La continuità post neoliberale

 

 

12 ottobre 2013 - di Emir Sader www.giannimina-latinoamerica.it www.granma.cu

 

 

L’America Latina non poteva funzionare. Era stata creata dai colonizzatori per non funzionare, per essere eternamente subalterna al mondo “civilizzato”, per consegnare le sue materie prime e la sua forza lavoro super sfruttata e onorare i suoi signori europei. L’America Latina è stata colonizzata per essere colonia e sentirsi colonizzata e sottomettersi alle metropoli e all’impero.


E ancora, quando le alternative sembravano scomparire, all’America Latina sarebbe rimasto solo, in forma meccanica, il modello unico consacrato dal centro del capitalismo. E così è stata per lungo tempo. L’America Latina è stato il continente con più governi neoliberali e quello con le modalità più radicali.


Un’ondata devastante che ha liquidato, fra l’altro, lo Stato sociale cileno e l’autosufficienza energetica dell’Argentina, oltre a lasciare il continente come una regione senza importanza sul piano internazionale, di basso profilo, subordinata alle potenze del centro del sistema, aumentando sempre più la disuguaglianza e la miseria fra di noi.


Ma ad un tratto il fallimento dei governi neoliberali ha prodotto l’elezione di una serie di governi che sono stati eletti con l’impegno di andar oltre questo modello per costruire società più giuste, meno disuguali, sovrane sul piano internazionale.


E’ così che la regione è diventata l’unica al mondo con governi anti neoliberali che per di più sono passati a costruire processi di integrazione regionale autonomi rispetto agli Stati Uniti. Anche quando è sorta la profonda e prolungata crisi economica –che ha da poco compiuto cinque anni di durata- nei paesi del centro del capitalismo, quei paesi latinoamericani anti neoliberali hanno continuato ad espandere le proprie economie e, soprattutto, a combattere la miseria e la disuguaglianza.
Al principio –a destra e a sinistra- questo fenomeno ha generato sconce

rto fra i suoi avversari. Non era possibile che con la recessione mondiale –che aveva sempre trascinato i nostri paesi alla stagnazione e all’arretramento-, paesi come l’Argentina, la Bolivia, il Brasile, l’Uruguay, l’Ecuador e il Venezuela resistevano alla crisi.


Dopo aver denunciato questi governi come propagatori di illusioni, hanno dovuto accettare il fatto che la nostra situazione è diversa da quella dei paesi del centro del sistema e da quelli, nella regione, i cui governi mantenevano il proprio orientamento neoliberale. Non potevano più dire che le situazioni favorevoli dei nostri paesi si dovevano a un quadro internazionale favorevole, perché quel quadro era cambiato radicalmente.


C’è stato chi ha chiuso gli occhi davanti ai grandi progressi sociali di paesi del continente più disuguale del mondo, cercando di squalificarne le politiche, riducendo gli orientamenti di quei governi a quelli che considerano modelli esportatori basati sulla devastazione delle risorse naturali. Come risultato, tutti quelli che propugnano questa tesi sono stati rifiutati dai popoli di quei paesi che erano stati ridotti a una forza senza appoggio popolare né espressione politica.


Gli uccelli da preda stavano sempre aspettando indizi di problemi che avrebbero potuto –anche dopo un decennio di successi delle politiche post neoliberali di quei governi- convalidare le loro nere previsioni. Si è formata una coalizione internazionale fra forze di destra e di ultrasinistra per attaccare i governi progressisti dell’America Latina, perché il successo di leader come Hugo Chávez, Lula, Dilma, Néstor e Cristina Kirchner, Evo Morales, Rafael Correa, Pepe Mujica fra gli altri, rendeva insostenibili le loro posizioni.


Era sufficiente che sorgesse un problema in uno di questi paesi, qualunque ne fosse la ragione –comprese le pressioni recessive continuate dal centro del sistema- perché si moltiplicassero gli articoli di stampa o le previsioni di oppositori senza appoggio popolare, dicendo che finalmente stava esaurendosi il modello alternativo di crescita con distribuzione di rendita di quei governi.


Perché per loro era insopportabile che Carlos Andrés Pérez, Acción Democrática e Coppei avessero fallito mentre Hugo Chávez funzionava. Che Cardoso avesse fallito e Lula funzionasse. Che i loro amati Carlos Ménem e De la Rúa avessero fallito spettacolarmente e che Néstor e Cristina funzionassero. Che Sánchez de Losada fosse stato sbattuto fuori dal governo espulso dal popolo per rifugiarsi negli Stati Uniti, e Evo Morales funzionasse. Che i governi di destra in Uruguay fossero falliti e quelli del Frente Amplio funzionassero. Che la stessa cosa succedesse in Ecuador con il successo di Rafael Correa.


Non si tratta più di governi effimeri, sono stati tutti già rieletti e/o sono stati eletti i loro successori ed hanno ancora la possibilità di far durare i loro governi o di eleggere i propri successori promuovendo un secondo decennio post neoliberale in America Latina.


Eppure, secondo la ricetta neoliberale e dell’ultrasinistra, quei governi non potevano funzionare. Dovevano fallire per dimostrare la verità del “pensiero unico” e del Consenso di Washington. I governi popolari di ampia alleanza politica non potevano consolidarsi e ottenere un grande e rinnovato appoggio popolare. Perché si supponeva fossero diretti da leader che avevano “tradito” la fiducia popolare. Invece, nella realtà, i popoli li hanno scelti e confermati come leader.


Questa situazione si è talmente consolidata che le opposizioni in ogni paese non trovano spazio né guida né piattaforme alternative. O tacciono rispetto a quello che farebbero in caso di vittoria o confessano che non tornerebbero alle formule neoliberali: meno Stato, dure misure fiscali, privatizzazioni, politica estera di nuovo subordinata agli Stati Uniti.


Il fatto è che i governi post neoliberali sono riusciti a diventare egemonici in ciascuno dei nostri paesi. Gliene deriva la propria legittimità e la capacità di affrontare i problemi che hanno di fronte, nonché le forme del rinnovamento per continuare a dare continuità ai loro programmi di priorità delle politiche sociali, dei processi di integrazione regionale e del ruolo dello Stato come induttore della crescita economica e garanzia dei diritti sociali di tutti. Smentendo tutti coloro che credevano che l’America Latina non poteva esserne capace.