Venezuela: intervista al rappresentante permanente ONU

“La guerra del petrolio danneggia tutti”

di Geraldina Colotti, MARGARITA Il Manifesto

maniìfestoAl Vertice dei Non allineati, che si è concluso a Margarita, abbiamo discusso con Rafael Ramirez, ex ministro del Petrolio e ora rappresentante permanente all’ONU, dove il Venezuela presiede il Consiglio di sicurezza e quello per i Diritti economici e sociali.


Il Movimento dei non allineati chiede una profonda riforma dell’ONU. Crede sia possibile? E in quali termini?

Da un anno e mezzo abbiamo la presidenza di turno del Consiglio di sicurezza, un organismo nato per custodire la pace a livello mondiale, e che dovrebbe essere in prima linea nel promuovere una riforma dell’ONU, più che mai necessaria nelle attuali condizioni. Invece, per via del potere di veto esercitato da alcuni membri permanenti, il Consiglio di sicurezza ha assunto un carattere non democratico, ha consentito il bombardamento della Libia, non ha saputo far nulla per impedire la tragedia della Siria… Alcuni membri permanenti si arrogano il diritto di decidere la legittimità di un governo, che invece è decisione dei popoli.
E in quest’arroganza si inquadrano gli elementi della guerra non convenzionale che si sta sferrando contro il Venezuela e contro altri paesi dell’America latina sul piano economico-finanziario, politico, mediatico… I paesi del sud hanno avanzato diverse proposte concrete di riforma, dall’ampliamento dei componenti il Consiglio di sicurezza al metodo con cui prendere le decisioni, che il Venezuela appoggia. La nostra politica estera, inaugurata da Chavez e proseguita dal presidente Maduro si ispira ai principi di Bandung, quelli di non ingerenza, anticolonialismo, diritto all’autodeterminazione dei popoli e alla giustizia sociale. Principi ribaditi dal documento MNOAL, approvato al vertice di Margarita. La dichiarazione è stata preparata da un intenso lavoro concluso a fine luglio a New York in cui abbiamo avuto riunioni a vari livelli: con la Troika, con l’Egitto e con l’Iran, anche con i paesi del Golfo. Il Venezuela proietterà questi principi, che vengono violati dal Consiglio di sicurezza, in tutte le sedi internazionali, perché sono la nostra bandiera, la nostra carta di navigazione.

Al vertice MNOAL il Venezuela ha lavorato per una riunione d’intesa con i paesi non OPEC sul congelamento della produzione petrolifera. Da profondo conoscitore, come vede la questione?

Quello del petrolio è un tema trasversale che attraversa tutti i paesi perché ha a che vedere sulle possibilità di sviluppo. Non bisogna affidarsi alla tesi che l’epoca del petrolio è finita, perché purtroppo non è così. Nella faglia petrolifera dell’Orinoco abbiamo le riserve più grandi del mondo per oltre 300 anni e le usiamo per aiutare i paesi in via di sviluppo senza contropartite.
A Margarita sono venuti tutti i più importanti paesi petroliferi: Iran, Iraq, Algeria, Angola, Siria, paesi del Golfo… Se non ci mettiamo d’accordo e permettiamo alle grandi potenze industriali di imporre un prezzo basso, ne subiremo tutti le conseguenze: perché minori introiti significano minori possibilità di investimenti per aumentare la capacità di produzione e far fronte alla domanda. Il prezzo del petrolio ha i suoi cicli, per questo il nostro paese ha sempre attuato una politica permanente di previsione del prezzo, che era stato fissato a 100. Ora la situazione economica mondiale sembra indicare che il tetto è sceso a 70, e quello è il nostro obiettivo. Purtroppo, quel che sta influendo sul prezzo del petrolio non è tanto il cycle oil, perché il volume complessivo della produzione è stato compensato dalla caduta della produzione di barili della Libia, che prima ne apportava 1.600.000, oggi ne produce 200.000. Anche l’Iran, che che prima produceva 4 milioni di barili, è sceso a 2, anche se ora la sua situazione si va stabilizzando. I fattori determinanti sono di natura geopolitica, hanno a che vedere con i paesi del Golfo, la questione siriana, la Russia… una guerra economica che colpisce in particolare alcuni paesi come il nostro, ma che in ultima istanza riguarda tutti. E che potrebbe risolversi se i capi di Stato dei governi OPEC e non OPEC come Messico e Russia capissero che questa guerra non conviene a nessuno e che il prezzo del barile dev’essere rivisto per consentire la ripresa economica. Il petrolio sarà l’energia prevalente ancora per moltissimi anni, le altre energie alternative sono complementari, ma per ora non possono sostituirlo. Il documento di Margarita è importante per due motivi: in primo luogo come indicatore di stabilità, perché un paese isolato è più facile attaccarlo, ma quando ha il sostegno di altri 120, questo diventa più difficile. E nessuno si affiderebbe a quel paese se non presentasse sufficienti garanzie. Per comprenderne l’importanza, bisognerebbe sempre guardarsi allo specchio dell’Iraq, della Libia, della Siria. Le distinte forze intervenute in Libia lo hanno fatto per il controllo del petrolio.. Il secondo motivo è che il documento di Margarita fa giurisprudenza, e fornisce la base per prendere posizione comune all’Assemblea generale dell’ONU su tutti i temi.

E’ vero che il Venezuela ha ridotto le forniture di petrolio solidale a Cuba e che per questo l’Avana ha dovuto rivolgersi alla Russia?

Guardi, basterebbe ragionare. Cuba produce crudo pesante, ma le sue raffinerie sono adatte a quello leggero, che Cuba non produce, e per questo ha accordi specifici con l’Algeria. Questo vale anche per noi, che abbiamo bisogno di petrolio leggero per mescolarlo a quello della faglia dell’Orinoco e produrre di più per le necessità del paese. La Russia non produce crudo leggero. Perché Cuba dovrebbe comprare petrolio pesante se non può raffinarlo? E’ una notizia di propaganda, che serve ad avallare la tesi di un Venezuela in crisi conclamata che abbandona i suoi partner. Ma Cuba conterà sempre sulla nostra solidarietà, come è emerso dal vertice di Margarita, e così i paesi in via di sviluppo dei Caraibi: le relazioni non asimmetriche, come quelle che regolano la nostra politica all’interno dei vari organismi continentali, rendono di più dei ricatti imposti dalle grandi istituzioni internazionali. E il Venezuela, attraverso le sue raffinerie come la Cigto Petroleum, negli Stati uniti, continuerà a fornire carburante a 250.000 famiglie povere del Bronx. La solidarietà dovrebbe essere una categoria fondante del pensiero economico perché funziona, ma occorre rompere il sistema tradizionale di relazioni economiche e questo non si può fare dall’oggi al domani. Poderose istituzioni come il Fondo monetario o la Banca mondiale controllano meccanismi determinanti come i Tribunali di arbitraggio internazionale o le Agenzie di qualificazione del rischio e hanno le armi finanziarie per colpire un paese.
La guerra economica è anche politica, è battaglia delle idee. Il Sottosegretario generale ONU Stephen O’ Brien che si occupa di crisi umanitarie, sa bene che in Venezuela non c’è crisi umanitaria perché si occupa di quella dello Yemen, del Sud Sudan, della Siria… Il fatto è che si cerca così di giustificare l’intervento esterno. Alba, Mnoal e G77+Cina che ora è presieduto dall’Ecuador spingono per la messa in campo di una nuova architettura finanziaria che svincoli i paesi del sud dal ricatto delle grandi istituzioni internazionali proponendo, per esempio, la lotta condivisa ai paradisi fiscali e ai fondi avvoltoio. La fuga di capitali all’estero dissangua soprattutto le economie del sud.
Noi non vogliamo “aiuti” dagli Stati uniti o dall’Europa, vogliamo che non ci rubino il nostro petrolio o la nostra bauxite, che rispettino l’ambiente e i lavoratori e il nostro sistema politico. Abbiamo tenuto testa a grandi multinazionali come la Exxon Mobil, e ora chiediamo che rendano conto non a tribunali addomesticati, ma a istituzioni veramente rappresentative e con meccanismi trasparenti.

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