Berta Soler, del gruppo oppositore
Dame in Bianco,
sbraitava ieri al telefono da New York, qualche giorno fa in
una intervista a El País, sostenendo che il
blocco
che gli Stati Uniti mantengono contro Cuba da cinquant’anni
non solo non va tolto, ma va addirittura rinforzato fino ad
“asfissiare i fratelli Castro” per poter avere così,
finalmente, una Cuba libera e felice.
La dissidente
Yoani
Sánchez, molto più furba e presentabile, come sa bene l’ex
Incaricato d’affari USA all’Avana (secondo quanto ci ha
fatto sapere l’indiscreto Weekileaks), durante la sua
tournée in vari paesi del mondo, graziosamente dichiara che
il blocco ha fatto il suo tempo e può essere mandato in
soffitta. Sembra, però, che l’Amministrazione statunitense
da quell’orecchio non ci senta e non ci sente neppure quando
si parla - si denuncia - l’indecente questione di
Guantánamo,
la prigione illegale sistemata nella base navale
illegalmente mantenuta dagli USA nell’isola di Cuba. Anche
se lo stesso Presidente Obama ha dichiarato qualche giorno
fa, che: “Guantánamo è cara e inefficace. Danneggia la
nostra immagine internazionale e riduce la cooperazione con
i nostri alleati per quel che riguarda gli sforzi
antiterroristici”, concludendo pragmaticamente, che si
tratta ormai solo di uno strumento per il reclutamento di
estremisti e che bisogna chiuderlo. Ma se non lo può fare
lui, chi lo potrà fare? La stessa domanda vale per il
blocco: se non lo può rimuovere il Presidente, a chi
toccherebbe farlo?
E, a proposito di terroristi, sempre nella “nazione più
democratica del mondo”, si è risvegliato, dopo quaranta
anni, il bisogno di giustizia della vedova di un poliziotto
ucciso nel 1973 durante un’operazione che ha condotto
all’arresto di Assata Shakur, poi evasa dal carcere e
rifugiata a Cuba dal 1984. Essa è, oggi, la prima donna
inclusa fra i primi dieci nomi della lista nera dei
ricercati dell’Fbi e sul suo capo è stata messa una taglia
di due milioni di dollari. Militante delle
Black Panther
prima e del Black Liberation Army poi, si è sempre
dichiarata innocente per quel delitto, ma irriducibile nel
non rinnegare le ragioni della sua lotta politica.
E’ noto che fra Cuba e gli Stati Uniti c’è un maledetto
intreccio di agenti dell’uno e dell’altro governo finiti
nelle galere nemiche. Lo statunitense
Gross, la cui famiglia
ha querelato il governo per averlo mandato in missione senza
adeguata protezione, è ancora a Cuba mentre quattro dei
Cinque
combattenti antiterroristi, agenti del governo
cubano, che monitoravano il virulento ambiente degli
anticastristi della Florida, scontano da 15 anni condanne
tombali in varie carceri nordamericane. Il quinto,
René González, dopo aver scontato la sua pena più altri due dei
tre anni di domicilio coatto in Florida, ha finalmente
ottenuto di poter restare a Cuba dove si era recato per i
funerali del padre. In cambio, deve rinunciare alla sua
cittadinanza statunitense, cosa che gli stessi avvocati di
René avevano offerto da tempo.
A quale gioco si gioca in questo complesso intreccio non è
chiaro. La taglia su Assata e, allo stesso tempo, il ritorno
in patria di René, il persistente diniego a rivedere il
processo ai Cinque, stigmatizzata perfino da una commissione
delle Nazioni Unite, le esitazioni di Washington a tirare
fuori Gross da Cuba magari rilasciando o trattando per il
rilascio dei quattro alle loro condizioni, conferma che,
anche in questo caso, i rapporti bilaterali sono intossicati
e malati. Perfino contro il nemico n. 1 degli anni della
guerra fredda, l’ Unione Sovietica, i servizi di
intelligenza trattavano nella massima discrezione e con la
massima spregiudicatezza per riportarsi in patria i propri
sfortunati agenti.