Massa critica nell’establishment
Il recente dispiegamento di mezzi militari USA nei Caraibi, ordinato dall’amministrazione Trump, ha configurato un dispositivo che va ben oltre l’argomento ufficiale delle “operazioni antidroga”.
Queste manovre si sono tradotte in azioni letali di fronte alle coste del Venezuela: una strategia di pressione militare sostenuta. Il segretario generale del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV), Diosdado Cabello, ha assicurato che il paese attraversa una guerra di resistenza prolungata.
Come ha espresso il presidente Nicolás Maduro in un incontro con giornalisti internazionali il 15 settembre scorso: “Tutti sanno che è una menzogna quella del narcotraffico. Tutti sanno che sono menzogne quelle accuse. E tutti sanno che l’unica verità è che vogliono un cambio di regime. Perché? Per imporre un governo fantoccio e impadronirsi del petrolio del Venezuela.”
La chiarezza della denuncia presidenziale smonta la narrativa ufficiale di Washington e mette a nudo il retroscena energetico e geopolitico che guida queste funeste azioni.
L’aggressione, inoltre, non è stata esente da contestazioni all’interno degli stessi USA: il 16 settembre 2025, capi democratici dei principali Comitati per la Sicurezza Nazionale e i Servizi Armati del Congresso hanno espresso il loro rifiuto del secondo attacco militare contro un’imbarcazione in acque venezuelane.
Nella loro dichiarazione hanno affermato: “La pericolosa espansione e l’abuso dell’autorità presidenziale da parte di Trump rischiano di trascinarci in un’altra guerra interminabile. Non ha stabilito un obiettivo militare chiaro né ha fornito alcuna spiegazione su come potrebbe terminare questo uso delle forze armate”.
Questa posizione mette in luce l’assenza di una strategia coerente da parte dell’Esecutivo USA, e anche il pericolo di coinvolgere le truppe USA in uno scenario privo di obiettivi definiti.
I legislatori sono stati ancora più espliciti nel denunciare l’usurpazione delle competenze costituzionali nella conduzione di tali operazioni: “La mancanza di trasparenza e di condivisione delle informazioni con il Congresso, che ha la responsabilità costituzionale di dichiarare la guerra e di autorizzare o limitare l’uso della forza, rappresenta una minaccia ancora maggiore per il nostro sistema democratico di governo”.
La critica indica un punto di rottura all’interno dello stesso sistema politico USA: mentre la Casa Bianca, influenzata dall’agenda del segretario di Stato e consigliere ad interim per la Sicurezza Nazionale, Marco Rubio, insiste nell’alzare il livello dello scontro, il Congresso avverte dei rischi di una deriva autoritaria e priva di senso nella politica estera.
In questo contesto, il Venezuela diventa al tempo stesso bersaglio di una campagna di aggressione e scenario dove si proiettano le dispute interne del potere USA, incluse le diatribe all’interno del gabinetto Trump.
Allo stesso modo, il comunicato ha denunciato che la decisione del presidente Trump è stata unilaterale e priva dell’autorizzazione del Congresso, così come nel primo attacco registrato il 2 settembre. Si è sottolineato che l’uso della forza è stato giustificato con il pretesto che una piccola imbarcazione con tre persone a bordo rappresentasse una minaccia immediata per gli USA, quando – secondo i congressisti – si trattava di una questione che doveva essere gestita con una risposta di polizia, non militare.
Sempre più analisti e politici respingono l’operazione
Il dibattito sulla legittimità e opportunità delle azioni militari contro il Venezuela non si limita alle differenze partitiche in seno al Congresso, ma ha coinvolto anche esperti, consiglieri e voci influenti del mondo accademico e dei media.
Analisti come Mark Cancian, del Centro per gli Studi Strategici e Internazionali, avvertono che un’escalation militare contro obiettivi in territorio venezuelano “non rovescerà il regime, non rafforzerà l’opposizione e servirà solo a smuovere il vespaio”.
Nella stessa linea, diversi legislatori hanno alzato la voce contro quella che considerano un’eccessiva ingerenza presidenziale. Il rappresentante Greg Casar, democratico del Texas, ha dichiarato con fermezza che “non si può permettere che Trump trascini gli USA in un’altra guerra interminabile con le sue azioni imprudenti”.
Ancora più duro è stato il deputato Donald Beyer, che ha definito l’offensiva “un’idea terribile” e ha denunciato che Trump sta passando “dall’uccidere persone su barche senza accuse né processo a quello che sembra un cambio di regime per via militare”.
Un “presidente della pace” non inizia guerre nuove, sconsiderate e inutili, ha concluso Beyer.
L’assenza di prove concrete è stata inoltre sottolineata da Juan González, ex consigliere della Casa Bianca, in un’intervista con Patricia Janiot: “Non esistono prove che il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, diriga un cartello del narcotraffico.”
González ha affermato che durante la sua permanenza al governo ha avuto “accesso assoluto a tutte le informazioni e alla migliore intelligence del mondo” e che, sulla base di ciò, può dichiarare: “Non ci sono prove. Siamo entrati in Iraq con prove false, e qui dobbiamo riconoscere che non c’è alcuna evidenza concreta del ruolo di Maduro come capo di un cartello o del cosiddetto Tren de Aragua”.
La dichiarazione dell’ex consigliere mette in dubbio il nucleo stesso del racconto ufficiale, poiché contesta la validità dei rapporti di intelligence che giustificano l’escalation militare.
Infatti, González ha diffuso un articolo di Cristóbal Sabatini, ricercatore principale per l’America Latina presso Chatham House, pubblicato dal New York Times, in cui offre una radiografia delle contraddizioni che attraversano l’attuale offensiva di Washington.
Secondo le sue parole, gli USA hanno dispiegato una forza militare sproporzionata nei Caraibi, e lo stesso autore ricorda un dato cruciale: il Venezuela non figura tra i principali fornitori di droghe illecite verso gli USA, né ha un ruolo rilevante nel traffico di fentanil, secondo i rapporti della DEA.
Questo contrasto rivela che il discorso antidroga funziona come un pretesto. Per Sabatini, la vera motivazione è politica: l’obiettivo di fondo è provocare fratture interne nella struttura militare e stimolare un’agenda di cambio di regime “a basso costo”, cioè senza un’invasione aperta ma con sufficiente pressione da indurre defezioni e colpi di palazzo.
Il ricercatore aggiunge che il cambio di strategia del presidente Trump ha anche una componente personale: dopo il fallimento della “fase Guaidó”, percepita dalla Casa Bianca come un’umiliazione, Trump cerca una rivincita raddoppiando la posta — non più in nome della “promozione della democrazia”, ma sotto la narrativa del “narcoterrorismo”.
In tale quadro, Sabatini avverte che prolungare la “diplomazia delle cannoniere” con l’abbattimento di imbarcazioni o attacchi mirati non farà che aumentare il rischio di vittime civili e di un crescente isolamento internazionale degli USA nella regione: “Se l’esercito USA continua ad attaccare obiettivi senza il dovuto processo, si rischia di uccidere passanti innocenti, il che potrebbe spingere altri paesi della regione ad alzare la propria voce con maggiore fermezza”.
Il fatto ha diviso anche lo stesso Partito Repubblicano. Il senatore Rand Paul ha avvertito che la decisione crea un precedente pericoloso e ha chiesto: “La nuova politica della Guardia Costiera sarà sparare senza fare domande?”
Paul ha criticato duramente la difesa del vicepresidente J.D. Vance sull’attacco militare all’imbarcazione. Il senatore ha richiamato un riferimento letterario per illustrare la gravità del precedente: Il buio oltre la siepe (To Kill a Mockingbird), il celebre romanzo di Harper Lee che denuncia le ingiustizie di condannare un accusato senza processo.
Il legislatore libertario ha avvertito che glorificare l’esecuzione immediata di presunti delinquenti senza processo rappresenta una pericolosa deviazione dai principi fondamentali del sistema giudiziario USA: “Che cosa accadrebbe se gli accusati venissero giustiziati senza processo né rappresentanza?”, ha domandato sulle reti sociali, in aperta critica alla narrativa di Vance.
A queste critiche si è aggiunta la professoressa Oona Hathaway, dell’Università di Yale, la quale ha segnalato il carattere antigiuridico dell’attacco, poiché non esisteva una minaccia imminente che lo giustificasse. Hathaway ha avvertito che l’esclusione del Congresso da tutto il processo rivela un’amministrazione che “non ritiene di dover seguire le regole ordinarie del gioco”.
In definitiva, l’offensiva militare USA contro il Venezuela non risponde a un consenso istituzionale né a una strategia unificata a Washington. Al contrario, riflette una collisione di agende personali e di partito.
Un Marco Rubio che spinge la linea dura del cambio di regime, altri funzionari che cercano vantaggi politici interni, e voci critiche — anche all’interno del Partito Repubblicano — che mettono in discussione la legalità e il senso dell’operazione.
La narrativa del narcotraffico, che funge da pretesto ufficiale, è priva di fondamento reale: è una grossolana menzogna. Né la DEA riconosce il Venezuela come un attore centrale nel traffico di droga verso gli USA, né sono state presentate prove solide che giustifichino un’escalation di tale portata.
Nessuno crede a questa versione, e proprio lì risiede la contraddizione che finisce per svelare il vero retroscena.
Si tratta di destabilizzare per poi tentare di trasformare il Venezuela in un enclave amministrabile, un protettorato di fatto dal quale gestire e sfruttare non solo il petrolio e i minerali, ma anche lo spazio marittimo strategico, le rotte commerciali, le piattaforme logistiche, le influenze geopolitiche e i vantaggi geostrategici che offre il suo territorio.
Ecco perché la guerra degli USA è sostenuta e multidimensionale.
Masa crítica en el establishment
Aumenta el rechazo político en EE.UU. contra la agresión sobre Venezuela
El reciente despliegue de medios militares de Estados Unidos en el Caribe, ordenada por la administración Trump, ha configurado un dispositivo que excede el argumento oficial de las “operaciones antidrogas”.
Estas maniobras se han traducido en acciones letales frente a las costas de Venezuela, una estrategia de presión militar sostenida. El secretario general del Partido Socialista Unido de Venezuela (PSUV), Diosdado Cabello, aseguró que el país atraviesa una guerra de resistencia prolongada.
Como lo expresó el presidente Nicolás Maduro en un encuentro con periodistas internacionales el pasado 15 de septiembre:
“Todos saben que es mentira lo del narcotráfico. Todos saben que son mentiras esas acusaciones. Y todo el mundo sabe que la única verdad es que quieren un cambio de régimen. ¿Para qué? Para imponer un gobierno títere y apoderarse del petróleo de Venezuela”.
La claridad del señalamiento presidencial desmonta la narrativa oficial de Washington y expone el trasfondo energético y geopolítico que guía estas funestas acciones.
La agresión, además, no ha estado exenta de cuestionamientos dentro de Estados Unidos: el 16 de septiembre de 2025, líderes demócratas de los principales Comités de Seguridad Nacional y de Servicios Armados del Congreso expresaron su rechazo al segundo ataque militar contra una embarcación en aguas venezolanas.
En su declaración afirmaron:
“La peligrosa expansión y el abuso de la autoridad presidencial por parte de Trump corren el riesgo de arrastrarnos a otra guerra interminable. No ha establecido un objetivo militar claro ni ha dado ninguna explicación de cómo podría terminar este uso de las fuerzas militares”.
Esta postura visibiliza la ausencia de una estrategia coherente por parte del Ejecutivo estadounidense, y también el peligro de involucrar a tropas estadounidenses en un escenario sin objetivos definidos.
Los legisladores fueron aún más enfáticos al señalar la usurpación de competencias constitucionales en la conducción de estas operaciones: “La falta de transparencia e intercambio de información con el Congreso, que tiene la responsabilidad constitucional de declarar la guerra y autorizar o limitar el uso de la fuerza, representa una amenaza aún mayor para nuestro sistema democrático de gobierno”.
La crítica indica un punto de quiebre dentro del propio sistema político estadounidense, ya que, mientras la Casa Blanca, influenciada por la agenda del secretario de Estado y asesor interino de Seguridad Nacional, Marco Rubio, insiste en elevar el nivel de confrontación, el Congreso alerta sobre los riesgos de una deriva autoritaria y sin sentido en la política exterior.
En este contexto, Venezuela se convierte tanto en objetivo de una campaña de agresión como en un escenario donde se proyectan las disputas internas del poder estadounidense, incluyendo las diatribas dentro del gabinete de Trump.
Asimismo, el comunicado denunció que la decisión del presidente Trump fue unilateral y sin autorización del Congreso, al igual que en el primer ataque registrado el 2 de septiembre. Se subrayó que el uso de la fuerza se justificó bajo la premisa de que una pequeña embarcación con tres personas a bordo representaba una amenaza inmediata contra Estados Unidos, cuando, de acuerdo con los congresistas, se trataba de un asunto que debía haberse manejado mediante una respuesta policial y no con medios militares.
Más analistas y políticos rechazan la operación
El debate sobre la legitimidad y conveniencia de las acciones militares contra Venezuela no se limita a las diferencias partidistas en el Congreso, sino que ha alcanzado a expertos, asesores y voces influyentes en la academia y los medios.
Analistas como Mark Cancian, del Centro de Estudios Estratégicos e Internacionales, advierten que una escalada militar contra objetivos en territorio venezolano “no va a derrocar al régimen, no va a fortalecer a la oposición, y solo alienta el avispero”.
En la misma línea, varios legisladores han alzado la voz contra lo que consideran una extralimitación presidencial. El representante Greg Casar, demócrata por Texas, fue enfático al declarar que “no se puede permitir que Trump arrastre a Estados Unidos a otra guerra interminable con sus acciones imprudentes”.
Más contundente aún fue el representante Donald Beyer, quien calificó la ofensiva como “una idea terrible” y denunció que Trump está pasando “de asesinar personas en barcos sin cargos ni debido proceso a lo que parece un cambio de régimen por la fuerza militar”. Un “presidente de paz” no inicia guerras nuevas, imprudentes e innecesarias, concluyó Beyer.
La ausencia de pruebas concretas también fue resaltada por Juan González, exasesor de la Casa Blanca, durante una entrevista con Patricia Janiot: “No existen evidencias que respalden que el presidente de Venezuela, Nicolás Maduro, dirija algún cártel del narcotráfico”.
González sostuvo que durante su paso por el gobierno tuvo “acceso absoluto a toda la información y a la mejor inteligencia del mundo” y que, con base en ello, puede afirmar que:”No hay evidencia. Hemos entrado a Irak con evidencia falsa, y aquí tenemos que reconocer que no hay una evidencia concreta del rol de Maduro como jefe de un cártel o el Tren de Aragua”.
La declaración del exasesor pone en entredicho el núcleo mismo del relato oficial, pues cuestiona la validez de los informes de inteligencia que sustentan la escalada militar.
De hecho, González propagó un artículo de Cristóbal Sabatini, investigador principal para América Latina en Chatham House, publicado por The New York Times, donde ofrece una radiografía de las contradicciones que atraviesan la actual ofensiva de Washington.
En sus palabras, Estados Unidos ha desplegado una fuerza militar desproporcionada en el Caribe, y el propio autor recuerda un dato crucial: Venezuela no figura entre los principales proveedores de drogas ilícitas hacia Estados Unidos, ni tiene participación relevante en el tráfico de fentanilo, según reportes de la DEA.
Este contraste revela que el discurso antidrogas funciona como un pretexto. Para Sabatini, la verdadera motivación es política, cuyo objetivo de fondo sería forzar fracturas internas en la estructura militar y estimular la agenda de cambio de régimen “barato”, es decir, sin una invasión abierta pero con suficiente presión para inducir deserciones y golpes palaciegos, indica Sabatini.
El investigador señala, además, que el giro estratégico del presidente Trump tiene un componente personal. Tras el fracaso de la “era Guaidó”, percibido por la Casa Blanca como una humillación, Trump busca revancha redoblando la apuesta: ya no en nombre de la “promoción de la democracia”, sino bajo la narrativa del “narcoterrorismo”.
En esa ecuación, Sabatini advierte que prolongar la “diplomacia de las cañoneras” con derribos de barcos o ataques quirúrgicos solo aumentaría el riesgo de muertes de civiles y de un aislamiento internacional de Estados Unidos en la región: “Si el ejército estadounidense continúa atacando objetivos sin el debido proceso, se corre el riesgo de matar a transeúntes inocentes, lo que podría impulsar a otros países de la región a alzar la voz con mayor firmeza”.
Ahora bien, el hecho ha dividido incluso al propio Partido Republicano. El senador Rand Paul alertó que la decisión sienta un precedente peligroso y preguntó: “¿La nueva política de la Guardia Costera será disparar sin hacer preguntas?”.
Paul cuestionó duramente la defensa hecha por el vicepresidente J.D. Vance sobre el ataque militar contra la embarcación. El senador recurrió a una referencia literaria para ilustrar la gravedad del precedente: Matar a un ruiseñor, la célebre novela de Harper Lee que denuncia las injusticias de condenar a un acusado sin juicio.
El legislador libertario advirtió que glorificar la ejecución inmediata de presuntos delincuentes sin debido proceso constituye una peligrosa desviación de los principios fundamentales del sistema de justicia estadounidense. “¿Qué ocurriría si los acusados fueran ejecutados sin juicio ni representación?”, cuestionó en redes sociales, en abierta crítica a la narrativa de Vance.
A estas críticas se sumó la profesora Oona Hathaway, de la Universidad de Yale, quien señaló el carácter antijurídico del ataque al no existir una amenaza inminente que lo justificara. Hathaway advirtió que la exclusión del Congreso de todo el proceso revela una administración que “no siente que tenga que seguir las reglas ordinarias del juego”.
En definitiva, la ofensiva militar de Estados Unidos contra Venezuela no responde a un consenso institucional ni a una estrategia unificada en Washington. Por el contrario, refleja una colisión de agendas personales y partidistas.
Un Marco Rubio empujando la línea dura de la agenda de cambio de régimen, otros funcionarios buscando réditos políticos internos y voces críticas (incluso dentro del Partido Republicano) que cuestionan la legalidad y el sentido de la operación.
La narrativa del narcotráfico, que funciona como pretexto oficial, carece de sustento real, es una burda mentira. Ni la DEA reconoce a Venezuela como un actor central en el tráfico de drogas hacia Estados Unidos, ni se han presentado pruebas sólidas que justifiquen una escalada de esta magnitud.
Nadie cree en esa versión, y ahí radica la contradicción que termina desnudando el trasfondo verdadero.
Se trata de desestabilizar para luego intentar convertir a Venezuela en un enclave administrable, un protectorado de facto, desde el cual se pueda gestionar y explotar no sólo el petróleo y los minerales, sino también el espacio marítimo estratégico, las rutas comerciales, las plataformas logísticas, las influencias geopolíticas y las ventajas geoestratégicas que ofrece su territorio.
Es por ello que la guerra de Estados Unidos es sostenida y multidimensional.

