Il Venezuela alle urne, la fila si forma all’alba

di Geraldina Colotti da Caracas

All’Unità educativa Miguel Antonio Caro la gente è in fila dalle 4 di mattina. Il presidente Nicolas Maduro, che avrebbe dovuto votare in questo liceo di Caracas, arriva all’improvviso, accompagnato dalla “prima combattente” Cilia Flores, candidata all’Assemblea Nazionale Costituente. Vuole essere il primo a votare.

“E’ un voto per la tranquillità del Venezuela”, dice ricordando l’anno 2000, quando Chavez ha rimesso alla prova delle urne i risultati dell’Assemblea Nazionale Costituente decisa l’anno prima. Presenta Marla Munoz, riferimento per chi ha comunicazioni o richieste da fare: “Ha solo un anno più di me – scherza – ma è stata la mia capa quando eravamo ragazzini, nella IV Repubblica. Abbiamo cominciato presto a far politica. E presto a votare – aggiunge mostrando una scheda elettorale del 1981. Allora – ricorda – facevo parte di un gruppo musicale, gli Enigma. Suonavamo i Led Zeppelin. Nessun potere potrà impedire ai venezuelani di votare. La Costituente sarà un super potere per arrivare alla riconciliazione nazionale, alla giustizia, alla verità e superare i problemi che abbiamo. Non è la Costituente di Maduro, ma del popolo intero.”

Ci sono file in tutto il paese. Fin dalle prime ore del mattino, il Consejo Nacional Electoral (Cne) comunica che i seggi sono a pieno regime nell’85% del paese. Rimesso in funzione anche il seggio devastato nel Merida da un centinaio di incappucciati. I giornalisti comunitari dicono, però, che nel Merida, nel Lara e in una piccola parte del Tachira i “guarimberos” cercano di mantenere accese le violenze, cercano lo scontro con la polizia. Nello Stato Bolivar è stato ammazzato José Felix Pineda, candidato all’ANC per il settore Consigli comunali e Comunas. Nello Stato Sucre è morto anche un dirigente giovanile del partito Accion Democratica (Ad, di opposizione). A Barinas c’è stato l’assalto di un gruppo armato, che ha ferito un agente a una gamba, ma è stato respinto. Fino al momento in cui scriviamo, la notizia di due morti a Valencia non ha trovato conferma.

Durante la mattina, a Caracas era tutto tranquillo. Qualche ritardo si è registrato nel grande seggio aggiuntivo del Poliedro, installato per consentire agli abitanti dei comuni in preda alle violenze (la parte est della capitale) di votare in sicurezza. Alcuni rappresentanti di seggio non hanno potuto arrivare in tempo a causa dei blocchi stradali, sempre meno partecipati ma violenti. “Faremo storia – dice Mariangela in coda – siamo qui per dire a Trump che oggi daremo una vittoria al mondo”. La fila canta: “El pueblo unido jamas sera vencido” e “La Constituyente sì va”.

Il vicepresidente, Tareck El Aissami, che ha votato ad Aragua, ha chiesto ai media di “non oscurare le immagini di questa straordinaria partecipazione democratica”, e ha ricordato l’oscuramento dei media compiuto durante il golpe contro Chavez nel 2002. Le agenzie stampa in Italia hanno diffuso la notizia secondo la quale sarebbe stato impedito ai media l’accesso alle urne. Una precauzione presa solamente per il Poliedro, il centro aggiuntivo a Caracas, considerata perimetro sensibile per 500 metri. La presidente del Cne, Tibisay Lucena, ha risposto alle domande dei giornalisti nel corso di una conferenza stampa al Cne.

Questa è la 21ma elezione che si svolge in Venezuela dal 1998, quando Chavez ha vinto le presidenziali, più di una all’anno. Elezioni tutte vinte dal chavismo, tranne due: il referendum costituzionale del 2007, perso di misura, e le parlamentari del 2015, che hanno consegnato alle destre la maggioranza in uno dei 5 poteri di cui si compone la Repubblica bolivariana (presidenziale). Questa è però la prima volta che i media privati (che sono la maggioranza nel paese) non hanno istituito un centro informativo per seguire le elezioni. Il copione è già deciso. Tutti i riflettori sono stati al servizio del “plebiscito” , indetto in modo illegale dall’opposizione per erigere un muro di falsità mediatizzate: in primo luogo diffondendo a tempo di record numeri matematicamente impossibili (oltre 7 milioni di voti). Una prova di forza che il governo ha tuttavia consentito e anche protetto benché sia servito a “legittimare” le tappe del “governo parallelo” annunciato dall’opposizione e benedetto dalla “comunità internazionale”. L’opposizione ha gridato ai quattro venti di “essere maggioranza”. Perché allora non accetta di misurarsi nelle urne presentando proposte alternative?

Alcune componenti di opposizione lo hanno fatto. Nell’Anc sono previsti candidati degli imprenditori, degli studenti delle scuole private… Chiunque ha potuto candidarsi iscrivendosi sulla pagina web del Cne. Si sono iscritte oltre 50.000 persone, poi ridotte a 6000 in base ai requisiti previsti. Secondo criteri geografici, il Cne ha stabilito che ogni municipio deve esprimere almeno 1 rappresentante, 2 per le capitali, 7 per la zona di Caracas. I candidati per settore sono stati proposti dai loro ambiti di riferimento (consigli comunali, comunas, associazioni). I più votati faranno parte dei 537 a cui vanno aggiunti gli 8 rappresentanti dei popoli indigeni, scelti in base alle proprie procedure comunitarie il 1 agosto. Una volta installata, l’Assemblea Costituente eleggerà dei coordinatori per raccogliere e dibattere le proposte e decidere i meccanismi procedurali e i tempi del processo i cui risultati verranno sottoposti a referendum.

Ma per quante prove di democrazia possa dare, il governo Maduro resta “una dittatura”. Dagli Usa all’Europa, l’indicazione è la stessa: occorre delegittimare il “potere popolare”, impedire che la democrazia partecipata faccia un salto di qualità e rilanci il socialismo bolivariano, liberandolo dalle scorie, dalle pastoie e dalla retorica priva di costrutto. Se il processo si consolida, si ridetermineranno gli equilibri del continente. Quella dell’Assemblea Costituente è una rivendicazione forte che le organizzazioni popolari portano avanti in Cile (dove a novembre vi saranno le presidenziali), in Brasile. E in Colombia, dove i leader sociali cadono come mosche dopo la consegna delle armi da parte della guerriglia Farc, che a settembre si costituirà in partito. Gli internazionalisti colombiani presenti hanno denunciato ieri l’assassinio di un altro militante, mentre il governo Santos dà lezioni di “diritti umani” al Venezuela e annuncia che non riconoscerà i risultati dell’Anc.

Contro il Nicaragua sandinista, schierato con la rivoluzione bolivariana insieme ai paesi dell’Alba, sono già in marcia le sanzioni del Patriot Act, che verranno approvate a settembre in via definitiva. “Chi non si abbassa a Trump, chi vota a favore del Venezuela nelle istituzioni internazionali viene minacciato e ricattato anche attraverso la legge per gli immigrati all’estero, le cui rimesse rappresentano almeno il 5% del Pil”, ci ha detto il ministro degli Esteri venezuelano, Samuel Moncada. Quel che accade in Venezuela – ha detto ancora Moncada – viene deciso da fuori. Un esempio? Rex Tillerson, segretario di Stato Usa, ex direttore generale della multinazionale Exxon Mobil, che non ha accettato le compensazioni finanziarie proposte da Chavez alle imprese espropriate, e che ora sta conducendo trivellazioni illegali nelle acque contese dell’Esquibo. Un tribunale di arbitraggio ha ridotto a più miti consigli le pretese della Exxon, che sta masticando amaro.

“Ci sono grandi interessi in ballo – ha spiegato Moncada -, tanti dollari che l’opposizione ha promesso di consegnare in cambio del potere. Da lì le recenti dichiarazioni della Cia per spazzar via il governo bolivariano. E vale ricordare che, già nel 2011, Wikileaks aveva rivelato un avvertimento degli Usa in cui si raccomandava di custodire gli archivi diplomatici in cui risultava evidente il finanziamento alla sovversione interna”. Le sanzioni? “Prima di tutto un modo per screditare la morale del nostro governo, il Venezuela è stato dichiarato una minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza degli Stati uniti, non per le armi ma per l’esempio di dignità e di indipendenza. Il Venezuela viene utilizzato per questioni di politica interna, dagli Usa all’Europa”.

E infatti, lo spauracchio della rivoluzione bolivariana viene usato in tutte le campagne elettorali: dalla Spagna, alla Francia, dal Perù al Cile, al Messico. E l’Italia? E’ vero che il governo bolivariano non vuole pagare le pensioni degli italiani che hanno lavorato in Venezuela? Il ministro spiega che si tratta di pretese “speculative, immorali”, di chi vorrebbe moltiplicare gli introiti basandosi sul cambio illegale imposto dal sito Dollar Today”. L’Assemblea Costituente? “Il processo bolivariano aveva bisogno di rinfrescarsi – dice il ministro – con un nuovo bagno di consenso e di democrazia partecipata”.

E l’ambasciatore del Venezuela a Ginevra, Jorge Valero, avverte: “Quanto più rafforzeremo il socialismo bolivariano, tanto più verremo attaccati a livello internazionale. All’Onu, gli Usa sono scesi in campo in prima persona per preparare una dichiarazione simile a quella che ha permesso l’aggressione alla Libia. In quel contesto, hanno comprato i diplomatici libici, hanno corrotto i governi africani. Uno di loro è stato prelevato dalla Cia durante un safari. L’ambasciatore siriano all’Onu mi ha detto che gli hanno messo un assegno in bianco per chiudergli la bocca. Ma la Siria, anche in piena guerra, ha organizzato le elezioni, che hanno confermato il consenso ad Assad con cui gli Usa hanno dovuto fare i conti. La nostra condizione è diversa, il Venezuela ha la presidenza pro-tempore del Movimento dei paesi Non Allineati e relazioni fraterne con molti paesi del Sud. Ma il pericolo è più che mai incombente”.

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