Obama in Baraguá

Iroel Sánchez https://lapupilainsomne.wordpress.com

maceoQuesto testo l’ho pubblicato il 7 gennaio 2015, dal titolo “Cuba: Una domanda pertinente” in seguito alla polemica innescata da una delle provocazioni ordite da quelli che Barack Obama -nel suo messaggio per la visita prevista a Cuba questo mese- ha considerato “uomini e donne coraggiosi che danno voce alle aspirazioni del popolo cubano”.

Ma credo che il suo momento è questo 15 marzo 2016, in cui si compiono 138 anni da che il rappresentante dell’impero contro cui combattevano i cubani fosse ricevuto, cortesemente, nell’accampamento mambí di Antonio Maceo per dirgli che non rinunciavano alla loro lotta e che erano loro, e non i rayadillos (cubani anti-indipendentisti pagati dall’impero spagnolo ndt) nati qui, e pagati dalla corona spagnola con un peso al giorno, né quelli che concordarono, in Zanjón, una pace senza indipendenza né fine della schiavitù, i rappresentanti di Cuba.

Maceo ricevette con tutta cortesia Martinez Campos. Il governatore spagnolo nel suo ruolo di “pacificatore”, disse al Generale cubano:

“Basta sacrifici e sangue, molto avete fatto voi stupendo il mondo con la tenacia e determinazione, aggrappati alla vostra idea è giunto il momento che le nostre differenze abbiano termine e che uniti, cubani e spagnoli, ci proponiamo sollevare questo paese dalla prostrazione in cui dieci anni di cruda guerra lo hanno gettato”.

“È giunto il momento che Cuba,venendo alla vita attiva dei popoli colti entri nel godimento di tutti i diritti e unita alla Spagna vada per la via del progresso e della civiltà”

Davanti alla inflessibile posizione dei cubani che insistettero che non avrebbero accettato la pace senza indipendenza e abolizione della schiavitù, il Generale spagnolo volle coltivare la sua vanità evidenziando l’onore che, secondo lui, si concedeva ai cubani che erano lì presenti:

“avete ottenuto ciò che nessun altro esercito in guerra, ed è che Sua Maestà, il Re Don Alfonso, che in questo momento rappresento, sia venuto sino al suo accampamento”

Ma le lusinghe non alterarono di un millimetro la postura di Maceo e degli ufficiali che lo accompagnavano.

Oggi non è un rappresentante, ma la sua stessissima Maestà il Re che visita il territorio insorto invitandoci di nuovo ad andare “sulla via del progresso e della civiltà”. Ma Cuba libera ora non si limita solo agli accampamenti dove i mambises innalzavano le loro bandiere, ma abbraccia l’intera isola, con l’eccezione del pezzo quell’impero ci usurpò dopo essere intervenuto come un baro alleato in una guerra che i cubani avevano praticamente vinto. La stessa cortesia e uguale fermezza lo riceveranno.

Cuba: una domanda pertinente

Iroel Sánchez

Il 15 marzo 1878, nel luogo conosciuto come Mangos di Baraguá, Santiago di Cuba, il Generale Antonio Maceo respinse un accordo che gli offriva il più alto rappresentante della Spagna in questa isola, per non contenere le due bandiere per le quali, da un decennio, lottavano i cubani: l’indipendenza del paese e l’abolizione della schiavitù. L’impero spagnolo aveva raggiunto la divisione dei patrioti cubani con il cosiddetto Patto del Zanjón, ma non poté aggiungere alla propria strategia colui che era diventato il più ammirato dei combattenti sorti dalle classi popolari che si unirono alla Rivoluzione del 1868 e che non si stancò di lottare per gli obiettivi rivoluzionari.

Quell’atto di Maceo è venerata a Cuba, dei contemporanei che lo attaccarono per non aver accettato una pace senza indipendenza nessuno si ricorda. Il 19 febbraio 2000, nello stesso boschetto di Baraguá, nel mezzo della lotta per il ritorno del bambino Elián González a Cuba, si fece il Giuramento di Baraguá, il cui principale ispiratore fu il Comandante Fidel Castro. Poco dopo Elian tornò a Cuba ed iniziò la battaglia per il ritorno dei Cinque Eroi antiterroristi che, questo 17 dicembre, sono tornati nel loro paese, come preconizzò Fidel il 13 giugno di quello stesso anno.

Come disse lo scrittore cubano Francisco López Sacha: “Il buon senso ha prevalso, e nelle trattative ebbe peso la solidarietà mondiale, senza che Cuba facesse nemmeno una concessione di principi”. Baraguá si è imposto ancora una volta al Zanjón.

Nei grandi media, piovono le analisi equidistanti tra Cuba e USA. Equiparando aggressori e aggrediti, alcuni sono riusciti a scrivere su quanto accaduto il 17 dicembre, senza parlare della gioia dei cubani per il ritorno degli eroi antiterroristi prigionieri negli USA, per loro, quello è il giornalismo vero e oggettivo con cui dobbiamo risolvere le carenze della stampa cubana per essere all’altezza delle sfide future. Altri, annunciano la fine di una lotta di idee che semplicemente avanza verso una fase più acuta. A tutti, gli farebbe bene leggere tre frammenti, molto attuale del Giuramento di Baraguá:

“La Legge di Aggiustamento Cubano deve cessare!

“La legge Helms-Burton deve cessare!

“La Legge Torricelli deve cessare!

“Gli emendamenti introdotti di contrabbando in molte leggi del Congresso USA per aggravare le sofferenze del nostro popolo, devono cessare!

“Il blocco nel suo complesso e la criminale guerra economica contro Cuba devono cessare!

“Le minacce, le campagne sovversive, i piani di destabilizzazione devono cessare!

“E a tempo debito, poiché non è obiettivo principale in questo momento, anche se costituisce giustissimo ed inalienabile diritto del nostro popolo, il territorio occupato illegalmente, di Guantanamo, deve essere restituito a Cuba!

“[…]

“Nessuno si arrenderà! E stancarsi in questa lotta, sarebbe, per un patriota e rivoluzionario cubano, più imbarazzante che arrendersi. Vedremo chi ha più ragione, più motivazione, più volontà di combattere!

“Vedremo chi si stanca prima!

“Vedremo chi resiste di più!”

Ormai sappiamo chi ha resistito di più e chi si è stancato prima, ma – come ha ricordato il presidente Raul Castro- sono ancora in piedi gli strumenti di aggressione contro il nostro paese, nonostante il presidente degli USA, Barack Obama, abbia riconosciuto il fallimento del blocco e dichiarato che lavorerà per porvi fine.

I Cinque sono eroi per i cubani perché, lontano dal concordare e riconoscersi colpevoli, come gli proposero negli USA, hanno preferito la sfida al patto senza onore.

E’ vero che Washington ha proclamato un nuovo inizio nei rapporti con L’Avana ma, a giudicare dalle recenti notizie, insiste nella creazione di nuovi leader a Cuba a forza di denaro, dimenticando che con la sua ostinazione per punirci già li creò in base ad ingiustizie e arbitrarietà: i Cinque. Solo coloro che fecero la Rivoluzione del 1959 hanno una autorità morale simile a loro, a Cuba. Per i cubani, sono gli Antonio Maceo del XXI secolo, perché, come lui, mai mendicarono nulla e risposero solo al loro popolo. Possono sottoscrivere ciò che l’uomo di Baraguà scrisse al colonnello Federico Perez Carbo: “… mendicare i diritti è tipico di codardi, incapaci di esercitarli. Nemmeno mi aspetto niente dagli USA; tutto dobbiamo affidarlo ai nostri sforzi; è meglio è salire o cadere senza il loro aiuto che contrarre debiti di gratitudine con un vicino cosi potente”

Ironia della sorte, l’unica cosa che dobbiamo agli USA, i cubani di oggi, è averci dimostrato che i figli del popolo di Cuba –costretti a scegliere- sono ancora in grado di assumere la condotta di Antonio Maceo.

Il governo cubano, che è stato in grado di portare avanti questi negoziati con fermezza ed intelligenza esemplari, è stato all’altezza del suo popolo, che mai avrebbe accettato la liberazione del “contractor” USA prigioniero in Cuba, senza che questo implicasse il ritorno dei Cinque. E’ lo stesso popolo che non avrebbe mai perdonato a chi consegnasse la sua emblematica Piazza della Rivoluzione, anche fosse per un solo minuto, a persone pagate dagli USA, al fine di, davanti alla stampa mondiale, insultare la loro Rivoluzione, provocare una risposta che sarebbe documentata e manipolata come intolleranza ed entrare in una pericolosa spirale davanti alla resistenza dei zanjoneros –supportata in diretta dall’apparato mediatico transnazionale- ad abbandonare uno spazio cosi sacro come Baraguá.

Un governo cubano che accettasse questo crollerebbe, non perché lo abbattesse la controrivoluzione ma perché perderebbe il sostegno popolare.

A Parigi, culla dei Diritti dell’uomo secondo la Democrazia di tipo occidentale, gli autori delle provocazione del 30 dicembre scorso, non sarebbero in libertà. La Prefettura di Polizia di Parigi prevede che la richiesta di autorizzazione di concentrazioni in luoghi pubblici si faccia “almeno un mese prima della data della manifestazione”. Inoltre, “questo periodo sarà di un minimo di tre mesi, se l’evento proiettato riunirà molte persone”, “ogni richiesta deve includere tutta l’informazione utile sull’ organizzatore (persona fisica o morale) e sulla manifestazione (natura, data, luogo, orario, numero di partecipanti …)”. Gli organizzatori sono obbligati a “sottoscrivere una polizza assicurativa che garantisca a livello di responsabilità civile tutti i rischi relativi alla manifestazione prevista (partecipanti, pubblico e lavori pubblici). La polizza assicurativa deve comportare la massima garanzia […] calcolata secondo l’evento assicurato, per quanto riguarda i seguenti rischi: lesioni personali, materiali ed immateriali”. La Prefettura di Polizia insiste su questo punto: “L’organizzatore deve assumersi il compito della sicurezza generale nel sito dedicato all’evento. In caso di danni per imprudenza o negligenza, la responsabilità civile, addirittura penale dell’organizzatore può essere evocato sulla base degli articoli 1382 e seguenti del Codice Civile e degli articoli 121-1, 121-2, 223-1 e 223- 2 del Codice Penale”.

E’ noto che la Prefettura di Polizia di Parigi respinge decine di richieste ogni settimana per “non rispettare il termine di presentazione della domanda; marcia suscettibili di causare problemi di sicurezza, di ordine pubblico o di transito; rifiuto dell’organizzatore di accettare gli obblighi o requisiti che presenta la Prefettura di Polizia; parere sfavorevole del sindaco di Parigi o di un servizio consultato; incompatibilità tra la marcia prevista e il luogo scelto; organizzatore che non ha rispettato i suoi obblighi in una precedente richiesta o che ha ignorato i requisiti della Prefettura di Parigi, ecc”.

Ciò che non è noto è che il governo di una potenza straniera cerchi da decenni e centinaia di milioni di dollari  di provocare tali situazioni a Parigi. Come ho ricordato in un commento, l’atteggiamento selvaggio dalla Prefettura di Parigi, l’abbiamo visto molto spesso, ma né il New York Times, né El Paìs, né il Dipartimento di Stato, la considerano violazione dei Diritti Umani.

tania brugheraC’è chi suggerisce che le autorità cubane avrebbero dovuto diventare complici della farsa e mobilitare persone che solo apporterebbero legittimità ad una provocazione ordita dall’estero. Invece della storia della ritenzione temporanea di un piccolo gruppo di persone in strutture, che per le stesse descrizioni dei detenuti, sembrano più alberghi di Scuole di campagna (Vedere in Diario di Cuba il testo dal titolo “Performance nel Vivac”) che una prigione sotterranea di quelle che gestiscono gli USA a Guantanamo, allora avremmo avuto sugli schermi di tutto il mondo le immagini di uno scontro violento nel cuore politico-amministrativo del paese.

O qualcuno crede seriamente che i quattro gatti convocati da Miami, per gridare i loro risentimenti e sabotare gli accordi tra Cuba e USA, si sarebbero ritirati tranquillamente, una volta consumato il loro momento di celebrità, mentre avevano tutta la stampa del mondo a loro disposizione e la previa diffusione di messaggistica spam di tutti i tipi che hanno fatto convocando alla loro “performance”? Bisogna chiudere gli occhi davanti alla nascita e l’evoluzione delle guarimbas antichavistas in Venezuela e il Maidàn ucraino? Troppa responsabilità, ma anche esperienza, hanno le autorità cubane per peccare da ingenue quando L’Avana è molto più vicina agli USA che Caracas e Kiev.

Una domanda che ritengo molto importante in questo momento: con chi ha parlato Maceo, con i rayadillos –cubani anti-indipendentisti pagati dall’impero spagnolo- o con il Governatore Generale di Spagna a Cuba?

Obama en Baraguá

Por Iroel Sánchez

Este texto lo publiqué el 7 de enero de 2015, con el título “Cuba: Una pregunta pertinente” a raíz de la polémica desatada por una de las provocaciones urdidas por los que Barack Obama –en su mensaje sobre la visita que hará a Cuba este mes– consideró “hombres y mujeres valientes quienes le dan voz a las aspiraciones del pueblo cubano”.

Pero creo su momento es este 15 de marzo de 2016, en que se cumplen 138 años de que el representante del imperio contra el que combatían los cubanos fuera recibido cortésmente en el campamento mambí de Antonio Maceo para decirle que no renunciaban a su lucha y que eran ellos, y no los rayadillos nacidos aquí, y pagados por la corona española con un peso al día, ni tampoco los que pactaron en el Zanjón una paz sin independencia ni fin de la esclavitud, los representantes de Cuba.

Maceo recibió con toda cortesía a Martínez Campos. El gobernador español en su rol de “pacificador” le dijo al General cubano:

“Basta de sacrificios y de sangre, bastante han hecho ustedes asombrando al mundo con su tenacidad y decisión, aferrados a su idea ha llegado el momento de que nuestras diferencias tengan término y que unidos, cubanos y españoles, nos propongamos levantar a este país de la postración en que diez años de cruda guerra lo han sumido”.

“Ha llegado el momento de que Cuba, viniendo a la vida activa de los pueblos cultos entre en el goce de todos sus derechos y unida a España marche por la senda del progreso y de la civilización”

Ante la posición irreductible de los cubanos que insistieron en que no aceptarían la paz sin independencia ni abolición de la esclavitud, el General español quiso cultivar su vanidad destacando el honor que, según él, se les concedía a los cubanos allí presentes:

“han obtenido ustedes lo que ningún otro ejército en campaña, y es que su Majestad, el Rey Don Alfonso, a quien estos momento represento, haya venido hasta su campamento”

Pero el halago no alteró un milímitro la postura de Maceo y los oficiales que lo acompañaban.

Hoy no es un representante, sino su mismísima Majestad el rey la que visita el territorio insurecto invitándonos nuevamente a marchar “por la senda del progreso y de la civilización”. Pero Cuba libre ya no se limita solo a los campos donde los mambises enarbolaron sus banderas sino que abarca toda la Isla, con la excepción del pedazo que ese imperio nos usurpó después de intervenir como aliado tramposo en una guerra que los cubanos tenían prácticamente ganada. La misma cortesía e igual firmeza lo recibirán.

Cuba: Una pregunta pertinente. Por Iroel Sánchez

El 15 de marzo de 1878, en el lugar conocido como Mangos de Baraguá, Santiago de Cuba, el General Antonio Maceo rechazó un acuerdo que le ofrecía el máximo representante de España en esta Isla por no contener las dos banderas por las que llevaban una década de lucha armada los cubanos: la independencia del país y la abolición de la esclavitud. El imperio español había logrado la división de los patriotas cubanos con el llamado Pacto del Zanjón pero no pudo sumar a su estrategia a quien se había convertido en el más admirado de los combatientes surgidos de la clases populares que se unieron a la Revolución de 1868 y que no se cansó de luchar por los objetivos revolucionarios.

Aquel acto de Maceo es venerado en Cuba, de los contemporáneos que lo atacaron por no pactar una paz sin independencia no se acuerda nadie. El 19 de febrero del 2000 en la misma arboleda de Baraguá, en medio de la lucha por el regreso del niño Elián González a Cuba, se hizo el Juramento de Baraguá, cuyo principal inspirador fue el Comandante Fidel Castro. Poco después Elián regresó a Cuba y comenzó la batalla por el retorno de los cinco héroes antiterroristas que este 17 de diciembre volvieron a su país, como preconizara Fidel el 13 de junio de ese mismo año.

Como dijo el escritor cubano Francisco López Sacha: “Se impuso el sentido común, y en las negociaciones pesó la solidaridad mundial, sin que Cuba hiciera ni una sola concesión de principios”. Baraguá se impuso una vez más al Zanjón.

En los grandes medios de comunicación llueven los análisis equidistantes entre Cuba y Estados Unidos. Igualando agresores y agredidos, algunos han logrado escribir sobre lo sucedido el 17 de diciembre sin mencionar el júbilo de los cubanos por el regreso de los héroes antiterroristas presos en EE.UU., para ellos, ese es el periodismo veraz y objetivo con el que debemos solucionar las deficiencias de la prensa cubana para estar a la altura de los desafíos que se avecinan. Otros, anuncian el fin de una lucha de ideas que sólo avanza hacia una etapa más aguda. A todos, les haría bien leer tres fragmentos muy actuales del Juramento de Baraguá:

“¡La Ley de Ajuste Cubano debe cesar!

“¡La Ley Helms-Burton debe cesar!

“¡La Ley Torricelli debe cesar!

“¡Las enmiendas introducidas de contrabando en muchas leyes del Congreso de Estados Unidos para agravar los sufrimientos de nuestro pueblo, deben cesar!

“¡El bloqueo en su conjunto y la criminal guerra económica contra Cuba deben cesar!

“¡Las amenazas, las campañas subversivas, los planes de desestabilización, deben cesar!

“Y a su debido tiempo, ya que no constituye objetivo prioritario en este instante aunque sí justísimo e irrenunciable derecho de nuestro pueblo, ¡el territorio ilegalmente ocupado de Guantánamo debe ser devuelto a Cuba!

“[…]

“¡Nadie se rendirá! Y cansarse en esta lucha sería, para un patriota y revolucionario cubano, más bochornoso que rendirse. ¡Veremos quién tiene más razón, más motivación, más voluntad de luchar!

“¡Veremos quién se cansa primero!

“¡Veremos quién resiste más!”

Ya sabemos quién resistió más y quién se cansó primero, pero -como ha recordado el Presidente Raúl Castro– aún están en pie los instrumentos de agresión contra nuestro país, a pesar de que el presidente de Estados Unidos, Barack Obama, ha reconocido el fracaso del bloqueo y ha declarado que trabajará por ponerle fin.

Los Cinco son héroes para los cubanos porque, lejos de pactar y reconocerse culpables como les propuso E.E.U.U., prefirieron el desafío al pacto sin honor.

Es cierto que Washington ha proclamado un nuevo comienzo en sus relaciones con La Habana pero, a juzgar por recientes noticias, insiste en crear nuevos líderes en Cuba a fuerza de dinero, olvidando que con su obstinación por castigarnos ya los creó a base de injusticias y arbitrariedades: Los Cinco. Sólo los que hicieron la Revolución de 1959 tienen una autoridad moral similar a ellos en Cuba. Para los cubanos, son los Antonio Maceo del siglo XXI porque, como él, nunca mendigaron nada y sólo se deben a su pueblo. Pueden suscribir lo que el hombre de Baraguá escribió al Coronel Federico Pérez Carbó: “…mendigar derechos es propio de cobardes incapaces de ejercitarlos. Tampoco espero nada de los americanos; todo debemos fiarlo a nuestros esfuerzos; mejor es subir o caer sin su ayuda que contraer deudas de gratitud con un vecino tan poderoso”

Irónicamente, lo único que debemos a EE.UU. los cubanos de hoy es habernos demostrado que hijos del pueblo de Cuba -puestos a elegir- siguen siendo capaces de asumir la conducta de Antonio Maceo.

El gobierno cubano, que supo llevar esta negociación con firmeza e inteligencia ejemplares estuvo a la altura de su pueblo, el que nunca habría aceptado la liberación del “contratista” estadounidense preso en Cuba sin que eso implicara el regreso de Los Cinco. Es el mismo pueblo que no perdonaría jamás a quien entregara su emblemática Plaza de la Revolución, aunque fuera un solo minuto, a personas pagadas por Estados Unidos para ante la prensa mundial denostar su Revolución, provocar una respuesta que sería documentada y manipulada como intolerancia y entrar en una peligrosa espiral ante la resistencia de los zanjoneros -apoyada en vivo por el aparato mediático transnacional- a abandonar un espacio tan sagrado como Baraguá.

Un gobierno cubano que acepatara eso caería, no porque lo tumbara la contrarrevolución sino porque perdería el apoyo popular.

En París, cuna de los Derechos del hombre según la Democracia al estilo occidental, los autores de la provocación del día 30 de diciembre pasado no estarían en libertad. La Prefectura de Policía de París exige que la petición de autorización para concentraciones en lugares públicos se haga “al menos un mes antes de la fecha de la manifestación”. Además, “este plazo será de tres meses como mínimo si el evento proyectado agrupará a mucha gente”, “cada petición debe comportar toda la información útil sobre el organizador (persona física o moral) y sobre la manifestación (naturaleza, fecha, lugar, horario, número de participantes…)”. Los organizadores tienen la obligación de “suscribir una póliza de seguros que garantice en el plano de la responsabilidad civil todos los riesgos relativos a la manifestación proyectada (participantes, público y obras públicas). La póliza de seguros debe comportar la garantía máxima […] calculada en función del evento asegurado, respecto a los siguientes riesgos: daños corporales, materiales e inmateriales”. La Prefectura de Policía insiste en este punto: “El organizador debe asumir la tarea de la seguridad general en el sitio dedicado a la manifestación. En caso de daños por imprudencia o negligencia, la responsabilidad civil, incluso penal, del organizador puede evocarse sobre la base de los artículos 1382 y siguientes del Código Civil y de los artículos 121-1, 121-2, 223-1 y 223-2 del Código Penal”.

Se conoce que la Prefectura de Policía de París rechaza decenas de peticiones todas las semanas por “no respetar el plazo para hacer la petición; marcha susceptible de causar problemas de seguridad, de orden público o de tránsito; rechazo del organizador a aceptar las obligaciones o prescripciones que presenta la Prefectura de Policía; opinión desfavorable de la alcaldía de París o de un servicio consultado; incompatibilidad entre la marcha prevista y el lugar escogido; organizador que no respetó sus obligaciones en una petición anterior o que ignoró las prescripciones de la Prefectura de París, etc.”.

Lo que no se conoce es que el gobierno de una potencia extranjera lleve decenios y cientos de millones dólares tratando de provocar este tipo de situaciones en París. Como recordé en un comentario la actuación salvaje de la Prefectura de París la hemos visto bastante a menudo pero ni The New York Times, ni El País, ni el Departmento de Estado la consideran violación de Derechos Humanos.

Hay quien sugiere que las autoridades cubanas debían haberse convertido en cómplices de la farsa y movilizar personas que sólo aportarían legitimidad a una provocación urdida desde el extranjero. En vez del relato de la retención temporal de un pequeño grupo de personas en instalaciones que por las mismas descripciones de los detenidos parecen más albergues de Escuelas en el campo (Ver en Diario de Cuba el texto titulado “Performance en el Vivac“) que una mazmorra de las que gestiona Estados Unidos en Guantánamo, tendríamos entonces en la pantallas del mundo las imágenes de un enfrentamiento violento en el corazón político-administrativo del país.

¿O alguien cree seriamente que los cuatro gatos convocados desde Miami para gritar sus resentimientos y sabotear los acuerdos entre Cuba y EE.UU. se iban a retirar tranquilamente una vez consumido su minuto de celebridad mientras tenían toda la prensa del planeta a su disposición y el despliegue previo de mensajería spam de todo tipo que hicieron convocando a su “performance”? ¿Hay que cerrar los ojos ante el surgimiento y evolución de las guarimbas antichavistas en Venezuela y el Maidán ucraniano? Demasiada responsabilidad pero también experiencia tienen las autoridades cubanas para pecar de ingenuas cuando La Habana está mucho más cerca de EE.UU. que Caracas y Kiev.

Una pregunta que considero muy pertinente en esta hora: ¿Con quién dialogó Maceo, con los rayadillos -cubanos antiindependentistas pagados por el imperio español- o con el Gobernador General de España en Cuba?

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