Ci aspettavamo un discorso più serio

Omar Gonzalez http://www.cubadebate.cu

base_imageSperavo che il presidente USA, in una storica visita in 90 anni e la prima durante la Rivoluzione, emettesse un giudizio di valore o un perdono, per misurato che fosse, per i tanti affronti da parte dei governi che lo hanno preceduto. Invece, quello che ho sentito è stato un sermone abbastanza triviale in cui si banalizzavano la politica ed il capitalismo, al punto che ha definito il sistema che impera negli USA come di libero mercato, con che ha eluso chiamare le cose con il loro nome.

Credere che solo la connettività e non l’accesso ai mercati, al capitale, agli investimenti, alla conoscenza e alla giustizia sociale, sia ciò che va a risolvere i problemi di sviluppo, è parte di quella banalizzazione. So di prima mano di molte persone per le quali connettività significa anche consumismo, incapacità di comunicazione, solitudine.

La sua lettura della nostra storia -quella che conosce, secondo lui- è di una semplificazione stupefacente. Si è dimenticato dell’imperialismo USA, presto rivelato da Martí, e, naturalmente, dell’anti-imperialismo dei cubani.

E’ molto evidente la sua intenzione di insistere nella divisione della società cubana in Stato e popolo, impresa privata e statale, giovani e vecchi. Questa visione light ed interessata, facendo appello a trucchi per risultare piacevole, basandosi su frasi fatte, era facilmente percepibile in coloro che erano lì. Ho l’impressione che si è reso conto che le sue battute non penetravano, almeno in quell’uditorio.

Infine, ci aspettavamo un discorso più serio da chi gestisce molto bene la retorica de il marketing politico, ciò che lo ha molto più distanziato dalla generazione di rivoluzionari che ha condotto questo paese, che è ed è sempre stata onesta, sincera, legittima e senza dubbio eroica. L’intensità degli applausi è diventato un simbolo inequivocabile dell’identificazione della società civile cubana con ciò che rappresenta Raul.

Esperábamos un discurso más serio

Por: Omar González

Esperaba que el Presidente de los Estados Unidos, en una visita histórica en 90 años, y la primera durante la Revolución, emitiera un juicio de valor o una disculpa, por mesurada que fuera, por tanta afrenta de los gobiernos que lo antecedieron. En cambio, lo que escuché fue un sermón bastante trivial donde se banalizaban la política y el capitalismo, al punto de que definió el sistema que impera en EEUU como de libre mercado, con lo que eludió llamar las cosas por su nombre. Creer que únicamente la conectividad, y no el acceso a los mercados, al capital, las inversiones, el conocimiento y la justicia social, es lo que va a resolver los problemas del desarrollo, es parte de esa banalización. Conozco de primera mano a muchas personas para quienes conectividad significa también consumismo, incomunicación, soledad.

Su lectura de nuestra historia –la que conoce, según él–, es de una simplificación asombrosa. Se olvidó del imperialismo norteamericano, tempranamente revelado por Martí, y, por supuesto, del antiimperialismo de los cubanos.

Fue muy manifiesta su intención de insistir en la división de la sociedad cubana en Estado y pueblo, empresa privada y estatal, jóvenes y viejos. Esa visión light e interesada, apelando a trucos para resultar agradable, apoyándose en frases hechas, fue fácilmente perceptible en los que estábamos allí. Tengo la impresión de que él se percató de que sus chistes no calaban, al menos en ese auditorio.

En fin, esperábamos un discurso más serio de alguien que maneja muy bien la retórica y el marketing político, lo cual lo distanció mucho más de la generación de revolucionarios que ha conducido este país, la que es y ha sido siempre honesta, sincera, legítima e inobjetablemente heroica. La intensidad de los aplausos devino un símbolo inequívoco de la identificación de la sociedad civil cubana con lo que representa Raúl.

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