Qualcosa sugli sforzi socialisti e modi di proprietà

Luis Toledo Sande https://lapupilainsomne.wordpress.com

socialismoChe un modello sia legiferato, approvato e stabilito, avallato dallo straordinario senso comune, e persino esaminato in maniera massiccia, non è garanzia sufficiente per eseguirlo. Le ragioni che cospirano contro la consumazione delle migliori alternative possono essere diverse, ma in nessun caso devono essere assunte con rassegnazione, o con l’inerzia di mentalità che devono essere cambiate.

Nel fragore dell’ineludibile difesa della nazione assediata si può qualche volta credere che, per molto fondata che fosse, la critica ad un’istituzione statale poteva supporsi diretta contro lo Stato stesso e “dare armi al nemico”. Discutibile e dannosa, in alcune menti tale tendenza potrebbe ora convivere con un’altra che si aggraverebbe così, nonostante tutto l’eticamente ed il legalmente stabilito, penetrasse nei media del paese o in alcuni dei loro rappresentanti: stimare che i proprietari privati ​​non li si deve sfiorare neppure con un gelsomino, affinché non sembri che si vada contro di loro in blocco, o contro la volontà statale di promuoverli in cifre e modi utili, necessari.

Sarebbe irresponsabile, piuttosto suicida, dimenticare, -o diminuire il meritato riconoscimento per quello fatto-che negli sforzi socialisti la proprietà sociale dei mezzi fondamentali di produzione e di servizi deve primeggiare sulle altre, nel contempo essere efficiente e liberarsi dalla corruzione. Solo così potrà competere con successo con quella privata, dove i proprietari godono di un senso di appartenenza senza mediazioni – “Questo è mio!” – e di meccanismi efficaci per impedire che gli rubino, anche se non sempre riescono ad evitarlo.

Nessuno si offenda se si dice che il segno dell’individuale, base dell’individualismo, è custode e garante del buon funzionamento nel settore privato: i proprietari cercano profitto per se stessi, non per la nazione. Addirittura coloro che avessero vocazione filantropica, per esercitarla avrebbeto bisogno, in primo luogo, di ottenere redditività, meglio quanto più alta.

A Cuba non sembra che abbiano funzionato con tutta l’effettività necessaria le pratiche e la propaganda che mostrano al popolo -vero proprietario della proprietà sociale amministrata dallo Stato- che i beni materiali ed i servizi li genera il lavoro, non la buona volontà statale, né il paternalismo. I proprietari privati, anche quelli -quanti ci saranno nel mondo- che rispettano scrupolosamente il i loro obblighi fiscali, non procurano, come aspirazione centrale, introiti per investirli nel costruire e mantenere ospedali e scuole pubbliche, e che gli uni e gli altri funzionino bene.

S’impegnano, sì, nell’ottenere redditività, plusvalenze, e, in caso di successo, potrebbero pagare i loro dipendenti (sfruttati, o no se non ha capito una mezza parola di marxismo, della vita) salari molto superiori a quelli fissati nel settore statale. Con questo non si suggerisce, no!, che lo Stato rinunci a che nell’ambito della proprietà sociale di tutto il popolo i salari assicurino ai lavoratori/trici una vita onesta e piacevole, o almeno sopportabile.

La battaglia -di pensiero e atti- intorno ai modi della proprietà e le sue derivazioni, è fondamentale per illuminare la costruzione del socialismo. Non è un caso che l’impero scommetta sul settore privato nei suoi piani di influire su Cuba dopo aver tentato di piegarla con il blocco e fatti d’arme.

Anche se il blocco persiste nonostante il ripudio internazionale, già l’impero è stato capace di ammettere che -anche avendo danneggiato tanto Cuba- non gli ha dato tutti i risultati che si aspettava, e quindi più di due anni fa ha annunciato che avrebbe applicato un cambiamento di tattica, non di fini. Mentre ha parlato di eliminare il blocco, in modo coerente con la sua natura sistemica rinforzata dal neoliberismo in marcia, ha proclamato che favorirà il settore privato, non lo statale.

Autofficine e altro di proprietà privata si percepiscono più efficiente che le statali. Ma da dove vengono i pezzi di ricambio che scompaiono in quest’ultime? Non si consiglia di escludere che, almeno in alcuni casi, possono essere sottratti da depositi del settore statale in cui amministratori ed altri dipendenti -l’amministratore è anche un dipendente, anche se esistono coloro che si credono proprietari e signori- rubano per ottenere guadagni illeciti.

E’ prevedibile che le officine private aumentino ​​e, quindi, lo stato potrà concentrarsi sul cardinale. Così, per la riparazione, le chivichanas (carrellini con cui giocano i bambini ndt) non dovranno competere con centrali elettriche, né le biciclette con sofisticate apparecchiature mediche. Secondo quanto si dice, già proprietari di successo di queste officine importano da soli ciò di cui hanno bisogno, almeno in parte.

Lo fanno persino con l’aiuto di internet -possibilmente con buona connessione-, e andando loro stessi o inviando i loro a comprare in altri paesi senza che, a quanto pare, gli si interponga il blocco che ostacola lo Stato cubano, quando non gli impedisce, acquistare farmaci per la popolazione, un crimine che ha causato persino morti. Ma l’accumulazione primitiva del capitale per tali iniziative da parte dei proprietari sarà sempre frutto della tenacia lavorativa e dell’efficienza, mai di guadagni ottenuti attraverso la corruzione e la negligenza nel settore statale, o di “donazioni” occulte fatte dall’esterno? Sulla realtà o sopra l’immaginazione ronzano la volontà imperiale di sostenere la proprietà privata a Cuba, e ronzano anche le implicazioni di questo fatto. Ingenuità o più sarebbe che rappresentanti dello Stato cubano -la stampa tra essi- lo ignorassero. Le sfide proposte richiedono tutto il popolo, tra cui padroni fedeli alla patria e desiderosi di appoggiare il socialismo, anche se questo sembra incompatibile con trionfi personali cercati pre mezzo della proprietà che l’impero sostiene.

E altra cosa è sicura: accreditare il mito della proprietà sociale destinata ad essere inefficiente genera complicità con il neoliberismo e, quindi, con l’impero. Che sia inconsciamente non semplifica le cose. Forse le aggrava.


Algo sobre afanes socialistas y modos de propiedad

Por Luis Toledo Sande

Que una pauta esté legislada, aprobada y establecida, avalada por el extraordinario sentido común, y hasta examinada masivamente, no es garantía bastante para su cumplimiento. Las razones que conspiran contra la consumación de las mejores alternativas pueden ser diversas, pero en ningún caso deben asumirse con resignación, o con la inercia propia de mentalidades que deben ser cambiadas.

En el fragor de la ineludible defensa de la nación asediada se pudo alguna vez creer que, por muy fundada que fuese, la crítica a una institución estatal podía suponerse dirigida contra el Estado mismo y “darle armas al enemigo”. Discutible y dañina, en algunas mentes esa tendencia pudiera convivir ahora con otra que se agravaría si, a pesar de todo lo ética y legalmente establecido, calara en medios de información del país o en algunos de sus representantes: estimar que a los propietarios privados no se les debe rozar ni con un jazmín, para que no parezca que se va contra ellos en bloque, o contra la voluntad estatal de fomentarlos en cifras y modos útiles, necesarios.

Sería irresponsable, más bien suicida, olvidar —o menguar el reconocimiento merecido por ese hecho— que en los afanes socialistas la propiedad social sobre los medios fundamentales de producción y de servicios debe primar con respecto a otras, a la vez que ser eficiente y librarse de la corrupción. Solo así podrá competir exitosamente con la privada, en la cual los propietarios gozan de un sentido de pertenencia sin mediaciones —“¡Esto es mío!”—, y de mecanismos eficaces para impedir que les roben, aunque no siempre consigan evitarlo.

Nadie se ofenda si se dice que el signo de lo individual, base del individualismo, es guardián y garante del buen funcionamiento en el sector privado: los dueños buscan ganancias para sí, no para la nación. Incluso los que tuvieran vocación filantrópica, para ejercerla necesitarían, primero, lograr rentabilidad, mejor cuanto más alta.

En Cuba no parece que hayan funcionado con toda la efectividad necesaria las prácticas y la propaganda que le muestren al pueblo —verdadero dueño de la propiedad social, administrada por el Estado— que los bienes materiales y los servicios los genera el trabajo, no la buena voluntad estatal, ni el paternalismo. Los propietarios privados, aun aquellos —¿cuántos habrá en el mundo?— que cumplan escrupulosamente sus obligaciones tributarias, no procuran como aspiración central ingresos para invertirlos en construir y mantener hospitales y escuelas de carácter público, y en que unos y otras funcionen bien.

Se empeñan, sí, en lograr rentabilidad, plusvalía, y, si tienen éxito, podrán pagar a sus empleados (explotados, o no se ha entendido ni una media palabra de marxismo, de la vida) salarios mucho más altos que los fijados en el sector estatal. Con esto no se sugiere, ¡no!, que el Estado renuncie a que en el ámbito de la propiedad social de todo el pueblo los salarios les aseguren a trabajadoras y trabajadores una vida honrada y grata, o por lo menos llevadera.

La batalla —de pensamiento y actos— en torno a los modos de propiedad y sus derivaciones, es decisiva para iluminar la construcción del socialismo. No es fortuito que el imperio apueste por el sector privado en sus planes de influir en Cuba, tras haber intentado doblegarla con bloqueo y hechos de armas.

Aunque el bloqueo perdura a despecho del repudio internacional, ya el imperio ha sido capaz de admitir que —aun habiendo dañado tanto a Cuba— no le ha dado a él todos los resultados que esperaba, y por ello hace más de dos años anunció que aplicaría un cambio de táctica, no de fines. Al tiempo que ha hablado de levantar el bloqueo, de manera coherente con su esencia sistémica reforzada por el neoliberalismo en marcha, ha proclamado que privilegiará al sector privado, no al estatal.

Talleres automotrices y otros de propiedad privada se perciben más eficientes que los estatales. Pero ¿de dónde salen las piezas de repuesto que desaparecen en estos últimos? No es aconsejable descartar que, al menos en algunos casos, pueden sustraerse de almacenes del sector estatal en que administradores y otros empleados —el administrador también es un empleado, aunque los haya que se crean dueños y señores— roben para obtener ganancias ilícitas.

Es previsible que los talleres privados aumenten, y con ello el Estado podría concentrarse en lo cardinal. Así, para ser reparadas, las chivichanas no tendrían que competir con centrales eléctricas, ni las bicicletas con sofisticados equipos médicos. Según se dice, ya exitosos propietarios de esos talleres importan por su cuenta lo que necesitan, en parte al menos.

Lo hacen hasta con ayuda de internet —posiblemente de buena conexión—, y yendo ellos mismos o enviados suyos a comprar en otros países sin que, al parecer, se les interponga el bloqueo que le dificulta al Estado cubano, cuando no se lo impide, adquirir medicamentos para la población, un crimen que ha ocasionado hasta muertes. Pero la acumulación originaria de capital para tales emprendimientos por parte de dueños ¿será siempre fruto del tesón laboral y la eficiencia, nunca de ganancias conseguidas gracias a la corrupción y la desidia en el sector estatal, o a “donaciones” subrepticias hechas desde el exterior?Sobre la realidad o sobre la imaginación rondan la voluntad imperial de apoyar la propiedad privada en Cuba, y rondan también las implicaciones de ese hecho. Ingenuidad o mucho más sería que representantes del Estado cubano —la prensa entre ellos— lo ignorasen. Los desafíos planteados convocan a todo el pueblo, incluyendo propietarios leales a la patria y deseosos de apoyar el socialismo, aunque esto parezca incompatible con triunfos personales buscados por medio de la propiedad que el imperio respalda.

Y otra cosa es segura: abonar el mito de la propiedad social condenada a ser ineficiente genera complicidad con el neoliberalismo y, por tanto, con el imperio. Que sea de modo inconsciente no simplifica las cosas. Tal vez las agrave.

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