Venezuela sotto attacco: il Nobel a María Corina Machado è l’apertura di un golpe

María Corina Machado premiata mentre si prepara una destabilizzazione. Caracas parla di aggressione imminente guidata dagli USA.

Ciro Crescentini – Il Desk

Sta prendendo forma sotto gli occhi del mondo un’operazione di colpo di Stato contro il governo socialista e legittimamente eletto del Venezuela. Non si tratta di supposizioni né di retorica politica: i segnali sono chiari, visibili e pericolosamente simili a quelli già visti in Iraq, Libia, Bolivia e Siria.

L’assegnazione del Premio Nobel per la Pace a María Corina Machado, storica figura dell’opposizione venezuelana legata alla destra liberista e sostenuta apertamente da Washington e Bruxelles, non è un atto simbolico, ma un passo politico preciso nella costruzione di un consenso internazionale per rovesciare il governo di Nicolás Maduro.

Il contesto in cui arriva questo “premio” la dice lunga: mentre gli Stati Uniti aumentano la loro presenza militare nei Caraibi, con navi da guerra, truppe speciali, aerei da combattimento e persino un sottomarino nucleare dislocati vicino alle coste venezuelane, il governo di Caracas ha denunciato un’aggressione imminente. Secondo una lettera ufficiale inviata all’ONU dall’ambasciatore venezuelano Samuel Moncada, “un attacco armato degli Stati Uniti contro il Venezuela potrebbe verificarsi molto presto”.

E come sempre, la guerra inizia con la propaganda. María Corina Machado viene presentata dai media internazionali come “dissidente democratica”, una sorta di martire dei diritti civili. Ma la realtà è ben diversa: Machado rappresenta la classe politica ed economica che ha storicamente cercato di riportare il Venezuela sotto il controllo delle multinazionali e delle élite economiche, smantellando ogni conquista sociale ottenuta negli anni della Rivoluzione Bolivariana.

La sua premiazione non è altro che un tentativo di costruire una legittimità alternativa a quella del presidente Nicolás Maduro, eletto democraticamente dal popolo venezuelano in elezioni regolari, certificate da osservatori internazionali e da un sistema elettorale tra i più trasparenti del continente. Un governo che gode di piena sovranità politica, istituzionale e popolare. E proprio per questo, oggi è nel mirino.

Il vero obiettivo non è Machado. E nemmeno la “democrazia”. Il vero obiettivo è il petrolio venezuelano.

Il Venezuela possiede le più grandi riserve petrolifere del pianeta, e da oltre vent’anni, grazie alla Rivoluzione Bolivariana, queste risorse sono state sottratte al controllo delle multinazionali straniere per essere gestite dallo Stato venezuelano a beneficio della popolazione. È questo che l’Occidente non ha mai perdonato al Venezuela: la scelta di camminare con le proprie gambe, senza piegarsi alle logiche del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, né dei diktat economici statunitensi.

Il Nobel a Machado arriva quindi come una mossa geopolitica studiata, un tentativo di normalizzare e legittimare, agli occhi dell’opinione pubblica globale, un’aggressione mascherata da “transizione democratica”. Il copione è noto: si costruisce un’opposizione “eroica”, si delegittima il governo popolare, si soffoca il paese con sanzioni, e infine si interviene, direttamente o attraverso forze mercenarie, per rimuovere il potere costituzionale.

A rendere ancora più chiara l’operazione è la sorprendente unità di intenti tra le leadership politiche occidentali, da Ursula von der Leyen a Matteo Renzi, da Antonio Tajani fino agli esponenti di Sinistra Italiana ed Europa Verde, che si sono precipitati a celebrare la “coraggiosa” Machado. Una strana convergenza trasversale, che dimostra quanto forte sia il consenso tra le élite europee quando si tratta di difendere l’interesse strategico delle grandi potenze a discapito della sovranità di un paese del Sud globale.

Ma il Venezuela ha già resistito. E resiste ancora. Resiste alle sanzioni, all’isolamento, alla criminalizzazione, alla guerra economica. E oggi si trova di fronte a una nuova forma di aggressione: più sofisticata, più mediatica, ma non meno pericolosa. L’aggressione che arriva sotto forma di premio.

Per questo è fondamentale denunciare con fermezza la realtà dei fatti: il Premio Nobel per la Pace 2025 è parte di un’operazione di regime change, tesa a rimuovere un governo legittimo, popolare e socialista per rimettere le mani sul petrolio venezuelano.

Non si tratta di difendere un nome o un partito. Si tratta di difendere il diritto di un popolo a scegliere il proprio destino, senza ricatti, senza bombardamenti, senza premi fasulli costruiti per giustificare colpi di Stato.

Il Venezuela ha scelto il socialismo, la sovranità, la resistenza. E questo, per molti, è un crimine imperdonabile.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.