La strumentalizzazione di videogiochi, film e serie

per creare un “Venezuela fallito”

teleSUR

I mezzi di comunicazione diffondono notizie sulla “dittatura in Venezuela” per un pubblico già condizionato, in parte, dal cinema, dalle serie e dai videogiochi. Si costruisce costantemente un “fondale culturale” che normalizza le narrazioni mediatiche. Se la stampa parla di crisi, di “narco-Stato” e di dittatura in Venezuela, l’industria cinematografica, televisiva e videoludica statunitense prepara il pubblico ad accettare tale possibilità come qualcosa di plausibile, senza particolare resistenza.

Fin dall’ascesa della “cultura di massa” costruita dagli USA attraverso il cinema e le grandi produzioni di Hollywood, l’Impero USA si è presentato come la culla della democrazia occidentale e come il paladino della giustizia nel mondo.

I supereroi della Justice League combattono il crimine all’interno dei confini USA, mentre un balbettante Paperino, arruolato nell’esercito USA, diventa l’eroe della II Guerra Mondiale insieme ad altri personaggi Disney.

Ma il racconto fondamentale dell’industria cinematografica USA è sempre lo stesso: al di fuori dei propri confini esisterebbe un mondo popolato da nazioni arretrate, scarsamente civilizzate e governate da crudeli dittatori, i cui popoli vengono “liberati” dall’azione eroica di un salvatore nordamericano.

Oltre vent’anni costruendo una narrativa contro il Venezuela

Il ricercatore Alan MacLeod ha analizzato migliaia di articoli pubblicati tra il 1998 e il 2014 da The New York Times, The Washington Post e la BBC sul Venezuela. Conclude che “la copertura mediatica presenta sistematicamente il governo come illegittimo, autoritario e corrotto, amplificando le voci dell’opposizione e silenziando altre fonti locali”.

La ripetizione costante, per oltre due decenni, di termini come “narco-Stato”, “dittatura”, “crisi umanitaria”, “Stato fallito” corrisponde a una narrativa accuratamente costruita, basata su informazioni parziali e difficilmente verificabili.

Si tratta di una costruzione simbolica che nasconde un intreccio di interessi politici ed economici legati alla politica estera USA, e che predispone le audience a convalidare qualsiasi misura possa essere adottata per evitare un maggior “collasso”.

L’economista Mark Weisbrot, co-direttore del Center for Economic and Policy Research (CEPR), denuncia che i grandi media “hanno esagerato o distorto dati economici chiave, dall’inflazione alla produzione petrolifera, per rafforzare l’immagine di un paese in rovina a causa del proprio modello politico”.

La giornalista Diana Valido, in un articolo per Al Mayadeen, conclude che “nell’analizzare la copertura mediatica occidentale sul Venezuela, si privilegiano fonti dell’opposizione e si scelgono inquadrature volutamente mirate a mostrare violenza, scarsità e incapacità del governo di gestire una crisi”.

Rendere “tangibile” l’immaginario

Come altre forme di espressione artistica, il cinema è arte e, in un mondo dominato dall’immagine, è ormai discutibile che sia ancora considerato la settima; ma, pur essendo un’espressione soggettiva, viene anche utilizzato come strumento di diffusione ideologica.

La costruzione di un’immagine su una realtà che si intende “fabbricare” si sostiene, grazie alle nuove tecnologie, su un meccanismo che fa sì che il pubblico, dopo aver ricevuto una prima impressione dalla stampa, continui un processo di assimilazione di quella presunta realtà.

Il cinema in qualsiasi forma sia mostrato — nelle sale, sulla TV tradizionale o nelle piattaforme digitali — ricrea una realtà e un contesto che generano nello spettatore uno scenario percepito come verosimile, la cui verità viene appena messa in discussione dagli elementi di finzione.

Come scrive Edward Ross in Filmish, “il cinema possiede un potere immenso di comunicare idee che, sotto una facciata d’innocenza, nascondono ideologie che ci aiutano a comprendere e dare forma al mondo che ci circonda. Se le sue immagini hanno imposto canoni di corpo e modelli di vita, come potrebbero non imporre anche ideologie?”.

La ricercatrice Ximena Méndez Mihura ha studiato come nei film e nelle serie di Hollywood si riproducano stereotipi sull’America Latina: paesi violenti, scenari dominati dal narcotraffico, governi autoritari incapaci di garantire benessere.

“Quando uno spettatore medio sente la parola Venezuela, spesso porta con sé un archivio visivo costruito da Hollywood: strade nel caos, militari corrotti, giungle pericolose”, osserva Méndez Mihura, insieme a un racconto parallelo che legittima l’idea che il paese sudamericano abbia bisogno di un aiuto esterno.

L’agente Ryan a “Caracas”

La serie Jack Ryan (Amazon Prime, 2019) ambienta la sua seconda stagione in un Venezuela fittizio, governato da un dittatore corrotto, circondato da militari sanguinari e mafie del narcotraffico. La narrativa è chiara: il popolo venezuelano è condannato alla miseria finché Washington non lo “salverà”.

Altri film, notiziari e documentari USA ripetono insistentemente immagini di scarsità, lunghe code, migrazione di massa e violenza urbana; e anche quelli non ambientati in Venezuela vi fanno riferimento come rotta del narcotraffico o minaccia aggressiva.

Produzioni che ricevono finanziamenti

I prodotti cinematografici che hanno rappresentato eventi storici o attuali con l’intento di riflettere la realtà non dispongono delle risorse economiche sufficienti per contrastare la potente macchina produttiva USA.

Al contrario, le produzioni al servizio degli interessi della guerra cognitiva e culturale ricevono i finanziamenti maggiori e l’accesso a materiali e infrastrutture — da semplici scenografie a macchine belliche reali.

Gran parte delle superproduzioni che glorificano la politica estera USA non sarebbero possibile senza l’intervento diretto dello Stato. Da decenni esiste una collaborazione ufficiale — benché poco pubblicizzata — tra Hollywood, il Dipartimento della Difesa e la CIA.

Nel libro Operation Hollywood (2005), il giornalista David L. Robb rivelò che il Pentagono mantiene un ufficio incaricato di revisionare i copioni. La sua funzione: garantire che le forze armate appaiano sempre sotto una luce positiva.

“In cambio — denuncia Robb — i produttori ottengono l’accesso a materiali costosissimi: caccia da guerra, navi, elicotteri, basi militari. L’accordo è semplice: se vuoi usare i giocattoli più costosi del mondo, devi raccontare la storia che il Pentagono approva.”

Il mondo dei videogiochi

Call of Duty, GTA e altri giochi d’azione conquistano fin dal lancio bambini, adolescenti e adulti che trascorrono ore a “completare missioni e passare di livello”, in una corsa frenetica verso l’aggiornamento continuo dei contenuti.

Anche i giochi online rientrano in questa categoria: il giocatore diventa protagonista e si “unisce” alle forze del mondo libero in guerra contro dittatori di paesi di cui il gioco stesso fornisce storia e contesto.

Nel 2006 la statunitense Electronic Arts pubblicò Mercenaries 2: World in Flames, in cui “un tiranno assetato di potere utilizza le forniture di petrolio del Venezuela per rovesciare il governo e trasformare il paese in una zona di guerra”, secondo la descrizione del gioco sul suo sito web.

Si tratta dell’anteprima di un’invasione militare in cui il giocatore fa parte dei commando che devono “rovesciare il presidente Hugo Chávez”. Il gioco fu lanciato in piena campagna di pressione di Washington contro Caracas.

Per esempio, in Ghosts (Fantasmi) di Call of Duty, la storia si svolge a Caracas; il gioco racconta che “Caracas acquisì rilevanza mondiale dopo la Guerra di Tel Aviv. Di fronte alla considerevole scarsità internazionale di risorse energetiche, il Venezuela seppe sfruttare le proprie immense riserve di petrolio”.

“La principale forza d’invasione USA assaltò la città con l’intenzione di assassinare i capo della Federazione e distruggerne la capacità economica, politica e militare. La Federazione reagì distruggendo la diga idroelettrica e inondando Caracas.”

Annunci d’invasione 

L’intera narrativa — dai media al cinema, dalle serie ai videogiochi — mira oggi a giustificare e normalizzare l’escalation militare USA contro il Venezuela, generando una predisposizione psicologica nell’opinione pubblica ad accettare come inevitabile una futura invasione.

Il bombardamento continuo di immagini informative di una “realtà” proiettata sullo schermo, la possibilità di partecipare interattivamente a quella realtà, di darle un senso emotivo attraverso il gioco, rappresentano un’altra espressione della guerra cognitiva.

Il consumo di questi contenuti avviene all’interno di un pubblico specifico, reso prigioniero di tali prodotti, che percepisce la realtà quotidiana attraverso la distanza mediata dagli schermi e che tende a un’interazione sociale sempre più limitata.

Lì dove si impongono apatia, indifferenza e scoraggiamento, prevale la falsa sensazione che non esista altra via d’uscita se non il caos — un caos che solo l’azione degli USA, ancora una volta autoproclamatisi “guardiani dell’ordine mondiale”, potrebbe ristabilire, anche al costo di vite umane.

(Ricardo Pose tratto da Telesur)


La instrumentalización de videojuegos, films y series para crear una «Venezuela fallida»

 

Medios de Prensa informan sobre la «dictadura en Venezuela», para un público condicionado en parte por el cine, las series y los videos juegos. Todo el tiempo se construye un “telón de fondo cultural” que normaliza las narrativas mediáticas. Si la prensa habla de crisis, “narco-Estado” y dictadura en Venezuela, la industria estadounidense del cine, las series y los videojuegos preparan al público para que la posibilidad sea aceptable, sin mayor resistencia.

Desde el auge de la “Cultura de masas” construida por Estados Unidos desde las pantallas del cine y con megas producciones de Hollywood, el Imperio estadounidense se muestra como la meca de la democracia occidental y paladín de instalar la justicia en el mundo.

Superhéroes de la Liga de la Justicia combaten la delincuencia frontera adentro de Estados Unidos, al mismo tiempo que un gangoso Pato Donald, enrolado en el ejército de los Estados Unidos, era el héroe de la Segunda Guerra Mundial, junto a otros personajes de Disney.

Pero el relato fundamental de la industria cinematográfica de Estados Unidos es que fuera de fronteras, existía y existe un mundo lleno de naciones atrasadas, con escasa civilización y gobernadas por crueles dictadores, cuyo pueblo es liberado por la acción de un héroe norteamericano.

Más de 20 Años construyendo relato contra Venezuela

El investigador Alan MacLeod ha estudiado miles de notas de prensa publicadas por The New York Times, The Washington Post o la BBC sobre Venezuela entre 1998 y 2014. Concluye que : “la cobertura presenta de manera sistemática al gobierno como ilegítimo, autoritario y corrupto, mientras amplifica voces opositoras y silencia otras fuentes locales”.

La repetición constante de las palabras “narco-Estado”, “dictadura”, “crisis humanitaria”, “Estado Fallido” durante más de dos décadas sobre Venezuela, corresponde a una narrativa cuidadosamente construida, con información siempre parcial y difícil de confirmar.

Una construcción simbólica que esconde un entramado de intereses políticos y económicos vinculados a la política exterior de Estados Unidos, y que predispone a las audiencias a convalidar todas las medidas que se puedan tomar para evitar un mayor “colapso”.

El economista Mark Weisbrot, co-director del Center for Economic and Policy Research (CEPR) denuncia que los grandes medios “han exagerado o tergiversado datos económicos clave, desde la inflación hasta la producción petrolera, a fin de reforzar la imagen de un país en ruinas por su propio modelo político”.

La periodista Diana Valido en un artículo para Al Mayadeen concluye que “cuando se analiza la cobertura periodística occidental sobre Venezuela se priorizan fuentes opositoras, se escogen encuadres con toda intencionalidad de mostrar violencia, desabastecimiento e incapacidad del gobierno para manejar una crisis”.

Haciendo ­“tangible” lo imaginario

Al igual que otras expresiones artísticas, el cine es arte y en un mundo donde predomina la imagen ya es cuestionable que sea el séptimo; pero siendo una expresión subjetiva, también se utiliza cómo una herramienta de difusión ideológica.

La construcción de una imagen sobre una realidad que se va a “fabricar”, se apoya gracias a las nuevas tecnologías, en el recurso que logra que las audiencias que tuvieron una primera impresión por la prensa, sigan en un proceso de aprehensión de esa supuesta realidad.

El cine en cualquiera de sus formatos de exhibición (salas, tv abierta y cerrada, app), recrea una realidad y un contexto que genera para el espectador, un escenario que si le resulta nuevo o novedoso, refleja una verdad apenas cuestionada por la presencia de los elementos de ficción.

Como indica Edward Ross en Filmish, “el cine tiene un poder inmenso para comunicar ideas, que bajo su fachada de inocencia esconden ideologías que nos ayudan a entender y dar forma al mundo que nos rodea. Si sus imágenes han establecido cánones de cuerpos y modelos de vida, cómo no van a establecer ideologías”.

La investigadora Ximena Méndez Mihura ha rastreado cómo en películas de Hollywood y series de televisión se reproducen estereotipos de América Latina: países violentos, escenarios de narcotráfico, gobiernos autoritarios incapaces de garantizar bienestar.

“Cuando un espectador medio escucha ‘Venezuela’, muchas veces ya trae consigo un archivo visual tejido por Hollywood: calles en caos, militares corruptos, selvas peligrosas”, señala Méndez Mihura, junto a un relato paralelo que valida la idea de que el país sudamericano necesita ayuda externa.

El agente Ryan en “Caracas”

La serie Jack Ryan (Amazon Prime, 2019) sitúa su segunda temporada en una Venezuela ficticia gobernada por un dictador corrupto, rodeado de militares sanguinarios y mafias del narcotráfico. La narrativa es clara: el pueblo venezolano está condenado a la miseria hasta que Washington lo “salve”.

Otras Películas, noticieros y documentales producidos en Estados Unidos repiten con insistencia imágenes de desabastecimiento, largas colas, migración masiva y violencia callejera, y las que no se sitúan en Venezuela, hacen alusión al país como ruta de narcotráfico y un enemigo agresivo.

Producciones que reciben presupuesto

Los productos cinematográficos que han reflejado acontecimientos históricos o actuales con una óptica que busca reflejar la realidad, no cuentan con los recursos económicos suficientes para contrarrestar la potente maquinaria productiva de Estados Unidos.

Por el contrario, los productos audiovisuales al servicio de los intereses de la guerra cognitiva y cultural, son las que más fondos reciben, o al acceso de materiales que van desde una simple fachada de madera hasta máquinas bélicas.

Gran parte de las superproducciones que glorifican la política exterior de Estados Unidos, no habrían sido posibles sin la intervención directa del Estado. Desde hace décadas, existe una colaboración oficial —aunque poco difundida— entre Hollywood, el Departamento de Guerra y la CIA.

En Operation Hollywood (2005), el periodista David L. Robb reveló que el Pentágono mantiene una oficina dedicada a revisar guiones. Su función: garantizar que las fuerzas armadas aparezcan siempre bajo una luz positiva.

“A cambio, los productores reciben acceso a material carísimo: aviones de combate, barcos de guerra, helicópteros y bases militares. El trato es simple: si quieres usar los juguetes más caros del mundo, debes contar la historia que el Pentágono aprueba”, denuncia.

El mundo de los videos juegos

Call of Duty, GTA y otros juegos de acción “atrapan” desde su salida al mercado a niños, adolescentes y adultos que dedican varias horas “cumpliendo misiones y pasando de pantallas“, en una frenética carrera por actualizarse en los contenidos.

Juegos en línea también entran en éste categoría, donde el jugador se convierte en protagonista para “sumarse” a las fuerzas del mundo libre, en guerra contra dictadores de países sobre los cuales, el propio juego brinda su historia y contexto.

En el 2006 la empresa estadounidense Electronics Arts de videos juegos, sacó al mercado “Mercenaries 2: World in Flames”, donde “Un tirano hambriento de poder utiliza el suministro de petróleo de Venezuela para derrocar al Gobierno y convierte el país en una zona de guerra”, indica la empresa en la descripción del juego en su página web.

Es la antesala a una invasión militar donde el jugador forma parte de los comandos que “derrocarán al entonces Presidente Hugo Chávez”, y el juego salió al mercado en plena presión del gobierno de Washington contra Caracas.

Por ejemplo, en Ghosts (Fantasmas) de Call of Duty, la historia se desarrolla en Caracas; el juego narra que “Caracas cobró relevancia mundial tras la Guerra de Tel Aviv. Ante la considerable escasez internacional de recursos energéticos, Venezuela capitalizó sus propias y masivas reservas de petróleo”.

“La principal fuerza de invasión estadounidense asaltó la ciudad con la intención de asesinar a los líderes de la Federación y destruir la capacidad económica, política y militar del país. La Federación tomó la delantera al destruir la presa hidroeléctrica de la ciudad, inundando Caracas”, explica.

Anuncios de invasión

Toda la narrativa desde algunos medios de prensa, el cine, las series y los juegos buscan justificar y naturalizar, hoy, la escalada de la presencia militar que el gobierno de Donald Trump ejerce sobre Venezuela, buscando generar una predisposición en la población a aceptar como eminente una posible invasión militar.

El bombardeo de imágenes informativas de la «realidad» a través de una pantalla, la posibilidad de participar en forma interactiva participando en esa “realidad”, el darle un sentido que conecte con las emociones que las imágenes despiertan o el juego estimula, es otra expresión de la guerra cognitiva.

Y su “consumo” se encuentra en un público específico que se torna cautivo de esos contenidos, que percibe la realidad cotidianamente desde la ajenidad que permiten las pantallas y que su interacción social con el resto de la comunidad tiende a ser retraída.

Allí donde se impone la apatía, la indiferencia y el desánimo, prevalece la falsa sensación de que no hay otra salida ni destino que la de un escenario caótico, que solo puede ser restablecido, aun a costo de vidas humanas, por la acción de Estados Unidos que simbólicamente se erige una vez más, en guardián del orden de la humanidad.

(Tomado de Telesur)

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