Trump ha cancellato il contatto diplomatico con il Venezuela: cosa viene adesso?

Cris González

La recente decisione del presidente USA, Donald Trump, di sospendere immediatamente tutti i contatti diplomatici con il Venezuela rappresenta, ancora una volta, un chiaro esempio dell’imperialismo in azione.


Questa misura non solo interrompe un canale di dialogo, ma conferma la scelta del governo USA di puntare sullo scontro e sulla destabilizzazione di un paese sovrano che si rifiuta di sottomettersi ai dettami del capitale transnazionale.

Ordinando al suo inviato speciale, Richard Grenell, di interrompere ogni tentativo di avvicinamento con il legittimo governo del presidente Nicolás Maduro, la Casa Bianca mira a chiudere ogni via politica e a preparare il terreno per una nuova escalation militare in America Latina. La decisione, presa dopo una riunione con alti comandi del Pentagono, rivela che la politica estera di Washington continua a essere segnata dall’interventismo e dalla guerra.

Le operazioni militari nel Caribe, teoricamente dirette contro imbarcazioni legate al narcotraffico, sono solo un pretesto. Dietro la maschera della “lotta contro la droga” si nascondono i veri obiettivi: il controllo delle maggiori riserve petrolifere del pianeta, l’appropriazione di risorse strategiche — gas, coltan, oro e litio — e l’eliminazione di un modello politico che sfida l’ordine neoliberale.

La narrazione del narcotraffico si sbriciola di fronte ai fatti. Secondo il Rapporto Mondiale sulla Droga 2025 delle Nazioni Unite, il Venezuela è un paese libero da coltivazioni illecite, e appena il 5% della cocaina prodotta nella regione transita per il suo territorio. Al contrario, la Colombia continua a essere il principale produttore mondiale di cocaina, e il traffico verso gli USA avviene principalmente attraverso l’oceano Pacifico, passando per l’Ecuador e sotto la vigilanza delle basi militari USA, la cui presenza sembra più orientata a proteggere e garantire quel flusso che a combatterlo. La scusa del narcotraffico cade da solo di fronte ai dati che organismi internazionali e centri di ricerca indipendenti hanno documentato con chiarezza.

E se si guarda all’altro estremo della catena — quello della domanda — l’ipocrisia del discorso imperialista appare in tutta la sua evidenza. Gli USA sono, di gran lunga, il maggior consumatore di droghe al mondo. Nel 2023, circa 1,6 milioni di persone con più di 12 anni hanno ammesso di aver consumato cocaina nell’ultimo mese; più di 40 milioni dichiarano di averla provata almeno una volta nella vita, e il paese concentra circa il 30% del consumo globale di questa droga. Le morti per overdose da cocaina sono aumentate del 35% tra il 2019 e il 2020, secondo i dati della stessa amministrazione USA. Come può uno Stato che non riesce a controllare il proprio consumo interno ergersi a giudice e gendarme morale del mondo? La cosiddetta “guerra alla droga” non è altro che una coartata geopolitica: si puniscono i paesi del Sud, mentre si protegge il grande mercato del Nord che alimenta l’affare.

Inoltre, Trump, nella sua disperazione di abbattere la Rivoluzione Bolivariana, è arrivato a offrire una ricompensa di 50 milioni di $ per la cattura del presidente Nicolás Maduro. Un atto di pirateria o di Far West moderno che viola apertamente il diritto internazionale e la sovranità venezuelana. Questa politica di taglie e minacce ricorda le peggiori pratiche coloniali del secolo scorso, quando gli imperi mettevano un prezzo sulla testa dei capi che resistevano.

Se dovesse concretizzarsi una invasione o un attacco selettivo, l’intero continente rivivrebbe il copione di sangue e saccheggio che gli USA hanno imposto per oltre un secolo nel loro cosiddetto “cortile di casa”. Le impronte dell’interventismo sono ancora fresche: Panamá (1989), Grenada (1983), Repubblica Dominicana (1965), Haiti (1994), senza dimenticare le dittature sostenute da Washington nel Cono Sud e le guerre sporche finanziate in America Centrale. Ogni operazione “umanitaria” o “antinarcotici” si è sempre conclusa con distruzione, repressione e perdita di sovranità per i popoli latinoamericani. Ma il Venezuela non è né sarà un nuovo capitolo di quella storia. È una nazione con una Forza Armata Nazionale Bolivariana forgiata nella dottrina d’indipendenza di Bolívar e Chávez, e con un popolo cosciente del proprio ruolo nella difesa della patria grande. In ogni quartiere, in ogni comune, in ogni frontiera, la coscienza antimperialista è viva. Se l’impero osa aggredire, troverà la resistenza di un popolo organizzato che non difende solo il suo petrolio, ma il diritto a esistere libero e sovrano.

La Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC) dichiarò nel 2009 l’America Latina zona di pace. Qualsiasi tentativo d’intervento militare USA non solo violerebbe tale dichiarazione, ma metterebbe a rischio la stabilità regionale e la vita di milioni di persone.

Il vero conflitto non è contro il narcotraffico né contro una presunta “dittatura”, come ripete la propaganda di Washington. È una guerra per le risorse, per il controllo dell’energia e per il diritto dei popoli di scegliere il proprio cammino. Il Venezuela rappresenta la possibilità di una via diversa: sovrana, sociale e solidale, lontana dal neoliberismo individualista, competitivo e prepotente.

Per questo, di fronte a qualsiasi tentativo d’invasione, il rifiuto deve essere assoluto. Difendere oggi il Venezuela significa difendere l’autodeterminazione di tutta l’America Latina. È resistere al vecchio egemone che, incapace di accettare il declino del proprio potere, ricorre ancora una volta alla menzogna, alla minaccia e alla violenza.

Cris González  – Correo del Alba


Trump canceló el contacto diplomático con Venezuela, ¿qué viene ahora?

By Cris González

La reciente decisión del presidente de Estados Unidos, Donald Trump, de suspender inmediatamente todos los esfuerzos diplomáticos con Venezuela representa, una vez más, un claro ejemplo del imperialismo en acción.

Esta medida no solo interrumpe un canal de diálogo, sino que confirma la apuesta del gobierno estadounidense por la confrontación y la desestabilización de un país soberano que se niega a someterse a los designios del capital transnacional.

Al ordenar a su enviado especial, Richard Grenell, detener cualquier acercamiento con el gobierno legítimo del presidente Nicolás Maduro, la Casa Blanca busca dejar sin margen la vía política y preparar el terreno para una nueva escalada militar en América Latina. La decisión, tomada tras una reunión con altos mandos del Pentágono, revela que la política exterior de Washington sigue marcada por el intervencionismo y la guerra.

Las operaciones militares en el Caribe, supuestamente dirigidas contra embarcaciones vinculadas al narcotráfico, son solo un pretexto. Detrás de la máscara de la “lucha contra las drogas” se ocultan los verdaderos objetivos: el control de las mayores reservas probadas de petróleo del planeta, la apropiación de recursos estratégicos —gas, coltán, oro y litio— y la eliminación de un modelo político que desafía el orden neoliberal.

La narrativa del narcotráfico se derrumba ante los hechos. Según el Informe Mundial sobre Drogas 2025 de la ONU, Venezuela es un país libre de cultivos ilícitos, y apenas un 5% de la cocaína que se produce en la región transita por su territorio. En cambio, Colombia continúa siendo el principal productor mundial de cocaína, y el tránsito hacia Estados Unidos se realiza principalmente por el océano Pacífico, pasando por Ecuador y bajo la vigilancia de bases militares estadounidenses, cuya presencia parece más orientada a proteger y garantizar ese flujo que a combatirlo.

La excusa del narcotraficante se cae sola frente a los datos que organismos internacionales y centros de estudio independientes han documentado con claridad.

Y si se observa el otro extremo de la cadena: la demanda, la hipocresía del discurso imperial queda totalmente expuesta.

Estados Unidos es, de lejos, el mayor consumidor de drogas del planeta. En 2023, alrededor de 1,6 millones de personas mayores de 12 años admitieron haber consumido cocaína solo en el último mes; más de 40 millones reconocen haberla probado alguna vez en su vida, y el país concentra aproximadamente el 30 % del consumo global de esta droga. Las muertes por sobredosis de cocaína crecieron un 35 % entre 2019 y 2020, según datos de la propia administración estadounidense.

¿Cómo puede un Estado que ni siquiera controla su propio consumo pretender erigirse en juez y gendarme moral del mundo?

La llamada “guerra contra las drogas” no es más que una coartada geopolítica: se castiga a los países del sur mientras se protege al gran mercado del norte que sostiene el negocio.

Además, Trump, en su desesperación por derribar a la Revolución Bolivariana, ha llegado a ofrecer 50 millones de dólares de recompensa por la captura del presidente Nicolás Maduro. Un acto de piratería o de Far West moderno que viola abiertamente el derecho internacional y la soberanía venezolana.

Esta política de recompensas y amenazas recuerda las peores prácticas coloniales del siglo pasado, cuando los imperios colocaban precio a la cabeza de los líderes que resistían.

De concretarse una invasión, o un ataque selectivo, el continente entero reviviría el guion de sangre y saqueo que Estados Unidos ha impuesto durante más de un siglo en su llamado “patio trasero”. Las huellas del intervencionismo están aún frescas: Panamá en 1989, Granada en 1983, República Dominicana en 1965, Haití en 1994, sin olvidar las dictaduras sostenidas por Washington en el Cono Sur y las guerras sucias financiadas en Centroamérica.

Cada operación “humanitaria” o “antinarcóticos” terminó en destrucción, represión y pérdida de soberanía para los pueblos latinoamericanos.

Pero Venezuela no es ni será un nuevo capítulo de esa historia. Es una nación con una Fuerza Armada Bolivariana forjada en la doctrina de independencia de Bolívar y Chávez, y con un pueblo consciente de su papel en la defensa de la patria grande. En cada barrio, en cada comuna y en cada frontera, la conciencia antiimperialista está viva. Si el imperio osa agredir, encontrará la resistencia de un pueblo organizado que no solo defiende su petróleo, sino su derecho a existir libre y soberano.

La Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños (Celac) declaró en 2009 a América Latina como zona de paz. Cualquier intento de intervención militar estadounidense no solo violaría esa declaración, sino que pondría en riesgo la estabilidad regional y la vida de millones.

El verdadero conflicto no es contra el narcotráfico ni contra la “dictadura”, como repite la propaganda de Washington. Es una guerra por los recursos, por el control de la energía y por la elección de nuestros pueblos.

Venezuela representa la posibilidad de un camino distinto: soberano, social y solidario, lejos del neoliberalismo individualista, competitivo y matón.

Por eso, frente a cualquier intento de invasión, el rechazo debe ser absoluto. Defender a Venezuela hoy es defender la autodeterminación de toda América Latina.

Es resistir al viejo hegemón que, incapaz de aceptar el declive de su poder, recurre una vez más a la mentira, la amenaza y la violencia.

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Cris González Correo del Alba

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