Hillary Clinton: la “democrazia” in Venezuela

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hillaryHillary Clinton non poteva perdere questa occasione. Dopo i risultati delle elezioni per l’Assemblea Nazionale del Venezuela il 6 dicembre scorso, la candidata alle prossime elezioni presidenziali della Casa Bianca ricorda a coloro che non l’avessero ancora capito come il sostegno degli Stati Uniti all’opposizione venezuelana sia una questione cruciale e strategica.

Dopo aver sorpassato nelle stime l’Arabia Saudita, il Venezuela è ormai la prima riserva mondiale di risorse petrolifere. Tanto da immaginare a che punto gli Stati Uniti aspirino a rovesciare un governo troppo indipendente che ha nazionalizzato la principale impresa estrattiva del paese, PDVSA, per destinare una parte delle sue risorse ai programmi sociali in campo educativo, sanitario e abitativo. Solo in quest’ultimo ambito, il governo di Nicolas Maduro ha inaugurato, ai primi di dicembre, l’alloggio sociale numero 900.000 della “Mision Vivienda”.

Sotto la direzione di Hugo Chavez, il Venezuela ha effettivamente ripreso la propria sovranità nazionale e il suo impatto è stato notevole sugli eventi regionali per più di un decennio. Il messaggio era chiaro: l’America Latina e i Caraibi non sono più il cortile di casa degli Stati Uniti.

Ma la manna dell’oro nero venezuelano, il cui accesso per mare permetterebbe di disporre di un vantaggio essenziale per l’economia del vicino del nord riducendone i tempi di inoltro di questa risorsa strategica dal Medio Oriente, è una grande tentazione per l’imperialismo. E’ così che possono spiegarsi le recenti dichiarazioni della signora Clinton:

“Il popolo del Venezuela ha bisogno di tutto il nostro appoggio nell’emisfero, in particolare di quello dei nostri amici dell’America Latina. E’ necessario che essi si pronuncino in favore della democrazia, che difendano i diritti dell’uomo in quel paese. E’ tragico vedere a che punto questo paese, il più ricco dell’America Latina, uno dei più ricchi del mondo in materia di risorse, sia mal governato e a che punto le persone siano state oppresse e maltrattate nel corso degli ultimi 15 anni…Dunque, occorre sostenere il popolo venezuelano. E certamente io vi sosterrò, e formuliamo gli auspici affinché queste elezioni siano l’inizio di un processo di recupero della democrazia e affinché opportunità per il popolo del Venezuela possano essere create… [1]

Dichiarazioni che hanno il merito della chiarezza e che non lasciano nulla al caso, poiché tale preoccupazione per il petr….ops! cioè, per i diritti dell’uomo, è stata condivisa dal generale John Kelly che si è detto, anche lui, inquieto per la situazione economica del Venezuela, preoccupato per la situazione a tal punto che dice “di passare 40 secondi al giorno per pensare al Venezuela”, “deplorare l’inflazione della sua economia” e “pregare per il suo popolo, perché soffre terribilmente”.

Il generale Kelly sembra dunque augurare, da buon samaritano, il benessere dei venezuelani ed è anche “pronto ad intervenire se glielo si chiede”. [2]

Le recenti dichiarazioni di Hillary Clinton fanno eco a quelle del Segretario di Stato John Kerry dell’8 dicembre, in cui “esorta il Consejo Nacional Electoral (CNE) di pubblicare i risultati elettorali”. Il presidente Maduro risponde ironicamente “egli deve svegliarsi al mattino e pensare che governa il Venezuela. Un governatore speciale per il Venezuela….Ma voi chi vi credete, signore? Il CNE è il Potere elettorale della Repubblica bolivariana del Venezuela, ed è autonomo. Che Dio ci protegga di non divenire mai più colonia altrui. E ancor meno, di essere la colonia di questa élite che governa Washington.” [3]

Se la candidata alle elezioni presidenziali del 2016, signora Clinton, l’attuale Segretario di Stato John Forbes Kerry e il generale dell’esercito John Kelly possono ancora permettersi di dare lezioni di diritti umani al Venezuela senza temere la minima reazione del “mondo civilizzato”, è senz’altro perché tutto questo bel mondo non ha tratto il bilancio dell’ingerenza degli Stati Uniti e dei suoi crimini nel mondo, in particolare nella conduzione dell’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq e sostenendo finanziariamente gruppi di mercenari in Iraq, in Libia e in Siria.

Alcuni documenti [4], attestano ugualmente che non furono altri che la signora Clinton che diede, nel 2009, l’ordine di rovesciare il presidente dell’Honduras Manuel Zelaya con un colpo di stato, come “vendetta” per aver osato raggiungere l’Alba creata da Hugo Chavez. Ma anche perché due settimane prima, a San Pedro Zulia, ebbe luogo la riunione dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), in cui le sanzioni nei confronti di Cuba in vigore dagli anni 60 furono tolte sotto l’iniziativa del presidente Zelaya. Hillary Clinton spiega che fu all’uscita di questa riunione che ebbe l’idea di ordinare il rovesciamento del presidente dell’Honduras.

Come dimostra brillantemente Diana Johnstone nel suo recente libro “Hillary Clinton, la Regina del Caos”, [5] la candidata alla Casa Bianca sa perfettamente che, per avere quel posto, occorre dimostrare che una donna può anche diventare una comandante di guerra. Ed è questo che spiega il suo percorso negli anni 90 come “Première dame” e moglie di Bill Clinton, nella promozione del femminismo e dei diritti dell’uomo nei paesi del Sud. Un appoggio necessario per adattarsi alla nuova era caratterizzata dalla onnipotenza dell’impero americano. In effetti, dopo la guerra in Yugoslavia, un cambiamento profondo fu operato dalle élites americane attraverso l’aggiornamento degli obiettivi della NATO, fatto che permise di riformulare il diritto internazionale e di pervertire le nozioni più elementari di sostegno umanitario, mettendole al servizio della potente industria degli armamenti. Una volta scomparsa l’Unione Sovietica, gli Stati uniti e l’Europa si sarebbero convinti della loro superiorità morale e del loro modello economico, in breve, cosa che fu riassunta come “la fine della storia”. Nulla ormai impediva loro di difendere i propri interessi appoggiandosi sul principio del “Right to Protect”. Cioè il diritto di decidere quale governo conviene rovesciare, di continuare a perfezionare la loro tecnologia di guerra (come i droni) e di intervenire nei paesi del Sud troppo indipendenti, ma in modo rispettabile agli occhi dell’opinione pubblica.

Finalmente, il “Decreto Obama” del 9 marzo 2015, dichiarando il Venezuela essere una “minaccia inconsueta e straordinaria per la sicurezza degli Stati Uniti”, assume tutto il suo significato dando ascolto ai responsabili militari e politici del paese che ha maggiormente utilizzato al mondo le armi chimiche e non ha esitato a testare due bombe nucleari sulla popolazione civile delle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Senza dubbio occorre ricordare anche il suo ruolo negli anni 60 e 70 nell’arrivo al potere di dittature militari in America Latina attraverso la politica del vecchio Segretario di Stato Henry Kissinger.

Gli squadroni della morte formati dalla CIA in Salvador, il bombardamento della popolazione civile nei quartieri di un piccolo paese come Grenada sono alcune dimostrazioni della legittimità con la quale Hillary Clinton osa affrontare la questione dei diritti dell’uomo. Senza parlare del fatto che essa stessa ha confessato che il suo paese è stato all’origine della creazione della rete terrorista Al Qaeda quando Brezinski ha messo a punto la strategia che consisteva nel formare e finanziare i mujaheddin che partivano per la guerra santa contro un governo ostile poiché al fianco dell’URSS all’epoca della guerra fredda. Infine, si è ritrovata la stessa strategia nel sostegno ai ribelli libici e siriani, dipinti dalla propaganda occidentale come i nuovi “freedom fighters” [6], eroi capaci di realizzare il sogno del “caos costruttivo” del vecchio Segretario di Stato dell’amministrazione Bush, Condoleezza Rice. [7]

Cosa si è appreso dalle menzogne dei Bush e compagnia, e delle sue conseguenze in Iraq e in Siria con le prevedibili ricadute che hanno avuto luogo prima in quei stessi paesi, poi a Madrid, a Londra, e dopo in Egitto, in Tunisia, in Libano, in Nigeria e infine a Parigi o a Bamako? Invariabilmente, sono sempre i popoli che pagano il prezzo di ogni guerra, senza distinzione di religione, per gli interessi di alcuni.

Ascoltiamo ora Hugo Chavez, il promotore della pace e del mondo multipolare, rispondere con la sua consueta sincerità e chiaroveggenza alle successive coalizioni dei guerrafondai di ieri e di oggi come François Hollande, Manuel Valls, Laurent Fabius, David Cameron, Barack Obama o Hillary Clinton, che non hanno smesso di sostenere finanziariamente e militarmente quelli che oggi affermano di voler combattere con le bombe:

“Quanti problemi deve affrontare la Francia in questo momento? Che ne è della disoccupazione in Francia…? La disoccupazione, le aziende fallite, le banche che saccheggiano i propri cittadini…Certo, la Francia non è il peggiore dei casi….ci sono la Spagna, il Portogallo, che sono i casi peggiori, la parte più povera di quell’Europa…In mezzo secolo la pretesa UE non è riuscita ad adottare una strategia per eliminare o ridurre le grandi asimmetrie tra un’Europa ricca e un’Europa povera, che soffre la crisi. Il governo francese dovrebbe essere prima preoccupato dei problemi della Francia come il cambiamento climatico, la povertà, la fame, ecc. Perché allora essa persegue una politica estera imperiale che consiste nel rovesciare i governi perché non piacciono a qualcuno? E’ quello che è successo con la Libia. Noi riconosciamo il governo siriano e, chi volete che si riconosca altrimenti? I terroristi, quelli che lanciano le bombe? E’ triste constatare che i governi europei riconoscono i terroristi, si riuniscono con i terroristi e gli spediscono soldi e armi. Speriamo che i popoli europei possano svegliarsi! Se vi sono problemi in Siria, tocca ai siriani risolverli, e non ai gruppi terroristi infiltrati.” [8]

I fatti hanno, ancora una volta, dato ragione a Chavez. I piani dell’imperialismo americano e la loro strategia consistente nel saccheggiare le risorse dei paesi del Sud non possono funzionare sempre alla perfezione. Anche se le tecniche dietro alle rivoluzioni colorate e alla promozione di una società civile pronta a promuovere la concezione della democrazia e dei diritti dell’uomo nello stile “american way of life” si sono molto perfezionate in questi ultimi anni in particolare attraverso il ruolo essenziale della propaganda dei media, la macchina da guerra cade spesso in panne di fronte alla resistenza dei popoli. E in Venezuela, anche se la strategia della destabilizzazione economica sembra aver vinto una battaglia importante dopo i risultati delle elezioni del 6 dicembre scorso, essa non potrà distruggere così facilmente le conquiste della rivoluzione bolivariana.

NOTE

1 Diana Johnstone, Hillary Clinton, La Reine du Chaos, Editions Delga, Paris 2015.

2 CNN, Entrevista de John Kelly, Atlanta, Estados Unidos, 22 de octubre, 2015.

3 En contacto con Maduro, 9 dicembre 2015, Cuartel de la Montana, Caracas.

4 “We strategized on a plan to restore order in Honduras and ensure that free and fair elections could be held quickly and legitimately, which would render the question of Zelaya moot.”, Hillary Clinton, Hard Choces, Simon & Schuster, 2014. Leggere anche l’articolo di Mark Weisbrot: Hard choices: Hillary Clinton admits role in Honduras coup aftermath

5 Diana Johnstone, Hillary Clinton, La Reine du Chaos, Editions Delga, Paris 2015.

6  “…To watch the courageous Afghan freedom fighters battle modern arsenals with simple hand-held weapons in an inspiration to those who love freedom. Their courage teachers us a great lesson that there are things in this world worth defending.” Ronald Reagan, Message on the Observance of Afghanistan Day, White House, March 21, 1983.

7  “…Condoleezza Rice chiama i suoi auspici il “caos costruttivo” per impiantare la democrazia negli Stati arabi della regione, in preda al totalitarismo. L’espressione è tenebrosa…l’amministrazione americana privilegia il perseguimento dei massacri per meglio sottrarre le ricchezze naturali del paese, in primo luogo il petrolio, senza suscitare sospetti?”, Gamal Ghitany, Le “chaos constructif”, un leurre. , Libération, 22 marzo, 2007.

8  Hugo Chavez, Rueda de prensa presidencial, Aeropuerto de Maiquetia, Vargas,http://elnuevodiario.com.do/mobile/

Alex Anfruns | da investigaction.net

Traduzione di Massimo Marcori per Marx21.it

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