Trump compie due passi decisivi nella sua escalation militare contro il Venezuela

Secondo rapporti USA

Misión Verdad

I recenti articoli del New York Times (NYT) e della CNN confermano una pericolosa escalation nella politica estera dell’amministrazione Trump verso il Venezuela, e rivelano con crudezza i meccanismi legali e militari che si stanno attivando per giustificare un’eventuale intervento diretto.

Questo scenario si configurerebbe qualora la situazione passasse dalle operazioni psicologiche e dagli assassinii extragiudiziali nel sud dei Caraibi a un contesto in cui si realizzino le aspettative del partito della guerra USA, il cui principale delegato è l’attuale Segretario di Stato.

Lungi dall’essere una risposta legittima ai presunti legami tra il governo di Nicolás Maduro e il narcotraffico — accuse già ampiamente smentite da indagini indipendenti e da organismi internazionali —, questi movimenti fanno parte di una strategia deliberata e coerente di cambio di regime, inserita in un aggiornamento contemporaneo della Dottrina Monroe, che mira a riaffermare l’egemonia USAe in America Latina e nei Caraibi mediante la minaccia o l’uso diretto della forza.

La farsa come pretesto

L’amministrazione Trump ha costruito la propria narrativa su accuse infondate che presentano il Venezuela come uno “Stato narco-terrorista”.

Tuttavia, come è stato dimostrato in analisi precedenti, tali imputazioni non hanno alcun fondamento probatorio solido e sono state utilizzate sistematicamente come strumento di pressione politica.

La recente decisione di Trump di cancellare i negoziati diplomatici guidati dal suo inviato speciale Richard Grenell — che cercava una via negoziata per evitare una maggiore conflittualità — dimostra che l’obiettivo non è mai stato la cooperazione o la verifica dei fatti, bensì l’imposizione unilaterale di condizioni inaccettabili per Caracas, al fine di creare un pretesto per l’intervento.

Il fatto che figure come Marco Rubio, John Ratcliffe (direttore della CIA) e Stephen Miller (consigliere chiave di Trump) stiano promuovendo apertamente un’operazione militare per rovesciare Maduro — come riportato dal NYT — rafforza la tesi che il discorso sul narcotraffico sia puramente strumentale.

Non si tratta di combattere un crimine transnazionale, ma di legittimare di fronte all’opinione pubblica USA — e, in misura minore, internazionale — un’aggressione che viola apertamente il Diritto Internazionale e la sovranità di uno Stato membro delle Nazioni Unite.

L’artificio giuridico al servizio della guerra segreta

Forse l’aspetto più allarmante rivelato dalla CNN è l’esistenza di un parere classificato dell’Ufficio di Consulenza Legale del Dipartimento di Giustizia (OLC), che concede al presidente Trump l’autorità di ordinare l’uso della forza letale contro una “lista segreta” di cartelli e presunti trafficanti.

Questa interpretazione giuridica — che equipara il traffico di droga a un “attacco armato” contro gli Stati Uniti — rappresenta una pericolosa espansione dei poteri esecutivi, paragonabile alle politiche di guerra segreta implementate dopo l’11 settembre, ma ora applicate all’intero continente americano.

Dichiarando i narcotrafficanti “combattenti illegali” in un presunto “conflitto armato”, il governo di Trump cancella la linea di confine tra criminalità e guerra, aprendo la porta a esecuzioni extragiudiziali, operazioni coperte e attacchi militari senza autorizzazione del Congresso né supervisione giudiziaria.

Questa logica è giuridicamente discutibile — come hanno segnalato anche avvocati del Pentagono — e al tempo stesso normalizza la violenza letale come strumento di politica estera nella regione.

In sostanza, lo slogan “Make America Great Again” si traduce in uno stato d’eccezione permanente, in cui si istituzionalizza la necropolitica: Washington decide chi deve vivere e chi deve morire, a discrezione della propria guerra egemonica.

Militarizzazione dei Caraibi e rischio di guerra regionale

Il dispiegamento senza precedenti di mezzi militari USA nel Mar dei Caraibi — inclusi almeno quattro attacchi contro imbarcazioni in acque internazionali — non può essere interpretato come una semplice operazione antidroga.

Si tratta di una dimostrazione di forza strategica, progettata per intimidire il governo venezuelano e preparare il terreno a una possibile intervento diretto.

Questa condotta risponde chiaramente a una visione neocoloniale, che considera l’America Latina come un “cortile di casa” dove Washington può agire impunemente.

La militarizzazione del Caribe sotto il pretesto del narcotraffico è, in realtà, una riedizione della Dottrina Monroe, aggiornata al XXI secolo: riafferma la supremazia USA e criminalizza qualsiasi tentativo di autonomia politica nella regione.

In questo contesto, il Venezuela — per la sua storica resistenza all’imperialismo e per le sue alleanze con attori non allineati come Cina, Russia e Iran — diventa un bersaglio di alto valore, tanto per le sue risorse quanto per la sua posizione strategica.

I rapporti del NYT e della CNN devono dunque essere letti come segnali d’allarme precoci di un’escalation che potrebbe sfociare in una guerra aperta.

La cancellazione della diplomazia, la creazione di cornici legali segrete per giustificare la forza letale, l’espansione dei poteri della CIA e il dispiegamento militare nei Caraibi formano un quadro coerente, orientato al rovesciamento del governo venezuelano.

Di fronte a questa strategia, la comunità internazionale — e in particolare i paesi dell’America Latina — ha la responsabilità di denunciare questi movimenti per ciò che sono: un’aggressione imperialista travestita da lotta contro il crimine.

Colombia, Cuba e Nicaragua, come paesi leader dell’ALBA-TCP, hanno già preso posizione in tal senso.

Uno scenario di imposizione bellicista da parte degli USA non riguarda solo il Venezuela, sebbene questo sia l’obiettivo dichiarato della Casa Bianca: coinvolge l’intero emisfero, sia per convergenza geopolitica, sia per dovere morale, sia come monito — “potrebbe capitare anche a te”.

La pace nella regione dipende dalla capacità collettiva di resistere a questa nuova ondata di interventismo e di difendere il principio inviolabile della sovranità nazionale, in un’area che è stata dichiarata zona di pace.


Según reportes estadounidenses

Trump da dos pasos decisivos en su escalada militar contra Venezuela

 

Los recientes reportes del New York Times (NYT) y de CNN confirman una peligrosa escalada en la política exterior de la administración Trump hacia Venezuela, así como exponen con crudeza los mecanismos legales y militares que se estarían activando para justificar una eventual intervención directa.

Ello si el escenario se desplaza de las operaciones psicológicas y los asesinatos extrajurisdiccionales en el sur caribeño a otro donde se cumplan las expectativas del partido de la guerra estadounidense, cuyo delegado mayor es el actual secretario de Estado.

Lejos de ser una respuesta legítima a supuestos vínculos entre el gobierno de Nicolás Maduro y el narcotráfico —acusaciones ya ampliamente desacreditadas por investigaciones independientes y organismos internacionales—, estos movimientos forman parte de una estrategia deliberada y coherente de cambio de régimen, enmarcada en una actualización contemporánea de la Doctrina Monroe que busca reafirmar la hegemonía estadounidense en América Latina y el Caribe mediante la amenaza o el uso directo de la fuerza.

La farsa como pretexto

 

La administración Trump ha construido su narrativa sobre la base de acusaciones infundadas que presentan a Venezuela como un “Estado narco-terrorista”.

Sin embargo, como se ha demostrado en análisis previos, estas imputaciones carecen de sustento probatorio sólido y han sido utilizadas sistemáticamente como herramienta de presión política.

La reciente decisión de Trump de cancelar las negociaciones diplomáticas encabezadas por su enviado especial, Richard Grenell —quien buscaba una salida negociada que evitara una confrontación mayor—, evidencia que el objetivo nunca fue la cooperación ni la verificación de hechos sino la imposición unilateral de condiciones inaceptables para Caracas con el fin de generar un pretexto para la intervención.

El hecho de que figuras como Marco Rubio, John Ratcliffe (director de la CIA) y Stephen Miller (asesor clave de Trump) estén impulsando abiertamente una operación militar para derrocar a Maduro, así reportado por el NYT, refuerza la tesis de que el discurso sobre el narcotráfico es meramente instrumental.

No se trata de combatir un crimen transnacional sino de legitimar ante la opinión pública estadounidense —y, en menor medida, internacional— una agresión que viola flagrantemente el Derecho Internacional y la soberanía de un Estado miembro de las Naciones Unidas.

Mella jurídica al servicio de la guerra secreta

 

Quizá el aspecto más alarmante revelado por CNN es la existencia de una opinión clasificada de la Oficina de Asesoría Legal del Departamento de Justicia (OLC, por sus siglas en inglés), que otorga al presidente Trump autoridad para ordenar el uso de fuerza letal contra una “lista secreta” de cárteles y presuntos traficantes.

Esta interpretación jurídica —que equipara el tráfico de drogas con un “ataque armado” contra Estados Unidos— representa una peligrosa expansión de los poderes ejecutivos, comparable a las políticas de guerra encubierta implementadas tras el 11-S, pero ahora aplicadas a todo el continente americano.

Al declarar a los narcotraficantes como “combatientes ilegales” en un supuesto “conflicto armado”, el gobierno de Trump borra la línea entre el crimen organizado y la guerra para abrir la puerta a ejecuciones extrajudiciales, operativos encubiertos y ataques militares sin autorización del Congreso ni supervisión judicial.

Esta lógica es jurídicamente cuestionable —como lo han señalado abogados del propio Pentágono— y asimismo normaliza la violencia letal como herramienta de política exterior en la región.

Básicamente, “hacer de Estados Unidos grande otra vez” se traduce en un estado de excepción en el que se impone la necropolítica en la base institucional: Washington decide quién debe vivir y quién debe morir a discreción, amén de su propia guerra hegemónica.

Militarización del Caribe y riesgo de guerra regional

 

 

El despliegue sin precedentes de activos militares estadounidenses en el Caribe —incluidos al menos cuatro ataques a embarcaciones en aguas internacionales— no puede interpretarse como una mera operación antinarcóticos.

Se trata de una demostración de fuerza estratégica, diseñada para intimidar al gobierno venezolano y preparar el terreno para una posible intervención directa.

Este accionar responde claramente a una visión neocolonial que considera a América Latina como un “patio trasero” donde Washington puede actuar sin rendir cuentas.

La militarización del Caribe bajo el pretexto del narcotráfico es, en esencia, una reedición de la Doctrina Monroe, actualizada para el siglo XXI: reafirma la supremacía estadounidense y criminaliza cualquier intento de autonomía política en la región.

En este contexto, Venezuela —por su resistencia histórica al imperialismo y su alianza con actores no alineados como China, Rusia e Irán— se convierte en un blanco precioso por sus recursos y su ubicación geográfica.

Los reportes del NYT y CNN deben leerse como señales de alerta temprana de una escalada que podría desembocar en una guerra abierta.

La cancelación de la diplomacia, la creación de marcos legales secretos para justificar la fuerza letal, la expansión de las autoridades de la CIA y el despliegue militar en el Caribe forman un entramado coherente orientado al derrocamiento del gobierno venezolano.

Frente a esta estrategia, la comunidad internacional —y en particular los países de América Latina— tiene la responsabilidad de denunciar estos movimientos como lo que son: una agresión imperial disfrazada de lucha contra el crimen. Colombia ha dado un paso al frente en este sentido, así como Cuba y Nicaragua como países líderes del ALBA-TCP.

Un escenario de imposición beligerante por parte de Estados Unidos no solo compete a Venezuela, si bien es un objetivo oficial de la Casa Blanca: también involucra el resto del hemisferio, sea por convergencia geopolítica, por decisión moral o por mero ejemplo de escarmiento —”esto también te puede pasar a ti”—.

La paz en la región depende de la capacidad colectiva para resistir esta nueva ola de intervencionismo y defender el principio inviolable de la soberanía nacional, en una zona que fue declarada de paz.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.