Da L'Avana a Città del Messico: i due criteri del quotidiano El País

 

 

04.12.2012 - Di Vincenzo Basile (Capítulo Cubano)

Texto original: De La Habana a Ciudad de México: el doble rasero de El País

 

Paseo del Prado, L'Avana (Foto: Vincenzo Basile)

 

 

Lo scorso 30 novembre, il quotidiano spagnolo El País pubblicava un articolo nella sezione speciale ‘El Viajero’, scritto da Ángel Rupérez e intitolato “Dos ciudades en claroscuro (Due città in chiaroscuro)”. I due centri urbani, oggetto della riflessione, erano -in concreto- L’Avana e Città del Messico.

 

Dopo appena poche righe, diventava immediatamente evidente l’obiettivo finale dell’articolo di Rupérez: trasformare il racconto di un viaggio in un banale e insipido atto di propaganda politica per attaccare e demonizzare, con esagerazioni e manipolazioni di ogni sorta, il governo di Cuba. Ma non solo. Come accade sempre in questi casi, si enfatizzavano tutti i problemi sociali della capitale cubana mentre gli altrettanto numerosi problemi di Città del Messico erano appena menzionati. Il tutto con una chiara ed esplicita visione controrivoluzionaria e l’uso di un evidente doppio criterio di valutazione.

 

In tal senso, Rupérez qualificava L’Avana come un ‘incredibile spettacolo di degradazione urbana che alcuni considerano un’espressione della bellezza’,soprattutto il fatto che ‘le case multicolore sono sul punto di crollare’. L’autore si chiedeva retoricamente se ciò ‘accade perché in nessun caso il viaggiatore dovrà vivere in nessuno di quegli antri che possono vedersi dalla strada nei quali, ad esempio, una vecchietta, circondata dalla miseria, prepara la sua cena’. Le automobili cubane erano‘sculture mobili di altri tempi, il fondo di una evidente espressione delle rovina assoluta’. ‘Questa è L’Avana’, aggiungeva Rupérez, ‘uno strano incrocio di fascino e indignazione in parti uguali’.

 

Passeggiando per le strade, l’autore definiva ‘le piazze de L’Avana Vecchia (Patrimonio dell’Umanità, ndr) affascinanti, ma girato l’angolo riappare la miseria, e lo stato d’animo torna a crollare’.In queste strade ‘due cubani si oppongono alla povertà e alla mancanza di libertà’. ‘In pieno centro’, aggiungeva, ‘arrestano due giovani anticastristi in mezzo ad una folla misera e deprimente. Lo stato d’animo crolla di nuovo’. Concludeva dicendo che ‘La Plaza de la Revolucion (usurpato José Martí, non meriti questo destino) è un’inospitale distesa, bruciata dal sole, dove Castro (quell’uomo) celebrava sé stesso, come ogni buon dittatore’. Alla fine, il giornalista riconosceva che L’Avana è una città sicura ma giustificava questa sicurezza con il fatto che ‘c’è molta polizia per le strade, e videocamere che vigilano’, cose che stranamente l’autore non avrà notato per le strade spagnole…

 

Questo era il racconto de L’Avana e dei sui quartieri. Un racconto chiaramente più che negativo, attraverso il quale un lettore che non conosce -né immagina- il reale aspetto della capitale cubana, potrebbe facilmente essere travolto dalla desolazione dinanzi ad un’immagine catastrofica e quasi apocalittica della più grande città dell’Isola. Ma non si trattava solo di questo. Oltre a risultare evidentemente esagerato nella sua esposizione avanera, Rupérez cadeva in una banale parzialità quando si trattava di parlare della sua esperienza messicana.

 

In tal senso, l’autore parlava di Città del Messico come una ‘città che offre un altro volto: dismisura e una sorta di ispanità spettacolare’. Dopo aver citato ‘bei quartieri’ e personaggi storici che li attraversarono, Rupérez si domandava: “E la povertà del Messico? Forse non esiste? Sì, ci sono quartieri terribilmente poveri, ma non li abbiamo visitati dato che, in un certo senso, Città del Messico sa nascondere la sua povertà mentre L’Avana la offre come se fosse un sudicio tesoro’. E nient’altro. Eccetto questa breve affermazione sulla povertà urbana, ovviamente senza colpevolizzare il governo messicano né il capitalismo latinoamericano, la parte rimanente del testo era un lungo elenco di quartieri e dei fatti storici che li hanno coinvolti in epoche antiche.

 

Quindi, mentre a L’Avana l’autore ha avuto la possibilità di passeggiare per le strade e ha voluto (e soprattutto potuto) visitare i quartieri popolari e più poveri (quasi lamentandosi dell’eccessiva sicurezza che li contraddistingueva e del fatto che il governo cubano non li nasconda ai turisti), in Messico ha avuto un’attitudine diametralmente opposta. Ha visitato i quartieri ricchi ed ha ignorato completamente l’altra faccia della città, dove circa la metà della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, nell’abbandono e nell’insicurezza fisica e sociale.


È grazie a individui di questo tipo e alla loro degenerata visione della città e dello ‘sviluppo’ che oggi giorno esistono milioni di dimenticati nelle maggiori città globali. Queste città rappresentano autentici connettori delle reti globali. Economia, finanza, tecnologie e infrastrutture si concentrano in questi luoghi, arricchendo una marginale elite capitalista locale. Nel frattempo, si genera una crescita urbana incontrollata mediate la costruzione di baraccopoli con materiali di scarto e di plastica. Così, milioni di persone restano nell’oblio e non partecipano a questo ‘banchetto capitalista’.

 

La loro presenza, come si può notare dalle parole di Rupérez, deve essere nascosta, allontanata dagli occhi del mondo, deve essere considerata una sorta di oltraggio, un’offesa all’immagine di sviluppo e ricchezza che pretende offrire una città che vuole diventare un nuovo simbolo della globalizzazione, nascondendo le sue contraddizioni per non disturbare o far crollare lo stato d’animo dei sensibili turisti europei i quali vogliono vedere solo la parte benigna, visitare i bei quartieri di una città profondamente e brutalmente polarizzata e ingiusta, regno della prostituzione, del traffico di droga, luogo di morte che non merita di essere ricordato durante un’affascinante celebrazione della vittoria della modernità. Occhio non vede, cuore non duole.