Si parla poco del Guatemala nei media internazionali.
Invece, il 10 maggio una notizia ha fatto molto rumore: cosa
inattesa ed eccezionale, un tribunale civile del Guatemala
presieduto dalla giudice Jazmín Barrios, ha condannato il
generale Ríos Montt, ex presidente della Repubblica (1982
-1983) a 80 anni di prigione di cui 50 per genocidio. Ma
poco dopo, il 22 maggio, la Corte Costituzionale del
Guatemala ha annullato la sentenza per vizio di forma. Il
processo deve essere rivisto in appello. Così non si parla
più del Guatemala.
Penso che sia utile fare un pò di chiarezza su questo bello
e sfortunato paese.
Le forze armate e il mondo degli affari, soprattutto i
grandi “finqueros” produttori di caffé hanno sempre agito di
comune accordo per “liberare” il Guatemala dalla “minaccia
comunista”. Per 36 anni (1960-1996) il Guatemala ha vissuto
una lunga guerra civile che è costata 200.000 morti e ha
prodotto l’esilio in Messico di 450.000 persone. Più del 90%
di queste vittime civili sono una questione delle forze
armate o di gruppi paramilitari, poiché la guerriglia non ha
mai praticato l’eliminazione fisica dei dirigenti indios che
gli si opponevano, salvo in un caso riconosciuto (“El
Aguacate”, 22 morti) e che si è verificato a causa della
disobbedienza di un capo locale della guerriglia e per dei
problemi di comunicazione con lo stato maggiore del suo
gruppo. Adesso l’estrema destra richiede che se l’esercito è
accusato di genocidio lo sia anche la guerriglia!
Fra il 1994 e il 1996 sono stati firmati ad Oslo, Stoccolma,
Madrid e Città del Messico, dodici accordi di pace fra il
governo guatemalteco e l’ URNG che rappresentava le diverse
componenti della guerriglia. Riproducendo lo schema degli
accordi di pace in Salvador firmati in Messico nel 1991, la
guerriglia ha accettato di deporre le armi e di reintegrarsi
alla vita pubblica del paese partecipando alle elezioni
locali e nazionali, in cambio di uno stop alla violenza e
alla repressione orchestrata dal potere pubblico,
dall’esercito e dall’oligarchia. Sulla carta questi accordi
sembrano esemplari. Ma ben presto si è visto che la
struttura socioeconomica del paese non era cambiata e che il
sistema politico guatemalteco, pur se ritornato a delle
norme “democratiche” nel 1986, continuava ad essere
controllato dalle Forze Armate e dai gruppi del settore
privato più reazionari che non avevano la minima intenzione
di integrare la popolazione indigena alla società
guatemalteca. Tanti morti e tanta violenza per questo
risultato?
Il processo al Generale Ríos Montt ha scatenato le forze più
oscurantiste del paese che denunciano “la farsa del
genocidio, complotto comunista appoggiato dalla chiesa
cattolica”. Ma è di pubblica notorietà che Ríos Montt è un
pericoloso illuminato, membro attivo di una setta
evangelista che ha come missione quella di salvare
l’Occidente. I massacri ordinati da lui, dai suoi
predecessori e successori hanno un sapore di purificazione
etnica. Le minacce di morte contro dei vecchi dirigenti
politici dell’opposizione e della guerriglia sono
ricominciati. Si è costituita una “Fondazione contro il
terrorismo” che accusa apertamente sul suo sito Internet,
http://fundacioncontraelterrorismo2013.blogspot.mx/, coloro
che hanno appoggiato il processo, di costituire una minaccia
per il paese. Fra le personalità minacciate si trova
Rigoberta Menchú, Premio Nobel per la Pace, che porta avanti
molte azioni a favore dei popoli indigeni. Giustamente le
persone di nuovo chiamate in causa da questa Fondazione,
temono la riapparizione degli squadroni della morte e la
violenza politica, come se in questi 17 anni in Guatemala
non fosse successo niente.
Il Guatemala è il paese dell’America Centrale dove la
popolazione indigena è più numerosa. Popolata da 15.5
milioni di abitanti, il gruppo maya rappresenta più della
metà della popolazione (circa 8 milioni di persone). Molti
indios maya si sono “ladinizzati”, cioè hanno abbandonato i
loro villaggi per andare ad accrescere la popolazione urbana
oppure sono emigrati negli Stati Uniti. Molti hanno
rinunciato all’uso della propria lingua (esistono 22 lingue
riconosciute nel gruppo maya) e a portare il costume
tradizionale.
La popolazione maya cerca adesso di sopravvivere degnamente,
in sicurezza, di integrarsi al mondo moderno e ad essere
riconosciuta per le sue diversità. Ma vuole anche che siano
riconosciute le proprie sofferenze e che siano identificati
e condannati coloro che hanno messo in pratica un genocidio
attentamente pianificato per eliminare fisicamente tutto un
gruppo etnico in nome della difesa dell’Occidente.
Io ho vissuto e lavorato in Guatemala dal 1977 al 1979, come
Primo segretario dell’Ambasciata di Francia. Essendo
arrivato un anno dopo il terremoto del 1976, ho visto come
le Forze Armate sotto la presidenza del Generale Kjell
Laugerud García avevano approfittato di questa catastrofe
naturale per cominciare il loro lavoro di controllo della
popolazione maya-quiché e l’eliminazione fisica dei leader
sociali che si impicciavano troppo della ricostruzione delle
loro comunità nei villaggi. Ma è con il Generale Romeo Lucas
García, eletto presidente nel 1978, che l’orrore ha preso
un’altra dimensione. Le forze armate, consigliate da esperti
statunitensi e israeliani, hanno messo in opera un programma
di integrazione forzata degli indios (creazione di “villaggi
strategici” già sperimentati in Vietnam dagli statunitensi)
e di eliminazione fisica dei dirigenti che sfuggivano al
loro controllo. L’esercito è intervenuto direttamente in
queste azioni o in stretta collaborazione con gruppi
paramilitari, sostenuti dai grandi proprietari del paese e
da una parte del settore privato. E’ così che sono state
create le PAC (Pattuglie di Autodifesa Civile) in cui sono
stati arruolati a forza molti indios per fare il “lavoro
sporco” per conto dell’oligarchia e dei militari al potere.
Nello stesso tempo si sviluppavano e strutturavano i
movimenti di guerriglia (EGP, ORPA, FAR raggruppate nell’URNG)
che reclutavano anche nei villaggi maya, ma erano
soprattutto diretti da intellettuali “ladinos” della
capitale. La popolazione s’è trovata coinvolta, partecipando
suo malgrado alla sua stessa distruzione.
Durante la mia permanenza in Guatemala, sono dovuto andare
ad aiutare, insieme a mia moglie Guadalupe, degli indios mam
del villaggio di Todos los Santos nella Sierra de los
Cuchumatanes, al nord del Quiché, che volevano semplicemente
costruire un piccolo museo per raccogliervi le vestigia
archeologiche molto numerose che scoprivano lavorando la
terra. Pensavano che fosse importante creare una coscienza
collettiva della cultura maya. Todos los Santos è molto
conosciuto per la sua festa dei morti il 1° novembre. Per
questo un piccolo gruppo di persone è venuto nella capitale
a cercare appoggi. Si è rivolto alla Alliance Française che
ha deciso di aiutarli (in particolare Jeanine, la moglie del
Direttore, con l’aiuto di qualche collega dell’ambasciata),
particolarmente al momento del loro arrivo nella capitale
(alloggiamento, aiuto finanziario, contatti). E’ così che,
insieme a Guadalupe, ho fatto la conoscenza di uno dei
responsabili del progetto di cui non dirò il nome, visto il
contesto attuale, e siamo diventati amici. Emigrato negli
Stati Uniti, ha ancora dei parenti a Todos los Santos. Un
semplice contadino, ma di acuta intelligenza, voleva far
qualcosa anche per il progresso sociale del suo villaggio,
per esempio istallando una fonte di acqua potabile. Per lui
il progetto del museo era un punto di partenza per
mobilitare la popolazione e mettere fine a secoli di
umiliazione. Ma la sua attività, che noi qualificheremmo
oggi come “civile”, risultava altamente sospetta agli occhi
dei militari. Con simili idee non poteva essere altro che un
comunista o uno vicino alla guerriglia! Nel 1982, quando
avevo lasciato il Guatemala, questo amico mi ha contattato
dagli Stati Uniti per raccontarmi la sua triste avventura.
Il Generale Benedicto Lucas, comandante militare della
regione nord, fratello del vecchio presidente (ex allievo
della Scuola di Guerra in Francia e ammiratore delle azioni
“muscolari” dell’esercito francese in Algeria) era andato
personalmente a Todos los Santos per mettere a punto un
piano di eliminazione di “tutti i comunisti”. Poco dopo il
suo passaggio, l’esercito si è istallato nel villaggio, ha
cominciato a massacrare una parte della popolazione e a
bruciare case e raccolti. Il mio amico, avvisato da amici
che l’esercito lo stava cercando è fuggito con la famiglia e
dopo varie peripezie è potuto arrivare negli Stati Uniti, in
Tennessee, accolto dalla comunità mohawk. Lì ha saputo che
una parte della sua famiglia era stata massacrata, che la
sua casa era stata bruciata e che non sarebbe più potuto
tornare in Guatemala. Sono rimasto in contatto epistolare
con lui per qualche tempo. Ha sofferto per il suo esilio
negli Stati Uniti, brutalmente opposto ad una società
radicalmente diversa da quella del suo villaggio di Todos
los Santos. I suoi figli si sono americanizzati e non
torneranno probabilmente mai in Guatemala. La lettera che mi
ha scritto il 14 aprile 1982 è patetica e illustra
perfettamente la maniera in cui è stata condotta la politica
genocida di tutto un popolo.
Il 31 gennaio 1980, poco dopo la mia partenza dal Guatemala
c’è stato lo spaventoso massacro dell’Ambasciata di Spagna,
dove il mio collega e amico Jaime Ruiz del Arbol, Primo
segretario e console è morto bruciato vivo. Un gruppo di
contadini disarmati era penetrato nell’Ambasciata di Spagna
per denunciare le esazioni dell’esercito nei villaggi del
Quiché. Con l’assenso del suo governo, l’ambasciatore
spagnolo Máximo Cajal y López aveva accettato di ricevere il
gruppo e di ascoltarlo. Il Generale Lucas, uomo brutale e
intellettualmente molto limitato, furioso e non al corrente
delle norme, soprattutto dell’inviolabilità d’un’Ambasciata,
ha deciso di dare una lezione a “tutti quei comunisti”: ha
dato l’ordine alla polizia nazionale guatemalteca di
“liberare” l’ambasciata senza l’accordo del governo
spagnolo. La polizia ha utilizzato delle granate al fosforo
bianco provocando un gigantesco incendio. 37 persone sono
morte in questa tragedia (fra cui Vicente Menchú, il padre
di Rigoberta), sia dentro l’ambasciata che assassinati il
giorno dopo negli ospedali dove venivano soccorsi. Che
accanimento sanguinario! L’Ambasciatore seriamente ustionato
è stato salvato per miracolo saltando dalla finestra e
ricevendo la protezione del corpo diplomatico. Il giorno
dopo ha ricevuto un messaggio: “morte al comunista Cajal!”.
Nel 1991, mentre lavoravo in Messico, sono andato a visitare
i campi di rifugiati guatemaltechi istallati in Chiapas,
lungo la frontiera Messico-Guatemala. La Comunità Europea,
che offriva un aiuto finanziario, richiedeva un rapporto sul
campo. Il Messico ha fatto quel che ha potuto per accogliere
sul suo territorio questa massa umana (450.000 persone
suddivise in vari “campi” in Chiapas e in Yucatan). Ma
queste regioni del Messico presentano una popolazione india
numerosa, anch’essa povera ed emarginata (è in Chiapas che
ha avuto luogo nel gennaio 1994 l’insurrezione zapatista,
quando il mondo intero ha scoperto la figura straordinaria
del sub comandante Marcos). Le autorità messicane non
potevano fare per questi ospiti ingombranti più di quanto
hanno fatto peri i loro abitanti. Questi rifugiati vivevano
miseramente ma in sicurezza. Eppure, la loro presenza in
territorio messicano ha provocato diverse frizioni con le
popolazioni locali. Poco a poco hanno lasciato il Messico
dopo la firma degli accordi di pace, chi per ritornare nei
loro villaggi d’origine, chi per andare negli Stati Uniti,
ed erano quelli che avevano perduto tutto e temevano per la
loro vita.
Ecco la testimonianza personale che volevo rendere a
proposito del processo al generale Ríos Montt. E’ difficile,
dopo aver conosciuto queste tragedie umane, non richiedere
che il genocidio guatemalteco sia effettivamente
riconosciuto dalla giustizia e che siano identificati i
responsabili e condannati per le loro azioni. Ma le
resistenze al ristabilimento della verità storica sono
forti. E l’attuale presidente del Guatemala,
democraticamente eletto, altri non è che il generale Otto
Pérez Molina, che all’epoca dei fatti era capitano (El
capitán Tito) incaricato di mettere in pratica
l’eliminazione della popolazione india nei villaggi ixil al
nord del Quiché (Nebaj, Chajul, Cotzal). Ed è anche il
fondatore dei “kabiles”, una forza d’urto addestrata alle
pratiche più brutali, come lo sventramento delle donne
incinta o il massacro di bambini davanti ai loro genitori.
La mia permanenza in Guatemala è stata una sorpresa e
un’anomalia nella mia carriera: io ero destinato a “servire”
in Europa. Nell’ambiente diplomatico c’è tutta una gerarchia
di ambasciate: le grandi, le medie, le piccole. Io ho
cominciato la mia carriera a Mosca nel 1973, come attaché
d’ambasciata, in piena guerra fredda. Si trattava di una
“grande” ambasciata. Lasciando Mosca nel 1977,
l’ambasciatore mi ha detto, sotto gli stucchi dorati della
favolosa Residenza (il palazzo Igoumonov, un piccolo palazzo
da mille e una notte):
“Caro Pierre, lei sta andando in Guatemala. Ma che cavolo ci
va a fare in quel paese che nessuno conosce? Io le ho
proposto di aiutarla ad avere un buon posto in una grande
ambasciata europea, ma lei non ha accettato. L’ha voluto
lei, buona fortuna!
“Signor Ambasciatore, gli ho risposto, la ringrazio
dell’aiuto. Mosca è stata per me un’esperienza
insostituibile. Ma io credo che bisogna anche conoscere il
resto del mondo fuori dall’Europa e capire le conseguenze
del conflitto est-ovest in periferia. Parto per il
Guatemala.”
E non me ne sono mai pentito. L’esperienza è stata dura sul
piano umano ma mi ha aiutato a capire come i conflitti
silenziosi, come quello del Guatemala, basato su rivalità
fra superpotenze, hanno provocato vittime civili innocenti.
Ormai il mondo bipolare è scomparso, l’Occidente ha
trionfato, la “minaccia comunista” è stata sostituita da una
lotta senza limiti contro il terrorismo, “minaccia globale”
dai contorni volutamente fluidi, e la situazione di popoli
interi, marginali e repressi, non è molto cambiata.
* Pierre Charasse è un diplomatico francese in pensione
di grande esperienza. Sulla base delle sue esperienza ha
aperto un blog di politica internazionale
(www.latourdebabelwordpress.com).
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La
Corte Costituzionale del Guatemala ha revocato ieri, lunedì 20, la sentenza
per genocidio e delitti di lesa umanità contro l’ex dittatore Efraín Ríos
Montt, annullando tutto il processo giudiziario precedente realizzato a
partire dal 19 aprile.
In accordo con le
informazioni fornite dal corrispondente di TeleSUR in Guatemala, Mario
Rosales, la Corte Costituzionale ha ammesso l’obiezione introdotta dalla
difesa del dittatore, che è stato condannato a 80 anni di prigione: 50 per
genocidio e 30 per lesa umanità.
“La sentenza è stata
annullata perchè la Corte ha incontrato dei procedimenti che non si adattano
alla costituzionalità, durante il processo svolto dal 19 aprile, ha riferito
Rosales.
Il giornalista ha
segnalato che il processo non è però stato annullato.
Dobbiamo accettare
l’obiezione, ma il processo non è stato annullato e la decisione la dovrà
prendere un altro tribunale in base alle prove presentate.
La difesa dell’ex
dittatore ha introdotto una serie di obiezioni, ha informata il giornalista
di TeleSur.
Il dibattito giudiziario
che è stato sospeso quando la giudice Carol Patricia Flores ha interrotto il
processo contro Ríos Montt lo scorso 19 aprile (…) è stata una delle basi
per la decisione presa dalla Corte Costituzionale.
Dopo questa decisione Ríos
Montt torna agli arresti domiciliari che compiva sino al momento del
sentenza.
La Sentenza del 10 maggio
Il 10 maggio scorso l’ex
dittatore ha ricevuto questa condanna perchè è responsabile della morte di
1771 persone, dell’allontanamento a forza di persone, della privazione di
alimenti. tortura abuso e violenza sessuale contro la comunità Ixil durante
il suo regime dal marzo del 1982 all’agosto del 1983.
Il tribunale ha
determinato che i crimini sono stati commessi in accordo con i piani
militari indirizzati a sterminare presunti nemici e questo non includeva
solo gruppi guerriglieri, ma anche la popolazione civile Ixil, che le
autorità golpiste accusavano d’appoggiare le organizzazioni ribelli.
Il governo di fatto di
Ríos Montt è stato uno dei più sanguinosi della guerra civile che ha
sofferto il paese negli anni tra il 1960 e il1996 e che ha lasciato almeno
200.000 morti, dichiara l’Organizzazione delle Nazioni Unite, ONU.
In America Latina ci sono
stati regimi militari sanguinosi e Ríos Montt è il primo dei dittatori ad
essere condannato per genocidio.
In alcuni casi sono morti
prima di pagare per i loro omicidi, come il generale del Paraguay, Alfredo
Stroessner. |
Con
i visi coperti, dieci donne dell’etnia Maya Ixil hanno
testimoniato davanti ad una Corte del Guatemala sugli atroci
abusi sessuali e le torture sofferte per mano dei soldati
durante il regime (1982-83) dell’ex dittatore Efraín Ríos
Mott, processato por genocidio.
Con la voce bassa e l’aiuto di un interprete, una testimone
ha riferito che i soldati abusarono sessualmente anche di
sua madre che le diceva: “Non piangere e non gridare, perchè
altrimenti ti uccidono!”
Un’altra donna che non ricorda la sua età, è stata testimone
della violazione che ha subito per dieci giorni in un
distaccamento miliatare nel municipio di Cotzal, dove fu
portata contro la sua volontà, dopo che i soldati avevano
ucciso suo marito.
“I soldati approfittarono di me; ho sofferto abbastanza e
voglio solo che mi aiutino”, ha supplicato la donna al
tribunale.
Senza aiuto del traduttore, una donna di 58 anni ha
ricordato che, nel 1982, elementi dell’esercito riunirono
varie donne nella chiesa cattolica di Cotzal.
“Sono diversi gli uomini che ci hanno violato”, ha detto,
ricordando che furono anche picchiate e minacciate di morte.
“Mia mamma l’hanno violata nel salone parrocchiale, poi
l’hanno portata là come un cane morto e l’hanno legata”, ha
aggiunto. “Poi ci hanno portato nella caserma dove sono
continuati gli abusi. Uno dei soldati mi aveva detto che io
stavo là in quel luogo, perchè il presidente Ríos Montt
aveva dichiarato che dovevano essere gettati nella
spazzatura tutti quelli dell’area ixil, perchè noi
collaboravamo con la guerriglia”.
I municipi di Chajul, Cotzal e Nebaj formano il detto
triangolo Ixil nel dipartimento Quiché, dove vivono questi
discendenti dei maya.
“Anche se il processo è per genocidio, le testimonianze di
violazione sessuale sono elementi valutati nel processo,
perchè si è tentato di distruggere il gruppo Ixil,
commettendo lesioni fisiche e psicologiche” ha spiegato il
pubblico ministero Orlando López.
Gli avvocati di Ríos Montt non hanno parlato durante le
testimonianze delle donne indigene e si sono limitati a fare
poche domande sui fatti.
Ríos Montt e l’ex ufficiale dell’intelligenza militare José
Rodríguez sono giudicati per il massacro di 1.771 indigeni
Maya Ixil, avvenuto tra il 1982 e il 1983, nel periodo più
cruento della guerra sofferta dal Guatemala negli ultimi 36
anni (1960-1996), che ha lasciato 200.000 morti o scomparsi,
secondo la ONU. |