Cuba dopo Trump

Iroel Sánchez https://lapupilainsomne.wordpress.com

È un anno da quando Donald Trump ha vinto le elezioni presidenziali USA. Pochi hanno annunciato la sua vittoria, e molti si entusiasmarono per la possibilità che si sviluppasse un processo che presto ponesse termine al suo mandato ma, a gennaio, concluderà il suo primo ciclo di dodici mesi e dei suoi controversi tweets, dei disaccordi con i membri del suo gabinetto, dei suoi attacchi ad influenti media e le sue sfide, ai consensi interni ed esterni, lungi dal diminuire si sono moltiplicate.

Tutto sembra indicare che, senza cambiare i suoi metodi, ed all’opposto di ciò che necessitano una specie e un pianeta già abbastanza martoriato, il magnate immobiliare rimarrà alla Casa Bianca i quattro anni per cui è stato eletto e chissà se vincerà una rielezione che gli consenta di duplicare quel tempo; ciò che non smette di essere un sintomo rivelatore della salute di una società e di un sistema politico che lo ha come massimo rappresentante.

Nonostante questo, e che a novanta miglia a sud delle sue coste, noi cubani siamo quelli che più soffriamo le conseguenze dei suoi atti -come il rifiuto di riconoscere il cambio climatico, l’inasprimento del blocco economico e la rottura de facto degli accordi migratori tra i due paesi- vedendo con che cura la sua amministrazione si è applicata al compito di abbandonare le carote e riprendere il bastone nella politica nei confronti di Cuba, non è la domanda se la Rivoluzione cubana sopravviverà al passaggio del magnate immobiliare dalla Casa Bianca quella che più circola in questi giorni.

Sembra che ci siano coincidenze, tra gli analisti più pubblicati, sul fatto che l’aggressività inalberata da Trump è un terreno noto alla leadership cubana che starebbe “più a suo agio” in essa, perché l’ha affrontata in tutte le amministrazioni USA, incluso i primi tre quarti del mandato di Barack Obama. Ma lungi dal rispondere in modo scontroso, per cercare tale “comodità”, davanti agli ingiustificabili attacchi che è andato realizzando il Presidente Trump, anche prima di assumere la presidenza, il governo cubano ha insistito nel dialogo rispettoso e nel continuare a sostenere i settori, che negli USA, credono alla possibilità di una relazione civile tra le due nazioni.Prova di questo è stato il suo agire paziente e professionale davanti ai sempre più indimostrabili “attacchi sonici” o alle misure migratorie per espandere la relazione con i cubani residenti all’estero, dopo che gli USA hanno ridotto il personale del consolato cubano a Washington.

D’altra parte, mentre gli USA di Donald Trump rompe lance persino con i suoi alleati europei, si ritira dall’UNESCO, rinnega l’accordo di Parigi per la protezione dell’ambiente, e aumenta le tensioni con il Messico sulla questione migratoria, Cuba avanza in un accordo politico di cooperazione con l’Unione Europea, riceve nuovamente l’appoggio, praticamente unanime, del mondo all’ONU contro la politica USA, continua a sostenere il Venezuela-suo principale alleato in America Latina che appare incamminarsi verso la stabilizzazione politica al di là dell’aggressione esterna- e raggiunge -nonostante la persecuzione USA- per la prima volta il suo obiettivo annuale di 2 miliardi di dollari di investimenti stranieri, che continuando di questo passo saranno 8 miliardi al concludere, Trump, il mandato per cui è stato eletto nel novembre 2017. E ancora resta da vedere cosa accadrà quando Trump, l’anno prossimo, dovrà assistere ad un Vertice delle Americhe che fu uno dei fattori chiave nella pressione per cambiare la politica USA verso Cuba.

Sul fronte interno, ora con Trump al comando a Washington, Cuba ha terminato di ratificare, in maniera consensuale, la concettualizzazione del suo modello economico e sociale che guiderà lo sviluppo del paese ed è la base per la riforma costituzionale in corso, ha concluso con successo la nomina dei candidati per le elezioni comunali, ha gestito in modo esemplare, in contrasto con i suoi vicini, l’impatto di un potente uragano che ha colpito la maggior parte del paese, ha continuato ad espandere l’ancora insufficiente accesso ad internet e si prepara per le elezioni generali nei primi mesi del 2018 in cui una nuova generazione, ora senza i leader che hanno preso il potere nel 1959, assumerà il governo in un periodo che coincide con la presenza di Trump alla Casa Bianca.

Per inciso, i principali protagonisti degli eventi politici di maggior ripercussione a Cuba negli ultimi mesi – commemorazione del 50° anniversario dell’assassinio del Comandante Che Guevara in Bolivia, Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti, condanna all’ONU del blocco, lavoro dei Consigli di Difesa provinciali e comunali nel recupero dei danni dell’uragano Irma- sono tutti nati dopo il trionfo del 1959 e saranno in piena maturità negli anni in cui Trump governa a Washington per salutare il dodicesimo presidente che ha tentato di abbattere la Rivoluzione Cubana.


Cuba después de Trump

Por Iroel Sánchez

Se cumple un año de que Donald Trump ganara las elecciones presidenciales en Estados Unidos. Pocos anunciaron su victoria, y muchos se entusiasmaron con la posibilidad de que se desatara un proceso que termine tempranamente con su mandato, pero en enero concluirá su primer ciclo de doce meses y sus controversiales tuits, los desacuerdos con los miembros de su gabinete, sus ataques a influyentes medios de comunicación y sus desafíos a consensos internos y externos, lejos de disminuir se han multiplicado.

Todo parece indicar que sin cambiar sus métodos, y a contrapelo de lo que necesitan una especie y un planeta ya bastante maltrechos, el magnate inmobiliario permanecerá en la Casa Blanca los cuatro años para los que fue electo y quién sabe si ganará una reelección que le permita duplicar ese tiempo; lo que no deja de ser un revelador síntoma de la salud de una sociedad y un sistema político que lo tienen como máximo representante.

A pesar de ello, y de que a noventa millas al Sur de sus costas, los cubanos sufrimos como el que más las consecuencias de sus actos -como su negativa a reconocer el cambio climático, el recrudecimiento del bloqueo económico y la ruptura de facto de los acuerdos migratorios entre ambos países-, viendo el esmero con que su administración se ha aplicado a la tarea de abandonar las zanahorias y retomar el garrote en la política hacia Cuba, no es la interrogante de si la Revolución cubana sobrevivirá al paso del magnate inmobiliario por la Casa Blanca la que más circula por estos días.

Parece haber coincidencias entre los analistas más publicitados en que la agresividad enarbolada por Trump es un terreno conocido por la dirección cubana que estaría “más cómoda” en él porque lo enfrentó en todas las administraciones estadounidenses, incluyendo los tres primeros cuartos del mandato de Barack Obama. Pero muy lejos de responder confrontacionalmente para buscar esa “comodidad”, ante ataques injustificables que ha venido haciendo el Presidente Trump, incluso con anterioridad a asumir la Presidencia, el gobierno cubano ha insistido en el diálogo respetuoso y en continuar alentando a los sectores que en Estados Unidos creen en la posibilidad de una relación civilizada entre ambas naciones. Prueba de ello ha sido su actuación paciente y profesional ante los cada vez más indemostrables “ataques sónicos” o las medidas migratorias para ampliar la relación con los cubanos residentes en el exterior, luego de que EE.UU. redujera el personal del consulado cubano en Washington.

Por otra parte, mientras el EE.UU. de Donald Trump rompe lanzas hasta con sus aliados europeos, se retira de la UNESCO, reniega del acuerdo de París para proteger el medio ambiente, y acrecienta tensiones con México por el tema migratorio, Cuba avanza en un acuerdo político y de cooperación con la Unión Europea, recibe nuevamente el respaldo prácticamente unánime del mundo en la ONU contra la política estadounidense, sigue apoyando a Venezuela -su aliado principal en Latinoamérica que parece encaminarse hacia la estabilización política por encima de las agresiones externas- y alcanza -a pesar de la persecución estadounidense- por primera vez su meta anual de 2000 millones de dólares en inversión extranjera, que de seguir a ese ritmo serían 8000 millones al concluir Trump el mandato para el que fue electo en noviembre de 2017. Y aún está por ver qué pasará cuando Trump tenga el próximo año que asistir a una Cumbre de las Américas que fue uno de los factores clave en la presión para cambiar la política norteamericana hacia Cuba.

En lo interno, ya con Trump al mando en Washington, Cuba terminó de consensuar la conceptualización de su modelo económico y social que guiará el desarrollo del país y es la base para la reforma constitucional pendiente, concluyó exitosamente la nominación de candidatos para las elecciones municipales, gestionó de modo ejemplar en contraste con sus vecinos el impacto de un poderoso huracán que afectó la mayor parte del país, continuó ampliando el todavía insuficiente acceso a internet y se prepara para las elecciones generales de inicios de 2018 donde una nueva generación, ya sin los líderes que tomaron el poder en 1959, asumirá el gobierno en un período que coincide con la presencia de Trump en la Casa Blanca.

A propósito, los principales protagonistas de los eventos políticos de mayor repercusión en Cuba durante los últimos meses -conmemoración de los 50 años del asesinato del Comandante Che Guevara en Bolivia, Festival Mundial de la Juventud y los Estudiantes, condena en la ONU del bloqueo, trabajo de los Consejos de Defensa provinciales y municipales en la recuperación de los daños del huracán Irma- nacieron todos después del triunfo de 1959 y estarán en plena madurez durante los años en que Trump gobierne en Washington para despedir al duodécimo presidente que intentó derrocar la Revolución cubana.

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