Venezuela: la Mud abbassa la cresta

Geraldina Colotti – il manifesto

Mud-momias«Una vittoria della democrazia». Così, i deputati chavisti, in Venezuela, hanno commentato la decisione delle destre — maggioritarie in Parlamento — di accettare la sanzione emessa dal Tribunal Supremo de Justicia (Tsj) e di rinunciare a tre dei loro parlamentari. I deputati, eletti nello Stato Amazonas alle legislative del 6 dicembre erano stati sospesi dal Tsj a seguito di una denuncia per brogli e compravendita di voti presentata da una deputata del Partito socialista unito (Psuv).

Altre sei denunce potrebbero essere accolte dal Tribunale, e portare a nuove elezioni nei circuiti incriminati. Sospeso anche un eletto chavista, che non si era quindi presentato in parlamento per il giuramento annuale, il 5 gennaio. Invece, i sospesi della Mesa de la Unidad Democratica (Mud) avevano ignorato la sentenza, appoggiati dal presidente dell’Assemblea nazionale, Henry Ramos Allup. Il Tsj aveva allora dichiarato incostituzionale l’intero parlamento, rendendo illegittima ogni sua decisione.

La tensione era subito salita alle stelle, attizzata dall’atteggiamento barricadero di Allup, un vecchio politico del centro-sinistra della IV Repubblica (Ad) che ha poi partecipato al golpe contro Hugo Chavez nel 2002. Allup ha fatto togliere dall’assemblea tutti i quadri del defunto presidente Chavez e anche quelli del Libertador Simon Bolivar, suscitando un’ondata d’indignazione. Per respingere l’affronto, sono scesi in campo anche i vertici delle Forze armate, che hanno ripetutamente espresso lealtà al presidente Maduro. Da allora, ogni deputato chavista ha messo sul banco i ritratti dei due «padri della patria», in un crescendo di scontri tra poteri e tra simboli. L’opposizione promette di far cadere il governo e di cacciare il presidente Nicolas Maduro entro sei mesi. Intanto, ha messo in piedi un progetto di amnistia per i suoi politici detenuti e per il ritorno di banchieri fraudolenti e golpisti latitanti. A seguire, un pacchetto di misure neoliberiste per azzerare le conquiste sociali reggiunte in quasi 17 anni di socialismo bolivariano.

Il sistema venezuelano è però una repubblica presidenziale che, come negli Stati uniti, concede ampie prerogative al presidente ed è inoltre basato sull’equilibrio di 5 poteri in cui il Tsj (nominato dal vecchio Parlamento), è un perno centrale. Già con la maggioranza qualificata, ottenuta dalla Mud con i suoi 112 deputati contro i 55 del Psuv, sarebbe stato complicato per le destre procedere sulla linea di Macri in Argentina. Ma ora, senza i 3 sospesi, viene meno la maggioranza dei 2/3: imprenditori, commercianti e istituzioni internazionali, grandi finanziatori della Mud, dovranno ancora mordere il freno.

Dopo la presa d’atto delle destre, giovedì il Tsj ha tolto la sanzione di incostituzionalità all’Assemblea: per consentire a Maduro di illustrare in Parlamento il bilancio annuale, come prevede la costituzione. Ieri, è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale il decreto presidenziale che dichiara lo stato d’emergenza economica su tutto il territorio nazionale: per 60 giorni prorogabili per altri due mesi. Basandosi sull’articolo 338 della Costituzione, Maduro intende così dettare nuove linee direttive: per contrastare la guerra economica dei grandi gruppi privati, l’accaparramento e la caduta del prezzo del petrolio, che evidenzia la vulnerabilità di un modello ancora troppo basato sulla rendita petrolifera e dipendente dalle esportazioni.

Ieri, il Banco Central de Venezuela ha pubblicato le cifre dell’inflazione: 141% fino a settembre 2015. Cifre determinate da perversioni accumulate nel secolo scorso e ora influenzate dalla drastica caduta del prezzo del barile, sceso ai minimi storici.

Dopo aver ascoltato tutti i settori popolari, Maduro ha scelto un nuovo gabinetto, molto spostato verso la sinistra marxista e la costruzione del nuovo stato comunale: un progetto sostenuto dai «soviet bolivariani», organi legislativi proposti per essere paralleli e antagonisti al parlamento ufficiale. «Per costruire un modello socioeconomico socialista — ha detto il ministro del Commercio e investimenti esteri, Jesus Faria — dobbiamo rompere la dipendenza dalla rendita petrolifera. Occorre cambiare il modello, mantenendo però sempre l’economia al servizio del popolo e continuando a difendere la sovranità nazionale dagli interessi delle grandi potenze straniere e dal Fondo monetario internazionale». Ma la destra ha annunciato battaglia.

Al momento per noi di andare in stampa, in attesa dell’arrivo di Maduro, in Piazza Bolivar si stavano concentrando i manifestanti, arrivati da tutto il paese per «accompagnare il presidente».

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