La battaglia politica per l’indennizzo

gironDa Playa Girón, nel pomeriggio del 19 aprile del 1961 – 65 ore e mezza dopo l’inizio dell’invasione mercenaria – il Comandante in  Capo, firmò il quarto e ultimo comunicato di guerra nel quale tra le altre questioni informava che : “Il nemico ha sofferto una schiacciante sconfitta. Una parte dei mercenari ha cercato d’imbarcarsi nuovamente verso l’esterno in diverse imbarcazioni, che sono state affondate dalla Forza Aerea Ribelle. Il resto delle forze mercenarie, dopo aver sofferto numerose perdite, con vari morti e molti feriti, si è dispersa completamente in una regione pantanosa dove non esiste possibilità di fuga”.1


A partire da quel momento, le forze rivoluzionarie centrarono i loro sforzi nella cattura dei mercenari che, in disordine, cercavano di fuggire per tutte le vie.
Alcuni tentavano d’imbarcarsi, altri si nascondevano tra i cespugli della costa o si addentravano negli inospitali pantani della Ciénaga di Zapata.
I loro tentativi non servirono a nulla e i circa 1200 invasori furono catturati.

DURANTE LA PRIMA SETTIMANA DOPO LA VITTORIA…

Com’è tradizionale nella storia della Rivoluzione, i prigionieri furono sfamati, i feriti curati e tutti ricevettero un trattamento rispettoso.
Poi la maggioranza fu trasferita verso la capitale cubana e i mercenari furono   alloggiati nell’ospedale navale che era allora in costruzione.
Tra il 21 e il 25 aprile, i cubani videro e ascoltarono le risposte dei prigionieri date a un gruppo formato da noti giornalisti.
Dal teatro della CTC, le emittenti radiofoniche e della televisione trasmettevano dal vivo e il quotidiano Revolución, il giorno dopo, pubblicava integralmente quelle dichiarazioni.
Il 23 aprile, in un programma speciale dell’Università Popolare, Fidel parlò al popolo per dare informazioni dettagliate sui precedenti dell’invasione sullo sviluppo degli avvenimenti che si conclusero con la vittoria delle forze rivoluzionarie e sui dati sui costi umani conosciuti sino a quel momento.
Negli Stati Uniti, il 24 aprile, i media di diffusione informarono che John F. Kennedy si era  assunto tutta la responsabilità dei fatti che avevano portato al fallimento dell’ invasione a Cuba.
Il segretario alla stampa nordamericano, Pierre Salinger, rese pubblico un comunicato che in una parte diceva: “ Il presidente Kennedy sin dall’inizio ha precisato che si assumeva la totale responsabilità per i fatti di questi ultimi giorni.
[…] Il comunicato ufficiale costituisce il termine di una giornata di recriminazioni nel Senato e nella Camera dei Rappresentanti, iniziata  ieri con le dichiarazioni del segretario agli interni, S. L. Udall, che ha insinuato che la responsabilità iniziale del fallimento è del Governo procedente del presidente Dwight D. Eisenhower. 2
Appena il presidente riconobbe la sua responsabilità di fronte al fatto che aveva tanto negato, la stampa nordamericana cominciò a pubblicare informazioni su com’era stata gestita l’invasione negli Stati Uniti.  Molte di quelle informazioni segnalavano come responsabili diretti della sconfitta la CIA e il Governo yankee.
Intanto il presidente Osvaldo Dorticós riceveva una lettera di José A. Mora Otero, Segretario Generale dell’Organizzazione degli Stati Uniti Americani (OSA), che in una parte diceva:
“ Di fronte alle informazioni che ricevo come cittadino di un paese dell’America,che è stato chiamato a sostenere l’incarico di Segretario Generale dell’Organizzazione degli Stati Americani, mosso da sentimenti umanitari, con il maggior rispetto per la sovranità degli Stati e il Principio di Non intervento, faccio un richiamo a Vostra Eccellenza perché il trattamento dei prigionieri e dei feriti, come conseguenza dei fatti avvenuti rispondano alle norme umanitarie raccolte negli accordi e nelle convenzioni internazionali vigenti”. 3
Rispondendo al Segretario Generale della OSA, il presidente Dorticós gli assicura che il Governo Rivoluzionario di Cuba no ha violato, nè violerà mai queste norme umanitarie e approfitta dell’occasione per fare un richiamo ai suoi sentimenti umanitari e alle sue responsabilità, per chiedergli che come segretario generale della OSA si preoccupi della criminale aggressione armata contro Cuba, della quale è il massimo responsabile uno Stato membro di questa organizzazione, nella sicurezza che questi sentimenti umanitari non solo devono essere espressi a favore dei prigionieri di guerra invasori della nostra Patria, ma anche delle centinaia di cubani feriti e morti per aver difeso la sovranità di Cuba e della Patria”. 4
In questa replica, Dorticós lo informa che i prigionieri invasori sono oggetto di un eccellente trattamento da parte del governo rivoluzionario di Cuba, come hanno dichiarato loro stessi alla stampa. Inoltre precisa che si aspetta che si diriga ugualmente al presidente Kennedy, come lo ha fatto con, chiedendogli che il Governo degli Stati Uniti non organizzi nuove invasioni a Cuba. Dorticós termina affermando: “Il Governo cubano le garantisce il più stretto rispetto delle norme umanitarie, ma anche la più agguerrita difesa della Patria cubana di fronte a qualsiasi aggressione armata”.5

DIALOGO CON I VINTI

giron-contraNella Città Sportiva de L’Avana, il 26 aprile, Fidel diede una mostra di democrazia infinita riunendosi con i mercenari catturati a Playa Girón. Un fatto senza precedenti sino ai nostri giorni, perchè sono stati i primi prigionieri del mondo che nella loro totalità hanno avuto il privilegio di discutere con il capo di quel governo che avevano tentato d’abbattere.
Nel dialogo con i i vinti trasmesso dal vivo da radio e televisione di Cuba, Fidel non solo fece domande ai prigionieri e rispose alle loro sulla riforma agraria e urbana, il regime di proprietà privata, la nazionalizzazione e l’industrializzazione
la discriminazione razziale e il ruolo dello Stato con la Rivoluzione.
Tutto fu chiarito al punto che quando si concluse il dialogo molti prigionieri applaudirono Fidel e ci fu persino chi gli chiese l’opportunità di difendere Cuba contro le aggressioni degli Stati Uniti.
Anche se il popolo indignato di fronte alla morte di un centinaio di persone e per i gravi danni materiali provocati dall’invasione, chiedeva l’applicazione delle massime sanzioni per gli invasori che avevano calpestato il suolo patrio agli ordini d’una grande potenza straniera, quel giorno Fidel invocò la generosità del popolo cubano, perchè nessuno si lasciasse trascinare dall’ira e dal dolore, quando disse:
“ Abbiamo investito il nostro tempo e la nostra energia per spiegare queste cose.
E per cominciare a spiegare al popolo come intendiamo noi questo problema, come crediamo che la sanzione non debba essere quella che la grande maggioranza desidera in questo momento, come intendiamo che la grande vittoria del popolo non si riduca per l’eccesso o per l’applicazione di una misura dura per tutti, come quella che vuole il popolo ”. 6

I POPOLI VITTORIOSI SONO POPOLI GENEROSI

Pochi giorni dopo nella Piazza Civica – oggi Piazza della Rivoluzione, il 1º  Maggio, di fronte al popolo ardente che chiedeva l’applicazione della massima pena per i mercenari, Fidel reiterò il suo richiamo alla riflessione e alla generosità dei cubani: “ I popoli vittoriosi sono popoli generosi, E per questo noi pensiamo che il nostro popolo dovrebbe considerare questo, che il nostro popolo non dovrebbe appannare né rimpicciolire la sua vittoria con una sanzione severa, di massa, contro tutti”. 7
Il trattamento esemplare e l’etica dei rivoluzionari furono riconosciuti da molti prigionieri nelle loro dichiarazioni. Una mostra di quello è la lettera personale che José Alfredo Pérez San Román, a capo della brigata degli invasori, scrisse a sua moglie il 3 maggio del 1961 che in una parte dice: “Sono prigioniero dal 25 di notte quando fui sorpreso e catturato sui monti della Ciénaga, in compagnia di un altro compagno. Da allora ho ricevuto per la mia persona l’esempio più grande nella storia della guerra di cortesia, gentilezza e attenzione nel trattamento dei prigionieri.  È tale questo esempio e il vincitore lo applica in una maniera uguale e ammirevole attraverso tutta la sua catena di comando, dal massimo capo all’ultimo soldato o miliziano, senza la minima eccezione, qualsiasi sia la sua educazione, la sua unità, il suo tenore di vita, tanto che ci sembra impossibile, a noi che lo stiamo vivendo. Immagini che tipo di disciplina e di rispetto per chi ordina deve esistere per far sì, cosa tanto difficile, che siano applicate in maniera tanto esatta con truppe tanto numerose anche dopo  che le nostre azioni sono costate tante vite di loro compagni?
È così sublime il comportamento del vincitore umile che anche se saremo fucilati moriremo ringraziando la considerazione e il rispetto con cui ci hanno trattato”. 8

COMINCIA LA BATTAGLIA PER L’INDENNIZZO

gironIl 17 maggio del 1961, mentre si festeggiavano il Giorno del Contadino e il secondo anniversario della Legge della Riforma Agraria, nella chiusura della  Prima  Riunione Generale Nazionale della ANAP, il Comandante in Capo sorprese l’opinione pubblica, il governo nordamericano, e specialmente il presidente Kennedy, quando espresse la disposizione del Governo Rivoluzionario di liberare i prigionieri, se gli Stati Uniti pagavano Cuba con un indennizzo di guerra per i danni materiali provocati al paese.
“Se Kennedy dice che sono suoi amici, se Kennedy riconosce che li ha imbarcati, se anche loro dicono che li hanno imbracati, se il Pentagono, la Centrale d’Intelligenza, tutti costoro che li hanno imbarcati in questa avventura e li amano tanto, molto bene! Che ci mandino 500 bulldozer e li rimanderemo là! In qualchee modo devono risarcire la Repubblica del danno che hanno provocato”.9
Iniziava così la battaglia politica nella quale brillò la strategia di Fidel per ottenere quella che è stata chiamata “la seconda vittoria di Girón”.
La decisione di reclamare un risarcimento per Cuba per i danni provocati a conseguenza dell’invasione, sorprese il Governo nordamericano.

ADESSO IL SIGNOR KENNEDY HA LA PAROLA

La data del 17 maggio del 1961 – l’inizio della battaglia per l’indennizzo – è passata alla storia come il giorno in cui Fidel smantellò le aspettative degli imperialisti che si aspettavano l’applicazione di dure condanne per fomentare la loro campagna di discredito contro Cuba.
Poche ore dopo la diffusione dell’inattesa proposta, i media della stampa nordamericana trasmisero le dichiarazioni del Dipartimento di Stato nordamericano, indicando che il governo di Kennedy stava accuratamente studiando la dichiarazione fatta dal Primo Ministro cubano (Fidel), in relazione alla disposizione di restituire agli Stati Uniti i prigionieri catturati nella sbaragliata invasione mercenaria, se consegnavano 500 bulldozer come risarcimento.
Senza aspettare la risposta del governo nordamericano, nè le proposte di coloro che dicevano che la Croce Rossa si sarebbe incaricata della documentazione, il Comandante in Capo dispose la creazione di una commissione di dieci prigionieri che in rappresentanza di tutti, sarebbero andati negli Stati Uniti a trattare la gestione della libertà mediante il pagamento di un indennizzo.
Di fronte alla loro scelta, Fidel precisò che non poteva essere selezionato nessuno con debiti pendenti con la giustizia e suggerì che fosse Ulises Carbó Yániz, il corrispondente di guerra della brigata degli invasori a farlo.
Ogni battaglione apportò un rappresentante e la compagnia dei capi della brigata tre; ogni membro della commissione fu eletto in assemblea dai membri del suo rispettivo battaglione.
Mentre si organizzavano i dettagli per la partenza della commissione dei prigionieri, nella notte del 19 maggio del 1961, durante l’omaggio che la CTC Rivoluzionaria e il Movimento Nazionale per la Pace organizzarono per il capo della Rivoluzione perché gli era stato assegnato il Premio Lenin per la Pace, Fidel Castro chiarì le condizioni della proposta di risarcimento, quando disse:
“Il governo imperialista si è preso la responsabilità dell’invasione e tutto il mondo conosce i dati: gli ordini, la partecipazione diretta dello Stato Maggiore nordamericano, dell’Agenzia Centrale d’Intelligenza, dell’Esecutivo degli Stati Uniti.   Lo stesso Presidente nordamericano ha dichiarato pubblicamente d’essere il responsabile di questo attacco. Se è così che si assuma anche la responsabilità
d’indennizzare per i danni provocati al nostro paese, che si assuma la responsabilità di riparare i danni (…)  Adesso il signor Kennedy ha la parola”.1

KENNEDY QUEDÓ ENCERRADO EN UNA DISYUNTIVA*

Il 20 maggio del 1961, alle 11:00, un aéreo della Pan American con la delegazione di prigionieri partì per gli Stati Uniti.
Al suo arrivo all’aeroporto di Miami informarono che la loro elezione era stata realizzata nell’Ospedale Navale in costruzione dove alloggiavano e che ogni compagnia aveva designato un delegato per alzata di mano.
Inoltre dichiararono che i loro compagni li avevano fatti giurare che avrebbero compiuto la missione affidata e sarebbero tornati a Cuba in 72 ore se non trovavano un accordo, ma si sarebbero fermati di più se si dava forma alla transazione.
La stampa nordamericana non ebbe altra opzione che inserire un’ampia informazione del fatto che in sè smentiva tutte le menzogne sparse sul “feroce e sanguinario regime rivoluzionario”.
Mentre la diplomazia nordamericana si vide forzata a prender le proprie difese di fronte al gesto audace di Fidel, personaggi importanti negli Stati uniti iniziarono il compito di raccogliere fondi per sostenere l’operazione, con l’obiettivo di salvare la faccia al presidente Kennedy di fronte alla posizione imbarazzante in cui si trovava sia se accettava di pagare l’indennizzo, sia se non accettava.
Un altro angolo molto interessante del tema fu quello dei membri del detto Consiglio Rivoluzionario Cubano, le cui teste principali – ossia José Miró Cardona, José R. Andreu e Antonio “Tony” Varona – stavano correndo da un ufficio all’altro di Washington pregando d’accettare l’offerta di Fidel, perché i loro figli facevano parte del gruppo dei catturati.
La prima conferenza tra i membri della delegazione dei prigionieri e i rappresentanti del consiglio si svolse nel hotel Fontainebleau, protetti da  cinque agenti in uniforme del Servizio d’Immigrazione. L’incontro si svolse nel più rigoroso segreto. Per giustificare il mistero – che differiva tanto dall’ampia pubblicità, la trasparenza e la rotonda franchezza data al tema da Fidel – i funzionari sostennero che si faceva così per ragioni di protezione. In realtà volevano isolarsi da ogni contatto con la stampa.
Differenti media d’informazione rivelarono dettagli di come l’iniziativa cubana sorprese il governo nordamericano e della sua reazione di fronte a questa alternativa che non figurava nella loro tavola delle possibilità.
La proposta stava prendendo forza negli USA.
Kennedy restò bloccato in un dilemma: o accettava di trattare il tema ratificando le sue responsabilità come promotore dell’aggressione o rifiutava le sue responsabilità abbandonando i suoi protetti e ripetendo la pagina dell’imbarco.
Scambio no! Indennizzo!
Restava  un’incognita nel procedimento da seguire.
Il 20 maggio del 1961, il Dipartimento di Stato, in una dichiarazione ufficiale, comunicò che: “Il governo degli Stati Uniti è pienamente cosciente del CINISMO dell’operazione di scambio, che rende pari dei trattori a delle vite umane(…)
Nonostante questo, per motivi puramente umanitari, questo Governo offrirà la sua più attenta considerazione alla spedizione dei permessi appropriati per esportare trattori, se questo gruppo riuscirà a stabilire le regole per realizzare lo scambio”. 2
Le accuse espresse dal Dipartimento dello Stato con la precisa finalità di stigmatizzare l’iniziativa di Fidel, obbligarono il massimo dirigente cubano a dare un forte risposta all’insolenza del governo nordamericano.
Le parole di Fidel diffuse da Prensa Latina il 2 maggio furono molto chiare:
“Il Governo Rivoluzionario non concepisce i negoziati iniziati come uno scambio, ma come un risarcimento. Questo indennizzo di 500 trattori compensa la nazione cubana dei danni materiali che hanno provocato gli invasori e l’invasione yankee, con il loro vile attacco, ma non la vita dei nostri combattenti morti, delle donne e dei bambini assassinati dai bombardamenti, che non si potranno indennizzare nemmeno con tutto l’oro della Tesoreria degli Stati Uniti.  Questo sarà un debito permanente dell’imperialismo con il popolo di Cuba”.
Se s’impegnano a continuare a considerare come un cambio quello che è un indennizzo per i danni materiali provocati a Cuba, il governo rivoluzionario provvederà a cancellare il negoziato”. 3
Fidel, avvisò che non avrebbe firmato negoziati di sorta con il detto Consiglio Rivoluzionario, uno strumento della CIA, e che avrebbe proseguito il negoziato solo con i rappresentanti del Potere Esecutivo degli Stati Uniti con una commissione di legislatori nordamericani o con un gruppo di personalità di quel paese.
Poi il Comandante in Capo precisò che se Kennedy voleva realizzare un vero scambio, il Governo Rivoluzionario è disponibile a scambiare i 1200 invasori per lo stesso numero di prigionieri politici  portoricani, nicaraguensi, guatemaltechi nordamericani e spagnoli antifascisti condannati per fatti politici a più di cinque anni di carcere, includendo il cubano Francisco Molina  e cominciando da  don Pedro Albizu Campos, condannato all’ergastolo e recluso già da molti anni(…)
questo sì che sarebbe un gesto umanitario da parte del governo degli Stati Uniti  (…) Cuba in questo caso è disposta a rinunciare a tutto l’indennizzo materiale.
Il signor Kennedy ha la parola”. 4

SORGE IL “ROOSEVELT COMMITTEE”

Nel mezzo di questo panorama di confusione e cavilli, qualcuno soffiò nell’orecchio di Kennedy una formula intermedia: la sua amministrazione non avrebbe agito ufficialmente, ma avrebbe offerto calore a una specie di patronato privato incaricato di raccogliere i fondi e intendersi con il Governo cubano.
Con questo impulso si crea il Roosevelt Committee – patronato guidato dalla vedova di Franklin D. Roosevelt, Milton Eisenhower e dal “dirigente operaio” Walter Reuther- un gruppo sorto con una chiara intenzione politica, che associava democratici e repubblicani attraverso  Eleanor Roosevelt e il fratello dell’ex presidente.
Il 23 maggio, il Governo Rivoluzionario ricevette un messaggio con il quale s’informava che il Roosevelt Committee accettava negoziati immediati per la consegna al Governo cubano di 500 trattori come indennizzo.
In una dichiarazione ufficiale di mercoledì 24 maggio, il presidente Kennedy affermò: “Il Governo degli Stati Uniti non è stato e non può essere parte di questi negoziati”. “Ma quando cittadini privati cercano d’evitare sofferenze in altre terre attraverso contributi volontari – che sono una grande tradizione nordamericana – questo governo non deve interferire nel loro sforzo umanitario”.
“Questo Comitato non viola le leggi della politica estera degli Stati Uniti e riceverà inoltre l’esenzione dai contributi”. 5
Il tentativo di mistificare l’indennizzo chiesto da Cuba, trasformandolo in una “crociata per la libertà”, appoggiata dal calore popolare s’intravedeva però come un fallimento.
Il New York Post, informò sulle inquietudini del Dipartimento di Stato, promotore dietro il sipario del  Roosevelt Committee, perché la colletta dei fondi per l’acquisto dei 50 trattori riceveva una glaciale indifferenza pubblica.
Se non si realizzano i propositi, commentava il quotidiano di New York, questo fallimento sarà un disastro diplomatico per gli Stati Uniti, soprattutto perchè il presidente Kennedy è stato esplicito quando ha detto che sosteneva al cento per cento l’operazione, anche se amministrazione pensava di restare ufficialmente al margine.
Quella era anche l’opinione del senatore  Hubert Humphrey. Secondo lui – e lo disse nel Congresso – il fatto che non si potessero riunire i fondi, aumentava il ridicolo degli Stati Uniti nell’ambito dell’America Latina.
“Il governo di Castro – scrisse il Post nel suo editoriale – non ha sequestrato questi uomini, non li ha catturati mentre facevano una passeggiata in barca per diletto. Castro ha esercitato il diritto legale di arrestare e incarcerare individui sorpresi nel suo territorio nel tentativo di farlo cadere. Questo è molto differente dall’arresto di individui pacifici nel momento in cui si dirigono ai loro uffici, per poi sollecitare per loro un riscatto”. 6
Alla fine di maggio la delegazione dei dieci prigionieri che gestivano l’indennizzo negli Stati Uniti, tornò a L’Avana.

NESSUNO SEMBRAVA INTERESSATO ALLA SORTE DEI MERCENARI

Poco prima del loro ritorno a Cuba, il Comitato Roosevelt aveva sollecitato alla commissione dei prigionieri di trasmettere al Governo Rivoluzionario la richiesta che una commissione tecnica andasse nell’Isola per precisare determinati aspetti del risarcimento.
Il 31 maggio la commissione dei prigionieri inviò un telegramma al Comitato Informando che era stata autorizzata la visita sollecitata per proseguire i negoziati.
Nonostante tutto, negli Stati Uniti le gestioni per il pagamento dell’indennizzo si profilavano come un fallimento. Nessuno sembrava interessato alla sorte dei prigionieri e solo il Comitato Roosevelt faceva ridicole proteste e ingiuste dichiarazioni, tentando di tergiversare la proposta cubana.
Stando così le cose, l’8 giugno Fidel rispose al  Comitato Roosevelt con un documento dove esponeva 15 indiscutibili punti.
In uno sosteneva che “Se questo Comitato ha l’onorata disposizione di mediare il problema senza esitazioni nè timidezze, deve inviare la delegazione di cui ha parlato nel comunicato precedente, per trattare con il Governo cubano lo stesso pagamento dell’indennizzo o altrimenti gestire la liberà dello stesso numero di prigionieri nordamericani, spagnoli, nicaraguensi, guatemaltechi e portoricani”. 1
Il 13 giugno  giunse a Cuba la delegazione dei tecnici nordamericani e sostenne conversazioni con l’alta direzione del Governo rivoluzionario. Davanti alla proposta che fecero di consegnare trattori piccoli per l’agricoltura perchè le restrizioni imposte negli Stati Uniti impedivano che entrassero a Cuba 500 bulldozer, il Governo rivoluzionario dichiarò che accettava i trattori piccoli, a patto che il loro valore nell’insieme sommasse 28 milioni di dollari, cioè il prezzo dei 500 trattori grandi domandati originalmente per l’indennizzo.
Con i tecnici era giunto un gruppo di giornalisti che intervistarono Fidel e  lui li invitò a percorrere il territorio di Playa Girón e a intervistare i prigionieri.

SI DISINTEGRA IL COMITATO ROOSEVELT

Il 19 giugno, il Comitato Roosevelt  diede la colpa a Cuba di non accettare i 500 trattori piccoli che questo Comitato “umanitariamente” proponeva per “aiutare lo sviluppo agricolo del paese”. E con un prepotente messaggio indirizzato a Fidel sostenne: “Se non riceveremo da lei una accettazione chiara e positiva prima delle 12.00 ora Est di venerdì 23 giugno ,il nostro Comitato considererà che i propositi per i quali è stato stabilito non si possono realizzare perchè lei non ha compiuto con le condizioni della proposta originale”. 2
Un dispaccio della AP, il 22 giugno, rivelava l’arroganza di coloro che guidavano il  Comitato Roosevelt.
“Sono passati tre giorni senza una risposta da parte del Primo Ministro cubano Fidel Castro sull’ultimatum inviato dal Comitato dei Trattori per la Libertà nella proposta di scambio di 500 trattori di tipo agricolo con i 1.200 prigionieri della fallita invasione a Cuba […] Il Comitato ha detto, senza dubbio che tuttavia è in piedi la sua offerta di scambiare i prigionieri per 500 trattori […] e per qustao si proponeva di raccogliere in una colletta tra 2.500.000 a 3.000.000 di dollari del pubblico per l’acquisto di 500 trattori di tipo agricolo”. 3
È quindi il 23 giugno Fidel denunciò la volgare manovra nordamericana. Nelle prime linee della sua lettera indirizzata al Comitato  scrisse: “Questo Comitato mente affermando che Cuba ha cambiato la sua proposta originale. È uno stratagemma ideato da voi per confondere l’opinione pubblica nordamericana e gli stessi familiari dei prigionieri”. 4
Il Comandante in Capo reiterò la posizione mantenuta da Cuba e ratificò che il Governo Rivoluzionario era disposto a rinunciare a tutto l’indennizzo materiale se il Comitato gestiva e otteneva la libertà di un numero uguale di prigionieri nordamericani, spagnoli, portoricani, nicaraguensi e guatemaltechi prigionieri per aver combattuto il fascismo, il dispotismo, il razzismo, il colonialismo e l’imperialismo.
La Commissione nordamericana dimostrò la sua cattiva fede nei negoziati, annunciando la notte dl 23 giugno che si sarebbe disintegrata, segnalando che tale decisione era stata presa dopo che il Governo Rivoluzionario “ha rifiutato l’offerta d’invio di 500 piccoli trattori”.
Questa decisione e le manovre dilatorie precedenti sommate alla campagna ordinata dal Dipartimento di Stato nordamericano, dimostrarono che in nessun momento il Comitato Roosevelt operò con animo di giungere ad un accordo.

IL COMITATO DEI PRIGIONEIRI RITORNA NEGLI STATI UNITI

Nonostante il fallimento del Comitato Roosevelt, il Governo cubano decise che la delegazione dei prigionieri viaggiasse un’altra volta negli Stati Uniti per fare le ultime gestioni.
Sabato 24 giugno i dieci prigionieri si riunirono con John Hooker, segretario esecutivo del dissolto Comitato e amico personale del presidente Kennedy.
In una conferenza privata, Hooker disse ai prigionieri che era il suo triste dovere informarli della decisione del Comitato. Il fallimento dei negoziati, secondo Hooker, si doveva all’insistenza di Fidel perché lo scambio fosse considerato come un indennizzo per i danni provocati durante l’invasione e aggiunse: “Cambiando il corso dei negoziati e introducendo il concetto di “indennizzo”, il dottor Castro ha voluto dare l’impressione che l’umanitaria intenzione dei cittadini di questo Comitato era una prova di colpevolezza”. 5
Fortemente delusi e molto arrabbiati i prigionieri dichiararono che avrebbero fatto ogni sforzo per il successo dei negoziati e che erano disposti a fare appello direttamente all’opinione pubblica nordamericana.
Il 27 giugno, Fidel fece un dettagliato intervento su tutto quello che era avvenuto e sulle relazioni con il Comitato Roosevelt.
Alcuni giorni dopo trattamento il pagamento dell’indennizzo, sostenne che l’imperialismo: “ Aveva voltato le spalle ai suoi stessi servitori, rompendo il negoziato. Parlavano d’onore ma hanno uno strano concetto dell’onore”.6
La delegazione dei prigionieri non aveva ancora perso la speranza e continuò la sua gestione.
Il 17 luglio, Ulises Carbó Yaniz – a capo della commissione dei prigionieri -, comunicò al governo cubano che era stato costituto un Comitato Familiare con  genitori e familiari dei prigionieri. E che Álvaro Sánchez, il suo presidente, con Ernesto Freyre e Manolo Arca – membri del suo direttivo – chiedevano il permesso per trasferirsi a Cuba. Nonostante l’accettazione cubana, l’iniziativa non prosperò.
La proposta di Fidel non ebbe risposta e la battaglia per l’indennizzo si fermò per diversi mesi.

SI DECIDE D’INIZIARE IL PROCESSO AI MERCENARI

Il 20 marzo del 1962, dopo quasi un anno d’attesa di una risposta soddisfacente alla proposta del capo della Rivoluzione, il Dipartimento Giuridico delle Forze Armate Rivoluzionarie informò che il 29 marzo del 1962 sarebbe cominciato  il processo dei mercenari che nel 1961 avevano attaccato Cuba.
L’agenzia Prensa Latina, il 23 marzo, pubblicò una dichiarazione del compagno Fidel a proposito di quella disposizione: “La decisione del Governo Rivoluzionario di sottoporre a giudizio i mercenari di  Playa Gi­rón, Include la cancellazione dell’offerta della libertà degli stessi a cambio del pagamento di un indennizzo in macchine agricole dato che lo stesso non è stato atteso a tempo e  forma”. 7
Queste dichiarazioni provocarono molto rumore negli Stati Uniti, dove si ricominciò a parlare dell’indennizzo dopo lunghi mesi di silenzio.
Álvaro Sánchez, il presidente della Commissione dei Familiari, inviò un telegramma al Primo Ministro, che diceva: “Posso garantirle che abbiamo già ottenuto tutti i mezzi necessari per realizzare l’operazione che lei aveva suggerito l’anno scorso. Come garanzia di quanto le dico, sono disposto a trasferirmi a L’Avana per ultimare i dettagli e se questi non risponderanno a verità, restare come ostaggio.
Per questo è necessario sospendere i processi segnalati per il prossimo 29”. 8
La risposta del massimo dirigente della Rivoluzione non si fece aspettare:
“La decisione del Governo Rivoluzionario di processare gli invasori di Playa Girón – che per volontà delle leggi non era già possibile postergare per più tempo –  racchiude in sè la revoca dell’offerta fatta un anno fa per la liberta degñi stessi con un indennizzo in macchine agricole. La mancanza d’interesse da parte dei responsabili principali dell’aggressione alla nostra Patria, di fronte alla generosa offerta del Governo Rivoluzionario, eludendo in forma indefinita l’accettazione della stessa, giustifica da sola questa decisione”.
Álvaro Sánchez cercò d’impedire la realizzazione del processo così come espresse in un dispaccio indirizzato a Fidel nel quale insisteva nel “ fare appello nuovamente alle generose intenzioni che sono volontà del Governo Rivoluzionario e riaprire i negoziati, pur al termine necessario per chiuderli, cosa che potremmo realizzare immediatamente in accordo con il suo Governo. Questo Comitato e i familiari sono totalmente estranei alla mancanza d’intersse che lei segnala nel suo dispaccio. Noi ci stiamo dirigendo al Presidente del Tribunale Rivoluzionario, sollecitando la sospensione dei processi con la sua facoltà di direzione.
In attesa possiamo realizzare il negoziato immediatamente”. 9
Ma la decisione era stata presa e alle nove di mattina del 29  marzo del 1962, a L’Avana iniziò il processo ai prigionieri che si protrasse per diversi giorni nel Castillo del Príncipe.
La sentenza finale emessa il 7 aprile del 1962, fu esplicita, e dopo le considerazioni fu la seguente:
“Dichiariamo responsabili dei fatti che si descrivono nel Risultando Provato di questa sentenza gli accusati sottoposti a questa Causa e in conseguenza imponiamo come sanzione per il loro tradimento della Patria la perdita della cittadinanza cubana per tutti quelli che godevano di questa condizione, il pagamento di un indennizzo nella forma e quantità che si indicherà più avanti ad ognuno degli accusati, con reclusione sussidiaria sino a un massimo di 30 anni e con lavoro fisico obbligatorio sino a che non sia soddisfatto l’indennizzo che si segnala a continuazione ad ognuno.
“La somma di Cinquecentomila dollari ($500 000.00) da parte di ognuno dei seguenti accusati: José Alfredo Pérez San Román, Erneido Andrés Oliva González e Manuel Artime Buesa”. 10
I restanti mercenari furono condannati a pagar un indennizzo di  centomila, cinquantamila e venticinquemila dollari, secondo la loro  responsabilità.
La somma totale da indennizzare nel totale sommava  62.300.000 dollari per i danni materiali provocati nell’invasione.
Dopo la sentenza finale del Tribunale Rivoluzionario, il problema dell’indennizzo si ripropose per i risultati della condanna.
Due giorni dopo, il 9 aprile, a Miami si annunciò che la Commissione dei Familiari si disponeva a viaggiare a L’Avana. Il 10 aprile i rappresentanti di questa commissione arrivarono a Cuba, por via aerea, per trattare con il Governo Rivoluzionario l’indennizzo che doveva essere pagato per i danni materiali, poiché come aveva sottolineato Fidel, non c’era denaro al mondo che potesse indennizzare i morti e i feriti. Il governo degli Stat Uniti avrà questo debito permanente con il popolo cubano.

I FAMILIARI INIZIANO LE TRATTATIVE PER L’INDENNIZZO

I rappresentanti del Comitato dei Famliari, il 10 aprile del 1962, parteciparono alla loro prima riunione con Fidel nella quale furono presero gli accordi che riguardavano  il pagamento degli indennizzi.
Il primo di questi fu approvare che le somme di denaro disponibili in quel momento si dedicassero a pagare un risarcimento ai feriti nei combattimenti di Playa Girón e ai malati.
I nuovi fondi da raccogliere destinati al risarcimento sarebbero stati utilizzati prima di tutto per i prigionieri considerati dal Tribunale Rivoluzionario con le minori responsabilità sociali e politiche nell’invasione e quindi sanzionati a pagare le quantità più  piccole . Per ultimo si penserebbe ai prigionieri che dovevano pagare le somme più forti.
Il Comitato dei Familiari accettò le condizioni imposte dal Governo cubano e sabato 14 aprile del 1962, con un’azione di buona volontà, furono posti in liberta i primi 60 mercenari che erano stati feriti nei combattimenti o avevano malattie da considerare.

JAMES B. DONOVAN, IL MEDIATORE

BaiaNel giugno del 1962, a nome del Comitato dei Familiari, Pablo Pérez Cisneros visitò l’ufficio dell’avvocato nordamericano James B. Donovan per sollecitare la sua mediazione nei negoziati con Cuba.
Donovan accettò la proposta. Poi si seppe che John F. Kennedy e suo fratello  Robert, avevano chiesto a Donovan di negoziare la libertà.1
L’avvocato, noto come un uomo con molta esperienza e capacità, godeva d’una grande notorietà per la sua decisiva gestione nella liberazione di due spie degli Stati Uniti, una di loro  era il pilota dell’aereo U-2 abbattuto in territorio sovietico nel maggio del 1960.
L’incorporazione di Donovan diede agilità a tutto il processo per il pagamento dell’indennizzo, anche se i negoziati s’interruppero di nuovo come conseguenza del peggioramento delle relazioni tra i due paesi  nella seconda metà del 1962. quando avvenne la detta Crisi d’Ottobre.
Un fatto che non si può dimenticare perchè mette in evidenza il cinismo e la mancanza di scrupoli del Governo degli Stati Uniti, avvenne quando la CIA cercò di usare  Donovan perche regalasse a Fidel una tuta da sommozzatore impregnata di funghi e batteri che lo potevano uccidere, come si legge nei documenti ufficiali del Governo degli Stati Uniti.
Nel febbraio del 2008, nella riflessione del compagno Fidel, intitolata “Il candidato repubblicano”, il Comandante in Capo si riferisce al libro *After the Bay of Pigs, (Dopo la Baia dei Porci), scritto por Pablo Pérez Cisneros in collaborazione con  John B. Donovan, figlio del negoziatore, e Jeff Koenreich, membro veterano della Croce Rossa. L’opera, che tratta dei negoziati sostenuti tra il Comitato dei Familiari per la liberazione dei prigionieri  e il Governo cubano, raccoglie tra i vari aneddoti che uno degli organi di stampa  più ostili degli Stati Uniti verso Cuba, con sede in La Florida, aveva scritto che : “
“Approfittando dei negoziati per liberare i prigionieri della Baia dei Porci, la CIA tentò di utilizzare una persona chiave nelle conversazioni: l’avvocato statunitense  James B. Donovan, perchè consegnasse un regalo mortale a Fidel Castro, una muta di neopirene contaminata con un fungo che lacera la pelle e con un dispositivo per respirare sott’acqua contaminato con tubercolosi…”.2
In quel libro, Pérez Cisneros narra come Donovan gli disse che l’idea di un attentato contro Fidel gli fece venire la pelle d’oca e che si rifiutò di consegnare la muta della CIA.

KENNEDY TENTAVA DI NASCONDERE IL RUOLO DEL SUO GOVERNO

Dopo la Crisi di Ottobre si riannodarono i negoziati.
Il 12 dicembre del 1962, il presidente degli Stati Uniti in un intervento dichiarò che una Commissione di Familiari era incaricata di dare una soluzione all’indennizzo e che quegli sforzi avrebbero avuto il loro appoggio.
Cinque giorni dopo, il 17 dicembre, Kennedy ammise nuovamente la responsabilità degli Stati Uniti nell’aggressione militare a Cuba nell’aprile del 1961 e affermò che “Nel caso di Playa Girón avevano scelto la misura sbagliata”. 3
Da Washington un portavoce del Dipartimento di Stato dichiarò che anche se il Governo degli Stati Uniti non prendeva parte direttamente alle gestioni di Donovan, “varie dipendenze del Governo provavano simpatia per lo sforzo (…) le dipendenze federali stavano facilitando o aiutando nella forma possibile, per via dei sentimenti di simpatia di questo governo e per una pronta liberazione dei prigionieri. 4
Il portavoce della Casa Bianca non citò mai l’aiuto finanziario del governo al Comitato dei Familiari. Il  presidente John F. Kennedy tentava di nascondere il ruolo del suo Governo nella raccolta dei fondi necessari per il pagamento dell’indennizzo.

COMINCIA IL PAGAMENTO DELL’INDENNIZZO

Il 17 dicembre, mentre dagli Stati Uniti giungevano notizie sulla presenza di James Donovan a Miami, si diffondevano anche le dichiarazioni del mediatore che sosteneva d’avere fiducia che si sarebbero firmati gli accordi per ottenere la libertà dei prigionieri prima di Natale.
A L’Avana il 21 dicembre, furono firmati gli accordi mediante i quali il Comitato dei Familiari s’impegnava a pagare un indennizzo in sei mesi di tempo.
Per la parte cubana furono firmati dai dottori Regino Botti León e René Vallejo Ortíz, e per il Comitato dei Familiari dal suo presidente, Álvaro Sánchez e da James B. Donovan, come Consigliere Generale.
Il quotidiano Revolución pubblicò la notizia: “Le conversazioni tra il Comandante in  Capo Fidel Castro e l’avvocato nordamericano James Donovan, incaricato di negoziare il pagamento dell’indennizzo di 63 milioni di pesos imposto dal Tribunale Rivoluzionario agli invasori di Playa Girón, si sono conclusi il 21 dicembre, in generale, con un accordo soddisfacente”. 5
Intanto a Washington, la Croce Rossa degli Stati Uniti confermava che: “Più di un centinaio di monopoli e consorzi nordamericani hanno apportato per il pagamento delle merci che devono essere trasportate per via aerea, per ferrovia e con camions da numerose città degli Stati Uniti alla Florida, per il successivo invio a L’Avana.
E così domenica 23 settembre si ricevettero per via aerea e marittima svariate merci, includendo medicinali, materie prime per medicine, alimenti per bambini e apparecchi medici.
Il ponte aereo tra Miami e L’Avana per il trasporto delle merci a Cuba e il trasferimento dei prigionieri negli Stati Uniti iniziò alle 7 e 18 minuti della mattina con l’atterraggio nella base aerea di  San Antonio de los Baños, del quadrimotore N4061K della Pan American Airways”.
A partire da quell’ora e con intervalli a volte di pochi minuti, quattro aerei da carico atterrarono sino a notte fonda con i loro carichi.
Oltre ai quattro aerei da carico 2 DC7F e 2 DC6A, formavano “il ponte”, con 2 DC6 per passeggeri della stessa compagnia.
Il compagno Fidel raggiunse la pista utilizzata dagli aerei poco le quattordici, sostenendo una conversazione informale con l’avvocato  James Donovan e il suo assessore, John E. Nolan.
Il leader della Rivoluzione sostenne che se inizialmente era stato disposto che i prigionieri fossero trasportati negli Stati Uniti lunedì 24, non c’erano inconvenienti se era possibile cominciare il loro imbarco quello stesso giorno, nel pomeriggio.
Con i comandanti Machado Ventura e René Vallejo, Fidel controllò lo scarico di  uno degli aerei e ispezionò uno dei carichi. Poi diede orientamenti su distinti aspetti dell’operazione.
Più tardi incontrò i familiari dei prigioinieri che si trovavano sulla pista, e permise che le donne dormissero la notte in un locale abilitato per quello nella base, se ai loro parenti toccava partire di lunedì e non la domenica.
Fidel dichiarò che Cuba non si opponeva a che partissero nel mercantile nordamericano African Pilot, che aveva attraccato di recente a L’Avana, ma avvisò sulle difficoltà per mancanza di visti che avrebbero avuto con il governo di Kennedy.
Dalla base aerea di San Antonio de los Baños partirono i primi prigionieri in uno dei due aerei passeggeri alle 16 .55  del 23 dicemebe del 1962,  diretti alla base militare di   “Homestead”, nella Florida.
Mezzora dopo partì il secondo gruppo nell’altro DC6 per passeggeri.
Ogni contingente era di 107 mercenari che erano stati trasferiti per via aerea dal Presidio dell’Isola de Pinos.
Altri, più di 300, erano giunti con 18 autobus provenienti dal Castillo del Príncipe de La Habana.
Nel pomeriggio del  26 dicembre partì la nave African Pilot dai moli del Terminale Marittimo carica con 1015 familiari degli invasori, autorizzati dal Governo Rivoluzionario, verso gli Stati Uniti.

PER LA PRIMA VOLTA L’IMPERIALISMO PAGÒ UN INDENNIZZO DI GUERRA

Alcuni giorni dopo il Comandante in  capo chiarì che il governo degli Stati Uniti aveva trattato in tutti i modi di eludere la sua responsabilità e accettazione ufficiale di quei fatti e proclamò: “Hanno agito sempre così e per questo non c’è niente di strano che mentre da un lato si mobilitavano per raccogliere i fondi, dall’altro pretendevano di far credere che era un semplice Comitato di Familiari che portava avanti il negoziato. Al fondo di tutto c’è sempre stato lo stesso Governo degli Stati Uniti.
Adesso si è saputo che il fratello del presidente degli Stati Uniti è stato quello che ha realizzato la gestione principale con il fine di raccogliere i fondi con i quali pagare l’indennizzo.
Loro dicono che è un riscatto (…)
E in cambio il fatto che una Rivoluzione sia stata generosa con i criminali che ci hanno attaccato al servizio di una potenza estranea, il fatto che i Tribunali Rivoluzionari invece di applicare le pene che meritavano, li abbia sanzionati  con delle multe, questa non è giustizia.
Castigare coloro che ci attaccarono una mattina a sorpresa e vigliaccamente, castigare coloro che vennero scortati dalle navi da guerra straniere; castigare coloro che si posero al servizio di una potenza estranea e commisero un’azione di flagrante tradimento per tutti i codici del mondo, non è giustizia.
Loro lo chiamano riscatto però a noi non importa come lo chiamano.
Il fatto è che hanno dovuto accettare il pagamento dell’indennizzo e che per la prima volta nella sua storia l’imperialismo ha pagato un indennizzo di guerra. Perché ha pagato? Perchè è stato sconfitto, perché a Playa Girón ha sofferto la sua prima grande sconfitta nell’America Latina”. 6
Cosi la battaglia politica per l’indennizzo culminò con la seconda Vittoria di Girón, il cui artefice, come nella prima battaglia, fu il Comandante in Capo, Fidel Castro Ruz.

 

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