Santos cede agli USA la base militare di Palanquero

di Geraldina Colotti  http://www.lantidiplomatico.it

A Strasburgo, la conferenza dei presidenti del Parlamento europeo ha deciso di attribuire il Premio Sakharov 2017 per la libertà di pensiero all’opposizione golpista in Venezuela. La cerimonia si terrà il 13 dicembre. A ricevere i 50.000 euro, è stata una grottesca parata di lestofanti celebrata dal presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani: di sicuro un campione della libertà di pensiero in quanto ex monarchico, ex Alleanza Nazionale e ora Forza Italia.


Una lista consona alla natura e ai precedenti del premio, che ha già celebrato l’anticomunismo in tutte le salse, soprattutto quella anticastrista, seppur con qualche eccezione nel mucchio. Ma questo livello di sfacciataggine non si era ancora raggiunto.

Nell’elenco dei premiati, vi è anche il giovane nazista Lorent Saleh, amico dell’ex presidente colombiano Alvaro Uribe. Saleh, presente nei raduni internazionali antisemiti nonché fondatore della Ong «Operacion Libertad» è in carcere perché progettava vari attentati in Venezuela, anche a una discoteca, insieme ai paramilitari uribisti.

Su di lui indagava il giovane deputato Robert Serra a capo di un’apposita commissione parlamentare. Serra è stato trucidato nel 2014 insieme alla sua compagna Maria Herrera. “Oggi abbiamo assistito a una strana situazione in cui il Parlamento europeo ha attribuito un premio all’opposizione che brucia vive delle persone, genera violenza e causa la sofferenza di un popolo”, ha commentato la presidente dell’assemblea costituente Delcy Rodriguez.

Durante l’annuncio, Tajani è stato interrotto dai commenti sarcastici dei deputati di Izquierda Unida, ma il premio è stato celebrato dalla gran parte della stampa italiana, che ha rinverdito la consueta sequela di menzogne e castronerie, capovolgendo i fatti e negano l’evidenza dietro le solite parole vuote.

In quelle di Tajani, risuona la strategia voluta da Trump e dai suoi tirapiedi: una “transizione” da imporre al Venezuela e per questo è già pronto un governo parallelo come quello siriano o libico, confezionato all’estero. All’estero si trova la ex procuratrice generale Luisa Ortega, che aspira ad essere quello che Violeta Chamorro è stata per l’antisandinismo in Nicaragua.

All’estero si trovano anche i giudici della Corte suprema, eletti illegalmente dal parlamento golpista venezuelano. Da Washington hanno inviato una “ingiunzione” al governo bolivariano con la quale “dissolvono” l’Assemblea nazionale costituente…

All’estero avrebbero dovuto andare anche i 5 governatori dell’opposizione, eletti nelle regionali del 15 ottobre, dove il chavismo ha fatto man bassa (18 su 23 stati). Invece, 4 di loro hanno accettato di riconoscere le istituzioni bolivariane e ora la loro decisione sta dividendo la già disastrata coalizione MUD. Il quinto governatore ha invece dato retta alla lobby “trumpista” e ora ha perso il posto perché, secondo la legge, si dovranno rifare le elezioni. Intanto, nell’opposizione volano insulti e maledizioni sciamaniche.

Il voto nello Stato del Zulia si ripeterà a dicembre, quando – in 334 municipi – si svolgeranno anche le comunali.

Una bella prova di democrazia. Ma la democrazia partecipata e protagonista del Venezuela non è quella che piace a Washington: perché confida nel potere popolare e non in quello delle oligarchie.

E così, senza vergogna, il Segretario generale dell’OSA – il ministero delle colonie, come giustamente lo definì Fidel Castro – sconsiglia vivamente l’opposizione dal partecipare al voto di dicembre: perché le istituzioni bolivariane – dice – vanno sovvertite. In nome della democrazia, ovviamente. E perché spera nelle grandi manovre economiche e militari in corso in America latina: nel Mercosur, i paesi tornati al neoliberismo come Brasile e Argentina esultano per la cacciata del Venezuela che consente loro mano libera nei Trattati di libero commercio con l’Europa.

In Amazzonia, il governo golpista di Temer in Brasile sta organizzando l’Operazione America Unita che darà luogo a manovre congiunte tra USA, Perù e Colombia dal 6 al 13 novembre nella città di frontiera di Tabaginga.

Manovre simili a quelle organizzate dalla Nato nel 2015 in Ungheria, quando vennero dispiegati circa 1700 militari. In questa occasione, secondo l’esercito brasiliano, l’obiettivo è quello di creare una base logistica multinazionale per realizzare controlli contro le migrazioni illegali, assistenza umanitaria, operazioni di pace, lotta al narcotraffico e protezione ambientale. Un impiego temporale, dice la retorica dietro cui si ammanta invece un’operazione di alto tradimento, com’è quella di insegnare a un esercito straniero a combattere nel proprio territorio nazionale.

La stessa retorica è stata usata in altre parti del mondo, specialmente in Medioriente. E ci sono tutti i presupposti perché la base temporale si trasformi in permanente, come appunto accadde in Ungheria con le truppe Nato. Dietro ogni azione militare nordamericana c’è l’obiettivo di impadronirsi delle risorse per fini imperialisti. E in America latina le risorse abbondano.

Secondo la Banca Mondiale, la regione ha un ruolo fondamentale nella questione del cambio climatico, giacché possiede le riserve di acqua dolce più grandi del mondo. E le guerre del futuro saranno per l’acqua. Secondo un rapporto della Difesa statunitense, la scarsità dell’acqua e il cambiamento climatico sono una minaccia alla sicurezza nazionale nordamericana: nonostante le boutades di Trump.

In Amazzonia ci sono anche altre riserve di minerali fondamentali per l’industria areonautica spaziale e militare, e poi petrolio, gas, oro e diamanti. Tutte ricchezze di cui abbonda il Venezuela davanti alle cui coste, nel 2017, gli Usa hanno realizzato manovre militari con oltre 2500 effettivi. Con l’aumento esponenziale delle basi militari e della presenza nordamericana, contro il continente latinoamericano che ha cominciato a costruire la sua seconda ed effettiva indipendenza, planano nuove mire coloniali.

In Brasile, Temer ha congelato per vent’anni il bilancio per la salute e l’educazione pubblica, ma ha aumentato del 36% le spese militari. Nel Sudamerica, la scuola militare brasiliana è molto seguita. Se gli Stati uniti hanno buone relazioni con le forze armate brasiliane, sarà più facile per loro diffondere la filosofia Usa tra i militari della regione. C’è il pericolo di tornare alla tristemente nota Scuola de las Americas, la scuola di tortura per i dittatori latinoamericani degli anni ’70, 80.

Con la stessa retorica, Obama e il presidente colombiano Manuel Santos hanno cambiato nome al Plan Colombia in Piano per la Pace. La pace del sepolcro per le centinaia di leader sociali ed ex guerriglieri che sono stati ammazzati in Colombia dalla firma del trattato di pace con le Farc: grazie anche all’assistenza militare degli Stati uniti che, nel 2017, hanno destinato finanziamenti per 203,9 milioni di dollari, in vendita di armi e servizio di addestramento.

Lo stato colombiano ha a sua volta destinato il 13,1% del bilancio nazionale, e cioè circa 10.000 milioni di dollari alla spesa militare e solo il 9% alle spese sanitarie e di protezione sociale. Il Plan Colombia è tutt’altro che abolito, anzi si vuole esportarlo in Centroamerica, per garantire il passaggio della droga dal Sudamerica agli Stati uniti. La Colombia in questi anni è diventato il quinto paese al mondo a ricevere maggior aiuto militare dagli Usa, superato solo da Israele, Egitto, Corea del Sud e Iraq.

Inoltre, Santos, che ha chiesto l’adesione alla NATO, ha facilitato agli Stati uniti l’uso di sei basi militari, e ha ceduto quella di Palanquero, la più vicina al Venezuela. Quest’anno, un gruppo di senatori, a Washington ha offerto aiuto militare a Santos per affrontare “la minaccia venezuelana”, mentre in un’intervista lo stesso Trump ha annunciato che si stava occupando di “aiutare il Venezuela”.

Di recente, la CIA ha sparso la voce, subito ripresa dall’opposizione venezuelana, che il governo Maduro è influenzato da Hezbollah e dall’Iran e per questo può diventare un pericolo per la regione. Contro il paese bolivariano, si prepara un copione già visto. Ma il finale è tutt’altro che scontato.

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