Intervista a Gianni Minà: Chávez e l’AL 3 anni dopo

Alessandro Bianchi –l’Antidiplomatico

3er_aniversarioA tre anni dalla scomparsa del leader della rivoluzione bolivariana, l’omaggio al Teatro Vittoria a Testaccio (Roma) sabato 5 marzo con la proiezione di un’intervista inedita e profetica di Gianni Minà.

Gianni Minà presenterà sabato 5 marzo al Teatro Vittoria, nello storico quartiere romano di Testaccio, un’intervista inedita all’ex Presidente del Venezuela e leader della rivoluzione bolivariana, Hugo Chávez.

Era il 2003 e di ritorno dal Social Forum di Porto Alegre, in Brasile, Hugo Chávez “a cuore aperto” delinea a Minà tutti i segreti della rivoluzione bolivariana, i progetti e i programmi che nel tempo hanno trasformato e stanno trasformando il Venezuela e l’America Latina, offrendo un seme di speranza possibile per salvarsi dai crimini del neo-liberismo.
“Hugo Chávez – sottolinea Gianni Minà all’Antidiplomatico – è stato esempio d’indiscutibile democrazia che in 15 anni ha prevalso in 18 consultazioni elettorali o referendarie su 19, nel frattempo ha lasciato prematuramente questo mondo, ma senza dubbio il cambiamento sociale nel suo paese e l’influenza che il suo modello politico ha esercitato sul resto del continente, ispirandosi spesso alla rivoluzione cubana, hanno lasciato una traccia indelebile nei destini prossimi dell’America Latina” .
L’intervista
In America Latina, dopo anni di speranza, si vive un momento di difficoltà oggettiva. Quanto manca la figura di Chávez in questo momento storico?
Drammaticamente, manca molto. Non solo per l’America Latina, ma se vi capita di rivedere i suoi discorsi su Libia e Siria nel 2011, è straordinaria la capacità di sintesi politica che il Comandante aveva su molte dinamiche internazionali. Uno statista, uno dei più lucidi dei nostri tempi. Insieme ad altri dell’America Latina (penso a Lula e Kirchner in particolare) ha creato dei pilastri indelebili di progresso come la Celac, l’Unasur, Telesur, Banco del Sur.
Pilastri che hanno reso l’America Latina un continente di pace e speranza per l’umanità, non più cortile di casa degli Stati Uniti e il Venezuela un paese che ha provato a riscattarsi. Gran parte di questo fenomeno si deve incontestabilmente alla lungimiranza e al coraggio, purtroppo irripetibili, proprio di Hugo Chávez Frías.
Oggi il Venezuela è tornato protagonista sulla stampa italiana, ma come un paese allo sbando e in crisi. 

Gli Stati Uniti hanno investito miliardi di dollari per destabilizzare il paese, punto di riferimento di quella che era l’evoluzione progressista dell’America Latina. Dalla nascita delle Guarimbas, proteste organizzate nei quartieri residenziali venezuelani, alla guerra economica frutto anche del crollo mondiale del prezzo del petrolio sotto i 30 dollari, i colpi sono stati durissimi.

Il momento di difficoltà e di crisi è oggettivo. Ma dove si percepisce tutta la malafede e l’ignoranza complice di questa informazione occidentale è nel fatto che quasi tutti questi critici hanno dimenticato che Chávez aveva ereditato un paese devastato che la rivoluzione bolivariana fin dall’inizio ha dovuto pensare a puntellare, a ricostruire.

Non si ricorda mai perché è iniziata la rivoluzione bolivariana. Il paese che Chávez ereditò da quei due lestofanti di Carlos Andrés Pérez e Rafaél Caldera era un paese con milioni di analfabeti, milioni di persone i cui figli non andavano nemmeno a scuola perché i padri non erano registrati neanche all’anagrafe. Milioni di persone che semplicemente non esistevano. Oggi è in crisi? La situazione è fuori controllo? Intanto milioni di persone grazie alla rivoluzione bolivariana oggi sono esseri umani, hanno accesso all’istruzione, alla sanità e hanno una casa. Questo può essere l’unico punto di partenza per ogni discussione se si vuole essere seri quando si parla di Venezuela e delle difficoltà che Maduro, il successore di Chávez, deve affrontare.
E il ruolo di Cuba resta centrale in questa fase?
La realtà è che Fidel Castro e Chávez hanno effettivamente rappresentato un ostacolo al neo-liberismo degli Stati Uniti. E il più inaspettato miracolo politico di Fidel Castro è stato proprio Chávez. Lo scelse come continuatore del suo progetto rivoluzionario quando ancora non lo conosceva nessuno. E nell’affermazione di questo processo di cambiamento che ha liberato l’America Latina, il ruolo di Cuba è stato incontestabilmente notevole e lo sarà anche in futuro, malgrado le attuali difficoltà.
Secondo lei dunque quello che si legge in Italia sull’America Latina non è uno spettacolo che fa molto onore alla professione che lei ama così tanto…

I  media occidentali non perdono occasione di accumulare brutte figure su brutte figure quando si parla del centro e del sud America. Basta pensare a cosa è diventata oggi Cuba, pure in mezzo a varie difficoltà e all’esigenza di trovare un metodo per gli inevitabili cambiamenti,che salvi il paese però da esagerate tentazioni liberiste. Papa Francesco, che a sua volta sta chiedendo al mondo di fare scelte più umane è andato a trovare Fidel a casa. Se Fidel fosse stato il terrorista descritto in quest’ultimo mezzo secolo da molti media occidentali, certo questo non sarebbe successo. E nemmeno che il Patriarca ortodosso Kiril e il Papa si incontrassero per una riappacificazione fra le loro Chiese dopo mille anni, proprio a La Habana e con la mediazione di Raul Castro. Chi poteva pensare a un simile cambiamento, soltanto un paio di anni fa?

Per fare un altro esempio, ai funerali di Chávez a Caracas erano presenti due milioni di persone e 33 tra Capi di stato e Premier da tutto il mondo. Stavano onorando un “terrorista” come l’aveva descritto la stampa occidentale fino ad allora?Ma i servitori del nostro giornalismo vivono evidentemente in un universo tutto loro, incuranti del ridicolo che i loro clamorosi errori di valutazione suggeriscono.

 

A chi si riferisce in particolare?

Ho letto su La Repubblica, per esempio, un articolo su Evo Morales che secondo Omero Ciai, sarebbe un “uomo alla deriva”. Ora, ognuno ha il diritto di vedere le cose come gli pare, ma sarebbe facile ricordare a Omero Ciai che cos’era fino a un quarto di secolo fa la Bolivia governata da militari assassini e ladri, magari, istruiti dalla famosa Escuela de las Americas, dove si sono educati tutti i “mostri” che hanno insanguinato il paese fino a ieri.

Il fatto è che Evo Morales le cose non le manda a dire e quando ha fatto il suo memorabile discorso alla Comunità Europea ha ricordato tutte le incancellabili prepotenze che il nord del mondo ha fatto ai popoli autoctoni o del sud del globo: “Quando avete intenzione di restituirci tutte le ricchezze che ci avete rubato fino ad oggi?”.
Il dispetto per questa sfacciataggine è stato quello di vietare al boeing su cui viaggiava nel ritorno a casa lo spazio aereo di mezza Europa, con la scusa che il Presidente boliviano avrebbe dato “un passaggio” a Edward Snowden, funzionario che aveva rivelato al mondo alcuni segreti dell’intelligence nordamericana.
Ovviamente era una “bufala”, ma in questo caso Evo Morales si è confermato un politico accorto e capace, mentre il collega di Repubblica dovrebbe fare una verifica più attenta delle sue fonti.
Scrivere sotto dettatura è sempre un rischio. Non molto tempo fa, per esempio, l’ex Presidentessa dell’Argentina, la signora Kirchner, ha vinto una causa con il Corriere della Sera che, in occasione di un suo viaggio in Italia per un summit della Fao, aveva disertato, secondo il più venduto giornale italiano, la conferenza sulla povertà a vantaggio di una giornata di shopping a via Condotti.
Cristina Kirchner è riuscita a dimostrare, con i timbri sul passaporto, che quel giorno non era nemmeno in Italia. Il quotidiano è stato condannato a 40 mila euro di risarcimento e all’inevitabile smentita da pubblicare con adeguato risalto. Tutto questo perché Cristina Kirchner rappresenta, a torto o a ragione, quel tipo di politico sudamericano che disturba i progetti degli Stati Uniti nel continente. Strano che gli altri giornali italiani, sempre attenti alla linea del Corriere, non se ne siano accorti.
L’onestà intellettuale, evidentemente, non è di casa sui nostri giornali, per questo l’ex Presidente Chávez nel momento in cui se ne è andato, 3 anni fa, da questo mondo, aveva vinto 18 consultazioni elettorali o referendarie su 19 affrontate, e l’ex responsabile della Fondazione Carter, Jennifer McCoy, che ho intervistato per il film-documentario “Papa Francesco, Cuba e Fidel”, mi ha intimato: “E non si azzardino a parlare di brogli. Quando siamo stati là, abbiamo controllato tutto il processo elettorale e referendario e l’Occidente dovrebbe solo rispettarlo”.
Ma la domanda che oggi si pongono molti è: il processo di emancipazione e liberazione iniziato da Chávez in America Latina resisterà?
Con la morte di Chávez, le difficoltà di Dilma Rousseff in Brasile e dello stesso Maduro in Venezuela e l’elezione in Argentina dell’ex governatore di Buenos Aires, Macri, la situazione si è fatta complicata. Nell’intervista del 2003 che presenteremo al Teatro Vittoria sabato 5 marzo, nella valutazione del leader della rivoluzione bolivariana era chiara la consapevolezza che gli Stati Uniti avrebbero fatto di tutto in qualunque momento per tornare in Venezuela. Ma io resto ottimista, perché la stessa rivoluzione bolivariana ha emancipato intere popolazioni e creato meccanismi di solidarietà e cooperazione. Penso, ad esempio, ai maestri cubani saliti in Venezuela a completare lo sforzo di alfabetizzazione del paese. Un miracolo di umanità che dovrebbe essere preso a modello nell’Europa dei tecnocrati che cacciano gli esseri umani sfuggiti a una guerra. Resisterà? Sarà una provocazione, forse, ma il leader del Sud del mondo a cui oggi aggrapparsi in questo momento è Papa Francesco che queste esigenze le afferma quasi ogni giorno.
Che si sarebbero detti Chávez e Papa Francesco se si fossero incontrati in questi tempi di drammatica crisi per l’umanità?
Difficile dirlo con esattezza. Sicuramente avrebbero costruito un rapporto di fiducia franco e costruttivo. Chávez poi avrebbe avuto un alleato importante, forse decisivo, nella madre di tutte le sue battaglie cercando di garantire i diritti umani fondamentali a tutti gli esseri umani contro un neo-liberismo allo sbando arrivato alla sua ultima farsesca produzione di nome Donald Trump.
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