Salvare il Venezuela

Ricardo Alarcon de Quesada http://www.cubadebate.cu

L’ostilità dell’imperialismo USA verso la Rivoluzione Bolivariana è stata permanente e multiforme da quando Hugo Chávez fu eletto presidente. Come avanzava il processo di trasformazioni sociali promosse da Chavez, sempre rispettando le norme costituzionali e la legalità, l’Impero provava nuove azioni aggressive violatrici del Diritto Internazionale.


L’opera rivoluzionaria riscattò milioni di venezuelani dall’assoluta povertà e miseria, pose fine all’analfabetismo, garantì a tutti/e l’accesso all’istruzione e alle cure mediche gratuite, restituì loro, infine, la piena sovranità.

Il Venezuela è cambiato sostanzialmente. Le sue grandi ricchezze naturali, per la prima volta nella storia, non sono per il godimento esclusivo di una minoranza, ma sono state e sono ridistribuite a beneficio delle grandi masse. Ma è stata una marcia in salita, aggirando ostacoli di ogni genere.

Difendere il molto che ha realizzato e continuare a conquistare più elevati livelli di giustizia costituisce una perenne sfida per il popolo del Libertador. Tentativi di colpo di stato, “sciopero” petrolifero, sabotaggi, sanzioni economiche, diplomatiche e politiche, minacce militari e una non comune, miliardaria, propaganda per isolare e cercare di giustificare l’intervento straniero, sono stati il ​​pane quotidiano imposto ad un popolo che, al contrario, non solo non ha attaccato o danneggiato nessuno, ma che si è convertito, allo stesso tempo, in esempio di fraternità verso gli altri popoli del Continente.

Perché se il Venezuela è cambiato molto, l’Impero non è cambiato in nulla. Ieri, Obama, senza timore del ridicolo, determinò che il Venezuela è “una minaccia inusuale e straordinaria alla sicurezza nazionale degli USA”. Trump, ora, brandisce contro di lei la cosiddetta Carta Democratica Interamericana, il cui testo dobbiamo supporre che non abbia letto poiché, come si compiace nel proclamarlo, l’attuale presidente detesta la lettura.

La morte di Hugo Chávez fu un doloroso colpo che scosse il suo paese ed il mondo. Da Bolivar nessuno fece tanto, come lui, per l’emancipazione del suo popolo, nessuno seppe fare del Venezuela paradigma di solidarietà umana e autentica democrazia. Dedito alla sua causa fino all’ultimo respiro, prima di abbandonarci, Chavez propose come suo sostituto e successore Nicolás Maduro, il suo migliore discepolo, un giovane operaio e stretto collaboratore, che, in quelle drammatiche circostanze e affrontando una potente macchina di diffamazione e d’odio contro di lui, vinse le elezioni generali.

Il governo di Maduro non ha conosciuto un attimo di tregua. Alla drastica caduta dei prezzi del petrolio, sul mercato internazionale, si è unita la guerra economica scatenata da Washington e a cui partecipa, apertamente, l’oligarchia locale che specula sulle limitazioni materiali e provoca scarsità e disagi. Questi sono stati i principali fattori che hanno consentito all’opposizione di ottenere una maggioranza di seggi nell’Assemblea Nazionale.

Dobbiamo ricordare che fin dalla prima elezione di Chavez, come presidente del Venezuela, si sono realizzate più elezioni, referendum e altre consultazioni popolari che quelle che si sono potute effettuare nei paesi dell’emisfero che, cinicamente, vogliono erigersi a giudici della situazione venezuelana. Nella maggior parte di quegli esercizi democratici vinsero le forze chaviste quando non fu così i risultati furono accettati da Chavez e da Maduro.

Conviene anche ricordare che guadagnare o perdere, temporaneamente, la maggioranza dei membri dell’organo legislativo non significa vincere o perdere il governo nei paesi dell’America Latina. Neppure lo è negli USA: se una cosa del genere reggesse nel vicino del Nord la lista dei presidenti spogliati dei loro incarichi sarebbe interminabile: per esempio, Clinton, Bush ed Obama, per citare solo i più recenti in una bicentenaria tradizione in cui è normale esercitare la dirigenza dello Stato contando su una minoranza parlamentare. Per non parlare di Trump la cui presidenza non è posta in discussione – anche se Hillary Clinton lo ha superato di oltre tre milioni di voti – e ha il più alto indice di disapprovazione di cui si abbia memoria in quel paese.

Non bisogna dimenticare, in particolare, il carattere sovversivo, anti-costituzionale, proclamato senza mezzi termini, da Henry Ramos Allup quando, nell’assumere la guida dell’Assemblea, annunciò un piano per espellere dalla presidenza dello Stato, in sei mesi, Nicolás Maduro. Non formulò un programma legislativo, annunciò un colpo di stato. Da allora non ha fatto altro che incoraggiare il caos istituzionale e l’instabilità istituzionale.

L’OSA messa a nudo

L’illegittima ed irresponsabile condotta dell’opposizione lontana dall’incrementare il supporto interno ha generato la crescente resistenza di un popolo che, al di là delle ideologie, ha bisogno e desidera la pace e la convivenza contro l’aggressione esterna. Per rovesciare il governo legittimo ha dovuto far ricorso all’estero e cercare, a Washington, ciò che non possono trovare a Caracas.

Allora appare, niente di più e niente di meno, che la cosiddetta Organizzazione degli Stati Americani (OSA) ed il suo insolito Segretario Generale, Luis Almagro.

La storia del “ministero delle colonie yankee” è ultra nota. Più di un secolo fa, davanti ai primi passi per creare il “panamericanismo” José Martí avvertì il pericolo e chiamò a lottare per per la vera indipendenza della Nostra America.

Per Almagro -cioè per l’Impero- l’unico problema nell’emisfero è il Venezuela. La sua malata ossessione antibolivariana lo ha trascinato all’incredibile punto di dare una sorta di colpo di stato all’interno della stessa istituzione, ignorando le sue stesse autorità -il rappresentante della Bolivia, Presidente del Consiglio Permanente e Decano dei suoi ambasciatori ed il Vice Presidente che è il rappresentante di Haiti – per imporre la sua strategia anti-venezuelana.

Se l’OSA avesse un minimo di serietà non gli basterebbe il tempo per affrontare i veri problemi del continente.

La massiccia repressione contro i latino-americani negli USA; l’infame muro di Trump e le sue misure di protezionismo commerciale; la vergognosa destituzione di Dilma Roussef; la costante apparizione di cimiteri clandestini in Messico e altrove; le uccisioni quotidiane di giornalisti; i ragazzi scomparsi di Ayotzinapa, le bimbe morte in Guatemala, l’incendio del Parlamento in Paraguay; gli scioperi e le proteste popolari in Argentina, Brasile ed altri paesi sono parte del lungo ordine del giorno che interessa i popoli, ma che non esistono per Almagro né per il docile gregge che lo segue.

Perché l’OSA non fu creata per fare il possibile con la realtà. Non è mai stata altra cosa che uno strumento per la dominazione imperiale. Che a questo punto facciano ricorso al vecchio e screditato strumento, calpestando addirittura le sue regole e procedure, è un campanello d’allarme. L’aggressione imperialista è in corso e dobbiamo fermarla.

Il crimine si sta commettendo alla luce del giorno, sotto gli occhi di tutti e contemplarlo con calma sarebbe una imperdonabile complicità.

Urge moltiplicare la solidarietà. Bisogna salvare il Venezuela.


Salvar a Venezuela

Por: Ricardo Alarcón de Quesada

La hostilidad del imperialismo estadounidense hacia la Revolución Bolivariana ha sido permanente y multiforme desde que Hugo Chávez resultó electo Presidente. Según avanzaba el proceso de transformaciones sociales promovido por Chávez, siempre respetando las normas constitucionales y la legalidad, el Imperio ensayaba nuevas acciones agresivas violatorias del Derecho Internacional.

La obra revolucionaria rescató a millones de venezolanos de la pobreza absoluta y la miseria, puso fin al analfabetismo, garantizó a todos y todas el acceso a la educación y la atención médica gratuita, les devolvió, en fin, la plena soberanía.

Venezuela ha cambiado sustancialmente. Sus grandes riquezas naturales, por primera vez en la historia, no son para el disfrute exclusivo de una minoría, sino que han sido y son redistribuidas para beneficio de las amplias masas. Pero ha sido una marcha cuesta arriba sorteando obstáculos de todo tipo.

Defender lo mucho que ha logrado y seguir conquistando mayores cotas de justicia constituye un perenne desafío para el pueblo del Libertador. Intentos de golpe de estado, “huelga” petrolera, sabotajes, sanciones económicas, diplomáticas y políticas, amenazas militares y una descomunal, multimillonaria, propaganda para aislarla y pretender justificar la intervención foránea, han sido el pan de cada día impuesto a un pueblo que, en contraste, no sólo no ha atacado ni dañado a nadie sino que se convirtió, al mismo tiempo, en ejemplo de fraternidad para con los otros pueblos del Continente.

Porque si Venezuela ha cambiado mucho, el Imperio no ha cambiado nada. Ayer, Obama, sin temor al ridículo, determinó que Venezuela es “una amenaza inusual y extraordinaria para la seguridad nacional de Estados Unidos”. Ahora Trump blande contra ella la llamada Carta Democrática Interamericana, cuyo texto debemos suponer que no ha leído pues, como se ufana en proclamarlo, el actual mandatario detesta la lectura.

La muerte de Hugo Chávez fue un golpe doloroso que estremeció a su país y al mundo. Desde Bolívar nadie hizo tanto como él por la emancipación de su pueblo, nadie supo hacer de Venezuela paradigma de solidaridad humana y auténtica democracia. Dedicado a su causa hasta el último aliento, antes de despedirse, Chávez propuso como a su sustituto y continuador a Nicolás Maduro, su mejor discípulo, un joven obrero y cercano colaborador, quien, en aquellas dramáticas circunstancias y enfrentando a una poderosa maquinaria de difamación y odio en su contra, resultó vencedor en las elecciones generales.

El gobierno de Maduro no ha conocido un instante de respiro. A la drástica caída en los precios del petróleo en el mercado internacional se ha unido la guerra económica desatada por Washington y en la que participa abiertamente la oligarquía local que especula con las limitaciones materiales y provoca escaseces y malestar. Estos fueron los factores principales que permitieron a la oposición obtener una mayoría de escaños en la Asamblea Nacional.

Hay que recordar que desde la primera elección de Chávez como Presidente en Venezuela se han realizado más elecciones, plebiscitos y otras consultas populares que las que hayan podido efectuarse en los países del Hemisferio que cínicamente quieren erigirse en jueces de la situación venezolana. En la mayoría de esos ejercicios democráticos vencieron las fuerzas del chavismo y cuando no fue así los resultados fueron aceptados por Chávez y por Maduro.

Conviene recordar asimismo que ganar o perder transitoriamente la mayoría de los miembros del órgano legislativo no significa ganar o perder el gobierno en los países de América Latina. Tampoco lo es en Estados Unidos: si tal cosa rigiera en el vecino del Norte la lista de Presidentes despojados de sus cargos sería interminable: por ejemplo Clinton, Bush y Obama, para sólo mencionar los más recientes en una bicentenaria tradición en la que resulta normal ejercer la jefatura del Estado contando con una minoría parlamentaria. Para no hablar de Trump cuya presidencia no es cuestionada -aunque Hillary Clinton lo superó por más de tres millones de votos- y ostenta el mayor índice de desaprobación del que haya memoria en aquel país.

No debe olvidarse, sobre todo, el carácter subversivo, anticonstitucional, proclamado sin ambages por Henry Ramos Allup cuando, al asumir la dirección de la Asamblea, anunció un plan para expulsar de la jefatura del Estado a Nicolás Maduro en seis meses. No formuló un programa legislativo, anunció un golpe de estado. Desde entonces no ha hecho otra cosa que alentar el caos y la inestabilidad institucional.

La OEA en cueros

La conducta ilegítima e irresponsable de la oposición lejos de sumarle apoyo interno ha generado la creciente resistencia de un pueblo que, más allá de las ideologías, necesita y desea la paz y la convivencia frente a la agresión externa. Para derrocar al Gobierno legítimo había que recurrir al exterior y buscar en Washington lo que no pueden encontrar en Caracas.

Entonces aparece, nada más y nada menos, que la llamada Organización de Estados Americanos (OEA) y su insólito Secretario General, Luis Almagro.

La historia del “ministerio de colonias yanquis” es sobradamente conocida. Hace más de un siglo, ante los primeros pasos para crear el “panamericanismo”, José Martí advirtió el peligro y llamó a pelear por la independencia verdadera de Nuestra América.

Para Almagro –o sea para el Imperio— el único problema en el Hemisferio es Venezuela. Su enfermiza obsesión antibolivariana los ha arrastrado al punto increíble de dar una suerte de golpe de estado dentro de la propia institución, desconociendo a sus propias autoridades –al representante de Bolivia, Presidente del Consejo Permanente y Decano de sus embajadores y al Vicepresidente que es el representante de Haití— para imponer su estrategia antivenezolana.

Si la OEA tuviese un mínimo de seriedad no le alcanzaría el tiempo para ocuparse de los problemas reales del Continente.

La represión masiva contra los latinoamericanos en Estados Unidos; el infame muro de Trump y sus medidas de proteccionismo comercial; la vergonzosa destitución de Dilma Roussef; la constante aparición de cementerios clandestinos en México y otros lugares; los asesinatos cotidianos de periodistas; los muchachos desaparecidos de Ayotzinapa, las niñas muertas en Guatemala, el incendio del Parlamento paraguayo; las huelgas y protestas populares en Argentina, Brasil y otros países, son parte del largo temario que interesa a los pueblos pero que no existen para Almagro ni para el dócil rebaño que lo sigue.

Porque la OEA no fue creada para bregar con la realidad. Nunca ha sido otra cosa que instrumento para la dominación imperial. Que a estas alturas echen mano a la vieja y desprestigiada herramienta, pisoteando incluso sus reglas y procedimientos, es un llamado de alerta. La agresión imperialista está en marcha y debemos detenerla.

El crimen se está cometiendo a la luz del día, a la vista de todos y contemplarlo en calma sería una complicidad imperdonable.

Urge multiplicar la solidaridad. Hay que salvar a Venezuela.

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