ONU: denunciato l’impatto del colonialismo a Portorico

Il leader indipendentista portoricano  Oscar López Rivera, ha denunciato nella ONU l’impatto della presenza coloniale degli Stati Uniti nell’Isola dei Caraibi, che data dal 1898.


Intervenendo nella sessione del Comitato Speciale di Decolonizzazione delle Nazioni Unite dedicata ad analizzare la situazione di Portorico, López Rivera ha indicato che spopolare l’isola è stata una delle priorità della potenza coloniale.

«Attualmente cinque milioni di portoricani vivono nella diaspora, mentre meno di tre milioni e mezzo lo fanno nell’isola», ha precisato.
In accordo con  López Rivera, la disoccupazione, l’insicurezza sociale e la privatizzazione si sono combinate sotto il dominio nordamericano per generare uno scenario di povertà e disperazione, di fronte al quale molti, includendo professionisti e personale preparato, optano per l’emigrazione.

«Si tratta di un problema che minaccia di portarci alla perdita della nostra patria, identità, cultura e tutto quello che ci fa portoricani», ha sottolineato il combattente recentemente scarcerato che ha scontato per le sue idee quasi 36 anni di prigione negli Stati Uniti.

L’ indipendentista  ha affermato che ancora una volta si dimostra che il colonialismo costituisce un crimine contro l’umanità e va eliminato.

López Rivera ha anche denunciato i danni rappresentati da una giunta di controllo fiscale imposta dal Congresso nordamericano per combattere un debito di 72.000 milioni di dollari, meccanismo che ha come obbiettivo-  ha accusato – di saccheggiare sino l’ultimo centesimo nelle tasche dei portoricani.

Poi ha assicurato che la situazione attuale dell’Isola è peggiore di quella esistente 36 anni, fa quando lui fu recluso per le sue idee.

Il patriota sostiene che il suo popolo necessita oggi più che mai l’appoggio mondiale e che l’Assemblea Generale della ONU si occupi del caso sino ad ottenere la fine delle status coloniale.

López Rivera ha difeso la speranza che un giorno Portorico sia decolonizzata e possa godere  la sovranità e l’autodeterminazione come un altro membro della Comunità delle Nazioni.

Parlando della sua situazione personale ha affermato che in quasi 36 anni di carcere negli Stati Uniti non si è debilitata la lotta, perché quando si sta a lato di una causa giusta  e nobile, niente va considerato un sacrificio.

«Nonostante tutti questi anni sono tornato a casa con la testa alta e il mio onore, la mia dignità e il mio spirito sono più forti di quando sono entrato in prigione»,  ha dichiarato.

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