Piano Colombia: un grande affare per la guerra e il capitale estrattivo

Indagine speciale

Eder Peña

Il Piano Colombia, lanciato formalmente nel 1999, fu un’iniziativa di sicurezza e cooperazione bilaterale tra Colombia e USA che trascese la sua retorica iniziale contro il narcotraffico. Sin dalla sua concezione, fu profondamente intrecciato con gli interessi geostrategici USA di consolidare la propria influenza in America Latina, controllare rotte logistiche e assicurare il controllo delle vaste risorse naturali colombiane.

Finanziato per lo più dagli USA, si trattò di una politica che trascese la sua narrativa ufficiale di iniziativa bilaterale contro il narcotraffico per ergersi come un complesso impianto di ingerenza nella regione andina. Esistono evidenze di come, sotto l’ombrello della “guerra alla droga” e successivamente contro il “terrorismo”, gli USA consolidarono una presenza militare e un’influenza politica che servirono ai loro interessi emisferici, con conseguenze profonde e ambivalenti per la nazione sudamericana.

GENESI: CRISI E CONTRAINSORGENZA

Alla fine degli anni 90, la Colombia viveva una “tempesta perfetta”: crescita esponenziale delle coltivazioni di coca, debolezza istituzionale, espansione delle FARC e dell’ELN. Il 13 settembre 1999, il presidente Andrés Pastrana inviò al Congresso il “Piano Colombia, Piano di Pace, Prosperità e Rafforzamento dello Stato”, documento che richiedeva 7,5 miliardi di $ in 3 anni e che includeva “sviluppo alternativo, riforma agraria, protezione dei diritti umani e negoziazione con la guerriglia”.

Tuttavia, la proposta colombiana originale ricevette scarso sostegno esterno; mentre la versione originale destinava il 55% del budget allo sviluppo sociale, la versione approvata da Washington destinò il 78% alle forze armate e alla polizia, trasformandolo in un piano di guerra mascherato.

Il 19 gennaio 2000, il presidente Clinton annunciò un pacchetto di 1,3 miliardi di $ centrato su “dotare tre battaglioni di controguerriglia e acquisire 63 elicotteri UH-1N”. Il Congresso USA approvò l’iniziativa il 30 giugno 2000 a condizione che si spostasse l’accento iniziale colombiano e la firma dell’“Atto di Bogotá” — il 6 ottobre 2000 — sigillò un’alleanza nella quale gli USA avrebbero fornito “assistenza, intelligence e dottrina; la Colombia, territorio e manodopera”, come descrive il professor Renán Vega Cantor dell’Università Pedagogica Nazionale della Colombia.

Questa svolta rispose a interessi strategici degli USA dopo la Guerra Fredda. Nel 2000, Amnesty International si oppose al programma di aiuti militari per la Colombia perché, come poi accadde, avrebbe intensificato il conflitto armato e la crisi dei diritti umani. Ma il Pentagono e il Dipartimento di Stato ridefinirono l’insorgenza colombiana come “narcoterrorismo”, collegando la lotta antidroga alla controinsorgenza.

L’obiettivo non era solo ridurre la cocaina, ma neutralizzare movimenti che sfidavano l’ordine neoliberale e assicurare l’accesso a risorse strategiche in una regione chiave per la sicurezza energetica e logistica di Washington. La dualità fu evidente e, mentre il discorso interno parlava di “pace con sviluppo sociale”, il programma esterno era di “sicurezza emisferica”.

La geostrategia era implicita: la Colombia “condivide confine con Venezuela, Brasile, Perù ed Ecuador, agisce come ponte verso il Canale di Panamá e possiede bacini petroliferi, miniere d’oro, nichel, coltan e una biodiversità che contiene tra il 10 e il 15% delle specie mondiali”.

FASE I: MILITARIZZAZIONE ED EFFETTO RIMBALZO

La prima fase del Piano Colombia, coincidente con i governi di Pastrana (fino al 2002) e il primo mandato di Álvaro Uribe (2002-2006), si eseguì sotto la dottrina della “guerra alla droga” e, dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, si ricollocò rapidamente nella “guerra globale contro il terrorismo” e nella politica uribista di “Sicurezza Democratica”.

Tra il 2000 e il 2003 il flusso di aiuti da Washington raggiunse i 2,5 miliardi di $, facendo della Colombia “il terzo ricevente mondiale di aiuti militari dopo Israele ed Egitto”. Il nucleo operativo fu la creazione del Comando Congiunto di Azione contro le Droghe (JACD) e il dispiegamento di “600 consulenti USA che, sotto immunità diplomatica, addestrarono 26mila soldati nella dottrina di controinsorgenza”.

La maggior parte dello sforzo bellico fu assunto dalla Colombia, con un costo sociale devastante, a causa del forte squilibrio tra l’intensità dell’uso della forza e le alternative di vita per le comunità. Si dotò le Forze Militari Colombiane di elicotteri Black Hawk e Huey, attrezzature di intelligence e addestramento da parte di consulenti USA.

Lo strumento più visibile fu la campagna di fumigazione aerea con glifosato sui coltivi di coca, una politica che, secondo documenti ufficiali, cercava di ridurre l’offerta di cocaina alla fonte.

Il Piano Patriota (2003-2006) dispiegò 18 mila uomini nel sud del paese, zona ricca di petrolio (Putumayo, Caquetá, Guaviare) e di riserve di uranio e oro. I risultati immediati furono militari: nel 2004 le FARC persero la “Zona di Distensione” e 17 fronti; la superficie coltivata scese da 163mila ettari (ha) nel 2000 a 86mila nel 2005.

Tuttavia, l’esodo contadino generò 2,9 milioni di sfollati tra il 1999 e il 2005, la maggiore crisi umanitaria dell’emisfero occidentale, secondo rapporti di stampa. La sicurezza sulle principali strade e nelle città migliorò notevolmente, traducendosi in un aumento della fiducia degli investitori.

Secondo lo stesso rapporto della Difesa colombiana, tra il 1999 e il 2006 morirono 10789 militari e poliziotti in combattimento; e 39492 civili furono assassinati da forze militari e paramilitari alleati. La violenza non solo non diminuì, ma si riconfigurò perché i paramilitari, con supporto statale, ampliarono il loro controllo territoriale, specialmente in zone ricche di petrolio, carbone e biodiversità.

Quanto all’obiettivo dichiarato — la riduzione del narcotraffico — il fallimento fu evidente. Le coltivazioni di coca seguirono una traiettoria a “W”, ossia caddero inizialmente per la fumigazione aerea, ma si ripresero quando i contadini adattarono le loro tecniche. Coltivi leciti furono avvelenati, si danneggiò la salute delle comunità rurali e furono compromessi ecosistemi fragili.

Per il 2006, la Colombia continuava ad essere il maggiore produttore mondiale di cocaina, nonostante l’investimento massiccio nell’eradicazione forzata. Le coltivazioni riapparvero in zone di foresta pluviale e la coca si industrializzò: la produzione passò da 370 tonnellate di cloridrato nel 2000 a 640 tonnellate nel 2006 e il prezzo “cadde del 27% nelle strade di New York”.

Sei anni dopo l’inizio del Piano Colombia, lo zar della droga, John Walters, fu costretto ad ammettere silenziosamente in una lettera al Senato che negli USA il prezzo della cocaina era calato, il flusso di droga verso quel paese era aumentato e la purezza era incrementata.

Gli USA consolidarono la loro presenza ottenendo concessione per usare le basi di Tres Esquinas, Apiay e, dal 2009, Palanquero, “la più grande del Sud America, con capacità di operare aerei AWACS e bombardieri B-52”. I cablogrammi diplomatici filtrati da Wikileaks (2010) rivelano che l’Aeronautica USA considerava Palanquero come “piattaforma per contingenze regionali”, ossia “per sorvegliare il Venezuela e la conca amazzonica”.

Tra il 1999 e il 2004, 37 mila ufficiali colombiani furono addestrati in programmi USA, molti dei quali presso la vecchia Scuola delle Americhe, storicamente legata a violazioni dei diritti umani. Questo processo consolidò un modello di sicurezza fondato sulla repressione più che sulla governabilità democratica.

La politica di “Sicurezza Democratica” di Álvaro Uribe, sostenuta dal Plan Colombia, puntò come priorità a colpire la guerriglia. In pratica ciò portò a un aumento drammatico delle violazioni dei diritti umani, comprese le esecuzioni extragiudiziali note come “falsi positivi”, e a una nuova ondata di sfollamenti forzati interni, tra i più alti al mondo.

La pace e lo sviluppo sociale — presentati come pilastri della versione originale del Piano — finirono così per essere subordinati alla ricerca di una vittoria militare, che allo stesso tempo consolidava il controllo geostrategico USA su territori strategici e ricchi di risorse, come Putumayo e Arauca.

FASE II: TERRITORIALIZZAZIONE ED ESTRATTIVISMO

La seconda fase, conosciuta come “Plan Colombia II” o “Strategia di Rafforzamento della Democrazia e dello Sviluppo Sociale 2007-2013 (EFDDS)”, cercò di correggere gli errori della prima tappa attraverso un approccio più “integrale”. Tra il secondo mandato di Uribe e gran parte del governo di Juan Manuel Santos (2010-2018), vi fu un “ri-orientamento tattico”, pur mantenendo inalterati gli obiettivi geostrategici di fondo, a causa delle crescenti prove del fallimento delle fumigazioni e delle denunce di violazioni dei diritti umani.

Questa fase fu caratterizzata da due fattori chiave:

  1. L’approfondimento della presenza militare USA tramite l’accordo che nel 2009 concesse agli USA l’uso di 7 basi militari in Colombia. Tale intesa, formalizzata sotto l’ombrello del Plan Colombia II, venne ampiamente interpretata come una strategia di proiezione di potere nella regione, soprattutto per contrastare l’influenza del governo di Hugo Chávez in Venezuela.
  1. L’avvio dei dialoghi di pace tra il governo Santos e le FARC nel 2012 aggiunse una nuova dimensione. Gli USA, pur appoggiando formalmente il processo, mantennero un’agenda di sicurezza incentrata sul narcotraffico, garantendo che la smobilitazione della guerriglia non producesse un vuoto di potere contrario ai propri interessi.

In questo periodo Washington ridusse il finanziamento diretto a 4,9 miliardi di $, ma mantenne la propria influenza tramite consulenza, intelligence e cooperazione tecnica. Gli aiuti vennero progressivamente orientati verso la consolidazione territoriale, il rafforzamento istituzionale e l’eradicazione manuale delle colture, attraverso programmi come la “Estrategia de Consolidación Integral de la Macarena”.

La vera novità fu il Piano Nazionale di Consolidamento Territoriale, che individuò circa 100 municipi prioritari per il loro “valore strategico”: giacimenti di carbone in Cesar, di nichel a Montelíbano (Córdoba), di uranio a Santander, biodiversità nel Chocó e riserve idriche nella Sierra Nevada. Il programma prevedeva il dispiegamento del Centro de Coordinación de Acción Integral affiancato da enti USA come USAID, DEA e militari, che combinavano eradicazione manuale, royalties minerarie e concessioni di esplorazione.

Agenzie come l’USAID adottarono un criterio basato su “corridoi economici”, privilegiando aree con condizioni agricole favorevoli, vicinanza a centri urbani, infrastrutture e mercati; al contrario, ridussero la presenza nelle zone a forte concentrazione di coltivazioni illecite.

Parallelamente, la Colombia aprì vastissime aree all’estrazione mineraria. Nel 2013 risultavano disponibili 40 milioni di ettari per l’esplorazione ed estrazione di minerali, e i titoli minerari concessi passarono da 2965 nel 2002 a 9426 nel 2012. Secondo la compagnia canadese Montauk Metals Inc. (ex Galway Gold Inc.), tra il 2002 e il 2010 il capitale estero in Colombia passò da 466 milioni a 4,5 miliardi di $, in gran parte legato al settore minerario. Tra il 2006 e il 2010, la produzione di oro aumentò del 340%.

Questa fase ebbe inizio con l’espansione militare in 53 aree di rilevanza strategica, dove operavano grandi imprese come BP, Repsol e Harken Energy, e con la creazione di due battaglioni incaricati di proteggere le compagnie minerarie ed energetiche. In quegli anni furono concessi oltre 9000 titoli minerari, inclusi parchi nazionali e riserve indigene, in quella che un ministro delle Miniere e dell’Energia definì in seguito una “piñata di concessioni minerarie”.

I risultati furono contrastanti. Da un lato, la capacità militare delle FARC si ridusse del 68% tra il 2002 e il 2014. Gli omicidi scesero da 28837 nel 2002 a 12673 nel 2015, e i sequestri da 2882 a 210 nello stesso arco temporale. Tuttavia, i tassi di violenza rimasero tra i più alti al mondo, e reati come l’estorsione triplicarono (da 2083 casi nel 2002 a 5304 nel 2015).

Nel 2008 emerse il caso dei “falsos positivos” di Soacha: 19 giovani del municipio di Soacha e della località di Ciudad Bolívar (Bogotá) furono ritrovati in una fossa comune a Ocaña, Norte de Santander, dopo essere stati giustiziati e presentati dall’Esercito come guerriglieri uccisi in combattimento. La Jurisdicción Especial para la Paz (JEP) ha stabilito che almeno 6402 colombiani furono vittime di uccisioni illegittimamente presentate come “caduti in combattimento” – o falsi positivi – tra il 2002 e il 2008, cioè durante i governi di Álvaro Uribe.

Inoltre, la violenza non scomparve ma si frammentò: nacquero le Bacrim e le dissidenze armate, che presero il controllo di aree cocalere e minerarie. Questa fase, dunque, non puntava alla pace, bensì a garantire la stabilità necessaria agli investimenti stranieri nei settori strategici della miniera e dell’agroindustria.

L’accordo di pace con le FARC del 2016 fu presentato come il culmine del Plan Colombia, ma in realtà fu possibile “non grazie al Piano, bensì nonostante il Piano”. La pace autentica richiederebbe infatti lo smantellamento delle strutture economiche che trasformano la violenza in un affare, cosa che il Piano non affrontò mai.

Il successo militare della fase I si consolidò in questa tappa, creando condizioni di sicurezza che resero possibile la negoziazione. Tuttavia, il modello economico estrattivista (minerario-energetico e agroindustriale) si estese sui territori “recuperati”, spesso a scapito delle comunità locali e dell’ambiente.

La fase II coincise con il boom degli idrocarburi, giacché la Colombia passò da una produzione di 528000 barili giornalieri (2004) a 1007000 (2013). La geostrategia risultava così compiuta: sicurezza per gli investimenti, investimenti per la sicurezza.

Tra il 2000 e il 2015, gli USA contribuirono con 9,94 miliardi di $, di cui il 71% destinato alle forze armate e solo il 29% a programmi sociali, restituzione delle terre e giustizia. Il Plan Colombia II può quindi essere visto come la fase di istituzionalizzazione del controllo geostrategico, in cui la sicurezza ottenuta rese possibile l’integrazione economica di questi territori nelle dinamiche globali favorevoli a Washington e ai suoi alleati locali.

BILANCIO E DATI CHIAVE

  • L’investimento complessivo superò i 16,94 miliardi di $, trasformandolo nel più ingente pacchetto di aiuti bilaterali destinato a un paese latinoamericano nelle ultime decadi.
  • Il 72% delle risorse del Plan Colombia fu destinato al sostegno militare e di polizia, mentre il 28% andò a iniziative umanitarie, sociali, economiche e alla gestione della giustizia.
  • La superficie coltivata a coca raggiunse un picco di 253000 ettari nel 2023, dopo la sospensione delle fumigazioni aeree da parte della Corte Costituzionale; tuttavia, nel 2001 l’estensione era pari a 136918 ettari.
  • Il Ministero della Difesa colombiano conteggiò 25176 morti in combattimento tra soldati, poliziotti, guerriglieri, paramilitari e membri di bande criminali tra il 2002 e il 2015.
  • La Comisión de la Verdad registrò 8775884 vittime di cinque gravi violazioni dei diritti umani: omicidi, sparizioni forzate, sequestri, reclutamento e sfollamento forzato.
  • Almeno 450664 persone persero la vita a causa del conflitto armato tra il 1985 e il 2018; il 45% di esse tra il 1995 e il 2004. Ben 205028 vittime furono attribuite ai gruppi paramilitari.
  • 121768 persone furono vittime di sparizione forzata nel contesto del conflitto armato tra il 1985 e il 2016; il 52% dei casi a opera di gruppi paramilitari.
  • 50770 persone furono sequestrate o prese in ostaggio tra il 1990 e il 2018. Tra il 1995 e il 2004 si concentrarono 38926 casi (77% del totale), e solo tra il 2002 e il 2003 si contarono 11643 vittime (23% del totale); il 40% di esse a opera delle FARC.
  • Circa l’80% delle vittime mortali del conflitto furono civili e il 20% combattenti. Tra il 1958 e il 2019 si registrarono almeno 4237 massacri, dei quali 1620 (38%) tra il 1998 e il 2002.
  • Tra il 1978 e il 2016 vi furono almeno 8208 esecuzioni extragiudiziali; 6402 di esse, classificate come “falsi positivi”, avvennero tra il 2002 e il 2008 in 31 dipartimenti del paese.

Gli USA riuscirono a trasformare la Colombia nel proprio principale alleato militare nella regione, con 7 basi di accesso facilitato e una politica estera allineata. Tuttavia, lo Stato colombiano ne uscì iper-militarizzato, con istituzioni civili deboli e incapaci di garantire giustizia o sviluppo nelle vaste aree rurali.

LEZIONI APPRESE

  • Una strategia prevalentemente militare, per quanto capace di produrre vittorie tattiche, è strutturalmente incapace di risolvere problemi come il narcotraffico, le cui radici sono socioeconomiche.
  • Gli aiuti USA operano come strumento di influenza geostrategica che subordina gli interessi e il benessere della popolazione locale agli obiettivi di sicurezza nazionale della potenza donatrice.
  • Il caso colombiano dimostra l’urgenza di strategie di sicurezza integrate con politiche di sviluppo rurale, riforma agraria e rafforzamento della giustizia civile, e non unicamente militare.
  • Una pace duratura richiede di affrontare le cause strutturali del conflitto – disuguaglianza, assenza di uno Stato pienamente presente e disputa per le risorse naturali – sfide che la logica del Plan Colombia, centrata sul controllo, non fu pensata per risolvere.
  • La sfida principale consiste nel costruire un modello di sviluppo autonomo e giusto, non subordinato alla logica securitaria degli USA.

Il Plan Colombia mostra come la cosiddetta “guerra alla droga” sia stata, in realtà, una strategia di apertura economica forzata, funzionale alla consegna dei territori alle multinazionali sotto il pretesto della sicurezza.

CONCLUSIONI

  • Il Plan Colombia fu uno strumento di dominio geostrategico, non una politica autentica di sviluppo né di pace. La lotta al narcotraffico e al terrorismo fu utilizzata come giustificazione per una massiccia intervento militare.
  • Se da un lato rafforzò militarmente lo Stato colombiano e indebolì le guerriglie, dall’altro fallì nel dichiarato obiettivo di ridurre il narcotraffico e produsse costi umani e ambientali devastanti, come lo sfollamento di massa e la contaminazione causata dalle fumigazioni.
  • La riorientazione verso la “consolidazione” nella fase II non modificò il nucleo strategico, ma istituzionalizzò il controllo sui territori liberati, aprendo la strada a un modello economico estrattivista a beneficio degli interessi transnazionali.

Pur avendo ridotto la capacità delle FARC, il piano non costruì uno Stato né giustizia, ma favorì la proliferazione di nuove forme di violenza criminale, non affrontando le cause strutturali del conflitto come la disuguaglianza e la questione della terra.


Investigación especial

Plan Colombia: un gran negocio para la guerra y el capital extractivo

Eder Peña

El Plan Colombia, lanzado formalmente en 1999, fue una iniciativa de seguridad y cooperación bilateral entre Colombia y Estados Unidos que trascendió su retórica inicial contra el narcotráfico. Desde su concepción, estuvo profundamente entrelazado con los intereses geoestratégicos estadounidenses de consolidar su influencia en América Latina, controlar rutas logísticas y asegurar el control de los vastos recursos naturales colombianos.

Financiada mayoritariamente por Estados Unidos, se trató de una política que trascendió su narrativa oficial de iniciativa bilateral contra el narcotráfico para erigirse como un complejo andamiaje de injerencia en la región andina. Hay evidencias de cómo, bajo el paraguas de la “guerra contra las drogas” y posteriormente contra el “terrorismo”, Estados Unidos consolidó una presencia militar y una influencia política que sirvió a sus intereses hemisféricos, con consecuencias profundas y ambivalentes para la nación sudamericana.

GÉNESIS: CRISIS Y CONTRAINSURGENCIA 

A finales de la década de 1990, Colombia reunía una “tormenta perfecta“: crecimiento exponencial de cultivos de coca, debilidad institucional, expansión de las FARC y el ELN. El 13 de septiembre de 1999, el presidente Andrés Pastrana envió al Congreso el “Plan Colombia, Plan de Paz, Prosperidad y Fortalecimiento del Estado”, documento que pedía 7 mil 500 millones de dólares en tres años y que incluía “desarrollo alternativo, reforma agraria, protección de derechos humanos y negociación con la guerrilla”.

Sin embargo, la propuesta colombiana original apenas recibió respaldo externo, mientras la versión original asignaba el 55% del presupuesto a desarrollo social, la versión aprobada por Washington destinó el 78% a las fuerzas armadas y policía, convirtiéndolo en un plan de guerra disfrazado.

El 19 de enero de 2000, el presidente Clinton anunció un paquete de 1.300 millones de dólares centrado en “equipar tres batallones de contraguerrilla y adquirir 63 helicópteros UH-1N”. El Congreso estadounidense aprobó la iniciativa el 30 de junio de 2000 con la condición de que se desplazara el énfasis inicial colombiano y la firma del “Acta de Bogotá” –el 6 de octubre de 2000– selló una alianza en la que Estados Unidos proporcionaría “asistencia, inteligencia y doctrina; Colombia, territorio y mano de obra”, como lo describe el profesor de la Universidad Pedagógica Nacional de Colombia, Renán Vega Cantor.

Este giro respondió a intereses estratégicos de Estados Unidos tras la Guerra Fría. En el 2000, Amnistía Internacional se opuso al programa de ayuda militar para Colombia porque, como eventualmente ocurrió, escalaría el conflicto armado y la crisis de derechos humanos. Pero el Pentágono y el Departamento de Estado redefinían la insurgencia colombiana como “narcoterrorismo”, vinculando la lucha antidrogas con la contrainsurgencia.

El objetivo no era solo reducir la cocaína, sino neutralizar movimientos que desafiaban el orden neoliberal y asegurar el acceso a recursos estratégicos en una región clave para la seguridad energética y logística de Washington.

La dualidad quedó registrada y, mientras el discurso interno hablaba de “paz con desarrollo social”, el programa externo era de “seguridad hemisférica”.

La geoestrategia era implícita: Colombia “comparte frontera con Venezuela, Brasil, Perú y Ecuador, actúa como puente hacia el Canal de Panamá y posee cuencas petroleras, minas de oro, níquel, coltán y una biodiversidad que contiene entre el 10 y 15% de las especies mundiales”.

FASE I: MILITARIZACIÓN Y EFECTO REBOTE 

La primera fase del Plan Colombia, que coincidió con los gobiernos de Pastrana (hasta 2002) y el primer mandato de Álvaro Uribe (2002-2006), se ejecutó bajo la doctrina de la “guerra contra las drogas” y, tras los atentados del 11 de septiembre de 2001, se reenmarcó rápidamente dentro de la “guerra global contra el terrorismo” y la política uribista de “Seguridad Democrática”.

Entre 2000 y 2003 el flujo de ayuda de Washington alcanzó los 2 mil 500 millones de dólares, convirtiendo a Colombia en “el tercer receptor mundial de ayuda militar después de Israel y Egipto”. El núcleo operativo fue la creación del Comando Conjunto de Acción Contra las Drogas (JACD) y el despliegue de “600 asesores estadounidenses que, bajo inmunidad diplomática, entrenaron a 26 mil soldados en doctrina de contrainsurgencia”.

El grueso del esfuerzo bélico lo asumió Colombia, con un costo social devastador, debido al fuerte desequilibrio entre la intensidad del uso de la fuerza y las alternativas de vida para las comunidades.

Se dotó a las Fuerzas Militares Colombianas de helicópteros Black Hawk y Huey, equipos de inteligencia y entrenamiento por parte de asesores estadounidenses.

La herramienta más visible fue la campaña de fumigación aérea con glifosato sobre cultivos de coca, una política que, según documentos oficiales, buscaba reducir la oferta de cocaína en su origen.

El Plan Patriota (2003-2006) desplegó 18 mil hombres en el sur del país, zona rica en petróleo (Putumayo, Caquetá, Guaviare) y en reservas de uranio y oro. Los resultados inmediatos fueron militares: en 2004 las FARC perdieron la “Zona de Distensión” y 17 frentes; la superficie cultivada bajó de 163 mil hectáreas (ha) en 2000 a 86 mil en 2005.

Sin embargo, el éxodo campesino generó 2,9 millones de desplazados entre 1999 y 2005, la mayor crisis humanitaria del hemisferio occidental, según informes de prensa. La seguridad en las principales carreteras y ciudades mejoró notablemente, lo que se tradujo en un aumento de la confianza inversionista.

Según el mismo informe de la Defensa colombiana, entre 1999 y 2006 murieron 10 mil 789 militares y policías en combate; y 39 mil 492 civiles fueron asesinados por fuerzas militares y paramilitares aliadas. La violencia no solo no disminuyó, sino que se reconfiguró porque los paramilitares, con apoyo estatal, expandieron su control territorial, especialmente en zonas ricas en petróleo, carbón y biodiversidad.

En cuanto al objetivo declarado —la reducción del narcotráfico—, el fracaso fue evidente. Los cultivos de coca siguieron una trayectoria en “W”, es decir, cayeron inicialmente por la fumigación aérea, pero se recuperaron cuando los campesinos adaptaron sus técnicas. Cultivos lícitos fueron envenenados, se afectó la salud de las comunidades rurales y ecosistemas frágiles fueron dañados.

Para 2006, Colombia seguía siendo el mayor productor mundial de cocaína, pese a la inversión masiva en erradicación forzosa.

Los cultivos reaparecieron en zonas de selva nublada y la coca se industrializó, la producción pasó de 370 toneladas de clorhidrato en 2000 a 640 toneladas en 2006 y el precio “cayó 27% en las calles de Nueva York”.

Seis años después del inicio del Plan Colombia, el zar de la droga, John Walters, se vio forzado a silenciosamente admitir en una carta al Senado que en los Estados Unidos el precio de la cocaína había bajado, el flujo de droga hacia ese país había aumentado, y la pureza incrementado.

Estados Unidos consolidó presencia al obtener concesión para usar las bases de Tres Esquinas, Apiay y, desde 2009, Palanquero, “la más grande de Sudamérica, con capacidad para operar aviones AWACS y bombarderos B-52”. Los cables diplomáticos filtrados por Wikileaks (2010) revelan que la Fuerza Aérea estadounidense valoraba Palanquero como “plataforma para contingencias regionales”, es decir, “para vigilar Venezuela y la cuenca amazónica”.

Entre 1999 y 2004, 37 mil oficiales colombianos fueron formados en programas de Estados Unidos, muchos en la antigua Escuela de las Américas, vinculada históricamente a violaciones de derechos humanos. Este proceso consolidó un modelo de seguridad basado en la represión, no en la gobernabilidad democrática.

La política de “Seguridad Democrática” de Uribe, apoyada por el Plan, priorizó el golpear a la guerrilla, lo que en la práctica condujo a un dramático aumento de las violaciones de derechos humanos, incluyendo ejecuciones extrajudiciales (falsos positivos) y una profundización del desplazamiento forzado interno, uno de los más altos del mundo.

La paz y el desarrollo social, pilares de la versión original del Plan, quedaron subordinados a una victoria militar que consolidó el control geoestratégico estadounidense sobre el territorio, particularmente en áreas ricas en recursos como Putumayo y Arauca.

FASE II: TERRITORIALIZACIÓN Y EXTRACTIVISMO 

La segunda fase, conocida como “Plan Colombia II” o “Estrategia de Fortalecimiento de la Democracia y del Desarrollo Social 2007-2013 (EFDDS)”, buscó corregir los errores de la primera etapa mediante un enfoque más “integral”. Entre el segundo mandato de Uribe y la mayor parte del gobierno de Juan Manuel Santos (2010-2018), hubo un “reenfoque táctico”, aunque manteniendo los objetivos geoestratégicos de fondo, debido a la creciente evidencia del fracaso de las fumigaciones y las denuncias por violaciones de derechos humanos.

Esta fase estuvo marcada por dos factores clave:

  1. La profundización de la presencia militar estadounidense a través del acuerdo que concedió a Estados Unidos el uso de siete bases militares en Colombia en 2009. Este acuerdo, formalizado bajo el paraguas del Plan Colombia II, fue ampliamente interpretado como una estrategia para proyectar poder en la región, especialmente para contrarrestar la influencia del gobierno de Hugo Chávez en Venezuela.
  2. El inicio de los diálogos de paz entre el gobierno de Santos y las FARC en 2012 añadió una nueva dimensión. Estados Unidos, si bien apoyó formalmente el proceso, mantuvo una agenda de seguridad centrada en el narcotráfico, asegurando que la desmovilización de la guerrilla no significara un vacío de poder que afectara sus intereses.

Durante este período, Estados Unidos redujo su financiamiento directo a 4 mil 900 millones de dólares, pero mantuvo su influencia mediante asesoría, inteligencia y cooperación técnica. La ayuda comenzó a orientarse más hacia la consolidación territorial, el fortalecimiento institucional y la erradicación manual de cultivos, bajo programas como la “Estrategia de Consolidación Integral de la Macarena”.

La novedad fue el Plan Nacional de Consolidación Territorial que consistió en unos 100 municipios priorizados por su “valor estratégico”; esto se traduce en minas de carbón en Cesar, yacimientos de níquel en Montelíbano (Córdoba), uranio en Santander, biodiversidad en Chocó y reservas hídricas en la Sierra Nevada. Dicho programa desplegó el Centro de Coordinación de Acción Integral acompañado de entes estadounidenses como Usaid, DEA y militares que combinaban fumigación manual, regalías mineras y licencias de exploración.

Entes como la Usaid optaron por trabajar con un criterio de “corredores económicos” que tomaban en cuenta las zonas que poseen condiciones agrícolas favorables, proximidad a centros urbanos, de infraestructura y de comercialización; mientras dejaron de operar en zonas con una mayor concentración en la producción de cultivos ilícitos.

Colombia abrió vastas extensiones de tierra para la explotación minera. Para 2013, se abrieron 40 millones de hectáreas de tierra para la exploración y extracción de minerales, y el país incrementó los títulos mineros de 2 mil 965 en 2002 a 9 mil 426 en el año 2012. Según la minera canadiense Montauk Metals Inc. (anteriormente Galway Gold Inc.), en el período comprendido entre los años 2002 y 2010, el capital extranjero en Colombia aumentó de 466 millones de dólares a 4 mil 500 millones de dólares. Gran parte de este incremento estuvo relacionado con la minería. En el período comprendido entre los años 2006 y 2010, la producción de oro aumentó un 340%.

Esta fase comenzó con la expansión militar en 53 regiones de importancia estratégica donde operaban grandes empresas como BP, Repsol y Harken Energy, y la creación de dos batallones para proteger a las empresas mineras y energéticas. Durante este periodo, más de 9 mil títulos mineros fueron adjudicados, incluyendo parques nacionales y reservas indígenas, en lo que un ministro de Minas y Energía más tarde llamó una “piñata de concesiones mineras”.

Los resultados fueron mixtos. Por un lado, la capacidad militar de las FARC se redujo en un 68% entre 2002 y 2014. Los homicidios bajaron de 28 mil 837 en 2002 a 12 mil 673 en 2015, y los secuestros de 2 mil 882 a 210 en el mismo periodo. Pero las tasas de violencia seguían entre las más altas del mundo, y delitos como la extorsión se triplicaron (de 2 mil 83 casos en 2002 a 5 mil 304 en 2015).

En 2008 se conoció el caso de 19 jóvenes del municipio de Soacha y de la localidad de Ciudad Bolívar, en el sur de Bogotá, que habían aparecido en una fosa común en Ocaña, Norte de Santander, tras ser ejecutados y presentados como guerrilleros muertos en combate por parte del Ejército. La Jurisdicción Especial para la Paz (JEP) encontró que, por lo menos, 6 mil 402 colombianos fueron víctimas de muertes ilegítimamente presentadas como bajas en combate –o falsos positivos– entre 2002 y 2008. Se trata de los años en que gobernó Álvaro Uribe.

Por otra parte, la violencia no desapareció sino que se fragmentó. Surgieron las Bacrim y disidencias armadas que tomaron el control de zonas cocaleras y mineras. Por lo que esta fase no buscaba la paz, sino garantizar la estabilidad para la inversión extranjera en sectores estratégicos como la minería y la agroindustria.

El acuerdo de paz con las FARC en 2016 fue presentado como la culminación del Plan Colombia, pero fue posible “a pesar del Plan, no gracias a él”. La verdadera paz requiere desmantelar las estructuras económicas que convierten la violencia en un negocio, algo que el Plan nunca abordó.

El éxito militar de la fase I se consolidó en esta etapa, creando las condiciones de seguridad que hicieron posible la negociación. No obstante, el modelo económico extractivista (minero-energético y agroindustrial) se expandió sobre los territorios “recuperados”, a menudo en detrimento de las comunidades locales y el ambiente.

La fase II coincidió con el boom de hidrocarburos dado que Colombia pasó de producir 528 mil barriles diarios (2004) a 1 millón 7 mil (2013). La geoestrategia se consumaba: seguridad para las inversiones, inversiones para la seguridad.

Entre 2000 y 2015, Estados Unidos aportó 9 mil 940 millones de dólares, de los cuales el 71% fue a las fuerzas armadas y solo el 29% a programas sociales, restitución de tierras y justicia. El Plan Colombia II, por tanto, puede verse como la fase de institucionalización del control geoestratégico, donde la seguridad lograda permitió la integración económica de estos territorios a dinámicas globales favorables a los intereses de Washington y sus aliados locales.

BALANCE Y DATOS CLAVE

  • La inversión total superó los 16 mil 940 millones, convirtiéndolo en la mayor ayuda bilateral a un país latinoamericano en décadas.
  • El 72% de los recursos del Plan Colombia se destinaron al componente de apoyo militar y policial mientras que el 28% se destinó a iniciativas humanitarias, sociales y económicas, y a la administración de justicia.
  • La superficie cultivada de coca llegó a un pico de 253 mil ha en 2023 tras la suspensión de fumigación aérea por la Corte Constitucional, sin embargo, en 2001 la extensión era de 136 mil 918 ha.
  • El Ministerio de Defensa de Colombia contabilizó 25 mil 176 soldados, policías, guerrilleros, paramilitares y miembros de bandas criminales muertos en combate entre 2002 y 2015.
  • La Comisión por la Verdad registró 8 millones 775 mil 884 víctimas de cinco violaciones de derechos humanos: homicidios, desaparición forzada, secuestro, reclutamiento y desplazamiento forzado.
  • Por lo menos 450 mil 664 personas perdieron la vida a causa del conflicto armado entre 1985 y 2018, 45% de ellos entre 1995 y 2004; y 205 mil 28 víctimas a manos de grupos paramilitares.
  • 121 mil 768 personas fueron desaparecidas forzadamente en el marco del conflicto armado, en el periodo entre 1985 y 2016; 52% de ellas a manos de grupos paramilitares.
  • 50 mil 770 fueron víctimas de secuestro y toma de rehenes en el marco del conflicto armado entre 1990 y 2018. Entre 1995 y 2004 hubo 38 mil 926 víctimas (77% del total de secuestros) y solo entre 2002 y 2003 fueron 11 mil 643 víctimas (23% del total); 40% de ellos a manos de las FARC.
  • Cerca del 80% de personas muertas en el conflicto fueron civiles y el 20% combatientes. Entre 1958 y 2019 se registraron al menos 4 mil 237 masacres, 1.620 de ellas (38%) entre 1998 y 2002.
  • Entre 1978 y 2016 hubo por lo menos 8 mil 208 ejecuciones extrajudiciales. Por lo menos 6 mil 402 víctimas, bajo la modalidad de “falsos positivos”, ocurrieron entre 2002 y 2008 en 31 departamentos.

Estados Unidos logró convertir a Colombia en su principal aliado militar en la región, con siete bases de acceso facilitado y una política exterior alineada. Pero el Estado colombiano quedó hiper-militarizado y con instituciones civiles débiles, incapaz de garantizar justicia o desarrollo en vastas regiones rurales.

LECCIONES APRENDIDAS 

Una estrategia predominantemente militar, aunque pueda producir victorias tácticas, es incapaz de resolver problemas estructurales como el narcotráfico, que tienen raíces socioeconómicas.

La ayuda estadounidense es un instrumento de influencia geoestratégica que subordina los intereses y el bienestar de la población local a los objetivos de seguridad nacional de la potencia donante.

El caso colombiano representa la imperiosa necesidad de que las estrategias de seguridad estén estrechamente ligadas a políticas de desarrollo rural integral, reforma agraria y fortalecimiento de la justicia civil, no solo militar.

La paz duradera requiere abordar las causas que dieron origen al conflicto –desigualdad, falta de presencia estatal integral y disputa por los recursos naturales–, un desafío que la lógica del Plan Colombia, centrada en el control, no estuvo diseñada para resolver.

El mayor reto es construir un modelo de desarrollo autónomo y justo, que no dependa de la lógica de seguridad estadounidense.

El Plan Colombia muestra que la “guerra contra las drogas” es una estrategia de apertura económica forzada para la entrega de territorios a multinacionales bajo el pretexto de la “seguridad”.

A modo de conclusión:

  • El Plan Colombia fue un instrumento de dominación geoestratégica, no una política de desarrollo ni de paz genuina. Se utilizó la lucha contra el narcotráfico y el terrorismo como justificación principal para una intervención militar masiva.
  • Si bien fortaleció al Estado colombiano militarmente y debilitó a las guerrillas, fracasó en su objetivo declarado de reducir el narcotráfico y generó costos tanto humanos como ambientales devastadores, como el desplazamiento masivo y la contaminación por fumigaciones.
  • La reorientación hacia la “consolidación” en su fase II no alteró su núcleo estratégico, sino que institucionalizó el control sobre territorios despejados, facilitando un modelo económico extractivista que beneficia a intereses transnacionales.

Aunque debilitó a las FARC, no construyó Estado ni justicia, sino que permitió la expansión de nuevas formas de violencia criminal al no abordar las causas estructurales del conflicto, como la desigualdad y la tenencia de la tierra

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