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Il traduttore si scusa per gli errori

 

‘Artigliata, non rivoluzione!’
Il Manifesto di Fidel scritto poche ore dopo il colpo militare del 10 marzo del 1952

 

 

10 marzo 2012 - Fidel Castro www.granma.cu

 


 

Rivoluzione no, colpo d’artiglio! Patrioti no, liberticidi, usurpatori, retrogradi, avventurieri assetati d’oro e potere.

 

‘Artigliata, non rivoluzione!’Non c’è stato un colpo di stato contro il presidente Prío, abulico e indolente; è stato un colpo contro il popolo, poco prima delle elezioni, il cui risultato si conosceva anticipatamente.

 

Non c’era ordine, ma è al popolo che corrisponde decidere democraticamente e civilmente come scegliere i suoi governanti, con la volontà e non con la forza.

 

Correrebbe il denaro a favore del candidato imposto, nessuno lo nega, ma questo non altererebbe il risultato, come non lo alterò lo sperpero del Tesoro Pubblico a favore del candidato imposto da Batista nel 1944.

 

È completamente falso, assurdo, ridicolo e infantile, che Prío tentasse un colpo di Stato, un volgare pretesto; la sua impotenza e incapacità per tentare una simile impresa è stata indiscutibilmente dimostrata dalla vigliaccheria con cui si è lasciato togliere il comando.

 

Si soffriva per il malgoverno, ma si soffriva da anni, aspettando un’opportunità costituzionale per sconfiggere il male, ma lei, Batista, che era vigliaccamente fuggito per quattro anni e si è poi dibattuto nella polticheria per altri tre, appare ora con il suo tardivo, perturbatore e velenoso rimedio, facendo a pezzi la Costituzione, quando mancavano solo due mesi per giungere alla meta per la via adeguata.

 

Tutto quando afferma lei è menzogna, cinica giustificazione, dissimulo di quello che è vanità e non decoro patrio, ambizione e non ideale, appetito e non grandezza cittadina.

 

Andava bene eliminare un governo di malversatori e assassini e questo lo tentavamo per la via civica e con l’appoggio dell’opinione pubblica, l’aiuto della massa del popolo.

 

Che diritto hanno, in cambio, di sostituire il governo in nome del baionette, quelli che ieri hanno rubato e ammazzato a dismisura ? Non è la pace, è il seme dell’odio quello che si semina così, non è felicità, è lutto e tristezza quello che sente la nazione di fronte al tragico panorama che s’intravede.

 

Niente è tanto amaro nel mondo come lo spettacolo d’un popolo che si addormenta libero e si risveglia schiavo.

 

Ancora una volta gli scarponi, ancora una volta (la caserma) Columbia dettando legge, togliendo e mettendo ministri; ancora una volta i carri armati che ruggiscono minacciosi per le nostre strade. Un’altra volta la forza bruta che impera sulla ragione umana.

 

C’eravamo abituati a vivere nella Costituzione ed erano passati dodici anni senza inciampi, nonostante gli errori e gli svarioni. Gli stadi superiori di convivenza si ottengono solamente con grandi sforzi. Lei, Batista, ha appena gettato a terra, in poche ore, questa nobile illusione del popolo di Cuba.

 

Quel che ha fatto di male Prío in tre anni, lei lo stava facendo da undici.

 

Il suo colpo è quindi ingiustificabile, non si basa in nessuna ragione morale seria, nè in una dottrina sociale o politica di alcuna classe; ha la sua ragione d’essere solo nella forza e la sua giustificazione nella menzogna; la sua maggioranza è nell’esercito, ma non è nel popolo. I suoi voti sono i fucili, mai le volontà, e con questi può vincere in un colpaccio, ma mai vincere in elezioni pulite. Il suo assalto al potere manca di principi che lo legittimino. Rida se vuole, ma i principi sono nel tempo più forti dei cannoni.

 

Con i principi i popoli si formano e si alimentano, con i principi si alimentano nelle battaglie, per i principi muoiono.

 

Non chiami rivoluzione questo oltraggio, questo colpo perturbatore e inopportuno, questa pugnalata vile che ha appena inflitto nella schiena della Repubblica.

 

Trujillo è stato il primo a riconoscere il suo governo: lui sa chi sono i suoi amici nella banda di tiranni che devastano l’America e questo dice meglio di tutto il carattere reazionario, militarista e criminale della sua artigliata.

 

Nessuno crede nemmeno lontanamente nel successo governativo della sua vecchia e putrida combriccola, perchè è troppa la sete di potere ed è molto scarso il freno, quando non ci sono più Costituzione, nè leggi che la volontà del tiranno e dei suoi seguaci.

 

So fin d’ora che la sua garanzia di vita saranno la tortura e il “palmacristi” (olio di ricino).

 

I suoi uccideranno anche se lei non lo vorrà e lei acconsentirà tranquillamente, perchè dipende da loro, completamente.

 

I despota sono padroni dei popoli che opprimono e schiavi della forza con cui sostentano l’oppressione. A suo favore pioverà la propaganda bugiarda e demagogica di tutti i portavoce, con le buone o con le cattive, e sui suoi oppositori ricadranno vili calunnie, e così ha fatto anche Prío, ma non è valso a nulla nell’animo del popolo.

 

Ma la verità che illumina il destino di cuba e guida i passi del nostro popolo in quest’ora difficile correrà sotterranea di bocca in bocca, in ogni uomo e in ogni donna.

 

Anche se nessuno lo dirà in pubblico o lo scriverà nella stampa, tutti la crederanno e la semente della ribellione eroica crescerà in tutti i cuori; è la bussole che esiste in ogni coscienza.

 

Non so quale sarà il piacere mentecatto degli oppressori usando la frusta che lasciano cadere come Caini sulla schiena umana, ma so che esiste una felicità infinita nel combatterli, alzare la mano forte e dire: Non voglio essere schiavo!

 

Cubani: c’è di nuovo tiranno ma ci saranno un’altra volta Mellas, Trejos e Guiteras. C’è oppressione nella Patria, ma un giorno ci sarà di nuovo la libertà.

 

Io invito i cubani coraggiosi, i bravi militanti del partito glorioso di Chibás; è l’ora del sacrificio e della lotta, ma se si perde la vita non si perde nulla perchè: “Vivere in catene è vivere sottomessi nell’obbrobrio e nell’affronto. Morire per la Patria è vivere”.

 

 


10 marzo del 1952: il colpaccio di

 

Fulgencio Batista

 

 

9 marzo 2012 - G. B. Estorino www.siporcuba.it/st-colp.htm
 

 

 

Il popolo dell’Avana festeggiava il carnevale quel 9 marzo del 1952 e nessuno sospettava che si stava tramando una sinistra cospirazione per impadronirsi del potere a Cuba.

 

Il colpo aveva come figura principale Fulgencio Batista, coluí che era stato per i nordamericani l’uomo forte nell’Isola tra il 1934 e il 1944, ma che nelle elezioni del 1952 non aveva possibilità d’essere rieletto come presidente.

 

Parteciparono al colpo di stato militari ritirati, funzionari di governi precedenti e ufficiali in attivo, tra i quali l’assassino tenente della polizia, Rafael Salas Cañizares.

 

La mattina del 10 marzo i cospiratori occuparono le caserme principali della capitale, mentre Batista marciava verso la fortezza militare di Columbia, la principale dell’Isola, con una carovana scortata da sicari della polizia radio-motorizzata, comandati da Salas Cañizares.

 

In questo modo si presero le istituzioni ministeriali, gli aeroporti e i mezzi d’informazione.

 

Alcuni ufficiali di altre province non volevano appoggiare il colpo di stato, ma le promesse di carriera e di ricchezze li portarono a sostenere il generale Batista.

 

Le guarnigioni dell’Avana ebbero nuovi capi in quella mattina fatale.

 

La cospirazione aveva trionfato e, fatto più importante, aveva l’approvazione dell’ambasciata degli Stati Uniti.

 

Ma chi era questo generale golpista?

 

Rubén Fulgencio Batista y Zaldívar (1901-1973). Sergente dattilografo, aveva partecipato al colpo militare del 4 settembre del 1933 e, approfittandone, aveva iniziato una carriera di tradimenti che lo avrebbero portato ad essere un servitore dell’imperialismo statunitense.

 

Fece cadere il governo di Grau San Martín nel gennaio del 1934 e come capo dell’esercito, praticamente, divenne il dittatore di Cuba (1934-1938), reprimendo a sangue e fuoco tutto il movimento popolare di protesta.

 

Dal 1938, con le pressioni del crescente movimento delle masse e la congiuntura internazionale di lotta contro il fascismo, fece alcune concessioni politiche e sindacali e fu presidente della Repubblica tra il 1940 il 1944.

 

Impose però con il colpo di stato un’altra sanguinosa dittatura con il beneplacito degli USA, il cui appoggio veniva pagato dal dittatore con nuove e onerose concessioni alle imprese e ai consorzi del capitale nordamericano.

 

Il governo eliminato fu quello di Carlos Prio, che cadde senza gloria, anche quando la Federazione degli Studenti Universitari andò a chiedergli armi per resistere ai golpisti.

 

Il presidente Prio rispose: “Stiamo studiando la situazione per attuare nel modo migliore. Lotterò sino a quando me lo permetterà la situazione...”

 

Le armi non giunsero mai all’Università. Una sparatoria davanti al Palazzo presidenziale provocò le prime vittime della tirannia. Tre morti.

 

Prio andò a studiare la situazione nell’ambasciata del Messico, dove chiese asilo diplomatico e poi ricevette da Batista il salvacondotto per andarsene dall’Isola.

 

Così come aveva predetto Eduardo Chibás, leader del Partito Ortodosso, con Batista al potere ritornarono le torture e i crimini nel paese e dopo l’assassinio di Rubén Martínez Villena, cominciò un’orgia di sangue il cui zenit nel 1953 fu il massacro di 60 persone nella Caserma Moncada, tra assaltanti e civili estranei all’azione.

 

La dittatura di Fulgencio Batista lasciò un saldo di decine di migliaia di morti.

 

L’assalto al potere provocò un totale svilimento dei detti partiti tradizionali dell’epoca: Conservatori e Liberali si sommarono a Batista. Gli Autentici eliminati dal governo si frammentarono in numerose correnti, tutte senza valore e il Partito Ortodosso cadde in preda di passività, divisione e disordine.

 

A quattro giorni da quei tristi episodi nei quali si calpestò la Costituzione e si burlò il popolo cubano, un giovane avvocato, Fidel Castro, lanciava alla nazione il suo Manifesto.

 

“Rivoluzione No! Colpaccio!” Il proclama di marcato carattere rivoluzionario denunciava l’essenza reazionaria del colpo di stato e di un’obiettiva dichiarazione di guerra alla tirannia. Diceva così: “Il suo assalto al potere manca dei principi che lo legittimano: che rida se vuole, ma i principi saranno sempre più poderosi dei cannoni; coi principi si formano e si alimentano i popoli; con i principi si alimentano gli scontri e e per i principi si muore. A Cuba c’è un tiranno, un’altra volta, ma un’altra volta ci saranno i Mella, i Trejos e i Guiteras, C’è oppressione nella Patria, ma un giorno ci sarà di nuovo libertà e io invito i cubani di valore, i bravi militari del Partito glorioso di Chibás. È l’ora della lotta e del sacrificio e se si perde la vita non si perde nulla”!

 

Dopo quelle profetiche parole, quel giovane avvocato, alla guida della generazione del centenario, riprese l’impegno di José Martí, Carlos M. De Céspedes, Ignacio Agramonte, Máximo Gómez, Antonio Maceo, Julio A. Mella e Antonio Guiteras e con le armi in pugno distrusse la sanguinosa tirannia di Batista sette anni dopo, facendo divenire una realtà, definitivamente, l’indipendenza di Cuba.