravissima negligenza” e di “non aver investito sufficientemente negli standard di sicurezza”.

Eppure ci sono forti ragioni per respingere queste accuse opportunistiche e per formulare un’ipotesi più plausibile; e cioè che l’esplosione è stata un’azione di sabotaggio, pianificata e messa in atto da un gruppo clandestino di terroristi specializzati che agiscono per conto del governo statunitense. Ci sono davvero molti motivi per appoggiare una simile ipotesi per le indagini.



L’ipotesi Sabotaggio
 


La prima domanda da porsi in un’indagine che si rispetti è: chi ne trae beneficio e chi viene danneggiato dalla distruzione di vite umane e di produzione di petrolio?

Gli Stati Uniti sono un chiaro vincitore su diversi fronti. In primo luogo, grazie alla conseguente perdita economica per l’economia venezuelana – 2.5 milioni di barili nei primi 5 giorni, cifra destinata a crescere – la perdita si ripercuoterà sulla spesa sociale e rallenterà gli investimenti produttivi che, a loro volta, sono argomenti cruciali elettorali per la presidenza Chavez.

In secondo luogo, il fatto che all’unisono gli Stati Uniti e il loro candidato affiliato,
Henrique Capriles Radonski, abbiano lanciato immediatamente una propaganda negativa mirata a screditare il governo e a mettere in questione la sua capacità di garantire la sicurezza dei cittadini e della principale fonte di ricchezza per il paese. In terzo luogo, un’esplosione crea insicurezza e senso di paura tra le fasce dell’elettorato, e questo può molto influenzare il voto dell’elezioni presidenziali del prossimo Ottobre.

In quarto luogo, gli USA possono mettere alle prova l’efficacia di una più ampia campagna di destabilizzazione e la capacità del governo di rispondere a qualsiasi minaccia di sicurezza.

Secondo alcuni documenti governativi ufficiali, gli USA stanno conducendo operazioni di Forze Speciali in più di settantacinque paesi, compreso il Venezuela, che è da sempre considerato un antagonista. Questo significa che gli USA hanno loro uomini altamente addestrati nel territorio venezuelano. Ne è la prova un recente arresto per entrata illegale in Venezuela di un U.S. Marines con esperienze passate in azioni militari in Iraq e Afghanistan.

Gli Stati Uniti hanno una lunga storia di coinvolgimento in azioni destabilizzanti in Venezuela – avendo sostenuto il colpo di stato militare del 2002 e la serrata padronale petrolifera del 2003. Gli Stati Uniti presero di mira l’industria petrolifera sabotando il sistema computerizzato e contribuendo alla degenerazione delle raffinerie.

 

Gli USA hanno notoriamente una tradizione storica di sabotaggi e violenze contro incombenti regimi avversi.

 

Nel 1960, a Cuba, la CIA diede fuoco ad un centro commerciale e a piantagioni di zucchero, e piazzò bombe nei luoghi turistici delle città – allo scopo di minare i settori strategici dell’economia del paese.

In Cile, dopo l’elezione del Socialista Salvador Allende, un gruppo dell’ala destra sostenuto dalla CIA rapì e assassinò l’addetto militare del Presidente Socialista, allo scopo di provocare un colpo di stato militare.

 

Allo stesso modo in Giamaica, alle fine degli anni ’70, sotto la presidenza socialista del Presidente Manley, la CIA promosse un’aggressiva campagna di destabilizzazione a ridosso delle nuove elezioni.

 

Sabotaggio e destabilizzazione sono armi comuni utilizzate quando incombe una disfatta elettorale (come nel caso del Venezuela) o quando un governo popolare è troppo ben radicato.

Azioni di forza, violenza e destabilizzazione contro incombenti regimi avversari sono diventate una prassi procedurale nella politica statunitense.

Gli USA hanno finanziato ed armato gruppi terroristici in Libia, in Siria, in Libano, in Iran ed in Cecenia; stanno bombardando il Pakistan, lo Yemen, la Somalia e l’Afghanistan. In altri termini, la politica estera statunitense è fortemente militarizzata e contraria a qualsiasi soluzione diplomatica dei conflitti con regimi antagonisti. Il sabotaggio alla raffineria del Venezuela rientra perfettamente tra le comuni pratiche adottate dalla politica estera mondiale degli Stati Uniti.

L’attuale politica interna in U.S.A. si è ulteriormente spostata verso “destra” sia su argomenti di politica locale sia estera. Il Partito Repubblicano ha accusato i Democratici di fare i “ruffiani” dell’Iran, del Venezuela, di Cuba e della Siria, invece di andare in guerra. La risposta del regime di Obama è stata un’escalation di politica militare – navi da guerra e missili sono attualmente puntati su Iran. 

Obama ha appoggiato la richiesta di Miami per un cambio di regime a Cuba, come preludio di future trattative. Washington sta convogliando, attraverso ONG, milioni di dollari all’opposizione in Venezuela - per scopi di destabilizzazione elettorale. Ovviamente l’opposizione comprende anche impiegati, tecnici ed altri che hanno libero accesso alle installazioni petrolifere.

Obama ha spesso condotto azioni di forza per dimostrare che lui è un militarista tanto quanto i Repubblicani.

Con una campagna elettorale in corso, e con uno stretto margine di vittoria in Florida, il sabotaggio delle raffinerie in Venezuela gioca molto bene a favore di Obama.

Manca poco più di un mese alle elezioni, il Presidente Chavez è in vantaggio di 20 punti, l’economia e’ in costante ripresa, i programmi di edilizia popolare e della sanità stanno consolidando un importante piano di sostegno alle fasce di basso reddito; il Venezuela e’ stato ammesso nel MERCOSUR, l’importante programma d’integrazione dell’America Latina; la Colombia ha firmato con il Venezuela un accordo reciproco di difesa; il Venezuela sta ampliando il ventaglio dei suoi mercati e fornitori d’oltremare. Tutti questi fatti indicano che Washington non ha alcuna possibilità di battere Chavez nelle elezioni; non ha alcuna possibilità di usare i suoi vicini Latini come trampolino per le sue incursioni territoriali o di istigare una guerra per il cambio di regime; inoltre, non ha alcuna possibilità di imporre un boicottaggio economico.

Considerata l’avversione di Washington alla designazione di Chavez - vista come “una minaccia per la sicurezza dell’intero emisfero” - e considerati i fallimenti ottenuti con gli altri strumenti politici, il ricorso alla violenza e, nel caso specifico, al sabotaggio dello strategico settore petrolifero, sembra essere una precisa scelta politica.

Washington, rivelando così il suo ricorso al terrorismo clandestino, rappresenta un chiaro e reale pericolo per l’ordine costituzionale del Venezuela, una minaccia imminente alla linfa della sua economia e al processo elettorale democratico. Ci si augura che il Governo di Chavez, sostenuto dalla grande maggioranza dei suoi cittadini e dalle forze armate costituzionalistiche prenda le necessarie misure di sicurezza per garantire che non si ripetano sabotaggi petroliferi o in altri settori, come ad esempio la rete elettrica.

La debolezza pubblica di fronte alla belligeranza imperialista incoraggia ulteriori attacchi. Sicuramente, le rafforzate misure di sicurezza in difesa dell’ordine costituzionale verranno denunciate dal Governo, dai media e dai vari clienti locali statunitensi come “misure autoritarie”; diranno che la protezione del patrimonio nazionale va a discapito delle “libertà democratiche”. E’ chiaro che preferiscono un sistema di sicurezza più fragile che si pieghi più facilmente alle loro violenti provocazioni.  E dopo la loro prevista disfatta elettorale sicuramente denunceranno “frodi” e “brogli”.

Tutto questo è prevedibile, ma la grande maggioranza degli elettori che andranno a votare si sentirà molto sicura e guarderà con fiducia ai prossimi quattro anni di pace e prosperità, liberi da atti terrorismo e sabotaggi di alcun genere.
 


James Petras, ex Professore di Sociologia alla Binghamton University, New York, attivo da più di 50 anni in lotte di classe, è consulente dei senzatetto e dei disoccupati in Brasile e in Argentina ed è coautore di La Globalizzazione Smascherata (Globalization Unmasked-Zed Books). Il suo libro più recente è “La Rivolta Araba e il contrattacco Imperialistico”.
É contattabile a questo indirizzo: jpetras@binghamton.edu
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James Petras
Fonte: http://petras.lahaine.org
Link: http://petras.lahaine.org/?p=1908
26.08.2012

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERTATA63