Un Nobel per la guerra

Maurizio Acerbo

Il paventato conferimento del Premio Nobel per la Pace a Donald Trump ha suscitato una reazione positiva alla notizia che il presidente USA non è stato premiato.

Però va detto che c’è poco da rallegrarsi del Premio a una esponente dell’estrema destra trumpiana come Maria Corina Machado.


ll Comitato per il Nobel per la Pace 2025 ha definito Maria Corina Machado “Una coraggiosa paladina della pace che mantiene accesa la fiamma della democrazia in mezzo a un’oscurità crescente”, come si legge nella motivazione.

In realtà il conferimento del Premio alla leader dell’opposizione golpista venezuelana rafforza la campagna di destabilizzazione, terrorismo e guerra di Trump e Rubio contro la Repubblica Bolivariana.

Ricordo che gli USA con la scusa della lotta al narcotraffico hanno posto una taglia di 50 milioni di dollari sul Presidente Maduro e hanno posizionato una flotta davanti al paese latinoamericano che ha colpito e affondato diverse imbarcazioni di pescatori.

Figlia di un uomo affari le cui attività furono nazionalizzate da Chavez, Maria Corina Machado è stata definita “la lady di ferro di Caracas”, una sorta di Margaret Thatcher venezuelana, ferocemente anticomunista e reazionaria, antiabortista, sostenitrice della privatizzazione del petrolio venezuelano su cui dichiaratamente Trump ha dichiarato di voler mettere le mani.

È stata una sostenitrice nel 2002 del golpe militare, sostenuto da USA e Confindustria venezuelana, contro il presidente eletto Hugo Chavez fortunatamente fallito grazie alla risposta popolare e dei militari chiavisti.

La candidatura di Maria Corina Machado è stata esclusa alle ultime elezioni in quanto ha pubblicamente sostenuto la necessità di una intervento militare USA per rovesciare il presidente Maduro.

La richiesta l’ha rivolta con una lettera anche al suo alleato fascista Netanyahu a cui la lega un accordo politico sottoscritto tra i loro due partiti di estrema destra.

Il Premio alla Machado non mi sembra meritare il giubilo che vedo sui social, anzi appare un modo per sponsorizzare l’aggressione militare al Venezuela, già strangolato dalle sanzioni occidentali.

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