Venezuela: interviste a Ricardo Molina e Wills Rangel

Intervista al ministro venezuelano di Ecosocialismo, Ricardo Molina

Nel nostro programma settimanale, Abrebrecha Venezuela, abbiamo avuto il piacere di ospitare Ricardo Molina, Ministro per l’Ecosocialismo e membro della Direzione Nazionale del PSUV. Un quadro politico di grande esperienza, che ha ricoperto molti incarichi importanti nella Rivoluzione Bolivariana, tra cui quello di Ministro per l’Habitat e l’Abitazione.

di Carlos Aznárez e Geraldina Colotti

Ministro, potrebbe sintetizzare qui la nuova politica a lungo termine del Ministero che dirige e come si allinea con la visione del presidente Maduro di incorporare il popolo organizzato, in particolare in materia ambientale?

Stiamo sviluppando una politica innovativa e a lungo termine, che si può raggiungere solo con la partecipazione popolare. La visione del Presidente Maduro di incorporare il popolo organizzato è l’unica via. Il nostro impegno attuale è coinvolgere in materia ambientale le 5.336 Sale di Governo Comunale. In altre parole, l’autorità ambientale deve essere esercitata in ciascuna di queste 5.336 sedi comunitarie. Questo non è semplice, richiede organizzazione, formazione e rafforzamento della coscienza, ma è la dimostrazione che il potere popolare può e deve governare il proprio territorio.

Possiamo governare noi nel nostro territorio e possiamo farlo sempre meglio. E lo facciamo con la partecipazione di tutti e tutte, è una cosa estremamente gratificante. Ci si sente utili facendo questo lavoro per la rivoluzione. Anche se non si vede subito il grande risultato, sappiamo che tra qualche anno avremo un cambiamento significativo in materia ambientale.

Inoltre, possiamo dimostrare che ciò si può fare in qualsiasi altro settore, per quanto possa sembrare ancor più complicato: per esempio nel settore della Sicurezza Cittadina, dove il ministro Diosdado Cabello sta facendo un lavoro straordinario con i quadranti di pace anche a partire dalle Comuni; o in tema economico, dove la nostra vicepresidenta, Delcy Rodríguez sta facendo un lavoro eccellente nell’attivazione delle unità produttive comunali. E così in tutti i settori, affinché il potere popolare governi veramente. E deve essere a partire da lì, dalla Sala di Governo Comunale. Questa è la direttiva che abbiamo dal presidente Maduro ed è su questo che stiamo lavorando.

In un mondo complesso, molto aggressivo e con un avanzamento dell’imperialismo in tutti i settori: come difendere meglio la Terra? Questo è un tema che interessa trasversalmente tutto il continente. A questo proposito, il Venezuela è in procinto di realizzare a Caracas un incontro internazionale sul tema. Perché un Congresso Mondiale per la Madre Terra adesso, e chi sono i principali soggetti che parteciperanno?

Bene, guardate, il presidente Maduro ha ideato una politica integrale che ha a che fare con la realizzazione di azioni dirette e concrete in difesa dei diritti della Madre Terra: in modo trasversale, con la partecipazione di tutti i settori sociali, politici ed economici, in tutto il territorio, con la diversità culturale che ci caratterizza, ognuno a suo modo, ma con politiche ben definite. Questo ha una lunga storia che possiamo far risalire al 1825 con il decreto del Libertador Simón Bolívar, noto come il Decreto di Chuquisaca, quando ordinò un’azione concreta di recupero della natura che era stata devastata non solo dalla guerra ma anche dalla spoliazione imperiale spagnola. Successivamente, il comandante Chávez riprende questo concetto e crea la Missione Albero, dando importanza alla protezione della natura e dell’ambiente in tutte le azioni che portiamo avanti. Ma il presidente Maduro concretizza questa visione e rende realtà una proposta che possiamo dire sia iniziata con il Comandante Hugo Chávez: una nuova visione, che è l’Ecosocialismo.

Che cos’è per lei l’Ecosocialismo?

Quando le persone me lo chiedono, lo riassumo in modo molto semplice, anche se non semplicistico. Noi diciamo: è la soddisfazione dei bisogni umani con equità e con un profondo rispetto per la natura. È il modo di relazionarci sempre meglio con la Madre Terra. Il Venezuela sviluppa tutte queste politiche partendo dall’organizzazione popolare e, poi, da tutto ciò che riguarda l’educazione. Vogliamo raggiungere i cento milioni di piante all’anno, una cosa che non è mai stata fatta, ma ci riusciremo. Vogliamo difendere meglio le politiche di protezione della fauna selvatica, dare un approccio integrale e diverso alla gestione dei rifiuti e degli scarti, e impegnarci in tutte le attività economiche per migliorare il loro legame con la natura, adottando misure che implicano la modifica di ciò che facciamo per generare meno CO2 in ogni attività. E possiamo farlo, poco a poco, modestamente, senza grandi investimenti, ma con molta conoscenza.

Il presidente ha collegato il compito di relazionarsi con l’ambiente in modo diretto e profondo con il settore della scienza e della tecnologia. L’analisi scientifica e l’innovazione in materia ambientale hanno molto a che fare, e questo in vista della COP 30. Noi siamo molto critici nei confronti di queste COP. Questa sarà la trentesima, e nelle ventinove precedenti, in verità non è successo molto, per non dire nulla. I paesi potenti, che sono i principali responsabili delle emissioni di gas serra e del riscaldamento globale, partecipano a queste COP, si impegnano a fare cose e poi non le rispettano. Pretendono di dare la colpa al Sud globale e vogliono condannare i popoli a non consumare carbone, per esempio, che pur generando un’importante emissione di CO2, è la loro unica risorsa. Non possiamo condannare i popoli poveri a non soddisfare i loro bisogni. Loro, i manovratori, all’inizio di quella che chiamiamo la Rivoluzione Industriale, hanno utilizzato il carbone in modo brutale e ora pretendono che i popoli del Sud globale non soddisfino i loro bisogni con fonti energetiche che, sebbene sappiamo che sono inquinanti, sono le uniche che hanno.

Come si può raggiungere un equilibrio, dato il livello di accelerazione raggiunto dalla contraddizione capitale-natura?

Il presidente Maduro ha detto: in vista della COP 30, chiamiamo tutti e riuniamoci a Caracas per definire una posizione e portare la voce dei popoli che parteciperanno a questo incontro a Belém do Pará come una posizione unica. Cosa si aspettano i popoli che venga portato alla COP 30? Cosa si aspettano i popoli che venga deciso lì e come garantiamo che queste cose diventino realtà? E quindi, in questi tre giorni, l’otto, nove e dieci ottobre, discuteremo di temi complessi ma necessari. Per esempio, come ci relazioniamo con la Madre Terra per continuare a soddisfare i nostri bisogni. Discuteremo apertamente e senza filtri la crisi climatica e il modello socioeconomico imperante. Come questo modello economico ci ha portato a questa crisi e cosa propongono i popoli per migliorare questa situazione? Discuteremo quali sono i diritti dell’essere vivente come essere integrale, di cui noi facciamo parte.

Con il ritorno di Trump al governo degli Stati Uniti, è aumentato il peso di coloro che negano l’esistenza del cambiamento climatico. Come si affronterà il tema nel Congresso Mondiale per la Madre Terra a Caracas?

C’è gente che non riconosce la Madre Terra come un sistema vivo; questi fanno parte dei negazionisti che dicono: «il riscaldamento globale è una bugia, i gas serra sono falsi». E risulta, invece, che abbiamo sempre più prove palpabili che è vero, e ci sono popoli che ne soffrono. Ci sono culture che si sono modificate completamente perché le condizioni ambientali sono cambiate radicalmente. Non è una bugia che il livello del mare sta salendo, e gli esperti dicono che entro il 2100 circa trecento milioni di persone nel mondo dovranno spostarsi. Sono cose che stanno accadendo e di cui dobbiamo discutere. Discuteremo anche come affrontare la difesa di coloro che difendono i diritti della Madre Terra, ma che sono aggrediti, perseguitati, silenziati e che generano conflitti socio-ambientali in cui sono state assassinate o sfollate persone, come nel caso dei Mapuche in Cile e molti altri. Come facciamo a dare voce a quei popoli che difendono i diritti della Madre Terra, ma che sono perseguitati e criminalizzati?

Vogliamo discutere tutto questo nel Congresso. Vogliamo parlare di una cosa che quasi nessuno affronta: gli incendi forestali. È che dietro gli incendi forestali c’è di nuovo un immenso affare del capitalismo, perché molte di quelle terre sono sotto la protezione di polizze assicurative e incendiano quelle grandi estensioni per riscuotere l’assicurazione. E in più, dato che sono bruciate, ora le dedichiamo all’allevamento o all’agricoltura estensiva. È una trappola del capitale. Gli incendi forestali non si originano per caso, ma nessuno ne discute. Dobbiamo sollevare queste cose che sono scomode per il mondo capitalista, ma di cui i popoli parlano apertamente e hanno proposte concrete. Vogliamo ascoltarli e portare una sola voce alla COP 30 a Belém do Pará a novembre.

A che punto si trova oggi la Rivoluzione Bolivariana, che sta facendo proposte per realizzare lo Stato Comunale, ma allo stesso tempo deve rispondere a un brutale attacco imperialista?

Bene, noi abbiamo una posizione molto ferma. Siamo decisi a continuare con un progetto che sempre più vediamo non essere nazionale, ma un progetto dell’umanità, e che umilmente difendiamo e portiamo avanti di fronte alle minacce dell’impero statunitense. Non siamo mai stati sulla difensiva, siamo sempre stati all’offensiva con una politica di pace. Non siamo guerrafondai, siamo difensori della pace. Come, però, diceva il comandante Hugo Chávez: «Questa è una rivoluzione pacifica, ma armata», e non solo dal punto di vista bellico: armata dal punto di vista della coscienza. È impressionante quando si va per strada e si ascolta il popolo venezuelano parlare dell’attuale situazione di minaccia evidente, di insolenza, di schierarsi al limite del nostro mare territoriale, non più come un nemico politico, ma come un nemico bellico. E la posizione del nostro popolo è: «Va bene, sono lì, e allora? Che vengano avanti, dunque!». Così reagisce la nostra gente. Solo che quel coraggio, quell’irriverenza, ha un canale molto chiaro perché abbiamo un Comandante in Capo. Il presidente Nicolás Maduro sta comandando tutte le azioni e il popolo venezuelano è attento ai suoi orientamenti. Qui, siamo tutti dei coraggiosi, ma siamo anche tutti disciplinati all’ordine del nostro Comandante in Capo per qualsiasi evenienza.

E qual è stata la risposta del popolo venezuelano all’orientamento del presidente Maduro?

Più organizzazione, più lavoro, più pianificazione nelle azioni. Il Presidente ci ha detto: siamo in una situazione complessa, forse una delle più complesse in questi ventisei anni, ma questo non significa che ci fermeremo. Dobbiamo continuare a produrre, sviluppare l’agricoltura, spingere l’economia. Le fabbriche devono rimanere aperte, la gente deve muoversi, le scuole e le università devono funzionare. Ed è così che l’abbiamo affrontata, con la convinzione che loro vadano pure avanti con la loro visione. Ma noi sappiamo cosa dobbiamo fare e stiamo sviluppando il nostro piano. Il Venezuela è un paese di un milione e centomila chilometri quadrati e trenta milioni di persone, in realtà un paese piccolo, ma con una morale invidiabile. E così, piccolini come siamo, non ci faremo sopraffare. È una decisione storica che abbiamo preso, e lì ci manterremo.

Allora, cosa vediamo? Vediamo che, indipendentemente da ciò che l’impero statunitense decida di fare, il popolo venezuelano con il suo leader andrà avanti. Abbiamo un enorme vantaggio: un popolo organizzato con un leader che non tradisce né tradirà mai; un partito solido che ha la capacità di orientare su tutto il territorio nazionale; un piano di governo chiaro costruito tra tutti e tutte, pronti a realizzarlo; e con la nostra arma segreta, l’unità popolare militare-poliziale che si rafforza sempre di più. Queste sono le cinque basi della nostra rivoluzione, dal mio punto di vista, e per le quali siamo sicuri che andremo avanti. Queste cinque basi sono gli elementi che hanno permesso alla rivoluzione non solo di perdurare, ma di consolidarsi, cosa che non accade in altri processi progressisti.

A proposito di collaborazione tra popoli fratelli. Avete una relazione importante con il Movimento Senza Terra del Brasile, non da ora, ma dall’inizio della rivoluzione, nello scambio, nella presenza di consiglieri del MST per il tema delle sementi, per la lotta contro gli OGM. Come sta andando questa lotta contro le corporazioni degli OGM che tanto fanno nel continente per distruggere la Terra?

Bene, guardate, noi abbiamo una tremenda opportunità. Il MST, che da decenni lotta contro un sistema oppressore, con persecuzioni e difficoltà, ha mantenuto la posizione, anzi l’ha rafforzata. La resistenza e convinzione dei compagni e delle compagne del MST sono un esempio da seguire. Ma in Venezuela abbiamo avuto una tremenda fortuna, ed è che da quando è arrivato il comandante Hugo Chávez, tutte queste iniziative e proposte hanno potuto convertirsi in politiche di Stato.

Quando abbiamo iniziato a lottare contro l’intromissione delle transnazionali nell’agricoltura estensiva e contro il tentativo di introdurre semi OGM e pacchetti tecnologici pieni di veleni, il primo a fare un passo avanti è stato il presidente. Il comandante Hugo Chávez ha spinto un intero movimento per generare una Legge sulle sementi che proibisce l’uso di semi OGM in Venezuela. Questo non succede in nessun’altra parte del mondo. Qui il popolo organizzato sente un enorme sostegno nel realizzare le sue proposte. A volte perdiamo la prospettiva, notando che la necessità di essere in resistenza permanente non è solo all’interno del Venezuela, poiché facciamo parte di un sistema globale molto potente. Ma qui possiamo fare cose che in altre parti del mondo non si possono fare, come il fatto che il popolo organizzato assuma capacità di governo, prenda decisioni ed emetta pronunciamenti ufficiali nella sua comuna.

Quindi, per noi, la relazione con i compagni e le compagne del MST è molto importante perché ci permette di non perdere la prospettiva dello scenario di lotta permanente. Posizionarci sempre in resistenza, mai sulla difensiva, sempre all’offensiva. Siamo sempre impegnati a rafforzare queste relazioni. Guardate, per questo evento del Congresso Mondiale per la Madre Terra vengono circa duecento movimenti sociali da cinquantatré paesi, movimenti sociali che sono tutti in lotta, tutti in resistenza, e vengono in Venezuela per vedere come qui, essendo in lotta e in resistenza, convertiamo queste idee in politiche di Stato.

Prima ci stava parlando di come il tema ambientale si va costruendo nelle Sette trasformazioni, come si inserisce nella visione dello Stato Comunale. Come lo spiegherebbe alla gente in Europa o in altre parti del mondo capitalista?

Bene, guardate, abbiamo organizzato il nostro territorio in una nuova configurazione politico-amministrativa. Oltre a 24 stati e 335 municipi, ora abbiamo 5336 ambiti territoriali piccoli, dove ci sono tra 250 e 1200 famiglie per comuna. In quello spazio sono state istituite le Sale di Governo Comunale, che sono i luoghi da cui si esercita il governo in quel territorio. All’interno della Sala di Governo Comunale ci sono sette ambiti di potere, uno per ognuna delle sette trasformazioni del Piano della Patria. Una di queste trasformazioni è la trasformazione Ecosocialista con Scienza e Tecnologia. Quindi, in ogni Sala di Governo Comunale c’è un Consiglio Ecosocialista composto da portavoce eletti all’interno della comunità che esercitano l’autorità ambientale in quella comuna. Gruppi di comunas hanno politiche unificate per sottoregione, e poi li raggruppiamo per regioni e a livello nazionale.

In questo modo, però, non si disintegra lo Stato?

No, non c’è un frazionamento dello Stato, è lo Stato che deconcentra volontariamente il suo potere. Anche se la politica è centralizzata, l’esercizio di quella politica è diffuso, ramificato, de-concentrato e ognuno nel suo territorio si rende conto che è lì stesso, è nel suo territorio, che può esercitare la politica.

Per esempio, una cosa semplice: nella mia comuna c’è qualcuno che inizia un’attività di disboscamento? La cosa normale in uno stato burocratico è fare una denuncia che arriva in un ufficio che va fino alla capitale, e quando torna indietro, chi ha disboscato ha già finito di distruggere il bosco. Se l’esercizio dell’autorità ambientale è locale, dalla Sala di Governo Comunale, i portavoce del Consiglio di Ecosocialismo fermano immediatamente l’azione e iniziano a lavorare su un piano di gestione di quel bosco in modo coordinato. Non è che non si debba disboscare, se ce n’è necessità, ma che si disboschi in modo organizzato con una visione di sostenibilità: e che si capisca che ciò che facciamo influisce sugli altri e ciò che fanno gli altri influisce su tutti noi. Quindi, è molto più facile avere il controllo territoriale se il potere viene esercitato in quel modo. È la teoria del «formaggio grattugiato» del nostro maestro Aristóbulo Istúriz: se hai un blocco di formaggio di cinquanta chili, è facile che qualcuno se lo porti via, ma se quel formaggio lo grattugi e lo distribuisci, come lo raccolgono per rubarlo? Quello è l’esercizio della vera democrazia nel territorio, e lo faremo.

L’attacco che sta affrontando il Venezuela da parte dell’imperialismo Usa, oggi che sta rilanciando con forza la proposta socialista, ricorda ciò che accadde dopo i decreti esecutivi del Comandante, quando si pose fine alla pesca a strascico, e si rimise la rotta della sovranità nelle mani del popolo: e ci fu il colpo di stato del 2002. Fino a che punto ha potuto arrivare la rivoluzione bolivariana, considerando i danni delle “sanzioni” che hanno imposto anche una maggior apertura al capitale privato?

Certo, ma noi abbiamo imparato da tutti questi attacchi. Nel manuale delle aggressioni imperialiste, che abbiamo dovuto sperimentare per intero, credo che il novantanove per cento di ciò che vi è scritto ci abbia rafforzato. Per questo, con più di mille e cento misure coercitive unilaterali che pretendevano di paralizzare il paese, siamo riusciti ad avanzare e il sistema economico venezuelano si è rafforzato. Oggi, più del novantacinque per cento di ciò che mangiamo lo produciamo nel territorio. Prima non era così, e nel quadro delle aggressioni ci siamo visti costretti a sviluppare nuovi modi di fare le cose. Ci siamo dimostrati da soli di cosa siamo capaci. Il popolo venezuelano oggi è molto più forte di quanto non fosse venticinque anni fa e abbiamo intrapreso azioni concrete.

Certo, l’imperialismo ogni volta che vede dei progressi, cerca di fermarli. Diciamo che gli è andata facile nel 2002, perché avevamo un sacco di traditori e apatridi qui in Venezuela che hanno facilitato quelle azioni e permesso un colpo di Stato che poi il popolo stesso e la nostra Forza Armata hanno invertito rapidamente. Oggi l’imperialismo non può contare sulla stessa forza al nostro interno. Nei sondaggi realizzati a seguito di questa minaccia insolente del governo statunitense, il novantatré per cento del popolo venezuelano si è detto contrario a un’aggressione militare. L’altro sette per cento, come ci spiegava ieri il capitano Diosdado Cabello, è composto da un quattro per cento di persone che non esprimono opinioni (quelli che si mettono nella casella «non sa, non risponde», che cataloghiamo come timorosi o codardi) e solo il tre per cento è d’accordo con un’invasione. Questi sono i traditori. Inoltre, è un tre per cento che non ha leadership, che è totalmente deluso e i cui negoziatori ladri non sono più nel paese.

Vale a dire, non hanno forza interna. L’unica opzione che avrebbero è un’aggressione esterna, e si sta complicando perché tutto il mondo è attento. Un paese piccolino di trenta milioni di abitanti, che non ha armi nucleari, che è territorio di pace, sta per essere aggredito dalla potenza più terribile e assassina della storia dell’umanità. Il mondo è attento e noi lo sappiamo. Ripeto come abbiamo iniziato: non ci importa, siamo piccolini, ma abbiamo morale e abbiamo il sangue dei libertadores e delle libertadoras. I geni di Bolívar sono vivi nelle nostre vene. Ci lascino in pace. Abbiamo un progetto troppo bello e siamo convinti che continueremo a svilupparlo.

L’opposizione di estrema destra, che ha forti addentellati nell’amministrazione nordamericana, preme, però, per l’intervento armato prima che scadano i sessanta giorni previsti dal decreto Trump per poter aggredire il Venezuela con il pretesto del terrorismo e del narcotraffico. Quale esito può avere questa pressione?

Per prima cosa, io credo che il governo degli Stati Uniti sia in difficoltà. Hanno aperto loro stessi una via che ora non sanno come chiudere. Sono pienamente consapevoli che se facessero un passo avanti con un’aggressione bellica, inizierebbero una strada senza ritorno. Non sarebbe una questione di due o tre giorni, sarebbe una camminata molto lunga, e nelle lunghe camminate loro hanno sempre perso, e lo sanno. Spero che prevalga il buon senso e che queste azioni non vadano oltre le bravate. L’America Latina e i Caraibi sono un territorio di pace, e dobbiamo fare tutto il necessario affinché rimanga tale.

Dopo questo Congresso Mondiale, quale proposta porterà il Venezuela alla COP 30, dal punto di vista dei movimenti popolari?

L’altra cosa che porteremo alla COP 30 è, principalmente, e con tutta umiltà, quella di spiegare in cosa consista il nostro modello. La crisi climatica non può essere combattuta dai governi né dalle grandi imprese. La crisi climatica si può combattere solo a partire dai popoli: dai popoli organizzati nei loro territori, mediante azioni concrete e con la costruzione di metodi propri adattati alle loro condizioni. Abbiamo un modello molto semplice ma molto bello, ideato dal presidente Nicolás Maduro. In ogni comunità, la gente sviluppa quello che chiamiamo la Mappa delle Soluzioni (quali sono le circostanze, i problemi e le soluzioni) e poi si costruisce l’Agenda Concreta di Azione (a cosa diamo la priorità e come risolviamo questi problemi) dalla comunità stessa con l’aiuto del Governo.

Siamo convinti che questo si possa fare solo a partire dal potere popolare organizzato. In Venezuela abbiamo la fortuna che il potere popolare organizzato ha il sostegno del governo nazionale e una guida che è il Piano della Patria. Insisteremo nel portare questo esempio, che dà sempre migliori risultati, in questi scenari. Non è dai governi, non è dalle corporazioni transnazionali, è dai popoli che si può affrontare il cambiamento climatico. Questa è la posizione che porteremo, oltre a tutte le raccomandazioni che emergeranno da questo straordinario Congresso Mondiale per la Madre Terra, che sarà sicuramente molto proficuo.


Intervista al dirigente sindacale venezuelano, Wills Rangel

In occasione del Terzo Congresso della Centrale Bolivariana Socialista dei Lavoratori e delle Lavoratrici (CBST), abbiamo invitato al nostro programma Abrebrecha Venezuela, il presidente della Centrale, Wills Rangel. Un dirigente politico venezuelano, con più di 33 anni di esperienza nell’industria petrolifera e in campo sindacale, che inoltre è stato deputato all’Assemblea Nazionale Costituente, nel 2017.

di Carlos Aznárez e Geraldina Colotti

Benvenuto, Wills. Ti abbiamo visto, insieme al ministro del Lavoro, il compagno Eduardo Piñate, al Terzo congresso della CBST, esaminare il futuro del progetto bolivariano dalla prospettiva dei lavoratori. Cosa è risultato da questo congresso e come si prepara la classe operaia in questa fase di aggressione dell’imperialismo nordamericano?

Grazie, Geraldina e compagno Carlos, per l’opportunità. Effettivamente, ci spettava celebrare il Terzo Congresso della nostra Centrale Bolivariana, che compie già quattordici anni. Questa Centrale, come sapete, è stata costruita grazie all’unità di tutti i lavoratori e le lavoratrici venezuelane, incluse le federazioni settoriali, le federazioni statali nei ventiquattro stati, e tutti i sindacati derivati.

In questo Terzo Congresso, abbiamo redatto una serie di documenti, naturalmente in linea con il Piano della Patria e con la realtà che vive il mondo del lavoro: l’intelligenza artificiale, il lavoro sulle piattaforme e, più all’interno, la trasformazione di quelle che abbiamo chiamato le Sette Trasformazioni che il Presidente ha lanciato nella sua campagna e che, attraverso l’Assemblea Nazionale, oggi sono legge.

Dentro queste Sette Trasformazioni c’è l’obiettivo di andare verso lo Stato Comunale. Noi, come classe operaia, sappiamo che sia nelle comuni produttive sia in tutte le comuni ci sono lavoratori e lavoratrici. Perciò, dobbiamo renderci visibili nel tema dell’economia locale, nel territorio, per impedire che l’impero e l’oligarchia creola continuino a bloccare il nostro benessere.

Il presidente Maduro ha proposto una Costituente Operaia. Di cosa si tratta?

Nella visione geopolitica che sta concretizzando il presidente Nicolás Maduro, leader fondamentale dei lavoratori, ci ha convocato a una Costituente Operaia, qualcosa di superiore a un congresso. Il tema è trasformare tutto il processo storico del movimento sindacale venezuelano, che è plasmato nella nostra Legge Organica dei Lavoratori e delle Lavoratrici. Come sapete, abbiamo avuto un dibattito che abbiamo fatto per strada, in assemblee, in incontri, con tutti i settori del paese. Abbiamo costruito una legge noi stessi, a differenza della Quarta Repubblica, quando le norme venivano scritte negli studi legali secondo tutte le prerogative del capitale, di Fedecámaras e dei loro alleati. Questa legge l’abbiamo fatta noi lavoratori e lavoratrici.

Questa legge è per noi il programma dei lavoratori venezuelani, quello che abbiamo costantemente difeso all’OIL. È un programma in cui si garantiscono, in base agli interessi dei lavoratori, tutti i patti che abbiamo sottoscritto con l’OIL, specialmente la libertà sindacale, il tripartismo (Governi, Datori di Lavoro, Lavoratori), il salario minimo e le convenzioni 26, 87 e 144, che è stata la bandiera che Fedecámaras ha portato all’OIL contro il Venezuela. Siamo convinti che questa legge contempli tutte le lotte storiche, anche del movimento sindacale mondiale.

Di fronte a questa convocazione che ci ha fatto il presidente, abbiamo riorientato quello che doveva essere il Terzo Congresso e andremo a una Costituente Sindacale Operaia che ci permetterà di allinearci con il Piano della Patria e le Sette Trasformazioni (2025-2030) per andare a qualcosa di superiore nella lunga traiettoria. Il nostro obiettivo è realmente porre fine una volta per tutte a quel vecchio sindacalismo asservito al capitale, quello che organizza Fedecámaras e gli imprenditori in Venezuela, e che hanno dimostrato nella serrata petrolifera padronale quando ci fu il colpo di Stato del 2002. Dobbiamo trasformare queste vecchie scorie del sindacalismo giallo. Siamo convinti che ciò si realizzi con una costituente in cui parteciperemo tutti i lavoratori per il dibattito in base alla nostra Costituzione e, soprattutto, alle Sette Trasformazioni, e andare a quello che sarà lo Stato Comunale.

Come state vedendo voi, come movimento sindacale, combattivo, antiburocratico e rivoluzionario, la strategia di aggressione che sta portando avanti l’imperialismo a livello globale, come si vede con il genocidio in Palestina, e in particolare la minaccia che incombe sulle vostre coste?

Come sapete, la classe operaia e i lavoratori della Centrale maggioritaria siamo, in maggioranza, militanti della sinistra, difensori del progetto bolivariano, della Costituzione e della nostra Legge Organica. Il famoso decreto Obama, Premio Nobel per la Pace, con cui ha stabilito che il Venezuela era una minaccia inusuale e straordinaria per gli Stati Uniti, si è basato sulla convinzione che una volta scomparso fisicamente il comandante Chávez, noi avremmo fatto crollare la speranza del popolo venezuelano per il progetto Bolivariano. Ma si sono sbagliati. La situazione è stata di allineamento con il nostro fratello presidente.

 Abbiamo dato battaglia sotto tutti gli aspetti: economici, politici e nella difesa della patria. Noi ci stiamo organizzando nella Milizia da molto tempo, perché la difesa della patria in Venezuela non è solo della Forza Armata Nazionale Bolivariana, è di tutto un popolo. È costituzionalmente stabilito nell’articolo 326 che la difesa della patria è di corresponsabilità.

Nel 2018, nel Secondo Congresso, abbiamo approvato i Consigli Produttivi dei Lavoratori e delle Lavoratrici (CPTT), che non sono altro che una risposta alle più di mille azioni di blocco e guerra contro le industrie fondamentali del Paese. Di fronte alle misure coercitive, noi lavoratori, con la nostra esperienza, ci siamo costituiti in Consigli Produttivi per “fare di più con meno”, come diciamo da noi. Nell’industria petrolifera, per esempio, di cui sono lavoratore e in cui mi occupo delle operazioni di produzione, la nostra esperienza è stata molto utile per mantenere l’operatività nonostante il blocco. Questa industria ha più di cento anni e il modello di gestione era quello delle multinazionali; la nostra strumentazione dipendeva per la maggior parte dall’impero (USA e Inghilterra), e tutti si sono allineati contro il Venezuela. Abbiamo creato i nostri CPTT e, in tema di difesa della patria, ci siamo costituiti in quelli che chiamiamo Corpi Combattenti.

Qual è la loro funzione?

Questi Corpi Combattenti esistono per garantire la produttività e la produzione delle nostre entità di lavoro, in qualsiasi circostanza, specialmente nelle aziende che attraversano l’economia. Inizialmente, quando creammo i CPTT, ci fu un blocco delle aziende che dipendono da Fedecámaras, quello che fu conosciuto colloquialmente come il bachaqueo (contrabbando), in cui gli imprenditori nascondevano i prodotti e poi li vendevano per altre vie per colpire il benessere del popolo, sperando che si sollevasse contro la Rivoluzione. Noi, con la nostra coscienza politica, e identificando pienamente i nostri nemici (i “Leopoldo” che sono oggi negli USA e in Spagna, e Fedecámaras al suo tempo), siamo stati l’avanguardia con i CPTT per controllare la produzione nei primi tre motori che il Presidente ha creato: agroalimentare, pulizia della casa e medicina.

Poi ci siamo espansi a tutte le altre aziende. Con l’avanguardia dei CPTT e dei Corpi Combattenti, cerchiamo di garantire la produttività qualunque cosa accada. Come Corpi Combattenti, siamo costantemente allineati con la Milizia Territoriale, che si trova nell’intorno delle nostre aziende, e con l’Alto Comando della Milizia Nazionale Bolivariana, che in Venezuela è il quinto componente. Inizialmente avevamo più di 4,5 milioni di compagni e compagne arruolati. Ora, con le aggressioni più recenti dell’impero, più concrete, con missili e armamento, e la presenza di 4.000 marine che puntano al Venezuela, il Presidente ci convoca come popolo ad arruolarci.

La destra dice che Maduro sta militarizzando la società. È così?

No. Ci arruoliamo nel quadro dell’articolo 326 della Costituzione, relativo alla corresponsabilità nella difesa della patria, e in quello della Terza Trasformazione. Siamo un Paese storicamente di pace, che è andato a conquistare la pace. Non siamo mai andati ad aggredire nessuno. Ma, come disse Bolívar, in pace ci prepariamo per difenderla. Per questo oggi più di 8.500.000 venezuelani e venezuelane ci siamo arruolati.

Sottolineiamo che il presidente operaio, Nicolás Maduro, è un esempio del fatto che noi possiamo assumere il potere, i lavoratori e le lavoratrici. Per questo osiamo chiamare a una costituente internazionale latinoamericana, e perché no mondiale, per trasformare il modello sindacale storico e assumere il potere. Per essere un operaio, le oligarchie e i capitali si accordano per colpire il nostro presidente: perché, per loro, è questo il “cattivo esempio” da eliminare. Sanno che un operaio tende sempre alla giusta distribuzione delle ricchezze e ad approfondire la garanzia del maggior stato di benessere possibile per un popolo.

Con questa chiarezza, siamo preparati e pronti a difendere la nostra terra e la nostra patria. Qui non si tratta di Nicolás o del PSUV, si tratta di tutti i venezuelani e le venezuelane. Ci sono perfino stranieri che amano questo paese e che si stanno arruolando, perché questo è un paese di pace. Crediamo che gli apolidi nordamericani, come la ExxonMobil e tutte quelle multinazionali che giocano a scacchi con il Sud Globale, sono lì in Guyana per attaccarci. Crediamo che parte di questa mobilitazione missilistica dell’impero e dei “vermi” cubani di Miami, che oggi sono governo, sia anche per proteggere questo satellite dell’impero che è ExxonMobil, che ci sta rubando la nostra ricchezza in Guyana.

A proposito della Guayana Essequiba, abbiamo perfino fatto un referendum che è già una realtà, e abbiamo un governatore che governa lì perché così è stato ordinato da più di 11 milioni di venezuelani e venezuelane che hanno votato nella consultazione popolare. Ad oggi, il popolo venezuelano, e specialmente i lavoratori, di fronte a questa minaccia che incombe, siamo ora preparati al 100% in difesa della pace e in difesa del bene più prezioso che abbiamo, che è la nostra indipendenza. Abbiamo un alto rispetto per l’autodeterminazione dei popoli, e la nostra indipendenza la difenderemo con tutte le nostre forze. Sicuramente, se l’impero oserà toccare la nostra terra, alcuni cadranno, ma altri continueranno la lotta.

Per concludere e nei pochi minuti che ci restano, vorremmo ricordare con te un compagno molto caro che se n’è andato, Jacobo Torres, con cui abbiamo sempre dibattuto, da marxisti, sul ruolo del sindacato in situazioni rivoluzionarie. A questo proposito, come rispondi all’accusa dell’estrema destra secondo cui con la Costituente Operaia “il dittatore Maduro farà finire i sindacati”?

Guarda, non so quanti altri “falsi positivi” si inventeranno contro il presidente Maduro. Quello che posso dirti, dalla prospettiva dei lavoratori e delle lavoratrici, è che mai è passato né passerà per la mente del presidente Maduro disconoscere i diritti sindacali (Convenzioni 87, 144, 26). Lui viene da lì, è un dirigente sindacale, un operaio che si rivendica come tale. Parte degli attacchi contro di lui sono precisamente perché ci sono settori che non perdonano che il comandante Chávez lo abbia designato per dare l’irreversibilità alla Rivoluzione e per approfondire le comunas.

Noi siamo firmatari di questi patti davanti all’OIL. Abbiamo una Costituzione, un Piano della Patria e una Legge Organica dei Lavoratori e delle Lavoratrici. Questo è un esempio, io sto convocando i compagni e i dirigenti: abbiamo già fatto diverse videoconferenze a livello internazionale dicendo la nostra verità. Questo Paese non è nessuna minaccia, questo Paese è una speranza e vogliamo che sia un riferimento per i lavoratori e le lavoratrici del mondo.

Dobbiamo seppellire quel vecchio sindacalismo che non fa altro che generare affari per la dirigenza e non approfondire i diritti dei lavoratori. Vogliamo lasciare la strada libera alle generazioni che verranno affinché non debbano affrontare quel vecchio modello fascista, nefasto e asservito del movimento sindacale. Non abbiamo alcun timore: faremo il dibattito. Siamo sicuri, e il miglior esempio è il presidente Maduro, che come classe operaia e lavoratori, prima o poi, dobbiamo assumerci il potere. L’esempio da seguire è, ripeto, il presidente Maduro.

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