Cuba è un Granma e i giovani il suo equipaggio

60 granmaIl 2 dicembre del 1956 il più giovane dei ribelli dello yacht Granma, Arsenio García Dávila, comincia a camminare in una punta di mangrovie  chiamato Los Cayuelos, a due chilometri dalla spiaggia Las Coloradas.


La traversata intrapresa il 25 novembre è stata difficile, ma non invano.Forse in fondo lo sa, e per questo non perde le speranze.

Aveva venti primavere allora e una sete di libertà che gli stringeva il cuore ad ogni ingiustizia, come quella volta che per mancanza di denaro uno dei suoi fratelli quasi moriva nella sua natale Güines.

“Il Granma era carico di sogni più che di armi”, afferma sicuro, all’altezza dei suoi 80 anni, in una stanza piena di fotografie che riproducono frammenti della storia, ed è stata la cosa più grande mi potesse capitare come giovane e come essere umano che voleva cambiare la realtà disperante che stava vivendo”.

Figlio di contadini povero obbligato sin da piccolo ad abbandonare la scuola per aiutare a sostenere la famiglia come commesso, messaggero, incaricato di riscossioni,  ribelle rivoluzionario…

Di Arsenio si possono dire molte cose, così come di quel ragazzo nel quale crebbe il desiderio di lotta, la necessità di lotta nel suo spirito ribelle. Ma una parola lo definisce tutto: coscienza.

Soffrivamo per lo sfruttamento, la discriminazione di quell’epoca e questo mi aveva formato l’idea che dovevo fare qualcosa, segnala.
Liberi o martiri insieme a Fidel.

Il 15 maggio del 1955 Fidel e i suoi compagni di lotta escono dal carcere  dell’Isola de Pinos e, pochi giorni dopo, l’ingegnere, amico e rivoluzionario Francisco Valdés Ginebra porta  Arsenio a conoscere il leader della Rivoluzione.

“Parlai con lui in un appartamento in calle 23 y 18. Ricordo che mi impressionò molto stare davanti a lui quando mi strinse la mano. C’erano Raúl, Almeida, Melba, Montané. Mi fece molte domande sulla mia famiglia e sul mio lavoro”.

Da quel momento il Movimento 26 di Luglio contò su un altro imprescindibile al quale rapidamente si affidò la missione di portare in Messico un messaggio e denaro al Comandante per assicurare la spedizione .

“Resta qui che tra poco ce ne andremo”, furono le parole che colpirono la mente del giovane Arsenio come uno sparo per l’impegno, un regalo della vita, un complimento.

Poi vennero i rigori della preparazione, le tensioni degli ultimi giorni prima di partire… sino a che infine una piccola imbarcazione in cerca della libertà salpò dall’insenatura di Tuxpan nel porto di Veracruz, «senza scialuppe di salvataggio nè armi per combattere contro un aereo o una nave della tirannia. Ma con una volontà terribile di vincere.

Tensioni che aumentavano con ogni raggio di sole caratterizzarono la traversata. Di quei giorni di angoscia, Arsenio sceglie di raccontare quelli in cui intercettarono una frequenza della marina e conobbero le azioni del sollevamento a Santiago di Cuba.

“Ricordo Fidel attaccato a quella radiolina, dicendo che voleva un paio d’ali per stare assieme a quel popolo e ai leader dell’operazione”.

In quello spazio ridotto, disegnato per 14 persone dove ce ne erano 82, la dedizione era assoluta. Con loro le uniformi, i medicinali, gli alimenti necessari. Abbiamo vissuto situazioni critiche, ma non c’era spazio per la protesta, per la mancanza di disciplina, commenta, tra persone che come media avevano 25 anni.

Un altro momento  drammatico fu quando cadde nell’acqua Roberto Roque Núñez, quando il mal tempo ci perseguitava ed era uscito alla ricerca  dei segnali di luce del Faro di Cabo Cruz. Nel silenzio della notte si sentì: Uomo in mare!” Arsenio ricorda che Fidel diede l’ordine di cercarlo e quando infine lo trovammo,  il Comandante improvvisò un discorso e intonammo le note dell’Inno Nazionale.

Come vedi, quel contingente era impregnato di poesia, d’affetto e d’amore.   Fidel ci diede una lezione d’umanità: “Non possiamo lasciare alla sua sorte nessun compagno anche sapendo che in queste circostanze, con un solo problema possiamo perdere molto”.
Il giorno dello sbarco, quando identificammo la vegetazione della nostra Patria,  c’incagliammo a 40 metri delle mangrovie in un terreno fangoso.

12 o 13 compagni si trovavano in uno stato fisico molto deteriorato  e dovemmo farci carico delle loro armi.

Poi vedemmo il primo contadino, Ángel Pérez Rosabal, la caricatura della miseria, che ci confermò che stavamo nel territorio nazionale”.

I fucili sono le idee Cuba è – secondo Arsenio-  un «Granma moltiplicato» e il suo equipaggio sono i giovani che portano nel sangue il processo rivoluzionario.

Tra loro ci sono l’ufficiale Orisbelis Hurtado e il camilito Adrián Deynes, che parteciperanno  alla sfllata per il 60º anniversario dello sbarco dello yacht Granma e  Giorno delle Forze Armate Rivoluzionarie (FAR),  posposto al 2 gennaio, perché l’ora è quella di onorare chi ha guidato questa epopea.

Lei è di un battaglione di fanteria in Ciego de Ávila e lui, della Scuola Militare Camilo Cienfuegos, di Mayabeque;  i due considerano che difendere il futuro di questa nave trionfante è il principale cammino del dovere  di questa generazione.

Se gli chiedono che significherà sfilare a lato di quei ribelli barbuti il 2 gennaio, Adrián ratifica “un grande orgoglio”. “Sento che sto rilevando il cammino che loro hanno tracciato. Lei sostiene che veglierà per la patria come lo hanno fatto quei ribelli, perché sia sovrana.

“Rappresentare Cuba come lo hanno fatto le FAR, Fidel e Raúl, andare avanti nonostante il blocco, studiare e il lavoro politico e ideologico: queste sono le missioni dei giovani di oggi” dice Adrián.

E queste sono le certezze che Arsenio condivide, perchè quando un’idea è giusta la portiamo avanti e ne convinciamo la gente. Ed è impossibile distruggerla.

A proposito dell’impegno e delle radici che ha lasciato l’idea di Fidel, riassume i fattori che hanno portato alla vittoria definitiva di gennaio del 1959 e  all’impulso motore che significò lo sbarco dello yacht Granma.

“La Rivoluzione è stata la realizzazione di un sogno che si credeva impossibile, che si vedeva molto lontano. L’allegria ci sorprese tutti. Ricordai la mia famiglia e che era venuto il momento di vederli e raccontare tutto quello che aveva imparato questo figlio di contadini”.

Sessanta anni dopo, Arsenio conferma che la la traiettoria fu difficile, ma non invano.

La difesa della Patria è la sfida principale.  E i fucili di oggi sono le idee, hanno tutti gli intervistati, a loro modo: due generazioni che parlano in codici similari del futuro di Cuba come se stessero navigando su un nuovo yacht Granma.

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