Luther King. Da Dallas a Memphis

 

24.04.2013 - Gabriel Molina Franchossi www.granma.cu

 

L’attentato contro il leader afroamericano Martin Luther King, ucciso il 4 de aprile del 1968 in un motel di Memphis, 45 anni fa, viene considerato da non pochi investigatori come parte di un cruento complotto che implicò gli omicidi del dirigente negro Malcolm X e di John e Robert Kennedy.

 

Nel tormentato decennio degli anni ’60 la radicalizzazione a favore dei diritti civili, la coesistenza pacifica e altre popolari fecero ardere il nord America, perchè due mesi dopo, il 5 giugno, avvenne l’uccisione del senatore Robert Kennedy. Prima il mondo si era emozionato per l’assassinio di Dallas, il 22 novembre del 1963 e la cospirazione per eliminare Malcolm X, il 21 febbraio del 1965.

 

King y Malcolm sfidarono il regime di Apartheid montato negli Stati Uniti per sostituire quello della schiavitù abolita dal presidente Lincoln. I padri fondatori della prima repubblica in America mantennero dal 1776 gli schiavi negri come parte del loro patrimonio, osservando uno stretto ordinamento legale di separazione razziale.

 

I negri vivevano in poverissimi ghetti ed era loro proibito accedere ai luoghi pubblici per i bianchi, come i trasporti, i servizi sanitari, i negozi, le scuole, etc. A loro erano destinati i lavori più duri e meno remunerati.

 

L’accesso molto ristretto al voto garantiva la durata del sistema che i propulsori s’incaricano di esportare nelle regioni in cui s’espandevano.

 

Una mostra di com’era il razzismo nel sud degli Stati Uniti apparve ben chiara quando il 19 ottobre del 1960, il reverendo Luther King fu arrestato ad Atlanta perchè rifiutò di abbandonare un negozio dove rifiutavano di servirlo. Alcuni mesi prima il Reverendo era stato dichiarato colpevole, con sentenza sospesa, per una trasgressione minore del transito nella contea di DeKalb, nel meridionale stato della

Georgia. Il giudice locale decise che l’arresto ad Atlanta era il motivo atteso per condannarlo a quattro mesi di lavori forzati.

 

La sentenza fece temere per la vita del Reverendo a coloro che conoscevano quanto dura poteva essere ad Atlanta una condanna ai lavori forzati, soprattutto per i negri.

King fue "bruscamente svegliato e portato all’alba dalla sua cella nella contea, con le manette e le catena ai piedi, e trasportato per oscuri sentieri campestri sino ad un penitenziario nella profonda Georgia rurale.

 

Il governatore della Georgia, Ernest Vandiver, di fronte alla richiesta di J. F. Kennedy, allora candidato a presidente, che revocasse la sentenza, disse che sarebbe stato disastroso per le votazioni nel sud, a un mese dalle elezioni. Assicuro che avrebbero perduto perlomeno tre Stati. Robert Kennedy dovette chiamare il giudice che prima lo criticò, ma di fronte all’indignata reazione del fratello dell’allora senatore John, per la condannabile sentenza, cambiò atteggiamento, e il giorno dopo liberò Luther King.

 

I valorosi leader afro-americani si collocarono alla guida della resistenza negra contro il sistema, che adottò efficaci forme, come sedersi nei posti proibiti nei trasporti e nei luoghi pubblici, boicottare negozi e teatri.

 

Partendo dalle leggi auspicate dai Kennedy, s’intensificarono le lotte. Il governo federale dovette ricorrere alla guardia nazionale e agli sceriffi per proteggere Luther King, James Meredith e altri leader quando, durante le azioni pacifiche che intraprendevano, erano minacciati e picchiati da orde di sudisti che si opponevano violentemente ai cambi.

 

King e Malcolm in particolare divennero gli obiettivi, non più solo dei razzisti, ma anche del complesso militare-industriale, quando le stesse lotte razziali e sindacali li portarono a a radicalizzarsi e organizzare movimenti come il meeting di 250.000 persone a Washington contro la guerra del Vietnam, dove King pronunciò il suo famoso discorso "Io ho fatto un sogno".

 

Questa progressione coinvolse anche gli ex portabandiera della guerra fredda, come i fratelli Kennedy, il cui appoggio a questo movimento li allontanò dalla cupola del potere stabilito e dalle sue principali agenzie, dalla CIA e dal FBI.

 

Il direttore del FBI, J. Edgar Hoover, disse a Herbert Jenkins, capo della polizia di Atlanta, che i tre nemici che odiava di più erano i Kennedy e King. Robert Kennedy considerava Hoover un ricattatore e una minaccia per la democrazia.

 

Lo zar dell’Agenzia Centrale d’Intelligenza, Allan Dulles, organizzò le cospirazioni contro Cuba e atri paesi del Terzo Mondo, tanto che Kennedy decise di sostituirlo.

 

La stretta vigilanza delle attività e della vita privata del quartetto, divenne una persecuzione e una minaccia che fecero di Dulles e Hoover i sospettabili di quei quattro crimini.

 

Avevano i motivi, le possibilità e i mezzi.