Un Manifesto per il popolo

 

 

26 luglio 2012 - Marta Rojas  www.granma.cu

 

 

Chi dicesse o pensasse che l’azione, che vide protagonisti i rivoluzionari che con Fidel formarono il movimento patriottico e che si fece realtà il 26 di Luglio, fu solamente un gesto audace di ribellione, commetterebbe un errore. Quell’azione ben pensata, aveva la sua base ideologica d’indubitabile proiezione politica e sociale, con cambi strutturai di base. Basta avvicinarsi al documento conosciuto come “Manifesto della Moncada alla nazione”, per comprenderlo.

 

Raúl Gómez García, maestro e poeta, scrisse il Manifesto seguendo le indicazioni di Fidel. Inoltre denunciò con quattro parole “Tuo figlio è stato fatto prigioniero!, il crimine perpetrato contro le vittime dopo la loro detenzione.

 

Il Pubblico Ministero della Causa 37 fece una domanda chiave al dottor Fidel Castro nella tappa dell’interrogatorio al principale responsabile confesso dell’assalto alla seconda fortezza militare di Santiago di Cuba. Avvenne nella sessione del 21 settembre, nella Prima Sala d’Udienza d’Oriente.

 

In quel momento Fidel parlava della continuazione storica della lotta del popolo cubano per la sua indipendenza e faceva il meritato ritratto eroico del Generale Antonio Maceo nelle due guerre del XIX secolo.

 

Il Pubblico Ministero lo interruppe: “Questo Pubblico Ministero non dissente sugli attributi del generale Antonio... Mi dica accusato, del programma del governo rivoluzionario. Qual’era?”

 

Fidel cominciò a spiegarlo, ma fu allora che il presidente del tribunale lo interruppe di nuovo, perchè le parole del leader erano troppo scomode ed erano un’accusa in un processo che era pubblico, come esigeva il Tribunale d’Urgenza che doveva occuparsi della Causa.

 

“Per informare il Pubblico Ministero che il programma o Manifesto in questione aggiunto alla sommario della causa e nell’opportunità che, volendo, si possa rivedere, l’accusato si limiterà a rispondere a domande concrete (...)

 

Il detto Manifesto era stato portato a Santiago di Cuba dai Giovani del Centenario, per leggerlo per radio nel momento della conquista della Monacada, con la vittoria della conquista a sorpresa, la cui prima tappa era l’entrata di diverse automobili cariche di combattenti dall’entrata tre, con l’ordine strano per le guardie della garitta, detto dalla voce di Renato Guitart: "Aprite al generale”. Gli altri particolari si conoscono.

 

Il documento ideologico lo portava il gruppo comandato da Abel Santamaría, incaricato della retroguardia dell’ospedale civile.

 

L’incaricato della diffusione era Raúl Gómez García, lo stesso che lo aveva scritto, seguendo gli orientamenti di Fide, che dava i passi finali di carattere organizzativo dell’azione.

 

Bastano alcuni punti, in un sintetico riassunto, per comprendere la sua portata: “(... ) di fronte alla svergognata arroganza della dittatura e al conciliabolo e l’atteggiamento ridicolo dei noti politici, si eleva la dignità assoluta del popolo cubano nella decisone unanime di riconquistare la sua Costituzione, le sue libertà essenziali ed i suoi diritti inalienabili, schiacciati senza tregua dalla traditrice usurpazione.”

 

Poi la definisce una ribellione immortale, che rompa il patto insano con la concezione del passato e con il presente di lutto e defezione.

 

Denuncia con argomenti che non si potevano ribattere, il danno del colpo di Stato del 10 marzo, un anno prima, fatto alla nazione cubana, riferendosi tra gli altri elementi, alla paralisi brutale dell’ansia popolare per l’abuso della forza, che portò come conseguenza la più grave situazione creata da un avvenimento politico cubano in ogni epoca.

 

Denuncia la morte della Costituzione del ’40, la più avanzata del continente americano in quell’epoca.

 

Il Manifesto esprime chiaramente : “La rivoluzione dichiara che non si persegue odio nè sangue inutile per salvare la dignità di Cuba nel suo sogno cruciale. Sorta dagli strati più genuini del coraggio cubano, nasce la Rivoluzione del popolo cubano con l’avanguardia di una Cuba nuova”.

 

Uno dei punti i cui sogni svanirono, o furono traditi nella Repubblica prima di compiersi il suo mezzo secolo, è espresso nel modo seguente del documento storico:

“La Rivoluzione si dichiara libera di legami con nazioni straniere e libera anche da appetiti di politici e personaggi propri (...) gli uomini che l’hanno organizzata e che la rappresentano fanno un patto con la chiara volontà popolare per conquistare l’avvenire che merita. La Rivoluzione è la lotta decisiva di un popolo contro tutti quelli che lo hanno ingannato”.

 

Documenti e postulati noti come sementi d’una Patria differente, sono menzionati nel Manifesto, scritto per l’epoca e in quelle circostanze, ma nel quale l’essenziale non cambia nel futuro degli ideali, dichiarati nel 1953 .

 

Dice:“La Rivoluzione dichiara che riconosce e si orienta con gli ideali di Martí contenuti nei suoi discorsi, nella tesi del Partito Rivoluzionario cubano nel Manifesto di Montecristi, e fa suoi i programmi rivoluzionari della Giovane Cuba, dell’ABC Radicale e del Partito del Popolo. Cubano (Ortodosso).”

 

Il concetto di popolo che Fidel spiegò dettagliatamente il mese dopo, nella continuazione del processo, separato da quello scenario amplio della Prima Sala delle Udienze, durante la lettura del suo allegato che si conoscerà come “La storia mi assolverà”, ha le sue radici in questo Manifesto, quando esprime: “La Rivoluzione dichiara il suo rispetto per gli operai e gli studenti, come massa accreditata nella difesa dei diritti inalienabili legittimi del popolo cubano, attraverso tutta la sua storia, e vuole per loro e per tutto il popolo la creazione di una totale e definitiva giustizia sociale, basata nella crescita dell’economia e dell’industria con un piano sincronizzato e perfetto, frutto di un ragionato e meticoloso studio (...) dichiara il suo amore e la fiducia nella virtù, l’onore, il decoro dell’uomo e confessa la sua intenzione d’usare coloro che si avvalgono della verità, in funzione di queste forze dello spirito, nel compito prioritario della ricostruzione cubana”.

 

Il Manifesto della Moncada alla Nazione restò su una panca della sala d’aspetto dell’ Ospedale Civile, quando il gruppo di Abel fu fatto prigioniero. Assieme al documento essenziale c’erano dischi, inni e l’ultimo discorso di Chibás, che volevano trasmettere per chiamare il popolo alla lotta.

 

Raúl Gómez García fu assassinato. Ma nello stesso ospedale ebbe il tempo di denunciare la sua cattura attraverso un umile rappresentante del servizio della Lega contro il Cancro, che gli disse che si chiamava Bienvenido, al quale consegnò un foglietto scritto e al quale disse l’indirizzo di casa sua. “Dirai a mia madre: ‘Sono stato fatto prigioniero. Tuo figlio”.

 

Bienvenido, un uomo di famiglia molto umile, ponendo a rischio la sua vita, fece arrivare a L’Avana la nota di Gómez García alla sua destinataria.

 

Come bene esprime il Manifesto: "La Rivoluzione dichiara il suo amore e la sua fiducia nella virtù, nell’onore e nel decoro dell’uomo”.