I seminatori della

democrazia

 

 

30.05.12 - Manuel E. Yepe www.granma.cu

 

 

Quando lo scorso aprile la monarchia degli Emirati Arabi Uniti decretò la chiusura dell’ufficio del National Democratic Institute (NDI) ad Abu Dhabi, il New York Times riportò che ci fu sconcerto in settori dell’opinione pubblica statunitense, che considerano il NDI come una rispettabile agenzia “senza scopo di lucro” la cui missione è promuovere la democrazia in tutto il mondo.

 

Il NDI si identifica come un’organizzazione non governativa (ONG), nonostante è noto il suo finanziamento da parte del governo degli Stati Uniti attraverso il Dipartimento di Stato e la CIA.

 

In accordo con l’articolo apparso sul Times, firmato dal giornalista Steven Lee Myers, si percepisce che “la maggior parte della cittadinanza considera naturale che il governo degli Stati Uniti finanzi organizzazioni che inviano persone in tutto il mondo per diffondere la democrazia, fino al punto di aiutare a promuovere rivoluzioni in nazioni considerate non abbastanza jeffersoniane”.

 

Secondo il lavoro di Myers, la decisione degli Emirati Arabi Uniti (EAU) costituì “una sorprendente sfida diplomatica ed una atto marcatamente provocatorio”, infatti avvenne in un momento in cui era annunciata l’imminente visita della segretaria di Stato statunitense, Hillary Clinton, negli EAU per conversare con i leader di questo paese e di altri che sono membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Gulf Cooperation Council).

 

La cancelliera si lamentò immediatamente delle azioni degli EAU anche se lo fece in termini sorprendentemente blandi. Sostenne che il NDI svolge un ruolo vitale nell’appoggio alle ONG e la società civile nella regione. Si limitò ad annunciare che si proponeva di sostenere delle conversazioni sul tema con i leader dell’area.

 

È possibile che questa moderazione da parte ella Clinton, che in circostanze simili è solita agire con ira prepotente, obbedisca alla necessità di affrontare la circostanza specifica con una prospettiva regionale.

 

In Egitto, alcuni giorni prima, erano stati arrestati vari rappresentati di “organizzazioni non governative promotrici della democrazia” che operavano nel paese. Esisteva la minaccia di processarli per delitti di interferenza con gli affari interni di questa nazione araba.

 

Le accuse incolpavano tre ONG statunitensi, molto conosciute per gli stretti vincoli con la CIA (NDI, Freedom House e International Republican Institute), di aver ricevuto finanziamenti esteri illegali per 65 milioni di dollari, per eseguire azioni di pressione ed influenzare le elezioni del paese e beneficiare gli obiettivi politici di Washington nella regione.

 

Il caso ebbe una grande diffusione nei media degli Stati Uniti perché tra gli arrestati c’era il figlio del segretario statunitense dei Trasporti, Ray LaHood, che fu chiamato in giudizio insieme agli altri accusati. Tutti furono rimessi in libertà solo dopo che il governo degli Stati Uniti minacciò con sospendere una vendita di armi di circa 1,3 miliardi all’Egitto.

 

Nonostante questo, le attività delle tre ONG, che operavano tutte come facciata della CIA a El Cairo, furono sospese.

 

In quei giorni anche Mosca aveva espresso indignazione per le attività di ingerenza da parte delle ONG statunitensi in Russia.

 

Vladimir Putin denunciò che durante la sua campagna per la Presidenza, centinaia di migliaia di dollari furono iniettati dagli Stati Uniti per influenzare le elezioni.

 

Anche la Cina aveva formulato denuncie simili per atti di ingerenza degli Stati Uniti.

 

In un articolo intitolato Unmasking the Democracy Promoters (Smascherando i promotori della democrazia), Robert W. Merry, editore della rivista The National Interest ed autore di vari libri sulla storia e politica estera degli Stati Uniti, si chiedeva come avrebbero reagito gli statunitensi se analoghe organizzazioni russe, cinesi, o indiane dedicassero simili e cospicue risorse per influenzare la politica interna degli Stati Uniti.

 

Merry cita le parole di Michael McFaul, rappresentante della NDI in Russia alcuni anni fa: “Non vogliamo dettare alla Russia qual’è il cammino verso la democrazia. Vogliamo solo appoggiare quelli che ci piace chiamare valori universali. Non valori americani, non valori occidentali, ma valori universali”.

 

Però Merry chiede: “Chi è l’arbitro che determina quali sono tali valori universali? Come si selezionano quelli che devono agire come portatori di tali valori? Per avere una risposta dovremmo andare in Russia e parlare con Michael McFaul che attualmente svolge a Mosca il ruolo di ambasciatore degli Stati Uniti”.