Una Rivoluzione contro le torture
 

Si lasciavano i prigionieri totalmente nudi ed orribilmente mutilati… Gli legavano un piede ad un albero e l’altro al paraurti di una jeep e si metteva in moto… Di fronte a queste barbarie fiorì l’etica della generazione martiana, che sconfisse la dittatura

 

 

21 maggio 2012 - Luis Hernández Serrano www.granma.cu

 

 

"Sono ormai pochissimi a conoscere fino a che punto si poteva resistere alla torture di un criminale come Esteban Ventura Novo", assicura Orlando Fundora López, segretario generale del Sindacato Bancario prima del 1959, divenuto poi presidente del Movimento Cubano per la Pace.

 

Questo rivoluzionario un giorno cadde nelle mani di Ventura e dei suoi boia, il tenente Mirabal, capo del gruppo, Alfaro e Caro, membri del chiamato "duo della morte".

 

"Caro mi diede un colpo sulla nuca, mi lanciò con la testa contro la scrivania di Ventura e sentii come una frattura cervicale. Mi trascinarono fino allo scantinato dove in seguito recuperai i sensi."

 

"Vidi dalla Quinta Stazione un bambino che scendeva cantando. Entrò nel patio, giusto dal punto dove mi trovavo io. Caro gli spense sulla testa il sigaro che stava fumando, ed il ragazzino salì gridando. Se questo lo facevano ad un bambino cosa dovevo aspettarmi per me?"

 

"Questi due tizi apparvero impugnando un pezzo di tubo flessibile. Alfaro colpì la porta dei servizi igienici dello scantinato e la distrusse". Era un evidente messaggio!: "Tu sei quello che dobbiamo ammorbidire a forza di colpi", gli disse Caro.

 

Alfaro gli si avvicinò al viso e gli sussurrò, minaccioso: "Cosicché tu non sai niente di niente!". Fece un salto ed allo stesso modo di come distrusse la porta, colpì con il tubo flessibile la spalla di Fundora fino alla schiena, che sentì quel pezzo di gomma rovente. Immediatamente cominciò a colpirlo più forte, non si sa per quanto tempo.

"La mia fermezza li fece infuriare, e Caro mi diede un pugno che quasi mi mise al tappeto. Caddi al suolo e udii quando diceva ad Alfaro: "Con questo il trattamento deve essere più duro".

 

"Poco dopo giunsero i due. Alfaro impugnava il tubo dal lato dell’impugnatura di bronzo. Caro si avvicinò e mi diede due schiaffi (...) Tolse il tubo ad Alfaro, lo impugnò al contrario e cominciò a colpirmi con la parte di bronzo. Provai a schivarlo, però il metallo mi colpì sul braccio sinistro e sull’osso del bacino".

 

Fundora ha raccontato che nonostante ammortizzò un po’ il colpo, gli diedero una violenta ginocchiata nei testicolo che gli provocò un dolore tale da farlo vomitare. Vomitò sangue per ore.

 

 

Torturare ed uccidere era un mestiere

 

 

"Il massacro cominciato dai principali torturatori e sbirri della dittatura, il 20 novembre del 1958, a Cabañas, allora Pinar del Río, fu un vero incubo".

 

Lo ricorda René González Novales (El Rubio), nato in quella zona il 17 ottobre 1939, combattente della lotta clandestina e dell’Esercito Ribelle, oggi colonnello in pensione delle FAR.

 

Ha ricordato che il capitano Leovigildo Iturriaga, il capo dello Squadrone di Bahía Honda; il tenente Armando Casola; i sergenti Capó, Julián Hernández e Pedro de la Carrazana; i capi Lara e Cándido Cordero Díaz, ed il soldato Papito Rivero, tutti, al pari dei loro capi, furono dei mostri.

 

"Gareggiarono tra di loro per vedere chi utilizzava i metodo di tortura e di assassinio più barbari, a chi uccideva più contadini, lavoratori e giovani indifesi ed innocenti. Tra le vittime ci furono quattro gruppi di fratelli: tre coppie ed un terzetto: Juan ed Enrique Pérez Ledesma; Domingo e Vicente Álvarez Núñez; Bernardino e José Isabel Miranda Aguirre. E Leandrino, Modesto e Leovigildo Trujillo Negrín".

 

Dei 22 uomini uccisi, 14 erano giovani; quattro maggiori di 40 anni, senza arrivare ai 50, e quattro maggiori di questa età. A Leovigildo Trujillo Negrín gli legarono un piede ad un albero, e l’altro al paraurti di una jeep che fecero partire, rompendolo letteralmente in due. Il suo cadavere non fu mai ritrovato. A Gonzalo Rivero Miranda - dopo averlo torturato selvaggiamente - gli aprirono la testa in due, con un violento colpo di machete.

 

A Regino Ramos Ramos gli legarono un filo spinato lungo i fianchi, compiendo un macabro gioco, torcendolo fino a squarciarlo e provocarne la morte, con piena lucidità.

 

Ai fratelli Bernardino e José Isabel Miranda Aguirre li colpirono tante volte che in seguito fu molto difficile riconoscerli. Furono ritrovati in una campo di canna da zucchero, tra San Claudio e Ricompensa. Isidoro Roque Cordero, Roberto Nodarse Blanco, Francisco Rodríguez Valdés (El Tabaquero) e Modesto Trujillo Negrín furono impiccati, dopo averli presi presso le proprie case, davanti ai propri familiari, a Cabaña, e torturati.

 

I criminali portarono le vittime fuori dalla Caserma di Cabaña, vestiti con uniformi, affinché nessuno capisse quello che preparavano. Dopo, nella solitudine della montagna, li torturarono, impiccarono e li seppellirono il luoghi appartati. Ad Isidoro Roque Cordero rubarono i 70 pesos che aveva addosso.

 

Il cadavere di Francisco Rodríguez Valdés fu ritrovato completamente nudo ed orribilmente mutilato: con le mani legate, gli tagliarono i testicoli e glieli legarono al collo.

 

Nella tenuta Guasimal, nella Cañada di El Chivo, furono scoperte due fosse, con sette cadaveri. Il ritrovamento fu fatto dai fratelli Jesús e Narciso Portales, contadini della regione. È triste sapere che una donna, Evarista Roque Cordero, scoprì tra i cadaveri suo marito Domingo Álvarez Núñez e suo fratello Isidoro. È inoltre doloroso sapere che uno dei cadaveri ritrovati -dopo il trionfo della Rivoluzione- era Gonzalo Álvarez, che aveva avuto tra le vittime due figli ed un genero.

 

A Marcos Antonio Lafá lo portarono alla caserma di Cabañas e due giorni dopo fu torturato ed assassinato. A Hugo García Lombillo lo torturarono senza pietà e lo assassinarono sul ponte di El Bongo. Lo lanciarono nel fiume, dentro un sacco.

 

Furono inoltre torturati ed impiccati Pedro Torres Conde, Carmelo Barrios Montes, José Trujillo Rodríguez, Octavio Campos Concepción, José Benito Díaz e Celestino Moreno Fiallo. Quel massacro non potrà essere dimenticato. Loro furono una piccola parte degli oltre 20.000 cubani assassinati dalla sanguinaria dittatura di Batista. Contro tutto questo si fece la Rivoluzione!

 

 

(Fonti: "I miracoli non si ripetono", testimonianza di Orlando Fundora López, mercoledì 13 maggio 2009, pagina 4. "quando uccidere era un mestiere" evocazioni del colonnello in pensione René González Novales, veterano della lotta clandestina e dell’Esercito Ribelle, domenica 23 novembre 2008, pagina 8. "Espedienti degli sconfitti" ricerca della specialista dell’Istituto di Storia di Cuba Marilú Uralde Cancio, 21 luglio 2005, pagina 4. "È morto il boia", studio di Wilfredo Sánchez Núñez, 24 maggio 2001. Queste quattro interviste sono dell’autore. E "Fontán, lealtà a prova di tutto" articolo di Delfín Xiqués, Granma, giovedì 7 febbraio 2008.)